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1 novembre 2021

"Dialoghi dei morti", L. di Samòsata:

In occasione della giornata della commemorazione dei defunti ho deciso di presentarvi uno dei trenta Dialoghi dei morti di Luciano di Samòsata (120-180 d.C).

Si tratta del dialogo tra il filosofo Diogene e l'eroe Eracle. 

Ve lo presento innanzitutto per la buona componente di ironia da cui è caratterizzato, poi, per il fatto che è un testo che indubbiamente invita a porsi qualche domanda sull'anima, sulla vita ultraterrena e sul rapporto tra anima e corpo. Tuttavia, io mi concentrerò prevalentemente sugli aspetti più affascinanti del lessico.

Con questo post si apre un altro breve percorso tematico sulle tematiche di: morte, aldilà e decadenza della vita. 

Ho lavorato alla traduzione dal greco antico qualche settimana fa (è piuttosto letterale), l'ho rivista; dovrebbe essere esatta!

DIALOGO TRA DIOGENE ED ERACLE:

Diogene= Non è Eracle costui? Non può essere un altro, ma Eracle! Allora è morto, pur essendo figlio di Zeus? Dimmi, o vittorioso, sei morto? Io infatti sulla terra ti facevo sacrifici come a un dio!

Eracle= E sacrificavi giustamente: infatti lo stesso Eracle è in cielo con gli dei e possiede Ebe dalle belle caviglie, ma io sono la sua ombra.

Diogene= Ma come? Ombra del dio?  È possibile che qualcuno sia per metà un dio, per l'altra metà un mortale?

Eracle= Certamente: il famoso Eracle non è morto, ma io, che sono la sua stessa immagine.

Diogene=Ora lo so: a Plutone ha consegnato te come sostituto al posto suo e tu ora sei morto al posto suo.

Eracle= Qualcosa del genere.

Diogene=In che modo allora, sebbene sia coscienzioso, Eaco non ha riconosciuto che tu non sei lui ma ha accolto un presunto Eracle che gli stava vicino?

Eracle=Perché gli somigliavo perfettamente.

Diogene= Dici la verità, infatti gli somigli così perfettamente da essere lui stesso. Ma vedi appunto che non sia il contrario: cioè che tu sia Eracle e che l'immagine non abbia sposato Ebe presso gli dei.

Eracle= Sei sfrontato e troppo loquace! E se non smetti di deridermi saprai presto di quale dio sono l'immagine.

Diogene= L'arco è sfoderato e a portata di mano: ma io perché dovrei ancora temerti dal momento che sono morto una volta sola? Tuttavia dimmi, in nome di Eracle, quando quello era in vita, eri con lui sebbene fossi ombra anche allora? Oppure durante l'esistenza terrena eravate uno solo, ma dopo che siete morti, dopo esservi separati, quello è volato via tra gli dei e tu, l'ombra, come è probabile, sei andato nell'Ade?

Eracle=Non bisognerebbe rispondere a un uomo che deride così deliberatamente! Tuttavia ascolta anche questo: quanto di Anfitrione c'era in Eracle è morto e io sono quel tutto, ma quello che c'era di Zeus si trova in cielo tra gli dei.

Diogene= Ora capisco perfettamente: dici che Alcmena ha generato due Eracli contemporaneamente, uno da Anfitrione e l'altro da Zeus, così che non siete consapevoli di essere gemelli.

Eracle= No, insolente! Eravamo entrambi lo stesso.

Diogene= Non è facile capirlo, che i due Eracli erano messi insieme, a meno che, come un Ippocentauro, non foste uomo e dio congiunti.

Eracle= Ma non ti sembra che siamo tutti ugualmente formati da due parti, anima e corpo? Allora che cosa vieta che l'anima, la quale è originata da Zeus, sia in cielo, e la parte mortale, e quindi io, tra i morti?

Diogene= Ma carissimo Anfitrionide, parleresti giustamente se tu fossi un corpo, ma ora sei un'immagine senza corpo, così che corri il rischio ormai di creare un Eracle triplice.

Eracle= Come triplice?

Diogene= Più o meno così: se uno è in cielo, e tu l'ombra, in mezzo a noi, e il corpo sull'Eta, già diventato polvere, questi sono già tre e bada anche a quale padre pensare, come terzo, per il corpo.

Eracle= Sei arrogante e chiacchierone! Ma chi sei mai?

Diogene= L'immagine di Diogene di Sinope in persona, non, per Zeus, tra gli dei immortali, ma unito ai più illustri fra i morti, mentre mi prendo gioco di Omero e di questi discorsi assurdi.

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A) CHIARIMENTI SUI PERSONAGGI COINVOLTI E CITATI:

Eracle, nato a Tebe, era figlio di Zeus e di Alcmena. Per unirsi ad Alcmena, Zeus aveva assunto l'aspetto di Anfitrione, marito di Alcmena e figlio di Alceo, re di Tirinto.  Per questo Eracle è un semidio.

Ebe invece, per gli antichi greci, era la divinità della gioventù, figlia di Zeus e di Era. Deriva proprio dal sostantivo ἡβη, "gioventù".

Plutone è il dio degli Inferi.

Anche Eaco era figlio di Zeus. La madre è la ninfa Egina. 

Eaco era stato concepito sull'isola di Enopia. 

Si tramanda, a questo proposito, la gelosia di Era che, per vendetta, aveva avvelenato tutti i corsi d'acqua dell'isola e aveva fatto in modo che scoppiasse una grave carestia, anche a causa di forti venti caldi. 

Per questo Eaco, una volta divenuto adulto e re di Enopia, aveva supplicato in seguito Zeus, il quale aveva inviato sulla terra di Enopia una pioggia fresca in grado di ricambiare le acque avvelenate.

Eaco era considerato un sovrano giusto e imparziale. Per questo, dopo la sua morte, era stato annoverato da Zeus tra i giudici degli Inferi: doveva, più precisamente, occuparsi delle anime di provenienza europea.

L'Ippocentauro, parola composta da ἵππος "cavallo",  e κένταυρος, "centauro", era per metà uomo e per metà cavallo. 

Diogene era un filosofo cinico. Nell'antichità i Cinici sono sopravvissuti fino circa al IV° secolo d.C. Erano filosofi che proponevano il distacco da ricchezze, potere e beni materiali, il dominio delle passioni, l'indifferenza verso i mali della vita (malattia, esilio, morte). Oltre a ciò, Diogene sosteneva il limite della proprietà privata, l'abolizione dei ceti sociali e la comunione dei figli. Diogene è morto nel 323 a.C a Corinto, lo stesso giorno di Alessandro Magno. 

(Luciano di Samosata non ha mai aderito totalmente al Cinismo).

"Cinico" deriva da κύων, "cane". Questi filosofi erano chiamati/definiti così sia per la loro abitudine di vivere sulla strada e il loro deciso rifiuto delle convenzioni sociali.

Per i Cinici, Eracle era l'emblema del mondo primitivo, mentre invece Prometeo era simbolo del mondo civilizzato.

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B) APPROFONDIMENTO SUL LESSICO:

Ecco a voi le parole e le sfere semantiche sulle quali vale la pena soffermarsi.

1) εἴδωλον significa "immagine, apparizione". La radice è -ιδ-, da cui derivano ad esempio anche ὁράω, "vedere", εἶδος, "aspetto, figura"εἰδοποιέω, cioè, "formare un'immagine", e εἰδολικος, ovvero, "immaginario, simbolico"

Notate bene che da -ιδ- proviene buona parte del lessico greco relativo alla vista: sostantivi che hanno a che fare con i nostri italiani "immagine, figura, apparenza", un verbo che significa "vedere (in profondità)", un altro che significa "formare un'immagine" e aggettivi riguardanti la sfera dell'immaginario.

2) δυνατός è connesso con la sfera del possibile. Proprio come δύναμαι, "potere, essere forte". Se seguito da un infinito, questo verbo assume il senso di "essere capace di fare una determinata cosa". Importante qui è il richiamo del sostantivo δύναμις, cioè, "potenza, potere, autorità", diversamente da βία, "forza violenta, violenza, anche sessuale", da cui βιάζω, "fare violenza". βίαιος è l'aggettivo per "violento".

3) Anche se in piccola parte, è comunque presente il lessico del timore: φοβέω, "aver paura, temere, far fuggire"φόβος "spavento, fuga". Ci sono altri due termini: ὀρρωδία, "terrore" e φροντίς, "paura, preoccupazione e ansia". A φροντίς si collegano le parole φροντίζω, "pensare" ma anche "preoccuparsi per qualcosa" e φρήν, "anima, pensiero" (anche se originariamente significava "diaframma").

4) κόνις ha un equivalente in latino: cinis, che, allo stesso modo, sta per "cenere, polvere". κονιος è l'aggettivo per "polveroso".

5) Fondamentale risulta invece il lessico del generare, far nascere: i due verbi frequenti sono i sinonimi τίκτω (=mettere al mondo, partorire) e φύω (=far nascere, procreare). Da φύω scaturiscono anche φύσις (=natura, indole) e φυσικός (=naturale, congenito). 

E... mai dimenticarsi di γαμέω, (=sposarsi)γαμετή (=moglie)γαμέτης  (=marito), γάμος  (=nozze, matrimonio).

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C) DOMANDE CHE IL CONTENUTO INVITA A PORSI:

Al di là della sfrontatezza di Diogene e delle arrabbiature frequenti di Eracle, soprattutto la parte finale di questo dialogo ci stimola a riflettere su alcune questioni psico-teologiche a proposito della questione, molto ricorrente nelle Epistole di San Paolo, della risurrezione e di una vita eterna dopo la morte.

Sarebbe curioso vedere questa discussione tra Diogene ed Eracle rappresentata a teatro :-)

-Ad un tratto Eracle dice a Diogene: Ma non ti sembra che siamo tutti ugualmente formati da due parti, anima e corpo? Allora che cosa vieta che l'anima, la quale è originata da Zeus, sia in cielo, e la parte mortale, e quindi io, tra i morti?

Tutto ciò è molto vicino a quel che molti di noi ritengono: dopo la morte anima e corpo si separano (=e ciò è stato confermato anche da migliaia di persone che hanno sperimentato e narrato le loro esperienze di "pre-morte").  L'anima vola in cielo... Certo, ma vola incorporea? Qui, sulla Terra, dentro la tomba di un cimitero, rimangono le nostre quattro ossa dopo la decomposizione... ma siamo sicuri sia proprio questa la "fine" dei nostri corpi?

-Risulta difficile credere nella risurrezione della carne. Ma io mi chiedo: quando esattamente risorgerà il nostro corpo? Dopo la fine del mondo, dopo il giudizio universale? Oppure risorgerà poco tempo dopo la nostra morte? E con quale fisico risorgeremo? Quale aspetto ci verrà conferito o restituito, l'aspetto dell'infanzia, della gioventù o della vecchiaia?


A questo proposito vorrei riportare una parte della Lettera di San Paolo apostolo ai Romani (Rm 8, 19, 25):

La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio;  essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

Ho riflettuto alcuni giorni fa su questo brano. E pensavo che la natura è indubbiamente fugace, sebbene uomo e donna siano stati creati "a immagine e somiglianza di Dio".

Noi, in quanto credenti, sappiamo che Gesù ha sofferto, è morto e risorto dopo aver donato se stesso all'umanità. Se lo sappiamo, non ci resta che attendere un destino pressoché identico al Suo. Per la maggior parte dei credenti la vita eterna è una speranza, più che un'attesa. Tuttavia, ho notato una sottigliezza tra "speranza" e "attesa": la speranza è il desiderio che si verifichi un avvenimento di cui non abbiamo certezze. 

L'attesa invece è vivere la vita terrena come se fosse l'anticamera della... della Gerusalemme Celeste, insomma. Attendere, per i cristiani, è uguale ad avere una forte e salda fede che ci fortifica. Una fede che ti convince a proposito della promessa di "un'altra vita". 



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