28 marzo 2019

Scipio Slataper: un padre che non ritornò mai dalla grande Guerra (II):

Stasera ho deciso che ricopierò soltanto la mia analisi sulla prima parte dell'opera di Slataper.
Per le altre due troverò sicuramente il tempo la prossima settimana.
Anche perché, se arriverete in fondo al post, troverete una comunicazione piuttosto importante.


Nel caso in cui vi venisse voglia di leggere Il mio Carso:

1) C'è un'edizione in pdf su "Liber liber", immediatamente rintracciabile e consultabile.
2) Il nostro docente di "Letteratura italiana moderna e contemporanea" ci ha consigliato l'edizione Transalpina a cura della prof.ssa Anna Storti. In questo caso, il contenuto del romanzo è stato corredato da note di chiarimenti lessicali.
3) Dal 2003, sul mercato c'è anche l'edizione Bur della Biblioteca Rizzoli.


Vorrei dirvi: sono nato in Croazia, nella grande foresta di roveri. D'inverno tutto era bianco di neve, la porta non si poteva aprire che a pertugio, e la notte sentivo urlare i lupi. Mamma m'infagottava con cenci le mani gonfie e rosse, e io mi buttavo sul focolaio frignando per il freddo.

Queste frasi le trovate già nella prima pagina. Per me è stato abbastanza facile pensare all'ambiente della foresta polacca del film "Corri ragazzo corri!". Quel film si apre in modo già molto drammatico, con la figura di un ragazzino tremante di freddo, con i geloni rossi e ben evidenti alle mani, in mezzo a un bosco coperto di ghiaccio e di neve.
Yoram ha vissuto per tre anni in un ambiente pericoloso, pur di sfuggire alla persecuzione nazista, Scipio amava il "suo Carso" e le montagne della Venezia Giulia, ma ne riconosceva anche i pericoli (gli ululati dei lupi).
Prossimamente vedremo che al Scipio ragazzino, a causa di un'anemia cerebrale, verrà ordinato di trascorrere più tempo possibile in mezzo alla natura.
Altra cosa: è importante spendere alcune parole su quel "sono nato in Croazia".
Trieste, come anche Trento, è stata oggetto dell'irredentismo, fenomeno politico-culturale del primissimo Novecento che aspirava all'annessione di queste due città a quello che era all'epoca il Regno d'Italia. 
Quando Slataper era vivente, Trieste si trovava sotto l'Impero Austro-Ungarico (crollato alla fine della Prima Guerra Mondiale), che era protettore dei gruppi etnici slavi e tedeschi. 
Ricordiamo che per gli imperatori d'Austria, perdere il Veneto nel 1866, era stata un'enorme frustrazione. Per questo cercavano di ridurre l'influenza dell'elemento culturale italiano almeno nella Venezia Giulia e nel Trentino.
Nel novembre del '18, quando il Regio esercito era riuscito ad entrare nella Venezia Giulia, all'annessione di Trieste all'Italia si era inutilmente opposto il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
Poco più avanti, Scipio scrive:

Penso alle mie lontane origini sconosciute, ai miei avi aranti l'interminabile campo con lo spaccaterra tirato da quattro cavalloni pezzati, o curvi nel grembialone di cuoio davanti alle caldaie del vetro fuso, al mio avolo intraprendente che cala a Trieste all'epoca del portofranco; alla grande casa verdognola dove sono nato, dove vive, indurita dal dolore, la nostra nonna. Era bello vederla seduta nella larga terrazza spaziante su enormi spalti le montagne e il mare, lei secca e resistente accanto all'altra mia nonna, la veciota venesiana, rubiconda e spensierata, che aveva quasi ottant'anni e le si vedeva ancora il forte palpito azzurrino del polso sollevarsi e cadere nella pelle morbida come una foglia. 

Mi soffermo un attimo su "Penso (...) ai miei avi aranti l'interminabile campo". 
Non vorrei che fossero parallelismi azzardati, ma, studiando questo romanzo, ho intuito che questa situazione di zelo nel lavoro e di operosità dei contadini triestini è innanzitutto in antitesi con l'inizio di "Lavandare" di Pascoli: "Nel campo mezzo grigio e mezzo nero, resta un aratro senza buoi che pare, dimenticato tra il vapor leggero."
Poi, ho pensato ai contadini del "Giorno" di Parini, a quei contadini che, all'inizio dell'opera, si alzano di buona lena dai loro letti, lasciano le loro povere ed umili case per dedicarsi per tutta la giornata al lavoro nei campi. Al contrario del "giovin signore" che invece, dopo essersi divertito tutta la notte, con la carrozza si fa portare nella sua lussuosa dimora per dormire a partire dalle prime luci dell'alba.
Quel poema di Parini è una forte e aspra critica allo stile di vita della nobiltà del XVIII° secolo.
Tenete presente le due nonne sedute in terrazza con il paesaggio montano sullo sfondo, perché ci ritorna utile per comprendere bene quest'altra parte di testo:

Il mare schizza di gioia, e spuma. Che il mare non ama il lento arranchío asmatico dei vecchi, lo sbattacchío affannoso degli inesperti. Ama il mare d'essere tagliato, battuto, disfatto da gambe muscolose e braccia bronzine. Ama la serena irrequietezza della gioventú, che lo penetra in tutti i sensi ridendo, bevendolo, sprizzandolo dalla bocca in lunghi zampilli. Ama i freschi occhi spalancati in corsa tra le profondità e l'alighe.

Allora. In questo caso ho fatto un ragionamento di questo genere: in questa parte dell'opera di Slataper, il mare è δύναμις (=dìnamis), ovvero, energia e vitalità. E' l'ambiente in cui dei bambini giocano felici.
La montagna è invece una forza statica. E' come la quercia in latino (robur, roboris). Io ai miei allievi di ripetizione questa cosa la spiego sempre. Ma è una cosa che il latinista Alfonso Traina ha scoperto molto prima di me: i professori di lettere e latino ma anche di greco e latino vi fanno credere (come d'altronde hanno fatto credere a me quando ero al primo biennio liceale) che genitivo e dativo nella declinazione del termine "vis", in realtà mancanti, possano essere sostituiti dal genitivo e dal dativo di "robur".
In realtà no, perché i due termini sono semanticamente diversi. Infatti, la "vis" implica dinamismo, la "robur", cioè la quercia, è statica, ferma. E' una pianta.
Ritornando al libro; le montagne accanto alle nonne di Scipio possono essere collegate alla fermezza e alla saggezza che dovrebbero caratterizzare gli anziani, custodi di memorie.
Preciso inoltre che le montagne, nel resto del romanzo, sono legate sia ai momenti di solitudine di Scipio, sia alle sue riflessioni esistenziali.
Ma il mare, in questa prima parte dell'opera, è sempre dinamico e gioioso?? No, se lo si legge attentamente.

E raccontavo belle storie ai piccoli cugini che m'ascoltavano accoccolati d'intorno, nell'ombrosa veranda sul mare. Il mare stava zitto, ascoltando. La casa vicino a lui, dove abitò Tartini, aveva chiuse tutte le persiane e dormiva, bianca nel sole, con gli zii e gli altri villeggianti. Silenziose erano le larghe camere matrimoniali sostenute da travoni squadrati. Era l'ora del caldo e del riposo. La terra s'ampliava nella distesa del sole. Il cielo era chiuso e grave. Neanche una vela sul mare. Tacevano le vespe e i bombi. Un frutto tonfava giù dal ramo. Era il grande silenzio infocato, quando gli occhi dei colombi stanno chiusi sotto l'ala e il bue rumina accosciato corpulento sulla paglia fresca.

Da questo estratto intuiamo che il mare è un elemento naturale "polivalente": è gioioso quando i ragazzini giocano, è silenzioso come i cugini di Scipio nel momento in cui il nostro dolcissimo autore racconta storie.
Il mare dunque pare assumere atteggiamenti simili a quelli dei bambini.
Nel corso della parte prima, Scipio narra anche il suo "primo amore" di ragazzino di undici anni. 

Saltando un po' di pagine, eccolo qui che parla di quella specie di suo esaurimento nervoso:

In realtà io ero ammalato sul serio di anemia cerebrale e vissi per sei mesi continuamente in Carso. Fu allora che scopersi per la prima volta il mio Carso. 
Mi conosceva la terra su cui dormivo le mie notti profonde, e il grande cielo sonante del mio grido vittorioso, quando sobbalzando con l'acque giú per i torrenti spaccati o franando dai colli in turbine di lavine e terriccio, d'un colpo di piede rompevo la corsa per cogliere il piccolo fiore cilestrino.

"Piccolo fiore cilestrino"... Quanto è dolce!!!! Che possa trattarsi del nontiscordardimé?
Quello fiorisce per primo, anche nella campagna veneta se ne trovano a millanta di nontiscordardimé già ai primi di marzo!
Il nostro docente ha qui notato un segnale di parentela di Slataper con la cultura nordica, dal momento che quest'espressione ricorre anche in Novalis.

Il testo prosegue così: 

E ansante mi buttavo a capofitto nel fiume per dissetarmi la pelle, inzupparmi d'acqua la gola, le narici, gli occhi e m'ingorgavo di sorsate enormi, notando sott'acqua a bocca spalancata come un luccio. Andavo contro corrente abbrancando nella bracciata i rigurgiti che s'abbattevano spumeggianti contro il mio corpo, addentando l'ondata vispa, come un ciuffo d'erba fiorita quando si sale in montagna. E l'ondata mi strappava giù a scossoni, voltolandomi nella correntía e mi rompevo sul fondo ripercotendomi al sole, strascinato per un tratto sulle erte rive, fra radici e sassi invano inghermigliati. Poi m'affondavo, e carrucolandomi per gli scogli rimontavo sfinito la corrente. Il sole sul mio corpo sgocciolante! il caldo sole sulla carne nuda, affondata nell'aspre eriche e timi e mente, fra il ronzo delle api tutt'oro! Allargavo smisuratamente le braccia per possedere tutta la terra, e la fendevo con lo sterno per coniugarmi a lei e ro24 tare con la sua enorme voluta nel cielo - fermo, come una montagna radicata dentro al suo cuore da un'ossatura di pietra, come un pianoro vigilante solo nell'arsura agostana, e una valle assopita caldamente nel suo seno, una collina corsa dal succhio d'infinite radici profondissime, sgorganti alla sommità in mille fiori irrequieti e folli.

Per Scipio ragazzino l'acqua è libertà; e lo dirà chiaramente nella pagina successiva: Ecco l'acqua, la buona acqua, la grande libertà.

Anche il fiume è gioia. Scipio che nuota contro-corrente è in netta antitesi con il Genesio pasoliniano, che purtroppo annega attraversando l'Aniene.

E poi, ecco qui quell'evocazione meravigliosa e stupenda sulla luna, riportata anche in copertina al blog:

E a mezzo mese, nell'ora in cui la luna emerge dal lontano cespuglio e si fa strada fra le nubi, candida e limpida come un prato di giunchiglie in mezzo al bosco, io mi sentivo adagiato in una dolce diffusità misteriosa, come in un tremor di quieto sogno infinito.

Innanzitutto ho subito individuato un paragone con la poesia "Fiumi" di Ungaretti quando, nel versi 29-30, egli scrive: "mi sento/una docile fibra dell'Universo".
Anche Scipio sa di essere una creatura fragile, ma dotata di occhi e di cuore per poter ammirare le meraviglie della natura. E' la similitudine: candida e limpida come un prato di giunchiglie in mezzo al bosco che mi fa impazzire in questo punto e che, ad essere franca al mille per cento, mi farebbe venire voglia di "metter su famiglia" con qualcuno che sa pensare e sentire più o meno così.
Andiamo ad un punto di svolta:

Il monte Kâl è una pietraia. Ma io sto bene su lui. Il mio cappotto aderisce sui sassi come carne su bragia; e se premo, egli non cede: sí le mie mani s'incavano contro i suoi spigoli che vogliono congiungersi con le mie ossa. Io sono come te freddo e nudo, fratello. Sono solo e infecondo.
(...)
Ho desiderio d'andare, fratello. Ho desiderio di possedere grandi campi di frumento e prati ombrosi. La patria è laggiù. Bisogna ch'io sia fratello d'altre creature che tu non conosci, che io non conosco, monte Kâl, ma vivono unite laggiù dove calano le nuvole turgide di piova.

Scipio starebbe benissimo sul Monte Kal. Ma si rende conto, alle soglie della sua adolescenza, di aver bisogno di relazionarsi con l'alterità umana e naturale. Per questo decide di scendere a Trieste. Perché si sente "infecondo". Sente che la sua unicità non può più stare da sola. Sente che in società potrebbe trovare solidarietà e comprensione. Perché, come dice il film "Into the wild", "la felicità è reale solo se condivisa".
"Fecondo", etimologicamente parlando, è legato a "fertilis". La terra fertile, la ragazza e la donna fertile, la mente fertile e acuta, la letteratura fertile di idee e di generi...
La fertilità è strettamente legata alla "ricchezza" e alla "pienezza", come ci dicono anche alcuni brani del Vangelo.

Cristina Benussi dice: "Scipio scende in città. Il primo luogo in cui lo troviamo è la zona dei portici di Chiozza, dove ci sono degli studenti che manifestano per l'Università italiana a Trieste. Come Renzo Tramaglino dunque, il giovane entra nella storia attraverso la partecipazione al tumulto."
In effetti, la manifestazione studentesca sarà la prima cosa che Scipio vedrà una volta sceso nella sua Trieste, luogo di meraviglia ma anche di degrado morale e sociale (la prostituzione).


AVVISO: Questo non è stato un periodo facile per me. 
Avrete sicuramente notato che sono scomparsi tutti quei post recenti che riguardavano estratti del mio romanzo.
Causa seri problemi con la mia ormai ex casa editrice, la facoltà di stampa del mio romanzo sta passando ad un altro gruppo editoriale, che prossimamente si assumerà la responsabilità di correggerlo, di impaginarlo e di realizzare la grafica di copertina, per poi consegnarmi alcune centinaia di copie da distribuire prima di tutto a chi ha già versato i soldi. 
Per cui, chi ha ordinato le copie, avrà il libro tra le mani entro fine maggio. Ma lo avrà, promesso!!