8 agosto 2018

Come mai i programmi ministeriali si ostinano a proporre ai ragazzi autori come Dante e Manzoni?

Questo è il titolo di un tema che un amico di famiglia ha assegnato ai suoi allievi.
E, coincidenza incredibile, questa traccia me la sono trovata nel test d'ingresso il giorno 10 dicembre 2014.

Subito dopo aver conseguito la laurea triennale in Lettere, in quali modi potrei argomentare l'utilità di apprendere i contenuti di opere scritte da letterati e poeti così eminenti?
Io certamente, nello scrivere questo tema, mi ritrovo più avvantaggiata di un liceale, ma non soltanto perché sono un po' più grande, perché ho studiato di più e perché ho superato ben sei esami di italiano previsti dalla mia facoltà (tre di letteratura, uno di storia della nostra lingua, uno di italiano scritto e un altro di linguistica relativo ai suoni di vocali e consonanti della nostra madrelingua).
La comprensione profonda della letteratura non è soltanto legata all'avanzamento dell'età e all'elevato livello di cultura...
Ci sono persone molto più adulte di me che, pur avendo conseguito la mia stessa laurea, risponderebbero che Dante e Manzoni non riescano a comunicare nulla di interessante ai giovani del XXI° secolo.
I diplomi e le pergamene, a mio avviso, valgono solo se si crede per davvero in ciò che si è studiato.
La mia recente e importante meta la devo soprattutto al mio forte innamoramento verso la letteratura, una passione che a partire dalla mia piena adolescenza mi ha spinta non soltanto a studiare molto volentieri ma anche a voler spesso approfondire le conoscenze attraverso letture individuali e riflessioni sulle parole.

(E' un post lunghissimo, ma è il mio saluto a voi lettori prima di partire per le mie stra-meritate vacanze, che quest'anno saranno un po' più lunghe del solito!!)
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A CHE COSA SERVE STUDIARE DANTE?

Io partirei da Dante.
Dante è un uomo del medioevo, vissuto a cavallo tra Duecento e Trecento (1265-1321 circa).
Cosa può comunicare di avvincente e di bello un poeta che è morto circa settecento anni fa?
Il suo corpo è diventato polvere da un bel pezzo.
Ma, per nostra fortuna, le sue opere stanno sopravvivendo al tempo.
Esse ci rivelano infatti la sua formidabile intelligenza, la sua acuta capacità di introspezione, i suoi molteplici stati d'animo, le sue ottime conoscenze della mitologia classica e la sua grande e profonda fede in Dio.

Io credo che siano soprattutto due le opere dantesche in grado di interrogare la coscienza dell'uomo moderno.
Ritengo che la prima sia proprio la Vita nuova, prosimetro (si tratta infatti di una commistione tra prosa e poesia) risalente al periodo giovanile di Alighieri, in cui viene narrata la storia dell'amore per Beatrice.
Si tratta della prima opera della letteratura italiana di carattere autobiografico, in cui la memoria permette al narratore di compiere dei "viaggi mentali" nel passato che riconducono ai momenti degli incontri con Beatrice.

Riporto i primi quattro versi del sonetto che si trova nel ventesimo capitolo dell'opera:

Amore e ’l cor gentil sono una cosa,
sì come il saggio in suo dittare pone,
e così esser l’un sanza l’altro osa
com’alma razional sanza ragione.


Che cosa ha di attuale questo sonetto? Per capirlo, basta soffermarsi su alcune espressioni.
Amore e ’l cor gentil sono una cosa, dice il primo verso. Questo significa che Dante attribuisce il sentimento dell'amore soltanto a chi è dotato di gentilezza, a chi è quindi nobile d'animo.
Partiamo dall'etimologia di questa parola. "Gentile" deriva dal latino "gens, gentis". Questo vocabolo è un "false friend", proprio come "salus, salutis" che significa "salvezza", non "salute". (Per designare la "salute" c'è "valetudo").
In epoca romana "gens" non voleva dire esattamente "gente"! 
Voleva indicare solitamente un determinato gruppo di famiglie di carattere aristocratico: "gens Iulia", "gens Flavia"... (tutte famiglie da cui sono discesi e provenuti gli imperatori romani). 
"Gentes" al plurale poteva anche riferirsi a "popoli".
In epoca tardo-antica, a seguito della diffusione del Cristianesimo, il termine era passato ad indicare "i gentili", ovvero, i pagani.
In pieno Medioevo (secoli VIII°, IX°, X°, XI°) la parola "gentile" in lingua volgare (da "vulgus", e quindi, lingua parlata dal popolo) designava gli aristocratici: i duchi, i principi, i conti, i marchesi. 
Per cui, i poeti provenzali come Guglielmo IX° d'Aquitania e i poeti siciliani del primo Duecento, collegavano il sentimento d'amore all'elevata condizione sociale. 
Per gli stilnovisti e per Dante non è più così: loro danno alla parola "gentile" il significato che si è mantenuto anche ora, nel nostro italiano.
"La nuova aristocrazia è dello spirito, non più della società", scrive Asor Rosa sul mio manuale universitario.
Gentile è sinonimo di affabile. 
Una persona gentile ci sa fare nei rapporti con gli altri, è delicata perché fa molta attenzione a non ferirli mai, all'interno di un gruppo si mostra un'ottima complice dei leader positivi, è sincera e cerca di aiutare chiunque si trovi in un momento difficile. In poche parole, chi è gentile è decisamente sensibile.
Ne consegue quindi che amare qualcuno deriva soprattutto da una certa nobiltà d'animo, non da una nobiltà di sangue. Questo lo afferma anche un caro amico di Dante, ovvero, lo stilnovista Guinizzelli: al cor gentil rempaira sempre Amore.
Ditemi se non è vero! Dante qui trasmette un messaggio anche facile. Gli egoisti, i grossolani e i giovani adulti di indole ancora infantile non sono in grado di amare realmente. Possono essere soltanto attratti da alcune caratteristiche di una persona, ma se loro stessi si considerano "l'ombelico del mondo" (Jovanotti, 1995) e se manifestano certi atteggiamenti di poca finezza non potranno mai essere davvero dediti all'altro, perché il loro modo di comportarsi li rende degli immaturi incapaci di portare rispetto verso l'alterità.
Questo tipo di persone non sa nemmeno cosa significa amare, appassionarsi, essere interessati agli altri.
Sto pensando, ad esempio, ai concorrenti che partecipano a programmi come "Temptation Island".
A me fanno abbastanza schifo: se fossero davvero gentili, sensibili e capaci di amare non si farebbero filmare su un'incantevole località balneare mentre stanno "flirtando" con donne diverse dalla loro compagna. Se fossero davvero maturi non andrebbero a Santa Margherita di Pula per verificare se i loro sentimenti d'amore sono autentici. Se avessero un minimo di sale in zucca non farebbero nulla per ledere la loro dignità e non mancherebbero mai di rispetto alle donne che amano.
Che vuotezza d'ideali!!!
Ammettiamo pure che questa trasmissione sia tutta una recita, una farsa: è comunque una finzione deleteria!
Si recita come attori in spettacoli culturali che valgono per davvero, come "La fattoria degli animali" di Orwell, "Il ritratto di Dorian Gray" di Wilde, "Uno, nessuno e centomila" di Pirandello.  
Ma non a "Temptation"!!!
Altro programma senza senso, seguito da un bel po' di giovani: "Uomini e donne", che io personalmente rinominerei: "Galletti str**** e galline cretine".
Anche qui: se uno è davvero interessato ad approfondire il rapporto con una persona non esce con altri corteggiatori per "allargare le conoscenze" e/ o "per mettersi in gioco"! Piuttosto: mette la ragazza che gli interessa al centro dell'attenzione, al centro della sua quotidianità... se prova dei veri sentimenti. 
A volte mi viene da pensare che l'umanità sia talmente tanto superficiale da non riuscire più a comprendere nemmeno gli aspetti relazionali più elementari!
La letteratura è una didattica per la vita, non l'infelice televisione.
Un sentimento sincero verso l'altro implica naturalmente il massimo rispetto per l'altro: questo insegna Dante.
Il "cor gentile" si preoccupa di giovare alla persona che ama e per questo la rispetta massimamente.
Andiamo avanti.
Se siete allo scientifico o comunque, ex studenti dello scientifico, vi rimando a questa proporzione, ricavabile dalla fine della prima strofa: gentilezza: amore = razionalità: ragione.
Questa però è una proporzione lessicale, non matematica, occhio.
L'animo gentile sta al sentimento dell'amore come la razionalità sta a chi è dotato di ragione.

Interessante è anche il contenuto delle due terzine:

Bieltate appare in saggia donna pui,
che piace a gli occhi sì, che dentro al core
nasce un disio de la cosa piacente;

e tanto dura talora in costui,
che fa svegliar lo spirito d’Amore.
E simil face in donna omo valente.


Qui Dante vuole dire che l'incontro con qualcuno dotato sia di bellezza esteriore sia di bellezza interiore risveglia facilmente il desiderio di amare.
Gli occhi, nel Medioevo come anche ora, sono il mezzo con il quale l'animo coglie l'autentica bellezza.
E' sempre stato così, in ogni epoca storica: il senso della vista è la chiave per arrivare a captare le meraviglie della natura e il dono delle relazioni. 
Perché gli occhi osservano l'aspetto, i comportamenti e le espressioni.

Oltre a questo componimento, vorrei riportare anche le prime due quartine del sonetto del ventunesimo capitolo della Vita nuova, dal momento che esprimono un altro messaggio di verità:


La mia donna porta negli occhi Amore,

per che si fa gentil ciò ch'ella mira,

ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira

e cui saluta fa tremar lo core,



sì che, bassando il viso, tutto smore,

e d'ogni suo difetto allor sospira:

fugge dinanzi a lei superbia e ira.

Aiutatemi, donne, a farle onore.

Questo è un elogio della donna amata.
Nella prima quartina Dante esalta la capacità di Beatrice di suscitare l'amore anche nei cuori non predisposti ad amare.
Ritengo opportuno però focalizzarmi sugli ultimi due versi: ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira/

e cui saluta fa tremar lo core.
Quando si è molto giovani succede e, nel mio caso, più di una volta. Mi è successo di tremare leggermente nel momento in cui un ragazzo che mi piaceva mi salutava o mi rivolgeva la parola. 
Mi tremavano le gambe e sentivo una specie di brivido che mi attraversava il cuore.
E' una reazione che mescola il piacere all'imbarazzo. 

Nella strofa successiva Beatrice appare come una santa: il solo contatto visivo con lei fa vergognare gli uomini dei loro difetti e dei loro peccati.
Avete mai incontrato nel corso della vostra vita una persona così bella, ma talmente bella da farvi vergognare di alcuni lati negativi del vostro carattere?! O almeno, qualcuno che vi facesse venire la voglia di migliorarvi?
Io sì, ed è avvenuto recentemente.
Quando si sente la benevolenza di qualcuno che è umano non soltanto in carne ed ossa ma anche nell'animo, ecco che questa nostra ammirazione può spingerci a voler per davvero migliorare alcuni aspetti del nostro carattere.
E' benefico incontrare individui con molte qualità e risorse!

Talvolta capita anche che un sentimento di vero amore verso l'altro spinga qualcuno a rinnovarsi interiormente, a cambiare in meglio per il bene della persona amata.
Questo è accaduto a Landon, protagonista del film I passi dell'amore. Era un bullo arrogante all'inizio, ma la conoscenza e la relazione con Jamie hanno profondamente modificato la sua personalità, lo hanno reso un ragazzo forte, in grado di sognare un futuro e in grado di vivere intensamente.

Prima di passare alla Divina Commedia, vorrei accennare ad un componimento delle Rime di Dante, di cui riporto tutti i versi:


Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.


Questa poesia fa riferimento a un viaggio immaginato da Dante. I compagni di viaggio di Dante sono Guido Cavalcanti (altro stilnovista) e Lapo Gianni (poeta anch'egli suo contemporaneo).
Ci sono loro tre, giovani uomini bisognosi di "staccare la spina" dalla loro intensa vita intellettuale, su un vascello in mezzo al mare, su un vascello magico che si muove soltanto su ordine dei passeggeri!
Nemmeno qui mancano le donne: Vanna e Lagia però sono le donne amate dagli amici di Dante.
Che belli, sembra quasi di vederli tutti!

Credo che almeno una volta nella vita tutti noi, bambini, adolescenti, giovani e adulti, abbiamo desiderato fortemente e forse anche immaginato con un pizzico di fantasia dei momenti di svago con le persone che ci stanno a cuore, durante i periodi più stressanti al lavoro, a scuola o all'Università.
Tutti noi studenti, in pieno maggio, tra un prova e l'altra (per i liceali) e tra un capitolo e l'altro di un grosso manuale (per noi universitari), abbiamo agognato al relax estivo dopo la fine della scuola e dopo gli esami in compagnia dei familiari e degli amici più fidati!  
E magari qualcuno di noi ha sognato ad occhi aperti un'esperienza di evasione dal tempo come questa di Dante: barca immobile in mezzo a un lago o al mare, tappeti volanti magari, alte vette di montagne circondate da nuvole...
E' questo il messaggio del componimento: le amicizie sincere e i legami duraturi sono delle risorse e possono anche costituire dei piacevoli pretesti a causa dei quali possiamo permetterci, nei momenti di ansia e di tensione, di sognare e di immaginare le cose più positive, più originali e più edificanti che la nostra mente riesca ad inventare!

Passo ora alla Divina Commedia!

Perché ci si ostina sempre a proporre questo vastissimo poema scritto in una fase decisamente florida per la nostra lingua e letteratura? A che serve conoscere la rigidissima mentalità di un credente vissuto nel Basso Medioevo?!
Dante mette all'Inferno gli omosessuali e i suicidi, vi rendete conto? Un cosa inconcepibile con i tempi che corrono ora!
Ma... è educativo e utile per dei ragazzi in fase di crescita leggere dei canti della Commedia?
La mia risposta è sì, decisamente sì!
Innanzitutto perché in quest'opera formidabile è racchiusa tutta la tradizione culturale Europea, che, vi ricordo, è fatta sia di mitologia che di cristianesimo.
Nel poema dantesco troviamo innumerevoli figure che sono appartenute alla cultura classica greco-latina: Virgilio, poeta dell'Eneide e guida del poeta-narratore, Caronte nel III° canto dell'Inferno che percuote i dannati con un remo della barca mentre li traghetta al di là del fiume, Minosse nel V° canto dell'Inferno, che ha il compito di giudicare le anime e di condannarle, arrotolando la coda attorno al suo corpo un numero di volte pari a quello d'ordine del cerchio cui un'anima è destinata.
E poi ancora: Plutone nel VII° canto dell'Inferno, Ulisse nel cerchio dei fraudolenti, Teseo nel XXIV° canto del Purgatorio (esempi di gola punita), Aracne sempre nel Purgatorio, canto XII°, come esempio di superbia punita... e chi più ne ha più ne metta!!
Oltre a ciò, in quell'opera anche i nomi dei fiumi sono tratti dalla mitologia: l'Acheronte (fiume del III° canto dell'Inferno) e il Flegetonte (XII° canto dell'Inferno), fiume di sangue in cui sono immersi gli assassini.
Nella Commedia inoltre è importante mettere in risalto anche gli aspetti cristiani.
Li elenco qui: i tre regni dell'Oltretomba, Lucifero, apice ed emblema del male, il Regno del Purgatorio, luogo ultraterreno di transizione in cui per l'appunto si espiano dei peccati commessi in vita prima di poter raggiungere la redenzione, le schiere angeliche del Paradiso, i beati che contemplano Dio, Sommo Bene, i dilemmi morali di Dante che, a dire il vero, apparirà anche rigido a noi uomini del XXI° secolo, ma non condanna e non disprezza mai nessuno.
Osserva e prova, sì, dei sentimenti di paura, di smarrimento, di angoscia durante il suo viaggio nell'Inferno, ma da parte sua non viene mai pronunciata nessuna pesante critica nei confronti dei dannati. Un esempio di ciò è sicuramente il V° canto dell'Inferno, dove Dante incontra Paolo e Francesca, i due lussuriosi (lei adultera). Il poeta prova compassione per loro, quasi si commuove nell'ascoltare la loro tragica vicenda.
Egli si affida a Virgilio, proprio come un bambino fa verso i genitori o verso un fratello maggiore.
Da notare infine che Dante è autore e protagonista della Commedia.  E questa è una grande differenza verso poemi antichi come l'Iliade o l'Eneide, in cui gli autori non si identificavano mai con i protagonisti. In ambito cristiano l'individualità è un fattore molto presente, come nelle Confessioni di Sant'Agostino. E questa, come afferma Asor Rosa, è la prima volta in cui l'individualità e la soggettività di un letterato emergono in un'opera di carattere sia religioso che laico.

Ora vorrei concentrarmi per alcuni istanti sull'incipit della Divina Commedia, che colpisce molto: 

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita. 


Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!


Dante ha 35 anni nel momento in cui scrive la cantica dell'Inferno. All'epoca 35 anni erano il culmine della maturità. Arrivato a questo punto dell'esistenza egli sente il bisogno di riflettere su se stesso, sulle proprie fragilità e sui propri errori.
Si trova in un momento della vita in cui sente il bisogno di compiere un grande lavoro di introspezione per poter riflettere bene sulla sua gioventù, sulle sue scelte di vita, sui suoi comportamenti morali e sulla forza della propria fede in Dio.
Ma, ed è quel che mi chiedo io, si deve attendere la maturità della vita (che nella nostra epoca corrisponde più o meno ai 50 anni) per poter ripensare a se stessi??
Ci sono dei momenti e dei periodi in cui magari anche noi giovani, dopo delle delusioni nei rapporti con gli altri oppure dopo un lutto, ci troviamo in una sorta di "selva oscura mentale"che rappresenta la nostra delusione e il nostro dolore.
In pratica, la "selva" rappresenta il nostro bisogno di pensare e di piangere affinché fuoriescano i sentimenti negativi. 
Poi è dalle lacrime e dall'amarezza che si riparte, con delle valide guide al nostro fianco.
La selva oscura è la condizione di transizione per poter accedere ad una speranza. Mette paura, la selva, mette paura la decisione di manifestare i propri stati d'animo, di ripensare a se stessi, ma in certi momenti cruciali e difficili è necessario, se non altro per poter scovare dentro di noi delle risorse e per poter recuperare sorriso e positività.

 A CHE COSA SERVE STUDIARE MANZONI?

Manzoni è stato un meraviglioso prosatore del XIX° secolo.
Che vi piaccia o no, noi italiani dobbiamo molto a lui, dal momento che la sua personalità è un misto di cristianesimo e illuminismo: ha finalmente dato voce alle sofferenze e all'umiltà dei ceti bassi della società, ha ricercato costantemente la verità storica, ha fondato una lingua letteraria comprensibile ad una larga parte degli italiani: il volgare fiorentino con elementi un po' milanesi e un po' latineggianti.
E soprattutto, ha lavorato per ben 19 anni su un romanzo decisamente composito: ci sono notizie storiche, c'è il romanzo di formazione di Renzo (capitoli XII°-XVII°), c'è il romanzo nero di Gertrude (capitoli VIII°-X°), il romanzo di redenzione e di conversione dell'Innominato (capitoli XIX°-XXII°).
Il primo romanzo italiano è stato Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo, ma era un romanzo epistolare su modello di Goethe.
Questa di Manzoni è proprio un'opera narrativa in prosa, il primo romanzo storico-sociale italiano.

Prima di commentare alcuni passi dei Promessi Sposi, preferirei focalizzarmi su un'espressione manzoniana arcinota che concerne un metodo narrativo: "l'utile per scopo, il vero per soggetto e l'interessante come mezzo".

Questa è teoria della narrazione. In questa espressione traspare un consiglio di Manzoni rivolto a tutti gli scrittori che vogliono realizzare un'opera degna di fama e di apprezzamenti.

Per Manzoni, un racconto deve avere l'utile come finalità. L'utile è direttamente riconducibile alla sfera morale, didattica e pedagogica.
"L'utile per scopo" lo si può cogliere certamente nelle Epistulae morales ad Lucilium di Seneca, scritte per fornire all'amico una serie di spunti filosofici ed etici riguardo alla vita umana e riguardo al giusto modo di vivere l'esistenza.
I contenuti, in sostanza, devono istruire i lettori, devono insegnare ai lettori la cultura e dei buoni valori da interiorizzare.
"Il vero per soggetto" è la verità storica o comunque, nel caso del romanzo manzoniano, la verosimiglianza storica. Narrare fatti realmente accaduti o comunque verosimili permette al lettore anche un coinvolgimento intellettivo e mentale negli eventi letti.
E qui io penso ad uno scrittore del Neorealismo italiano, Elio Vittorini. Il suo romanzo più conosciuto, Uomini e no, narra le travagliate vicende di un gruppo di partigiani milanesi durante l'ultimo periodo della seconda guerra mondiale. Vittorini non risparmia particolari crudi e macabri.
Questo è il vero per soggetto: essere cristallini, non sinceri, ma addirittura cristallini nel momento in cui si raccontano drammi umani.
"L'interessante come mezzo". Bisogna che lo scrittore sappia interessare i lettori. Attraverso informazioni interessanti inserite all'interno di una pagina o di un capitolo, un autore può invogliarli a continuare la lettura. 
E qui io mi azzardo a pensare allo storico del V° secolo a.C., Erodoto di Alicarnasso. Nelle sue Storie, egli inserisce delle digressioni che riguardano notizie geografiche ed etnografiche dei popoli con i quali durante i suoi viaggi è venuto a contatto. In quest'opera egli narra le guerre persiane, ma spesso si focalizza sulle tradizioni culturali e sulla storia dei popoli. Più o meno come talvolta fa Cesare nel De bello Gallico.

Cose che nessuno sa è stato pubblicato cinque anni fa e presenta a mio avviso tutte le caratteristiche di un buon libro di narrativa: si prefigge "l'utile per scopo", ovvero, parla agli adulti e a tutte quelle figure educative che dovrebbero occuparsi del benessere psicologico dei ragazzini; e quindi dà loro dei chiari messaggi di umanità. Dice in pratica che ascoltare un adolescente triste e angosciato è una delle cose migliori che si possano fare.
In questo secondo romanzo di D'Avenia c'è indubbiamente "il vero per soggetto": i genitori di Margherita, la protagonista, stanno per separarsi, il padre tradisce la madre con un'altra donna e si allontana dai figli. Situazioni come questa purtroppo se ne sentono troppe in questi ultimi anni.
C'è inoltre anche "l'interessante come mezzo": l'autore illustra gli interessi di Margherita, i suoi sentimenti, il suo modo di relazionarsi con il mondo esterno dopo questo dramma familiare, la sua fuga con Giulio in autostrada alla ricerca del padre... Tutti elementi che contribuiscono al coinvolgimento del lettore nella storia.
Ecco che cosa è importante ricordare di Manzoni: i suoi consigli in ambito narrativo, validi, a mio avviso, in ogni tempo!



I personaggi dei Promessi Sposi sono di un'estrema varietà antropologica!
Ognuno unico nel proprio genere, con il suo particolare aspetto fisico e con la sua particolare personalità, diversa da quella delle altre figure!
In questo romanzo c'è tutta la varietà del genere umano: ogni figura umana è rappresentata da una caratteristica della propria indole: Don Abbondio è un pavido, Don Rodrigo è un viziato, prepotente, capriccioso, Fra' Cristoforo è molto sensibile, Lucia è dolcissima e delicata, Agnese è semplice e schietta, Perpetua è un po' pettegola, il Cardinale Borromeo è intelligente ed equilibrato, l'Innominato compie un cambiamento straordinario: da crudele e malvagio a generoso e gentile.

Lucia e Fra' Cristoforo sono l'emblema di un'ardente fede in Dio. Anzi, mi verrebbe da dire che sono il riflesso della presenza di Dio sulla terra: con la loro bontà e la loro pazienza si rendono amabili e con il loro modo di essere stimolano il cambiamento di altri personaggi: la sofferenza di Lucia prigioniera nel castello dell'Innominato aiuta a convertire quest'ultimo, il severo discorso di Fra' Cristoforo sulla misericordia induce Renzo a perdonare un Don Rodrigo pallido e morente, quel nobile che ha impedito il matrimonio con la sua amata.
Per analisi di alcuni personaggi e riassunto di alcuni capitoli particolarmente significativi vi rimando ai seguenti link:
A) http://riflessionianna.blogspot.com/2017/06/la-monaca-di-monza-malvagia-o-debole.html
B) http://riflessionianna.blogspot.com/2016/10/la-quasi-santita-di-fra-cristoforo.html

Altro particolare importante: Manzoni, narratore esterno, non giudica nessun personaggio.
Non giudica male nemmeno le figure peggiori, come la monaca di Monza. La chiama infatti  "sventurata" e "infelice".
Manzoni non insegna soltanto la storia... da bravo cattolico in grado di interiorizzare dei principi evangelici, egli ci insegna anche la compassione verso il prossimo. Il suo è un atteggiamento da imitare, decisamente!
Grazie a Manzoni ho imparato il senso profondo della "compassione".
La compassione, da "cum"+ "patior" ("soffrire con") è un'intensa e vera partecipazione al dolore altrui, la compassione è solidarietà, è desiderio di sostenere l'altro, di aiutare l'altro a convivere con una tragedia accaduta.

CAMBIERESTI QUALCOSA ALL'INTERNO DEI PROGRAMMI MINISTERIALI DI ITALIANO ALLE SUPERIORI?

Da futura insegnante di italiano e latino nei licei scientifici, rispondo sì!
Allora, oramai è risaputo che i programmi didattici prevedono la storia della letteratura italiana a partire dal terzo anno di superiori, mentre invece in seconda, la lettura del romanzo manzoniano.

C'è un problema da un po' di anni a questa parte: i ragazzi arrivano alla maturità che sanno poco degli autori del Novecento, perché non c'è abbastanza tempo per poterli approfondire.
"Quando io ho fatto la maturità classica, nel '51, il programma si fermava a Montale. E più o meno è così anche ora. Mi dispiace che i programmi, da allora, non siano cambiati.", ha dichiarato Asor Rosa in un'intervista.
Ha ragione. Per questo motivo, lo studioso proporrebbe ai docenti di lettere di "ridurre, per quanto riguarda gli autori dei secoli precedenti al Novecento, la gamma dei testi da analizzare e da commentare in classe". A suo parere infatti, bisognerebbe affrontare 6 canti dell'Inferno di Dante, 4 sonetti di Petrarca anziché 10, far leggere 3 e non 6 brani dell'Orlando Furioso, limitarsi a studiare 3 o 4 brani tratti dal poema di Tasso... e così via, fino ad arrivare ad affrontare in quinta tutto il Novecento e soltanto il Novecento.
Asor Rosa consiglierebbe dunque ai professori di scegliere soprattutto dei testi che mettono in risalto per linee generali le caratteristiche formali e le tematiche di un autore, in modo tale da poter offrire ai ragazzi una panoramica globale ma al contempo variegata del nostro passato letterario.
Altrimenti alla maturità si ritrovano ad affrontare spezzoni di testi di autori sconosciuti, ma molto recenti e molto eloquenti.

Non oso criticarlo, ma io propongo un'altra via d'uscita a questo problema: e se il programma di letteratura partisse già in seconda?!
In prima si può continuare a fare grammatica ed epica, ma in seconda già si potrebbe iniziare ad affrontare Duecento e Trecento.
Almeno, i ragazzi di qualsiasi scuola superiore avrebbero già ben chiara, alla fine del biennio, le divergenze tra i poemi antichi greco-latini e la Divina Commedia, soprattutto, saprebbero ben memorizzare l'aspetto già citato sopra dell'individualità del poema dantesco in contrasto con tutto ciò che è venuto prima, caratterizzato da oggettività.
Secondo me i quindicenni non sono troppo "piccoli" per poter capire Dante, Petrarca e Boccaccio.
Basterebbe spiegarglieli con "criterio", cercando di far capire loro quegli aspetti che si riflettono nel quotidiano degli uomini del XXI° secolo.

Altra cosa che a mio parere non funziona: non è possibile affrontare Manzoni due volte nel corso del quinquennio, no! Manzoni in seconda e Manzoni anche a fine quarta!
Lo si fa una volta soltanto in quarta e lo si affronta bene, punto.
Seguendo questa mia idea di iniziare la letteratura in seconda, in terza allora si dovrebbe passare a Quattrocento, Cinquecento e Seicento.
Di conseguenza, in quarta si dovrebbe partire da Goldoni, Parini, Alfieri e Foscolo per arrivare al pieno Ottocento con Pascoli e Verga.
Così in quinta si lascia spazio soprattutto al XX° secolo e si ha tempo di studiare diversi autori del secondo Novecento, non soltanto Calvino ma anche Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, Leonardo Sciascia, Vasco Pratolini, Mario Luzi, Giorgio Caproni... anche loro in effetti avrebbero delle tematiche "scottanti" e intriganti per dei giovani.
Ormai ritengo sia impensabile fermarsi con il programma ad un Montale degli anni '30, o a un Ungaretti poeta della Prima Guerra Mondiale senza cercare di andare oltre!

In quanto a Dante, è risaputo che ogni docente di letteratura delle superiori è tenuto, durante gli ultimi due anni del triennio, sia a seguire la cronologia degli autori previsti sia a svolgere l'analisi e il commento di alcuni canti del Purgatorio in quarta e del Paradiso in quinta.
Io non mi trovo d'accordo: si tratta di una notevole sfasatura temporale che non dovrebbe esistere, soprattutto in quinta, quando, oltre ad affrontare gli autori dell'Ottocento e del primo Novecento, è assolutamente necessario potenziare, ogni settimana dell'anno scolastico, le abilità di scrittura dei maturandi, in vista della prima prova.
La maturità è un esame di stato, è un evento serio, i ragazzi devono arrivare preparati, non angosciati, ma preparati! Per questo non ci si può permettere, da parte dei docenti, di trascurare la parte di italiano scritto, con tutte le tipologie testuali che ne conseguono, per spiegare Dante!
Non lo trovo giusto, anche perché molto raramente (nello 0,2% dei casi) all'orale di maturità si chiede all'esaminando la parafrasi di un canto del Paradiso.
Anche Dante va studiato una volta soltanto, non tre.
Per cui, se ci si sforzasse di anticipare in seconda l'inizio del programma di storia della letteratura, ci sarebbe sicuramente tempo di approfondire, per l'appunto nel corso della fine del biennio, tutte le tre cantiche di Dante.
Altrimenti, nel corso del terzo anno bisognerebbe limitare il numero di testi tratti dall'Inferno per poter lasciare spazio anche a Purgatorio e Paradiso. Si potrebbero illustrare prima i contenuti generali e le strutture dei tre regni dell'oltretomba descritti da Dante e poi selezionare 6 canti dell'Inferno, 6 del Purgatorio e 6 del Paradiso. E tutto questo lo si dovrebbe fare in terza, l'anno della letteratura medievale.

Pensate soltanto al fatto che per noi universitari di Lettere lo studio di Dante era necessario soltanto per preparare Letteratura Italiana I.
Il nostro docente di Verona inoltre, seppur molto preparato e appassionato, per poter includere nel suo programma didattico anche Petrarca, Boccaccio, Ariosto e Tasso, aveva deciso di farci leggere soltanto la cantica dell'Inferno, di cui aveva troncato (per cause di forza maggiore, come il tempo materiale a disposizione) le spiegazioni al tredicesimo canto.
Ma Purgatorio e Paradiso non erano inclusi né in Letteratura italiana II (studio degli autori dal Seicento all'Ottocento), né in Letteratura Italiana III (esclusivamente sugli autori del Novecento).

E' proprio vero che i programmi di italiano previsti nelle scuole superiori necessitano di una revisione! Il materiale da apprendere è molto vasto, bisogna sia fare una selezione degli autori e dei brani, sia cambiare il metodo di insegnamento: cercare di avvicinare Dante e Manzoni alla vita reale o comunque, cercare di mettere in evidenza ciò che di positivo essi possono comunicarci con i loro scritti. Questo è il modo migliore per interessare i ragazzi!

Ad ogni modo, concludo il posto con il ribadire che si deve continuare a proporre Dante nelle scuole: certi passi delle sue opere possono farci pensare a situazioni particolari della vita reale.
Oltre a ciò, la Commedia è un'opera spettacolare, che soltanto un uomo di grande statura intellettuale e morale poteva pensare e scrivere.
Manzoni, da quel che avete potuto intuire nel secondo paragrafo del post, è un ottimo antropologo.
I Promessi Sposi non vanno letti soltanto per accrescere le proprie conoscenze storiche, ma anche per
apprendere dei valori in linea con gli insegnamenti di Cristo e conformi al Vangelo.
In pratica, Dante e Manzoni dovrebbero essere letti per risvegliare le nostre radici cristiane.

Voi che cosa condividete di più??! La mia idea o l'idea di Asor Rosa?

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