26 ottobre 2019

"Donnarumma all'assalto", O. Ottieri, Letteratura industriale (parte B):

Eccolo, il secondo romanzo significativo della letteratura industriale.
Avrei voluto postare un po' prima le mie impressioni, ma ho avuto una settimana a dir poco "vertiginosa" e piena di impegni. Ho corso e non ero quasi mai a casa.
Peggio ancora: non smette mai di far caldo come fossero i primi di settembre, io corro e mi do da fare, sono stanca come fosse il 20 dicembre, come fossimo proprio sotto la vigilia di Natale. E invece a Natale mancano ancora due mesi scarsi.

*Ci tengo a precisarlo, comunque, non per arroganza ma perché è la verità: per le informazioni su Donnarumma all'assalto, fate affidamento a quello che scrivo io qui, non a ciò che mette wikipedia. Io ho seguito delle lezioni, ho letto, ho studiato. Wikipedia, quando parla di letteratura industriale, ha delle conoscenze e delle idee piuttosto confuse e frammentarie.

1. BIOGRAFIA DI OTTIERI:


Fondamentale è tener presente che Donnarumma all'assalto, romanzo pubblicato nel 1959, è autobiografico.
L'autore, Ottiero Ottieri, racconta infatti la propria esperienza lavorativa all'interno di uno stabilimento della Olivetti, in qualità sia di selezionatore del personale che di consulente psicologo per i dipendenti.
Vorrei scrivere qualcosa in più a proposito di Ottiero Ottieri, giusto per farvi capire che è stato un intellettuale di precoce e notevole intelligenza.
Ottieri era nato a Roma nel 1924 da genitori toscani. Risultava molto brillante al liceo: pensate che aveva fatto pubblicare presso Capriotti la traduzione dell'Agamennone di Eschilo.
Si era laureato in Lettere in anticipo, con una tesi in storia dell'arte su Leon Battista Alberti.
Nel '48, a 24 anni, era determinato a partire per Milano, visto che l'ambiente letterario e culturale romano non gli offriva delle vere e proprie opportunità di lavoro, ma soltanto delle periodiche collaborazioni con alcune riviste.
Giunto a Milano, aveva iniziato a collaborare a fianco di Guido Lopez, all'epoca capo dell'Ufficio stampa della Arnoldo Mondadori Editore.
Poi erano arrivati il matrimonio e due figli.
E' nel '53 che la Olivetti per la prima volta lo aveva assunto come selezionatore del personale, dapprima nella grande metropoli lombarda, poi, nel '55, a Pozzuoli, in un nuovo stabilimento nel Meridione.
Interrompo ora l'elenco dei fatti più rilevanti della vita di Ottieri, per aggiungere che, una volta trasferitosi nei pressi di Napoli, gli si apre tutto un mondo, di dignità, di famiglie numerose, di povertà e di disoccupazione cronica, che prima non conosceva.

2. CHI ERA ADRIANO OLIVETTI?

La Olivetti, negli anni '50, è stata un'industria di primaria importanza nel panorama sociale italiano degli anni '50. La sede principale era ad Ivrea e il suo presidente era Adriano Olivetti.
Era un "industriale illuminato", ovvero, l'esatto contrario del dottor Max del romanzo di Parise.
Oltre a potenziare la produzione delle macchine da scrivere, voleva realizzare un programma di promozione economica delle aree sottosviluppate del Sud e, molto importante, aveva tutte le buone intenzioni di realizzare delle comunità di fabbrica.
Le comunità di fabbrica prevedevano in primo luogo il riscatto dei lavoratori dalla catena di montaggio. Altro ottimo proposito di Olivetti era quello di rendere serene le relazioni fra i dipendenti e i rappresentanti del mondo del lavoro industriale.
Per facilitare la realizzazione delle comunità di fabbrica, Olivetti si era circondato di molti uomini di cultura, non soltanto ingegneri ed economisti ma anche architetti e umanisti (e tra questi ultimi anche Ottieri).

La Olivetti a Ivrea nei giorni nostri

















3. RIASSUNTO PRIMI TRE CAPITOLI:

Si parla del libro, finalmente!
Da notare innanzitutto che quest'opera è quasi diaristica: in ogni capitolo, ciascun paragrafo è preceduto da una scritta in corsivo che riguarda il giorno della settimana a cui si riferisce un determinato episodio.
Ma soltanto di una parte, giusto perché abbiate un'idea.
Per un confronto tra l'incipit di Donnarumma e l'incipit de Il padrone, vi rimando al seguente link:

Cap. 1: Il protagonista e la signorina S. sottopongono i candidati al lavoro presso lo stabilimento ad un test scritto. Dopo le prove scritte seguono la prova delle capacità meccaniche (come rimontare un macchinario) e il colloquio, con il consulente (Ottieri, che parla in prima persona senza mai rivelare il proprio nome).

Cap. 2: Si passa ad una breve descrizione dello stabilimento. E' una nuova fabbrica in un paesino del Sud Italia in riva al mare (Santa Maria nella narrazione, Pozzuoli nella realtà).
Il verde del mare, secondo il protagonista, che si dichiara originario del centro Italia, stonano con il grigio dell'industria:

Per me- e per altri- l'industria finora è stata la concentrazione, la folla fitta di teste e di macchine sotto i capannoni scuri e i fiochi tetti a sega.
Il sole nella fabbrica, il cielo, il verde e il mare, benché li ami, non mi convincono. Sono nato nel centro d'Italia e la giovinezza l'ho tutta trascorsa in paese di sole, diventando meridionale.
Ma l'industria l'ho conosciuta al Nord e la caratteristica di essa rimane sempre quella di essere grigia, se è un'industria vera. Le officine le ho sempre viste nere e senza spazio, come se la loro forza fosse proprio questa.

Pensiero mio: al sud non sono mai stata (e già solo per questo mi nasconderei di vergogna). Al centro sì, diverse volte.
In ogni caso, se da una parte un imprenditore ha necessità di costruire nuovi stabilimenti per nuove assunzioni, personalmente io un'industria immersa in un bel paesaggio di mare o di erba non ce la vedo!
Ma in generale, mi sono fatta l'idea che far costruire un'industria in una località che si trovi più a sud dell'Emilia Romagna equivalga a violentare la Natura...
Ma dai... per assurdo, ce la vedreste voi una fabbrica a Poppi (borgo medievale in collina, in provincia di Arezzo) o a Gubbio o nei dintorni di Urbino? Io non ci riesco.

Cap. 3: Il protagonista inizia la propria attività di consulente psicologo con tutti i candidati. Vuole conoscere anche chi è andato male negli scritti. Colpisce, almeno a me, il dialogo con Michele Pizza, un disoccupato da ben 5 anni, che vive con la famiglia di origine.

4. LE STORIE PERSONALI DI ALCUNI DISOCCUPATI DI SANTA MARIA:

NOTA IMPORTANTE! = I dipendenti in questo romanzo sono trattati non come bestie da soma che non devono far altro che sgobbare, ma come veri e propri esseri umani, con un vissuto alle spalle e con la malinconia negli occhi (= la tristezza di chi, suo malgrado, vive un eterno presente di povertà sociale, economica e culturale, a causa della disoccupazione).

E' stato per me bellissimo rilevare, durante la lettura del romanzo, che il protagonista-narratore è veramente un uomo sensibile, capace di ascoltare, riflessivo ed equilibrato, che mai una volta pronuncia giudizi pesanti o denigratori contro i non assunti che più di una volta capitano nel suo ufficio insistendo per essere reclutati nella ditta.

Ci sono tre casi umani particolarmente significativi, ma del terzo parlerò meglio nel prossimo paragrafo.

A) ACCETTURA VINCENZO: Ricorrenti sono le sue "visite" al direttore. Accettura colpisce più che altro per la sua disperazione e per la sua esasperazione nei confronti della sua situazione. Vorrebbe lavorare... Vorrebbe essere assunto dalla Olivetti, ma non c'è più alcun posto di lavoro nella fabbrica di Santa Maria/Pozzuoli. E così, un giorno si butta sotto l'auto del direttore della fabbrica.

Quante volte, durante la lettura, mi è venuto in mente il primo articolo della nostra Costituzione?
Soprattutto la prima frase.

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. 
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

In effetti è così: la dignità della persona adulta e responsabile si basa sul contributo che essa può dare o dà alla società, compiendo un lavoro che sì lo renda un individuo socialmente utile, ma anche che faccia emergere le sue attitudini e le sue inclinazioni.
Insomma, l'ideale sarebbe non lavorare soltanto, ma lavorare con il sorriso sulle labbra e con la voglia di sfruttare le proprie potenzialità, ogni giorno, anche se è dura e difficile.

B) PAPALEO LUIGI: Era una ex manovale dell'industria, infortunatosi durante la costruzione dello stabilimento, per la caduta di una trave sulla testa. (L'invalidità riconosciuta è del 60%. Come fa a lavorare in fabbrica uno messo così?).

5. ANTONIO DONNARUMMA:

Il grave problema socio-economico che permea tutto il romanzo è che le domande di assunzione sono di gran lunga superiori alle esigenze di personale in fabbrica.

... E al nono capitolo compare Antonio Donnarumma. Compare nell'ufficio del protagonista senza mai aver presentato una domanda scritta di lavoro.
In particolare, una frase è emblematica del modo di Donnarumma di intendere il mondo. Eccola qui:

«Che domanda e domanda. Io debbo lavorare, io voglio faticare, io non debbo fare nessuna domanda. Qui si viene per faticare, non per scrivere.»

Antonio Donnarumma appartiene sempre, nonostante i cambiamenti del secondo dopoguerra che riguardano il boom economico degli anni '50, all'epoca pre-industriale, o forse meglio, alla società contadina, dal momento che reclama il suo diritto a lavorare perché esiste, senza sottoporsi ad alcun tipo di formalità.
E io più di una volta mi sono chiesta: ma chissà se Donnarumma sa scrivere...
E più di una volta mi è venuto da dire: però non ha proprio tutti i torti. Si esiste; e dunque per vivere bisogna lavorare.

6. IL CONSULENTE PSICOLOGO E AMERIGO ORMEA A CONFRONTO:

E' un confronto un pochino azzardato, però è un mio pensiero che riassumo qui sotto: questo consulente psicologo, che proviene da una precedente esperienza di lavoro nell'industria del Nord, è più o meno come l'Amerigo Ormea di Calvino.
Amerigo Ormea, quando è chiamato a fare lo scrutatore dei seggi nelle elezioni del '53, passa dall'ambiente del PCI al Cottolengo di Torino, ospedale per disabili, e gli si apre tutto un mondo, perché si fa un sacco di domande sul senso della vita, su cos'è la bellezza e su fino a che punto un essere umano può dirsi umano, quest'ultima questione riferita alle disabilità più gravi.
Il dottore della Olivetti, approdando in Campania, scopre, in particolar modo attraverso i colloqui con operai e candidati, un mondo sociale che prima non conosceva affatto.
E, come Ormea, ma in un altro tipo di contesto e di situazione, si pone una serie di domande e fa una serie di riflessioni sociologiche.
Ho fotografato delle pagine giusto per rendere l'idea e per evitare di trascrivere citazioni troppo lunghe che includono quasi un'intera pagina:

Donnarumma all'assalto, p.165



Ma forse, come afferma il mio docente, è più giusto collegare, innanzitutto dal punto di vista strutturale, Donnarumma all'assalto con Cuore di De Amicis.
Il primo riguarda il momento positivo delle industrie: Olivetti con tutte le sue buone intenzioni, Olivetti che garantisce una serie di servizi ai dipendenti, tra cui l'assistenza sanitaria. I sindacati che fanno molta fatica a trovare delle valide ragioni per proporre uno sciopero, date le condizioni di non-alienazione dei dipendenti.
Il secondo, del periodo post-risorgimentale, è un romanzo per ragazzi, ambientato nell'anno scolastico 1881-1882 e narrato dal punto di vista di Enrico Bottini.

Entrambe le opere accolgono la forma diaristica. In entrambe le opere si dà valore non solo al vissuto e alle speranze dei personaggi ma anche alle loro situazioni familiari (molto spesso non felici).

7. DONNARUMMA ALL'ASSALTO E LE IDEE DI PASOLINI:

Da sempre, anche negli anno '50, lo sviluppo economico delle regioni italiane non è mai stato omogeneo...
Questo è un romanzo relativo a "due Italie": l'Italia del Nord, industrializzata, con città e cittadine già in grado di garantire diversi servizi ai residenti che lì vivono e ai lavoratori che vi si recano, con un personale delle industrie piuttosto qualificato. E l'Italia del Sud, povera, con un sacco di famiglie in difficoltà.

Ad ogni modo, tutto ciò mi fa pensare all'Italia socialmente stratificata degli anni '50 che Pasolini, durante il suo operato intellettuale di giornalista, regista e scrittore aveva messo in evidenza.
Ci sono i borghesi, ovvero, coloro che hanno potuto permettersi gli studi e che hanno potuto diventare ingegneri, medici, docenti, avvocati e commercianti.
Ci sono ancora i contadini (anche se in netto calo, a causa dell'industrializzazione).
E c'è quella fascia di proletariato urbano che svolge lavori in fabbrica.
(E a Roma, a proposito di povertà e di degrado, c'è quello che lo stesso Pasolini chiama "sottoproletariato", ovvero, la popolazione delle borgate romane, delle periferie di Roma, senza cultura, senza morale e senza soldi).

Ci sono dunque diverse classi sociali, la differenza tra l'una e l'altra è notevole, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista culturale e dei valori.

Insomma, non è certo l'Italia degli anni '70, che, come sempre Pasolini afferma nei suoi Scritti Corsari, è l'Italia dell'omologazione e della televisione (i mezzi di comunicazione diffondono mode e tendenze che manipolano le coscienze e che le portano al conformismo. Di conseguenza, le differenze fra un borghese e un proletario tendono ad attenuarsi).



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