30 aprile 2019

Il sonetto e la tecnica dell'epifonema:


Il sonetto e la tecnica dell'epifonema.
Post su come la "ferrea" logica della metrica italiana si relaziona ai contenuti e ai motivi dei testi.Provo a scrivere, senza libri di testo né quaderni davanti, alcuni degli argomenti di stilistica e metrica italiana che ho studiato in queste settimane.

LA FORMA METRICA DEL SONETTO:


La parola "sonetto", come spiega Pietro Beltrami nel suo manuale "Gli strumenti della poesia", deriva dal provenzale "sonet", che è il diminutivo di "son".
"Son" corrisponde all'italiano "melodia".
E' importante tener ben presente che, sia in epoca medievale che in epoca rinascimentale, le forme poetiche erano più o meno tutte legate a delle esecuzioni in musica.
Ad esempio si pensi al mottetto, (dal latino, "mottus"), componimento in 15 versi, fiorito soprattutto nella Francia del XIII° secolo; e destinato alle celebrazioni liturgiche.
Sulla base della sua originaria etimologia il sonetto quindi, è ritenuto una "piccola melodia", dal momento che la sua lunghezza è decisamente minore rispetto a quella di una canzone.
Basti richiamare alla mente le canzoni del "Rerum vulgarium fragmenta" di Petrarca: esse sono componimenti ben più ampi e dotati di una struttura un pochino meno rigida rispetto alla metrica dei sonetti.
Nelle canzoni infatti, il numero di versi e il numero delle strofe è variabile, lo schema delle rime abbastanza, dal momento che, a partire dalla seconda strofa, l'autore deve impegnarsi a rispettare con coerenza lo schema delle rime applicato nella prima strofa.
Riporto indirettamente un'osservazione di Dante a proposito del sonetto e della canzone, espressa nel "De vulgari eloquentia" ("Sulle capacità espressive della lingua volgare"): la canzone è un genere superiore al sonetto, dal momento che tratta e deve trattare tematiche politiche, amorose e filosofiche.
Partiamo dal fatto che il sonetto è una forma poetica chiusa, ovvero, una forma poetica dotata di una struttura strofica che non può essere variata e formata da un preciso numero di versi (14 in totale).
I versi che compongono un sonetto sono sempre endecasillabi (11 sillabe)?
Nella maggior parte dei casi sì. 
Ma, nei sonetti minori (composti tra Trecento e Settecento), tipici di un nostro ramo culturale un più popolareggiante, si trovano degli ottonari (otto sillabe totali- accenti fissi nelle posizioni di  7° e 3°).

Anche se gli studenti lo incontrano più che altro nell'affrontare quella parte del programma di letteratura italiana che include Duecento e Trecento, in realtà, la forma del sonetto continua ad essere utilizzata nella tradizione italiana fino al Novecento inoltrato, in particolare, con Andrea Zanzotto e la sua raccolta intitolata "Il galateo del bosco".
Da non dimenticare inoltre anche Foscolo (Primo Ottocento), con poesie in forma di sonetti come "A Zacinto", "Alla sera", "In morte del fratello Giovanni".

Il sonetto, lo sa qualunque sedicenne che studia alle superiori, è suddiviso in due parti: la prima, ovvero, la fronte (frons, frontis), è formata da due quartine, la seconda, cioè la sirma (σύρμα, "sirma", "strascico"), da due terzine.

Matematicamente, dunque, i versi si contano in questo modo: 

[(4+4) + (3+3)]=
 [8 +6]= 14.

IL SONETTO IN DANTE:

Ne li occhi porta la mia donna Amore,
per che si fa gentil ciò ch’ella mira;
ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira,
e cui saluta fa tremar lo core,

sì che, bassando il viso, tutto smore,
e d’ogni suo difetto allor sospira:
fugge dinanzi a lei superbia ed ira.
Aiutatemi, donne, farle onore.

Ogne dolcezza, ogne pensero umile
nasce nel core a chi parlar la sente,
ond’è laudato chi prima la vide.

Quel ch’ella par quando un poco sorride,
non si pò dicer né tenere a mente,
sì è novo miracolo e gentile.


("La vita nuova", cap. XXI°).

Due quartine e due terzine, giustamente. 
Questo sonetto è sicuramente monotematico: in tutti i 14 versi si parla degli effetti che questa donna meravigliosa suscita in tutti coloro che incontra.
E' un sonetto "circolare", perché l'aggettivo "gentil" compare all'inizio (v.2) e anche alla fine (v.14).
Gentile in questo contesto è sinonimo di "nobile" e di "amabile".
Bella è anche la disposizione della sintassi, volta a rispettare le strutture metriche: un periodo occupa le due quartine, un altro comprende solo la prima terzina e il terzo, tutta la seconda terzina.
Dante fa anche delle analisi sui suoi componimenti, e bisogna ammettere che risulta essere un ottimo critico letterario.
Sostanzialmente, dice che questo sonetto contiene tre variazioni del medesimo tema: la prima, che comprende le due quartine, è relativo agli effetti benefici che lo sguardo della donna genera nei passanti: il cuore trema, si prova vergogna per i propri difetti, ira e arroganza scompaiono miracolosamente.
La seconda variazione sta tutta nell'ultimo verso della seconda quartina: "Aiutatemi, donne, farle onore". E' un'esortazione rivolta ad altre donne.
Non so come fossero caratterialmente le donne del Duecento (e mai lo saprò), ma, con i tempi che corrono, "ciaone" che si faccia "onore" a qualcuna per delle sue particolari qualità! Casomai tra donne quasi sempre ci si invidia, si è gelose, ci si fa le scarpe l'una contro l'altra, ci si ignora.
La terza variazione infine, consiste negli effetti che la bocca della donna crea: umiltà, benedizioni e nobiltà d'animo.
Ad ogni modo, saranno pur sempre delle variazioni, ma il tema è identico per tutta la composizione.

Ma nei casi in cui 14 versi comprendessero motivi molti diversi tra loro e addirittura comportassero dei rovesciamenti di situazioni?

UN SONETTO IN PETRARCA:


Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena,
e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,
et garrir Progne et pianger Philomena,
et primavera candida et vermiglia.

Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;
Giove s’allegra di mirar sua figlia;
l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;
ogni animal d’amar si riconsiglia.

Ma per me, lasso, tornano i piú gravi
sospiri, che del cor profondo tragge
quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;

et cantar augelletti, et fiorir piagge,
e ’n belle donne honeste atti soavi
sono un deserto, et fere aspre et selvagge.

      ("Rerum vulgarium fragmenta")

Questo sonetto è stato scritto dopo la morte di Laura.
Ho la sensazione di averlo già analizzato in un post di qualche tempo fa, forse con il poeta greco Ibico per via delle somiglianze dei contenuti.
Comunque è l'unico che ora come ora mi viene in mente per poter rendere un concetto del titolo.
Le prime due quartine, dense tra l'altro di figure derivate dalla mitologie greco-romana, includono un suggestivo idillio primaverile: ritorna il bel tempo, grazie al vento caldo (Zefiro, figura presente nella "Primavera" di Botticelli, quadro in cui la figura di Flora sembra incinta di circa sei mesi, ma in realtà questo è dovuto alla forma dell'abito).
Botticelli, "La primavera", Firenze, Galleria degli Uffizi.
La primavera, anche nella seconda quartina, è la gioiosa stagione del ritorno alla vita (spuntano i fiori) e delle gioie dell'amore.
Il "ma" della prima terzina introduce la desolazione del poeta, in netto contrasto con i contenuti precedenti.
Natura primaverile VS Dolore dell'autore.

Marco Praloran dice che si tratta non di due temi diversi, ma di due motivi diversi.
E, in merito a questo importante cambiamento di tono a metà sonetto, afferma che si tratta  di un epifonema, ovvero, di uno scarto concettuale che comporta un passaggio "dall'universale al particolare" e quindi in questo caso, dal sereno cosmo e dalle bellezze naturali ad un'interiorità lacerata. 
Aristotele già ne fa accenno nei suoi studi attraverso il termine μεταβολ (metabolè, "cambiamento").


Esempi di epifonemi si trovano anche nei fumetti:



Anche qui... dalla vastità degli ambienti geografici (vallate, colli e città) al muso di Snoopy, soggetto al cadere della pioggia, che "sentenzia" con il pensiero: "... e sulla mia faccia".

L'epifonema si trova anche in altre letterature europee.
Eccone un esempio qui sotto:

SONETTO SPAGNOLO CON EPIFONEMA:


Colora abril el campo que mancilla
agudo yelo y nieve desatada
de nube obscura y yerta, y, bien pintada,
ya la selva lozana en torno brilla.

Los términos descubre de la orilla,
corriente, con el sol desenojada;
y la voz del arroyo, articulada
en guijas, llama l'aura a competilla.

Las últimas ausencias del invierno
anciana seña son de las montañas,
y en el almendro, aviso al mal gobierno.

Sólo no hay primavera en mis entrañas,
que habitadas de Amor arden infierno,
y bosque son de flechas y guadañas.

("Colora abril el campo", di Francisco De Quevedo, 1580-1645).

De Quevedo è stato uno dei rappresentanti più influenti della letteratura barocca della penisola iberica.
Ad ogni modo, questa sotto è la traduzione di Vittorio Bodini:

"Colora Aprile i campi che deturpa
un aspro gelo e la neve caduta
da una scura e fredda nube. Tutt'intorno
è la selva una vivida pittura.

I margini ora scopre della riva
la corrente col sole rappaciata;
la voce del ruscello articolata
in sassi chiama il vento per sfidarlo.

Come ultimo rimpianto dell'inverno
sopra i monti è rimasto un segno antico
e il mandorlo denunzia il mal governo.

La primavera io solo non conosco,
che abitato da Amore ardo d'inferno
e son di falci e di saette un bosco."

E' un aprile decisamente fresco, che ancora "lotta" con i segni dell'inverno (la macchia di neve nei campi, la neve sui monti).
Però anche qui, dalla primavera, nell'ultima terzina si passa al negativo stato d'animo dell'io.
Lo scarto è un colpo di scena per i lettori.
L'ultima frase "e son di falci e di saette un bosco" è in antitesi con "è la selva una vivida pittura" della prima quartina.

A Hokkaido (Isola settentrionale del Giappone), la natura a fine aprile è quasi come quella descritta nel sonetto spagnolo di De Quevedo.
Ciliegi già fioriti, cielo limpido ma montagne con le cime innevate.



Dovessi fare un viaggio di nozze opterei anche per una meta insolita e originale come questa.
Ora è un sogno campato per aria ma, quando sarà il momento, forse potrà essere una scelta o almeno, uno dei molti luoghi pensati.

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