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24 luglio 2015

"Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte", Mark Haddon:


E' un romanzo molto carino, coinvolgente e direi anche piuttosto profondo. 
Già il titolo incuriosisce il lettore.

Christopher Boone, protagonista e voce narrante, si prefigge di scrivere un libro piacevole e interessante a proposito dell'assassinio di Wellington, il cane di Eileen Shears, la vicina di casa. In realtà, man mano che si procede nella lettura, ci si accorge che questo romanzo, più che un giallo è un racconto di formazione...

Christopher ha quindici anni ed è affetto dalla sindrome di Asperger: detesta essere toccato e abbracciato, teme i luoghi troppo affollati, non riesce a interpretare la mimica facciale delle persone; non comprende i significati delle metafore, da lui ritenute figure retoriche senza senso. In compenso, Christopher è dotato di straordinarie capacità logico-matematiche: è infatti in grado di risolvere mentalmente problemi molto complicati, ha una memoria di ferro (conosce i nomi di tutti gli stati del mondo e anche tutte le loro rispettive capitali) e i suoi pensieri sono sempre molto razionali. E' inoltre un appassionato di astronomia: piuttosto spesso, durante la notte passeggia per le strade di Swindon, il paesino inglese in cui egli vive con il padre, per osservare le stelle, la Via Lattea e altre galassie: "Qualcuno crede che la Via Lattea non sia altro che una lunga fila di stelle, ma non è così. La nostra galassia è un enorme disco di stelle lontane 100.000 anni luce e il sistema solare si trova da qualche parte alla sua estremità. (...) Pensai al fatto che gli scienziati si erano scervellati per tanto tempo sul perché il cielo di notte è scuro anche se ci sono miliardi di stelle nell'Universo,- stelle da qualunque parte si guardi-, e al fatto che il cielo dovrebbe risplendere, visto che non ci sono grandi ostacoli a fermare la luce. Poi scoprirono che l'Universo era in espansione, che le stelle dopo il Big Bang si allontanavano all'impazzata l'una dall'altra, e che più le stelle erano distanti dalla Terra più si muovevano in fretta (...) per questo motivo il loro bagliore non arriva mai fino a noi".
Christopher non ha amici, ha un rapporto piuttosto problematico con il mondo e fa fatica ad esprimere le sue emozioni.

Ed (probabilmente il diminutivo di Edward) è indubbiamente un padre molto presente che cerca di fare del suo meglio per prendersi cura di Christopher; però è un uomo irascibile, collerico e ombroso. Nutre un affetto sincero per il figlio, ma perde spesso la pazienza. E' inoltre un marito tradito, pieno di rabbia per il fatto che la moglie lo ha abbandonato per trasferirsi a Londra con il suo amante, che, nel corso della storia, si rivelerà essere proprio il marito di Eileen.
Edward è anche molto bugiardo, perché fa credere al figlio che sua madre sia morta di infarto all'ospedale e gli nasconde anche tutte le lettere che l'ex-moglie invia a Christopher.
Christopher però detesta le bugie e, quando scopre che suo padre gli ha nascosto per molti mesi le lettere della madre e ha ucciso Wellington per far soffrire Eileen, la quale riservava più attenzioni al cane che non a lui, decide di scappare di casa per recarsi a Londra.
Proprio in questo punto il giallo si trasforma in un romanzo di formazione: Christopher, mosso sia dalla determinazione sia dalla paura nei confronti del genitore "assassino", riesce ad affrontare, anche se con molta difficoltà, il suo timore per i luoghi affollati, come la stazione ferroviaria.
Fa pena e al contempo tenerezza un ragazzino che chiude gli occhi, mette le mani sulle orecchie e geme (questo è il segnale che un individuo affetto da Asperger trasmette agli altri quando è a disagio) ogni volta che un treno marcia sulle rotaie. Ecco come il nostro protagonista descrive la sua esperienza:  "C'erano molte persone sul treno e la cosa non mi piaceva per niente, perché non mi piace stare in mezzo a tante persone che non conosco e mi piace ancora meno se sono costretto a stare chiuso in una stanza con tante persone che non conosco e un treno è come una stanza e non si può uscire mentre è in movimento. (...) "
"Poi arrivarono altre persone nella stazione che divenne ancora più affollata, il ruggito ricominciò e io chiusi gli occhi e sudai e mi venne da vomitare e di nuovo sentii quella sensazione come di un pallone che sta per scoppiarmi nel petto ed era talmente grande che non riuscivo quasi a respirare".

Christopher giunge a Londra davanti alla casa della madre. L'idea che inizialmente il lettore potrebbe farsi a proposito della madre di Christopher è quella di una donna molto fragile ed esasperata. Infatti, due anni prima era fuggita di casa perché litigava spesso con il marito e non riusciva a relazionarsi nel modo giusto con il figlio che manifestava problemi comportamentali piuttosto seri.
Nella seconda parte del libro però, la donna si rivela decisamente migliore del suo ex marito nel rapporto con il figlio: si dimostra infatti premurosa, sensibile e attenta ai bisogni di Christopher.
Forse i due anni di convivenza con un uomo decisamente grossolano e indelicato come il signor Roger Shears l'hanno fatta maturare...

Verso la fine della storia, termina la relazione tra il signor Shears e la madre di Christopher, la quale ritorna a vivere a Swindon in un monolocale poco lontano dalla casa in cui Christopher vive con il padre.
Un altro aspetto positivo del libro è senz'altro il significativo cambiamento di Edward nel modo di porsi con il figlio: "Christopher... ascolta: non possiamo andare avanti così. Non so cosa ne pensi tu, ma per me è troppo, troppo doloroso. Tu che stai in questa casa e ti rifiuti di parlarmi... Devi imparare a fidarti di me. Non so quanto tempo ci vorrà... se un minuto al giorno e due minuti quello dopo e tre minuti quello dopo ancora e anche se ci volessero degli anni va bene lo stesso. Perché è questo che importa. Questo è più importante di qualsiasi altra cosa. (...) E' un progetto che dobbiamo fare insieme. Tu devi passare più tempo con me. E io devo dimostrarti che puoi avere fiducia in me. E all'inizio sarà difficile perché... perché è un progetto molto difficile. (...) Ti ho comprato un regalo. Per dimostrarti che faccio sul serio. E per dirti che mi dispiace."
Il regalo per Christopher è un cucciolo di cane, un Golden Retriever color miele.

Penso dunque che in questo romanzo l'autore rivolga un messaggio importante innanzitutto agli adulti; nel senso che li invita ad adottare virtù quali la pazienza, la mitezza, l'equilibrio e l'apertura al dialogo nei confronti di adolescenti che si trovano in difficoltà a rapportarsi con il mondo reale.
Anche per questo aspetto "Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte" è un romanzo formativo, perché illustra delle tappe di maturazione psicologica che due adulti (la madre e il padre di Christopher) compiono. D'altra parte, proprio a causa della fuga da casa di Christopher, Edward comprende che, per poter divenire un genitore rassicurante e degno di stima, deve imparare a controllare e a reprimere la sua rabbia e la sua impulsività.

Una figura adulta molto positiva è Siobhan, l'insegnante di Christopher, i cui consigli di stesura del romanzo vengono spesso enunciati dal protagonista-narratore.

Ah, un'ultima cosa... per indicare i capitoli del suo romanzo, Christopher decide di utilizzare i numeri primi, ovvero, i suoi numeri preferiti.
Egli scrive, alla fine del capitolo diciannove: "I numeri primi sono ciò che rimane una volta eliminati tutti gli schemi: penso che i numeri primi siano come la vita. Sono molto logici ma non si riesce mai a scoprirne le regole, anche se si passa tutto il tempo a pensarci su."


22 luglio 2015

La favola di Eros e Psiche:


La favola di Eros e Psiche costituisce un'ampia digressione all'interno delle Metamorfosi, opera di Lucio Apuleio, letterato vissuto nell'epoca della Roma Imperiale (125-170 d.C.).
Desideravo proprio leggerla sia per poterla conoscere in modo dettagliato sia per poter riflettere sul suo significato.
A. Canova "Amore e Psiche che si abbracciano", 1793
 La vicenda di Eros e Psiche ha ispirato, nel corso dei secoli, molti letterati e artisti italiani.
Ricordo che, all'inizio della quinta liceo la nostra insegnante di storia dell'arte, nel chiarire il senso di alcune opere scultoree appartenenti al periodo del Neoclassicismo (seconda metà del XVIII secolo), ci aveva raccontato la favola di Eros e Psiche, alla quale si era ispirato Antonio Canova per progettare la sua omonima scultura.  Dunque, in questo post esporrò dapprima i contenuti della favola e poi alcune delle possibili interpretazioni.

TRAMA:

"C'erano una volta in una città un re e una regina, che avevano tre bellissime figlie. A dire il vero, le due maggiori, benché decisamente molto carine, pensavano tutti che si potessero lodare in termini umani, ma la bellezza della più giovane era così al di fuori del comune che, per la povertà della nostra lingua, non la si poteva descrivere e nemmeno lodare abbastanza."- il racconto inizia nel più classico dei modi... La straordinaria bellezza della terzogenita Psiche era paragonata a quella di Venere: "... nelle attigue regioni si era diffusa la voce che la dea nata dalle profondità azzurre del mare e nutrita dalla spuma delle onde, concesso il dono della sua divina presenza, si aggirava tra le comunità degli uomini, oppure che da un nuovo seme di stille celesti la terra aveva fatto nascere un'altra Venere (...)" 
Dunque, centinaia di persone affrontavano volentieri lunghissimi viaggi per poter ammirare quella meravigliosa creatura. Fino al punto in cui più nessuno ormai si recava nei santuari dedicati a Venere. Sentendosi molto trascurata allora, la dea aveva deciso di vendicarsi di Psiche e aveva ordinato ad Eros di farla innamorare di un essere mostruoso... ma era accaduto che Eros aveva trafitto il proprio piede con una freccia. E così si era invaghito della giovane ragazza.
Poi il dio, con l'aiuto del vento Zeffiro, l'aveva rapita sulla cima di una rupe e l'aveva trasportata nel suo incantevole palazzo: "Soltanto a vedere l'ingresso ci si accorgeva subito di trovarsi nella reggia sfarzosa ed elegante di un qualche essere divino. L'alto soffitto in legno di cedro e avorio a cassettoni finemente intagliati era sostenuto da colonne d'oro, tutte le pareti erano rivestite d'argento (...) Anche il pavimento a mosaico, con tessere di pietre dure, era diviso in tante porzioni con rappresentazioni di diverso soggetto."
Proprio in questa splendida reggia, Eros "la fece sua": i loro incontri amorosi avvenivano sempre e soltanto di notte, così che Psiche non poteva vedere il volto dell'amato, sebbene anche lei fosse travolta da un'ardente passione per quel marito ignoto.
La felicità dei due amanti era durata per qualche tempo, fino al punto in cui Psiche aveva manifestato ad Eros il suo desiderio di rivedere le due sorelle. Queste ultime erano state trasportate da Zefiro fino alla reggia... ma, piene di invidia verso la sorella più giovane e convinte del fatto che essa fosse diventata la sposa di un semidio, le avevano suggerito di accendere una lampada ad olio per poter vedere il volto dell'amato di notte e di tenere con sé anche un pugnale per poterlo uccidere nel caso si fosse trattato di un essere mostruoso.
Giunta la notte, Psiche, con l'aiuto della lucerna ad olio, contempla lo splendido volto di Eros: "Ammirava la splendida chioma di capelli d'oro intrisa di ambrosia e le ciocche leggiadramente ricciute che scendevano sul collo bianco come il latte e coprivano parte delle guance dal roseo colorito, scintillanti di riflessi così vivi che lo stesso lume della lucerna pareva illanguidito. Sulle spalle del dio alato le penne brillano quanto fiori lucenti freschi di rugiada..."
... Sfortunatamente, una goccia di olio bollente era caduta sulla spalla destra del dio, che improvvisamente si era svegliato ed era fuggito.
Abbandonata e disperata, Psiche aveva deciso di vagare di città in città per poter riconquistare Eros.
Finché non era giunta al Tempio di Venere, la quale, infuriata, l'aveva sottoposta a delle prove difficilissime. Psiche però era stata aiutata da alcuni animali e da elementi naturali quali una canna, un'aquila e un gruppo di operose formiche.
Sempre più furiosa, Venere le aveva proposto un'ultima prova, più ardua delle altre: scendere fino agli Inferi per poter chiedere a Proserpina un po' della sua bellezza. Al ritorno dagli Inferi, presa da un'irresistibile curiosità, Psiche aveva aperto la scatola che conteneva il dono di Proserpina a Venere ed era stata investita da una nuvola di fumo che l'aveva fatta addormentare. "Ma Eros intanto era tornato a star bene, essendosi cicatrizzata la sua ferita, e non riusciva più a sopportare di stare lontano dalla sua Psiche. (...) Volando più in fretta di prima, raggiunse Psiche, le scrollò di dosso il sonno che l'aveva colpita e di nuovo lo ripose con cura dentro la sua scatoletta. Poi la destò senza farle male con una lieve puntura della sua freccia (...)".

 IL FINALE:
Raffaello Sanzio, "Banchetto nuziale per Amore e Psiche", 1540


Alla fine della storia, Giove aveva esaudito il desiderio di Eros; ovvero, aveva fatto in modo che Psiche divenisse una dea e aveva in seguito ordinato di allestire un grande banchetto nuziale.

Da secoli gli studiosi cercano di trovare delle valide interpretazioni per questa favola, nella quale l'intenzione simbolica è consapevole, dal momento che è parte di un'opera più ampia e a sua volta ricca di valenze simboliche e misteriche.


A) L'INTERPRETAZIONE RELIGIOSA:

Innanzitutto, per poter comprendere questa particolare chiave di interpretazione, bisogna specificare che Apuleio era vissuto nel pieno del II secolo d.C., ovvero, in un tempo in cui pochi ormai veneravano gli dei della tradizione e il cristianesimo iniziava inoltre a diffondersi nelle province romane.
Apuleio era probabilmente appartenuto a quella generazione che avvertiva il bisogno di riflettere sulla natura dell'anima umana... Psiche infatti è il termine greco che indica l'anima.
Dunque, attraverso questa favola, l'autore voleva forse proporre una sorta di percorso interiore dell'anima umana, sempre ansiosa di conoscere troppo, mossa da un'irrefrenabile curiosità, disubbidiente ai limiti che la divinità gli impone (e questo ricorda Adamo ed Eva nei primi capitoli della Genesi). L'animo umano viola i limiti, dunque subisce una punizione che comporta la sofferenza, il travaglio e l'espiazione della colpa. E' un percorso che comporta dunque tre grandi tappe: la curiositas iniziale, il dolore e il riscatto. O meglio, si potrebbe affermare che il dolore è il mezzo e la condizione di un riscatto.


B) L'INTERPRETAZIONE PSICANALITICA:

Questa mi piace ancora di più! Però è decisamente più complessa...

L'anima è l'archetipo della vita stessa, è principio dell'Eros ed esiste per relazionarsi con altri archetipi. Questo racconto illustra un processo che, attraverso la conquista di una percezione della propria unica realtà psicologica, conduce all'esperienza di sé come centro regolatore della psiche. Inizialmente, fra due innamorati esiste una sorta di "congiunzione mistica", alimentata dal mistero e dalla forza della passione che li unisce. Non è un caso però che l'unione avvenga durante la notte: ciò sta ad indicare che gli amanti consumano la loro furente passione senza il controllo della coscienza. Ma quando la coscienza invade la relazione (in questo caso, la coscienza è simboleggiata dalla lucerna ad olio), allora c'é dolore e separazione. Però, dal momento che la coscienza è una parte della psiche, la separazione e tutti i travagli che essa comporta sono necessari per poter accedere ad una conoscenza più profonda di se stessi, in modo tale da acquisire la capacità di "amare profondamente l'altro da sé".





14 luglio 2015

Srebrenica... Vent'anni dopo il genocidio:


Sappiamo tutti ciò che è accaduto a Srebrenica nel luglio del 1995... i miei lettori soprattutto, dal momento che questo terribile evento storico viene spesso menzionato e rievocato nei miei post da circa un anno e mezzo. Tre giorni fa é stata organizzata proprio a Srebrenica la cerimonia del ventesimo anniversario della strage. 
Qui cercherò sia di descrivere cosa è accaduto durante la cerimonia, sia di ribadire alcune mie riflessioni storiche.

"Oggi ci uniamo alle persone di ogni fede e nazionalità nel commemorare il genocidio di Srebrenica. Piangiamo la perdita delle sue ottomila vittime, onoriamo la memoria di coloro che solamente ora vengono sepolti e di tutti coloro che sono ancora dispersi. Srebrenica fu invasa vent'anni fa. Nel genocidio che seguì, fratelli, figli, mariti e padri furono strappati alle loro famiglie. (...) Non siamo in grado di offrire alcun conforto che sia di vero aiuto per il dolore subito dalle famiglie delle vittime. Dobbiamo guardare a Srebrenica con occhi limpidi, commemorare la tragedia e imparare da quanto è accaduto. Solo riconoscendo in pieno il passato possiamo conquistare un futuro di vera e duratura riconciliazione. Solo costringendo i colpevoli del genocidio a renderne conto possiamo offrire un po' di giustizia che aiuti i loro cari a stare meglio (...)" - Così si è espresso Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, in occasione della giornata della memoria.
Ratko Mladic, il generale serbo responsabile della strage, è stato arrestato il 26 maggio 2011, grazie ad una segnalazione anonima, in un paese che si trova a 80 chilometri di distanza da Belgrado. E' ora accusato di crimini contro l'umanità dal Tribunale Penale Internazionale per l'Ex Jugoslavia. Il processo è tuttora aperto... ma la probabile condanna all'ergastolo non potrà mai restituire la vita a quei giovani uomini, trucidati con violenti colpi di mitragliatrici.   
Quei poveri ragazzi erano delle gemme che, all'alba della vita, si stavano preparando a sbocciare per ricevere l'abbraccio dei caldi raggi del sole... Quei poveri ragazzi certamente volevano amare la vita con tutta la pienezza del loro essere, volevano inseguire i loro sogni, la loro voglia di libertà e di pace... E invece sono morti. Sono stati uccisi soltanto perché erano dei bosniaci musulmani! I Tribunali non hanno e non avranno mai il potere di resuscitare tutti coloro che sono morti ingiustamente!

Nemmeno le mie accorate frasi poetiche hanno il potere di ridare la vita a quei giovani ragazzi.
Le buone parole e i bei discorsi non bastano a confortare le madri di Srebrenica...  A volte, le ferite dell'animo sono più dolorose delle ferite del corpo.
Alcuni di voi si staranno forse chiedendo se sono diventata nichilista... No, nichilista non lo sono mai stata. Anche perché ho degli ideali e me li tengo ben stretti. Casomai mi si potrebbe definire "realista", o "attenta al dolore altrui", oppure ancora "sensibile verso gli eventi storici più drammatici".

Ad ogni modo, tre giorni fa, mentre i cittadini di Srebrenica erano tutti riuniti nel Camposanto della città per ricordare le vittime del massacro e per assistere alla tumulazione degli ultimi 136 corpi appena ricomposti, l'attuale governatore serbo, Alexandar Vucic, è stato fatto passare attraverso un sentiero che, dall'ingresso del grande Camposanto, conduceva alla tribuna allestita per le autorità. Molte persone però si sono accorte della sua presenza; hanno gridato insulti e gli hanno lanciato addosso bottiglie, sassi e scarpe. Il premier serbo dunque, con tutte le sue "guardie del corpo", è stato costretto ad andarsene.

Volete che vi spieghi i motivi di questo sentimento di rabbia da parte degli abitanti di Srebrenica?!
Sì, voglio proprio spiegarveli per filo e per segno!!
 ...Questo è ciò che si legge su alcuni articoli online: "Il premier Vucic aveva cercato di proporre la sua presenza fra i nemici di un tempo come un gesto distensivo verso di loro per ricordare il massacro di Srebrenica. Ma molti di loro l’hanno vissuto come una provocazione inaccettabile. Il popolo bosniaco non ha ancora imparato a perdonare. Per loro Islam significa rivendicazione patriottica. "

a) Dunque, ci siamo forse dimenticati che alla fine degli anni ottanta Vucic era ministro del governo Milosevic?! Nel 1986, Vucic aveva dichiarato, in linea con il nazionalismo aggressivo di Milosevic:  "Za jednog srbrina, ubit cemo 100 muslimani", ovvero, "Per un serbo uccideremo cento musulmani".

b) La sera del 10 luglio, cioè alla vigilia della giornata della memoria, Vucic ha detto: "Rendere omaggio alle vittime degli altri è una condizione perché gli altri vengano ad omaggiare le nostre". Ma che faccia tosta!!! Come se le perdite serbe fossero paragonabili a quelle bosniache!! I serbi hanno progettato e attuato la strage di Srebrenica, i serbi hanno ucciso 8000 uomini nel giro di tre giorni! Inoltre, in circa tre anni di guerra (1992-1995), sono stati massacrati più di 33mila civili bosniaci... invece, i civili serbi che persero la vita in quegli anni di guerra furono poco più di quattromila.

c) Ultima argomentazione, ma non meno importante delle altre due: le fonti storiche conservate in Serbia negano lo sterminio di Srebrenica e lo considerano una montatura creata per diffondere in Europa un sentimento di compassione verso i bosniaci. Infatti, ancora oggi, il governo serbo si rifiuta di porgere le proprie scuse ai bosniaci per quanto accaduto a Srebrenica.


Dunque, perché pretendere che i bosniaci perdonino?!

Durante la manifestazione dell'11 luglio, molti giovani bosniaci indossavano magliette recanti la scritta: "Srebrenica, we don't forget".

Infatti. Noi non dobbiamo dimenticare. Il negazionismo, ovvero, il rifiuto della più palese evidenza storica, è un atteggiamento molto pericoloso; io lo so bene, dal momento che circa un mese fa ho dato l'esame di Introduzione agli studi storici.
Per me, il negazionismo è demenza, ignoranza. I negazionisti banalizzano i drammi del passato. 
Molto spesso, questo termine fa riferimento alla Shoah... ma è logico applicarlo anche riguardo ad altri drammi storici importanti avvenuti nel corso del XX secolo. Per esempio, negazionista è anche il governo turco che si rifiuta di riconoscere il genocidio degli armeni del 1915... Anche qui: 1 milione di morti... migliaia di uomini decapitati di fronte alle loro mogli, alle loro figlie e alle loro madri... e solo per il fatto che erano armeni!
Lo ribadisco: sminuire le stragi è deleterio. Commemorarle non basta.

Dobbiamo ricordare gli avvenimenti più dolorosi del passato per riflettere sul nostro presente, in modo tale da poter rendere migliore il futuro!




8 luglio 2015

"Colazione da Tiffany": il senso di "sradicamento", l'instabilità nelle relazioni


Ho appena terminato la lettura del romanzo "Colazione da Tiffany" di Truman Capote; e ora mi appresto a recensirlo su questo post.
Prima però di delineare i contenuti essenziali del libro, vorrei scrivere alcune righe a proposito della biografia di questo autore americano. ...Per poter comprendere bene certi romanzi, è utile cercare notizie riguardo alla vita dell'autore che li ha creati.

L'INFELICE VITA DI TRUMAN CAPOTE:

Truman Streckfus Capote nacque a New Orleans il 30 settembre 1924. I suoi genitori divorziarono quando egli aveva soltanto cinque anni e, in seguito alla loro separazione, Truman venne trasferito presso la dimora dei nonni materni, in una località dell'Alabama.
Di tanto in tanto, la madre gli faceva visita e lo portava con sé durante gli incontri con gli amanti.
Truman era un buon studente, dotato di una grande sensibilità e di molta fantasia, stimatissimo dai suoi insegnanti di letteratura ma spesso deriso dai compagni di scuola.
Alla fine del suo percorso di studi, egli iniziò a frequentare i salotti mondani di New York, dove conobbe importanti personalità quali Andy Warhol e Jackie Kennedy. Riuscì a realizzare il sogno che coltivava sin da quando era ragazzino: divenne giornalista presso il "New Yorker", la rivista letteraria americana più letta nel XX secolo. Oltre all'attività del giornalismo, egli si dedicò anche alla scrittura di alcuni romanzi quali: "Altre voci, altre stanze" (1948), "L'arpa d'erba" (1951), "Colazione da Tiffany" (1957), "A sangue freddo" (1966).
Truman era un omosessuale che visse relazioni travagliate, complicate e fallimentari con gli uomini che amava. A causa delle molte delusioni sentimentali, egli cadde, negli ultimi anni della sua vita, in uno stato di grave depressione: trascorreva la maggior parte delle sue giornate a letto; beveva molti alcolici e assumeva alcuni stupefacenti. Morì a 59 anni per una cirrosi epatica.

 I CONTENUTI DEL ROMANZO:

 La protagonista del romanzo è la diciannovenne Holly Golightly che occupa l'appartamento di un condominio di New York.
Da bambina viveva in Texas con il fratello Fred e con i genitori. In seguito alla morte di questi ultimi,
lei e Fred erano stati adottati da Doc, un veterinario rimasto vedovo e già con molti figli a suo carico.
Ah, una precisazione piuttosto importante: Holly, ai tempi in cui viveva in Texas, si chiamava Lulamae. Doc l'amava teneramente, al punto tale che l'aveva addirittura sposata... piuttosto, era la piccola Lulamae a non essere completamente soddisfatta di quel matrimonio precoce... Così, alla bell'età di quattordici anni, era fuggita dal Texas e aveva cambiato il suo nome.
Giunta a Hollywood, aveva imparato la lingua francese ed era riuscita a trovare un posto di lavoro come attrice... peccato che, la sera prima del provino, la ragazzina avesse avuto la brillante idea di rinunciare ad un futuro felice e vantaggioso dal punto di vista economico, per recarsi a New York e per andare in cerca di altre avventure. In quella città, aveva trovato un appartamento piccolo e squallido, era riuscita a instaurare rapporti di amicizia con uomini molto più adulti di lei appartenenti all'alta borghesia e viveva di piccoli espedienti. Inoltre, ogni giovedì mattina, si recava nelle carceri di Sing Sing per far visita a Sally Tomato, un mafioso spacciatore di droga. Dopo ogni visita, Holly riferiva all'avvocato di Sally le previsioni meteorologiche. E per questo semplice lavoretto era pagata cento dollari la settimana. La sua incredibile ingenuità non le permetteva di capire di essere stata coinvolta in traffici di droga (le previsioni del meteo che lei consegnava all'avvocato del signor Tomato erano in realtà istruzioni spionistiche e mafiose). Verso la fine del romanzo, Holly, arrestata dalla polizia, grazie all'interessamento di un conoscente che le procura un buon avvocato, ottiene la libertà su cauzione.
Tuttavia, non appena varca il cancello di uscita del carcere, Holly prende un taxi per raggiungere l'aeroporto di New York, decisa ad intraprendere un viaggio verso il Brasile.

 UNA CITAZIONE IMPORTANTE PER COMPRENDERE IL TITOLO:

Nel film Holly è interpretata da Audrey Hedburn
Nel paragrafo precendente, mi sono soffermata soprattutto sulla breve e particolare storia di vita della giovanissima protagonista. In realtà, è utile ricordare che questo romanzo concerne anche il rapporto di amicizia che intercorre tra Holly e il narratore della storia, ovvero, l'inquilino che vive al piano di sopra e che per sopravvivere scrive racconti per i giornali locali.
In alcuni capitoli, sono molto frequenti i dialoghi tra la ragazza e questo scrittore:
"Holly: "Non voglio possedere niente finché non avrò trovato un posto dove io e le cose faremo un tutto unico. Non so ancora precisamente dove sarà. Ma so com'è."- (...) "E' come da Tiffany. Non che me ne freghi niente dei gioielli. I brillanti, sì. Ma è cafone portare dei brillanti prima dei quaranta, ed è anche pericoloso (...) Infatti non è per questo che vado pazza per Tiffany. Sapete quei giorni, quando vi prendono le paturnie?"
Scrittore: "Cioè la melanconia?"
Holly: "No"- disse lentamente-"La melanconia viene perché si diventa grassi o perché piove da troppo tempo. Si è tristi, ecco tutto. Ma le paturnie sono orribili. Si ha paura, si suda maledettamente, ma non si sa di cosa si ha paura. Si sa che sta per capitarci qualcosa di brutto ma non si sa che cosa. Avete mai provato nulla di simile?"
Scrittore: "Abbastanza spesso. C'é chi lo chiama angst."
Holly: "Benissimo. Angst. Ma voi cosa fate in questi casi?"
Scrittore: "Un bicchierino aiuta..."
Holly:"Ci ho provato. Ho provato anche l'aspirina (...) Mi sono accorta che per sentirmi meglio mi basta prendere un taxi e farmi portare da Tiffany. E' una cosa che mi calma subito, quel silenzio e quell'aria superba: non ci può capitare niente di brutto là dentro, non con quei cortesi signori vestiti così bene, con quel simpatico odore d'argento e di portafogli di coccodrillo. (...)"

LE MIE IMPRESSIONI:

 Nonostante io abbia complessivamente apprezzato il romanzo, sono rimasta un po' delusa dal finale. Sì, perché, a mio avviso, questo è proprio un finale triste, che lascia il lettore "con l'amaro in bocca".

"Colazione da Tiffany" è un'opera che riflette il tormentato stato d'animo del suo autore.
Attraverso il personaggio di Miss Golightly, l'autore parla di se stesso, delle sue inquietudini esistenziali, della sua incapacità nell'intessere dei rapporti autentici e profondi.
Mi fa pena la povera Holly, perché, in un certo senso, "continua a sradicare se stessa"... e il lettore non riesce a comprendere il motivo per cui la ragazza continui a spostarsi da un luogo all'altro dell'America, abbandonando coloro che la amano e cercando altre prospettive, o meglio, altre avventure. Holly non ha seri progetti per il suo futuro; si considera "un animale selvaggio alla ricerca della libertà", appare piuttosto disorientata, incostante nelle sue relazioni sentimentali, priva di punti di riferimento a cui appellarsi per dare un senso alla propria esistenza. Insomma, non è una ragazza serena. In effetti, vive relazioni instabili e travagliate, proprio come Truman Capote. Truman Capote convive con un senso di sradicamento... da bambino non ha potuto godere dell'affetto dei genitori, da ragazzo e da adulto non è mai riuscito a trovare la felicità... perché la cercava dove non poteva trovarla.

Forse questo è un pensiero un po' azzardato, ma lo scrivo lo stesso: Holly e Truman sono un po' come Leopardi (che è il mio idolo): anche il nostro grande poeta e filosofo ottocentesco cercava la felicità dove non poteva trovarla e non era mai davvero riuscito a costruire attorno a sé delle solide amicizie... si pensi ad esempio al deludente soggiorno a Roma presso lo zio materno (1822), in cui egli era spesso deriso (poveraccio!! Mi indigno fortemente per questo!!!) sia da intellettuali membri del clero che da coinquilini incolti e volgari. Si pensi anche all'esperienza fiorentina (egli si innamora non ricambiato della nobile Fanny Targioni Tozzetti).

Io ho interpretato il romanzo in questo modo e, ad essere sincera, ho avuto qualche difficoltà a formulare queste mie riflessioni sulla storia... Se qualcuno di voi, dopo averlo letto, mi volesse comunicare le sue impressioni attraverso dei commenti, sappia che io leggerò e risponderò sempre volentieri! :-)



1 luglio 2015

La strage di Ustica:


Il 6 giugno sono andata a Bologna per visitare il Museo in memoria della Strage di Ustica.
Avrei voluto parlarvi di questa esperienza prima dell'inizio di luglio ma non sono proprio riuscita: fino a pochi giorni fa lo studio mi teneva impegnata per la maggior parte della giornata, al punto tale che faticavo a mantenere l'impegno di pubblicare un post alla settimana.
Ora che sono riuscita a superare gli esami più impegnativi di questo primo anno accademico (e con esiti piuttosto felici) ho più tempo a disposizione per riordinare i meie pensieri e le mie impressioni a proposito di questo tragico evento storico, di cui purtroppo si parla molto poco nelle scuole.


L'EVENTO STORICO:

Il 27 giugno 1980, l'aereo turistico "Douglas DC-9", appartenente alla compagnia italiana "Italvia" (che è stata chiusa nel 1981 a causa di un fallimento finanziario), decollava dall'aeroporto di Bologna alle 20.08, con quasi due ore di ritardo, diretto a Palermo. Sarebbe dovuto giungere all'aeroporto del capoluogo siciliano per le 21.13, ma alle 21.25 non era ancora atterrato. Erano iniziate allora le operazioni di ricerca da parte del Comando del Soccorso aereo. Numerosi elicotteri e anche alcune navi avevano partecipato alle ricerche. Solo alle prime luci dell'alba un elicottero di soccorso aveva individuato, alcune decine di miglia a nord di Ustica, alcuni detriti in affioramento e anche una grossa chiazza di carburante. Si era allora scoperto che l'aereo era precipitato nel Mar Tirreno, in una zona in cui la profondità dell'acqua supera i tremila metri.
Tutti gli ottantuno passeggeri avevano perso la vita. Tra loro, vi erano tredici bambini.

I relitti dell'aereo vennero recuperati nel 1987, per il fatto che il Ministro del Tesoro Giuliano Amato aveva stanziato i fondi per il loro rinvenimento. Tra i relitti, erano state trovate anche alcune salme appartenenti alle vittime. Dall'analisi di queste, si era riusciti a comprendere che i passeggeri non erano morti a causa di una bomba esplosa all'interno dell'aereo. Inoltre, nessun cadavere presentava segni di ustioni o di annegamento ma semmai grandi traumi dovuti alla caduta e anche lesioni polmonari da decompressione (tipiche di una situazione in cui l'aereo perde improvvisamente la pressione interna).
Già alla fine degli anni ottanta, si ipotizzava che l'aereo potesse essere stato abbattuto da un missile sparato da un aereo militare.

Alcuni anni dopo, nel 1995, il colonnello libico Gheddafi, nel commemorare la Strage di Ustica, si espresse in questo modo: "Sarei dovuto morire io al posto di ottantuno innocenti."
Era una frase che, vent'anni fa, era sembrata agli orecchi di molti piuttosto sibillina e poco chiara.
Ma nessuno aveva osato chiedere ulteriori spiegazioni al dittatore.

Nel 2007 l'onorevole Cossiga, il quale era stato presidente del Consiglio all'epoca della tragedia, ha attribuito la responsabilità del disastro a un missile francese lanciato in aria allo scopo di colpire l'aereo sul quale viaggiava Gheddafi. Purtroppo però era stato colpito l'aereo sbagliato.

Il processo è tuttora aperto e, sebbene oramai sia nota la causa di questo disastro aereo, non sono ancora stati individuati i responsabili.


COME E' STRUTTURATO IL MUSEO:

Il Museo è stato aperto a Bologna il 27 giugno 2007.

Una volta entrati in una grande stanza, si nota subito un enorme relitto aereo al centro di essa. Gli spettatori possono e devono camminare soltanto intorno al relitto, dal momento che è vietato scavalcare le balaustre. Ottantuno lampadine rischiarano i resti dell'aereo... la luce di queste lampadine è intermittente. Le lampadine intermittenti sono simbolo della condizione umana, fragile e precaria. In qualche modo, è come se la vita umana venisse paragonata alla luce di una lampadina che si accende e si spegne.
Appesi a tutte le pareti della stanza, vi sono degli specchi neri (81 in totale) e, dietro questi, degli altoparlanti dai quali fuoriescono frasi sussurrate, parole pronunciate da persone che stavano vivendo la loro banale quotidianità, che stavano programmando le loro vacanze in Sicilia, che erano in preda a pensieri malinconici o felici o speranzosi, a seconda della situazione che stavano vivendo. Le frasi che si sentono più spesso sono queste: "Da quando è morto il babbo, mi sento così solo."/ "Sono sempre molto buone le torte della nonna!"/ "Quando queste vacanze saranno finite, saprò il risultato dei miei esami."/ "Sono molto preoccupato per mamma. Ultimamente è così invecchiata!".

I bolognesi e i familiari delle vittime di Ustica che hanno contribuito a progettare questo Museo sono stati a mio avviso intelligenti: inserendo i sussurri dietro a degli specchi neri di forma rettangolare hanno voluto  comunicare ai visitatori del Museo l'assurdità di queste morti innocenti, in modo tale da poterli coinvolgere emotivamente.
In effetti, quando sono entrata in quella stanza, mi sono sentita avvolta da quei flebili sussurri... cercavo di ascoltarli attentamente, per poter captare ogni singola parola, ogni singolo respiro.



LA SIGNORA DARIA BONFIETTI:

Daria Bonfietti
Alla fine della visita, abbiamo avuto il piacere di conoscere la Signora Bonfietti, maestra elementare in pensione da pochi anni, Presidente dell'Associazione "Parenti delle Vittime della Strage di Ustica".
Daria ha perso il fratello Alberto in quella strage e, da più di trent'anni, lotta per poter avere giustizia e verità; continua a combattere affinché l'inchiesta su questo disastro aereo non venga archiviata.
E' una grande personalità, una grande donna: dalle sue parole traspaiono, è vero, un po' di rabbia e di dolore, ma anche combattività, determinazione e voglia di raccontare.
La signora Bonfietti si reca spesso nelle scuole superiori della provincia di Bologna per raccontare il suo dramma ai giovani. E' stata lei a volere la costruzione del Museo per la Strage di Ustica a Bologna, è stata lei a volere che i relitti dell'aereo venissero ripuliti dalla salsedine per essere mostrati ad un pubblico sensibile al tema della memoria storica.
Riporto qui sotto le parole che la signora ha pronunciato il 27 giugno 2015, a "Voci del mattino", programma in onda su Radio Uno Rai:

“Dopo 35 anni di depistaggi, siamo arrivati alla verità parziale su Ustica. Parziale perché sappiamo le cause ma non conosciamo i responsabili, i colpevoli dell’abbattimento di un aereo civile in tempo di pace. Io chiedo alla politica e al governo del mio Paese di rapportarsi in modo diverso con quei Paesi amici e alleati che, ormai è acclarato, erano presenti coi loro aerei nei cieli italiani quella sera. Francia, Stati Uniti e Libia devono dare delle risposte, sono troppi anni che i magistrati romani le stanno inutilmente cercando, dopo le dichiarazioni di Cossiga del 2007 che coinvolsero la Francia nell’abbattimento del DC9 dell’Itavia. Ma quest’ultimo fondamentale pezzo di verità lo possiamo conquistare solo se il nostro Paese si muove sull’onda di una grande indignazione. Hanno abbattuto un aereo civile in tempo di pace, lo hanno abbattuto, come ha detto il Giudice Priore, al termine di una guerra aerea mai dichiarata, senza che nessuno ne abbia fornito spiegazioni. Hanno riconosciuto le responsabilità di due ministeri: il Ministero dei Trasporti, per non avere tutelato la sicurezza del volo e dei cittadini, e quello della Difesa, per avere impedito con ogni mezzo che si giungesse alla verità, attuando depistaggi e distruggendo prove. Perché mai il mio Paese non dovrebbe pretendere di sapere fino in fondo la verità?”

In occasione del trentacinquesimo anniversario della strage, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha trasmesso a Daria Bonfietti questo messaggio:

"Rievocare Ustica non significa soltanto alimentare la memoria di coloro che sono stati strappati ingiustamente alla vita e agli affetti, ma riaffermare l'impegno di perseverare nella ricerca tenace di una verità finalmente univoca sull'accaduto".