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15 gennaio 2021

"L'incredibile storia dell'isola delle rose":

Sono secoli che non recensisco più un film qui! Simone mi sta "ri-educando" ai film di valore o almeno, al cercare e vedere film basati su storie realmente accadute che riescano a darmi spunti di riflessione.

 ABBOZZO DI TRAMA:

Rimini, giugno 1968. Giorgio è un giovane laureato romagnolo che ha superato l'esame di stato per diventare ingegnere. 

Dal momento che si mostra piuttosto insofferente verso le regole sociali e verso le leggi, una mattina decide di recarsi con un amico ed ex compagno di università in acque internazionali per poter fondare uno stato libero: montando una piattaforma artificiale in mare aperto, i due uomini realizzano il progetto di costruire un'isola indipendente dallo stato italiano, chiamata l'Isola delle rose. Il presidente dell'Isola delle rose è proprio Giorgio e la lingua ufficiale è l'esperanto. 

Presso l'isola, durante l'estate del '68, accorrono molti giovani, trasportati attraverso delle motonavi.

Questo film presenta l'isola come una sorta di "paese dei balocchi per universitari e neolaureati", visto che mostra, per buona parte del film, un ambiente di 400 metri quadrati di bar e tavolini in cui sembra che si balli e che ci si diverta ogni giorno.


Questo però mi ha fatto pensare a quanti giovani vivono l'Università più o meno come se fossero nel paese dei balocchi. Mi hanno sempre fatto un pochino rabbia quelli che davano/danno al massimo due esami per anno accademico. AHOOO!!! Ma lo sapete che c'è gente del '98 che si è già laureata o che si sta laureando?! (Laurea triennale ovviamente).

A mio avviso non è così che la si vive, l'Università. Andare all'Università non consiste soltanto nel trascorrere delle mezz'ore al bar o a studiare "soltanto gli appunti che prendo a lezione" (non siamo né alle medie né al primo biennio di scuola superiore!!). E come lo passi un esame se non hai mai aperto libri e manuali in programma, che sono fondamentali?!

Gli anni accademici sono decisamente tosti, lo sono stati anche per chi, come me, ha scelto un percorso di studi adeguato ai propri interessi e alle proprie capacità. Se si vuole uscire in tempi decenti dall'Università è necessario affrontare seriamente il  percorso. Io i voti che ho me li guadagno, nulla mi è mai stato regalato.

IL TEMA DELLA LIBERTA':

E' stata una domanda che mi è sorta spontaneamente quando ho visto questo film, cioè, circa 10 giorni fa: che cos'è la libertà per Giorgio?! Cioè, per questo giovane uomo che ha appena terminato un ciclo di studi molto impegnativo, a che cosa equivale la libertà? A svincolarsi sia dalle regole sociali che da quelle di convivenza civile? O anche a "fare quello che voglio"? 

Perdonatemi, ma in un certo senso la libertà è "fare ciò che si vuole" o anche "fare ciò che piace": vuoi, in piena pandemia di morti e contagi da Covid-19, organizzare una festa con 126 invitati?! Puoi farlo, sei libero di farlo, ma poi assumiti le tue responsabilità e prendi atto delle conseguenze che ne derivano se metti a repentaglio la salute pubblica. 

Il virus c'è e purtroppo corre da una persona all'altra alla velocità di Saetta McQueen, sono stanca di dirlo e di ripeterlo e, detto sinceramente, ne ho le scatole piene della situazione attuale che non migliora nemmeno un po', anche per incompetenza degli attuali politici, non soltanto per irresponsabilità del "popolo".

In che cosa consiste per me la libertà?

Nell'essere se stessi. Nel costruirsi una propria identità, vera, autentica nei rapporti con gli altri e determinata nel realizzare dei progetti di vita, senza farsi condizionare dai giudizi altrui. 

In certi momenti ripenso al mio percorso di vita e arrivo puntualmente a concludere che la mia capacità di empatia verso gli altri è ciò che spesso mi rende libera. Ho il dono di sapermi immergere mentalmente e per alcuni secondi nelle situazioni altrui e di chiedermi sempre: come mi sentirei, cosa farei se fossi al suo posto? Sono queste domande che mi rendono spesso predisposta all'altruismo e al rispetto di ciò che è altro da me.

Sono convinta che nessuno possa e riesca a fuggire dalla società e dal proprio ruolo professionale e famigliare. Però, nella vita reale, ci si può stare. Ci si può stare accettando, pirandellianamente, sia la complessità del reale sia la complessità dell'IO, investito da responsabilità sociali, familiari e morali, caratterizzato da una psiche in continuo divenire, formata anche da quegli aspetti che non si conoscono o che non si vogliono riconoscere.

Poco distante dalla sponda veronese del lago di Garda, fra Brenzone e Malcesine, due paesini suggestivi ai piedi delle montagne, c'è un'isoletta stra-piena di alberi.


Non so il nome di quest'isoletta, so soltanto che, quando, alcuni anni fa, durante le vacanze di Natale, potevo trascorrere con i miei genitori qualche giorno al di fuori del mio comune, percorrevamo inevitabilmente con l'automobile la strada in riva al lago e, ad un tratto, compariva quest'isoletta piena di alberi sempreverdi. 

In certi momenti  particolarmente grigi, anche quando subivo le derisioni, le falsità e le doppie facce delle mie coetanee, quando non mi sentivo compresa dagli altri, ho immaginato di potermi trasferire lì: "Se ci fosse anche una casetta di legno", pensavo.

LA CONTESTAZIONE GIOVANILE DEL '68:

Ovviamente io non posso averla vissuta. 

L'hanno fatta, vissuta, o comunque magari vi hanno partecipato, soprattutto i nati tra la metà degli anni '40 e l'inizio degli anni '50.  

Il 1968 è l'anno della contestazione giovanile europea. Vorrei riportarvi in parte una poesia di Pier Paolo Pasolini intitolata "Il PCI ai giovani", relativa agli eventi del '68 in Italia, Pasolini aveva quasi 50 anni all'epoca e a proposito dei giovani borghesi contestatori si esprime così:

(...)

Avete facce di figli di papà.
Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccolo-borghesi, amici.

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.

(...)

Hanno vent'anni, la vostra età, cari e care.

(...)

I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, cari (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, cari.

Ad alcuni sessantottini dobbiamo comunque sicuramente un grazie per aver insistito nel rendere obbligatoria anche una sessione d'esami invernale, che tra l'altro, in triennale è stata quella che io ho voluto sfruttare di più. Prima dell'inizio degli anni '70, gli appelli di gennaio-febbraio non erano obbligatori né regolari per i docenti.

Ho uno zio che ha frequentato l'università a metà degli anni Settanta e, di tanto in tanto, mi dice che anche quel decennio del Novecento era piuttosto caotico, dal momento che sono avvenuti attacchi terroristici delle Brigate Nere e delle Brigate Rosse e dal momento che c'era confusione negli ambienti universitari: andavi a lezione e non trovavi il professore, assegnavano le aule piccole a docenti che durante il loro semestre avevano molti allievi che seguivano le loro lezioni, certi appelli "straordinari", cioè, fuori sessione, li mettevano alle 6 del mattino o alle 22 della sera...

Pasolini, come avete potuto leggere, è piuttosto duro nel giudicare i sessantottini, ma io credo che, tra di loro, ci fosse di tutto: sia dei giovani che contestavano il sistema di allora per chiedere opportunità e maggior spazio sociale (come le assemblee d'istituto), sia dei giovani aggressivi, estremamente polemici e prepotenti che creavano caos nelle strade cittadine.

La gioventù è futuro, certamente

Io sono stata adolescente durante la presidenza di Obama e giovane universitaria durante l'emergere della guerra fredda fra Cina e Stati Uniti, dei problemi planetari ecologico-ambientali e durante una pandemia. Tutti questi eventi dei quali sono stata informata mi portano a dire che la gioventù è anche il presente della nostra società.

Il protagonista ventiquattrenne di Into the wild dimostra che una gioventù seria, semplice e autentica può addirittura riuscire a far capire il vero senso della vita agli adulti anestetizzati dal consumismo e dalla frenesia.

Però, ritengo giusto evidenziare che buona parte dei ventenni-venticinquenni di adesso non sono affatto degli idealisti-rivoluzionari. 

Si tratta dei nativi o comunque quasi nativi digitali. 

Sono forse fin troppo realisti e disillusi riguardo alla vita, spesso perché nessuno, né in famiglia né al di fuori, li ascolta o li fa sentire accolti. Certi giovani di adesso stanno semplicemente a galla con una barchetta, in un mare aperto e troppo vasto che fa paura e che li fa sentire soli e inadeguati non soltanto di fronte a ciò che è imprevedibile ma anche di fronte al mondo dello studio, del lavoro, dell'affettività.

COSA C'E' DI VERO IN QUESTO FILM DI SYDNEY SIBILIA?

Nel '68, l'ingegnere Giorgio Rosa aveva davvero realizzato una piattaforma artificiale a sei miglia da Rimini, al largo della Riviera romagnola, desiderando che divenisse uno stato indipendente dalla penisola italiana. L'Isola delle Rose godeva di un inno nazionale, di una bandiera e di una lingua ufficiale, l'esperanto per l'appunto.

L'isola è stata demolita nel febbraio del '69. (Anche se l'avessero lasciata, dico io... Almeno sarebbe stato un ulteriore punto di ritrovo tra giovani!).

Massimo Franchini, in una recente intervista alla Stampa, dichiara a proposito dei mesi in cui è esistita la piattaforma: 

Nel '68 lavoravo sulla motonave di mio padre, la Marinella, in estate. Fra le 10.30 e le 11 trasportavamo i turisti per vedere l'Isola delle Rose. Non c'era, come invece c'è nel film, ombra di un bar. Forse però c'era un casinò. Ho sempre visto poche persone comunque sull'isola.



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