16 maggio 2019

La genitorialità nella letteratura italiana otto-novecentesca:



Agli amici e agli ex-compagni di classe di un mio co-animatore in parrocchia.
La letteratura è utile soprattutto se riesce a trasmettere 
dei bei valori edificanti attraverso tematiche come questa...
Alle "scienze applicate" forse vi sono mancate 
sia le occasioni che le giuste motivazioni per poterlo capire. 
Resta comunque il fatto che di intelligenza voi ne avete da vendere!

Questo post è un mio tentativo fatto con il cuore. Un tentativo di rimediare almeno un pochino ad una penosa assemblea di istituto relativa alla tematica dell'aborto, alla quale alcuni ragazzi hanno assistito.
Intanto parto da una premessa: una donna che dice: "Se dovessi rimanere incinta abortirei sicuramente perché i figli sono solo un peso" non è una donna. E' qualcos'altro.
Le donne erano gli esseri umani nelle quali da bambina riponevo grande stima. Le ritenevo (testuali parole prese da un mio diario segreto di quinta elementare) "quella metà di umanità più buona e più sensibile e migliore dal punto di vista delle relazioni". Forse perché avevo degli ottimi esempi in famiglia.
Questo mio mito è iniziato a crollare in adolescenza, per scomparire quasi del tutto adesso, che ormai sono considerata adulta anch'io.
Purtroppo ultimamente io odio un pochino il mondo femminile, che mi ha profondamente delusa e disgustata con pettegolezzi, doppie facce, cattiverie fatte "sotto-banco" e amicizie che spesso sono durate come la neve in montagna a fine maggio. Mi hanno veramente stancata quasi tutte quelle della mia età e quelle un po' più grandi di me.
Non riusciamo proprio a fare gruppo. 
Nei momenti di maggior rabbia mi verrebbe voglia di frustarle con una verga piena di chiodi!
Mi pare che ci siano più vipere che donne, più galline che ragazze.

Fossi stata l'insegnante di lettere dell'ex 5° G prima di tutto avrei scuoiato viva sia la convinta abortista che il/i responsabile/i che l'avevano chiamata. E poi avrei cercato di riparare un pochino con un approfondimento tematico della mia materia.

In questo post parto da Manzoni per collegarmi rapidamente alle suggestive metafore di Pascoli e di  Carducci. E questo è l'Ottocento.
Per quel che riguarda il mitico e affascinante Novecento invece, inizio con un breve accenno a Slataper per passare a Saba e qui concludere.

PARTE A: L'OTTOCENTO ITALIANO

MANZONI, "PROMESSI SPOSI", CAP. XXXVIII°:

Questa è la fine del romanzo, molto interessante in ambito di letterature comparate. Vedrete più in basso il motivo per cui dico ciò.


"Prima che finisse l’anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d’adempire quella sua magnanima promessa, fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col tempo non so quant’altri, dell’uno e dell’altro sesso: e Agnese affaccendata a portarli in qua e in là, l’uno dopo l’altro, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso de’ bacioni, che ci lasciavano il bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati; e Renzo volle che imparassero tutti a leggere e scrivere, dicendo che, giacché la c’era questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro. Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire."

"Prima che finisse l’anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d’adempire quella sua magnanima promessa, fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Maria."
Io sono nata 23 anni e 8 mesi. I miei genitori si sono sposati 24 anni e 11 mesi fa. 
Ma, al di là di quello che è accaduto nel mio nucleo familiare, qui devo tornare un po' indietro, al capitolo 36 quando Renzo, entrato nel lazzeretto di Milano per cercare Lucia, la trova molto restìa a realizzare "l'antico" progetto di nozze, a causa di un voto fatto alla Madonna in un momento di grande terrore, quando cioè una notte era stata "ostaggio" dell'Innominato.
La prima reazione di Renzo al sentire questa promessa era stata più o meno questa: "Ma non fate (sì, nel XVII° secolo, epoca di ambientazione del romanzo, anche alle fidanzate si dava del voi) voti del genere alla Madonna! Promettetele che la prima figlia che avremo si chiamerà Maria come lei!".
Così poi è effettivamente avvenuto.
Il tempo del racconto di Manzoni dura un po' meno di due anni: dal 7 novembre 1628 all'estate del 1630. 
1630. Anno di matrimonio di Renzo e Lucia. 1631 circa: anno di nascita di Maria, la primogenita. E... colmo dei colmi, come osserva l'italianista Silvano Nigro, il 1632 è l'anno di nascita di Robinson Crusoe. 
Cioè, tutti i figli dei due protagonisti del romanzo manzoniano appartengono alla stessa generazione di Robinson. Renzo stesso, nella sezione del romanzo (XI°-XVIII°= Renzo a Milano) è un viaggiatore intraprendente e abile a risolvere problemi e ad aggirare ostacoli, proprio come Robinson.
Eccovi un breve esempio.
Nel "Fermo e Lucia" (ed. 1823, Renzo è l'ex-Fermo!), Fermo, la notte prima di attraversare l'Adda, si arrampica su un albero e lì si addormenta. Nei "Promessi sposi" si rifugia in una capanna (in milanese: "bicocca) piena di paglia.

PASCOLI, X AGOSTO:

San Lorenzo, io lo so perché tanto 
di stelle per l’aria tranquilla arde e cade, 
perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

"Anche un uomo tornava al suo nido:/l’uccisero: disse: Perdono;/e restò negli aperti occhi un grido:/portava due bambole in dono…"
Le bambole per le due figlie Ida e Maria, sorelle di Pascoli.
La metafora sta nella parola "nido": nucleo familiare. L'immagine che soprattutto questa poesia trasmette ai lettori è l'immagine di un padre dedito sì agli affari ma anche un genitore "che si ricordava di avere una famiglia dalla quale tornare e alla quale dare sicurezza".
Pascoli aveva 12 anni quando suo padre è stato ucciso. E, nonostante la tesi di laurea in Lettere sulla metrica greca, nonostante l'incarico di docente di greco e latino, il trauma gli è sempre rimasto.
Nell'ultima strofa, l'atomo opaco del Male è il mondo, luogo in cui il dolore, la morte e l'angoscia non soltanto ci sono ma entrano inspiegabilmente e inaspettatamente nella vita delle persone, segnandola per sempre.

Cito rapidamente la parte finale del "Gelsomino notturno", componimento che ultimamente mi commuove quasi fino alle lacrime:

"È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova."

La poesia è stata dedicata ad un amico che si era sposato.
E' l'alba dopo la prima notte di nozze. 
I petali e l'urna alludono all'utero materno e al dono che ogni sua proprietaria dovrebbe accogliere molto volentieri, come una benedizione.
D'altra parte l'etimologia esatta del termine "felicità" è "fertilis,e". La felicità è uno stato di pienezza. 
La vera pienezza di vita io la raggiungerò soltanto quando terrò dentro di me un figlio.

CARDUCCI, PIANTO ANTICO:

Prendo soltanto le ultime due strofe della poesia, perché sono quelle che mi interessano di più.

"Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l'inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor."
Metafora bellissima! Il figlio Dante era un fiore che, quando era in vita, rallegrava e colorava la vita del padre, assimilata ad una pianta "percossa e inaridita".
Questo dovrebbero rappresentare i figli per i padri e le madri: dei fiori che sbocciano in tutta la loro bellezza, dei colori che danno gioia e motivo per vivere una vita piena di senso, delle risorse per riscoprire il proprio lato genuino e la propria capacità di donarsi, di dare tutto se stessi, di tralasciare ogni tipo di egoismo.
La cupa disperazione di Carducci si avverte negli ultimi quattro versi.

PARTE B: IL NOVECENTO ITALIANO

SCIPIO SLATAPER, "IL MIO CARSO", PARTE TERZA:

Slataper ha scritto questo romanzo quando aveva la mia età. Era ancora studente, doveva ancora laurearsi e conosceva ancora poco Ginetta, ragazza che sarebbe poi diventata sua moglie.
Il romanzo è dedicato ad Anna Pulitzer, soprannominata Gioietta, ex fidanzata di Scipio morta suicida.
In tutte e tre le parti del romanzo l'autore accenna a sua madre e al buon rapporto che aveva con lei.
Però volevo focalizzarmi su una frase in particolare, che non riguarda la madre di Scipio:

"... avvolta dall'esuberanza dell'erba ancora qualche viola impallidisce negli umidi nascondigli: lievi parole infantili che tornano sulla bocca della donna che ha partorito."

Slataper è il genio triestino delle metafore e delle similitudini! 
Qui le viole appaiono timide, piccole a causa dell'erba che cresce nel prato.
E' indubbiamente un paesaggio primaverile. 
L'autore si riferisce allo stato d'animo che ogni madre dovrebbe assumere appena diventata tale, Occhio però: non si parla assolutamente di infantilismo psico-patologico tipico di femmine umane adulte (atteggiamento che mi fa schifo, schifo, schifo, schifo, schifo, schifissimo!!!!!!).
Si parla di tenerezza, di una dolcezza immensa che ti fa diventare semplice e bella dentro come lo sarebbe una bambina.

SABA, "RITRATTO DELLA MIA BAMBINA":
La mia bambina con la palla in mano,
con gli occhi grandi colore del cielo
e dell’estiva vesticciola: "Babbo
-mi disse – voglio uscire oggi con te
"
Ed io pensavo: Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti 
e il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti.

"Con gli occhi grandi colore del cielo". Il cielo si dovrebbe riuscire a scorgere nello sguardo di un bambino. Il cielo limpido, terso, bello, profondo e un po' enigmatico.

"Di tante parvenze/che s’ammirano al mondo, io ben so a quali/posso la mia bambina assomigliare." Un po' mi ricorda lo Stilnovo di Guinizzelli: 
"Io voglio del ver la mia donna laudare/ed asembrarli la rosa e lo giglio:/più che stella dïana splende e pare,/e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio."

Guinizzelli paragona le bellezze naturali con quelle della "donna angelicata". 
Saba invece confronta "la bellezza del mondo" con quella di sua figlia Lina.
Notate che dominano le tonalità chiare degli elementi naturali: la schiuma del mare che biancheggia sulle onde, la scia azzurra di fumo che esce dai comignoli dei tetti e le nuvole che si dissolvono nel cielo chiaro. 
Lina è assimilata a cose per lo più leggere, impalpabili, sfuggenti.
C'è molta musicalità nei versi. E molta...leggerezza.

C'è leggerezza e leggerezza. C'è la leggerezza dell'allegria. La leggerezza del comico e dell'ironico. La leggerezza della dolcezza delicata.
E infine, la leggerezza della stupidità, assai diffusa.


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