Visualizzazioni totali

17 ottobre 2019

"Il padrone", G. Parise- Letteratura industriale (parte A):

Prima ancora di iniziare la recensione vorrei darvi un link particolarmente interessante: 

https://www.lafeltrinelli.it/libri/anna-napponi/avventure-una-liceale-invisibile/9788832102116

Se ci cliccate sopra andrete direttamente al sito della Feltrinelli. Attenzione, però: confermo che il romanzo sarà in commercio a partire dal 4 novembre, quindi non è ancora disponibile (nel senso che non lo trovate né domani né la prossima settimana!!).
Potete comunque iniziare a prenotarlo.
Sotto al prezzo trovate il riassunto dei contenuti del romanzo.
Lettura praticamente da "bollino giallo", consigliata agli adolescenti dai 13 anni in su.
In futuro, dopo che lo avrete letto, non dimenticatevi di lasciare una recensione, positiva ma anche negativa. (Personalmente ci tengo).
Al silenzio, alla freddezza e all'invidia, da sempre preferisco dei riscontri polemici su quello che scrivo e che faccio. Perché comunque mi aiutano anche le critiche a capire che cosa migliorare.

Informazione soprattutto per chi vive in provincia di Verona: nei prossimi mesi sono comunque previste delle presentazioni delle Avventure di una liceale invisibile durante le quali potrete acquistare delle copie autografate dalla sottoscritta e avere anche gratuitamente un simpaticissimo segnalibro con l'illustrazione dell'immagine di copertina.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

"IL PADRONE", GOFFREDO PARISE:

Perché ho scritto "parte A" nel titolo? Perché i due romanzi relativi alla letteratura industriale che il mio docente di letterature comparate ha assegnato da leggere, li trovo entrambi molto belli e molto significativi, per cui ho deciso di riassumerli entrambi in questi giorni.
Alla fine, l'unico argomento che odio di quel corso è il Nouveau Roman degli anni '50 (che per me non è la poetica dell'oggetto, ma la poetica del nulla). Prossimamente ci sarà un post dedicato anche a questa corrente culturale, così capirete bene i motivi per cui sto disprezzando il Nouveau Roman.
Ieri sera mi sono confrontata con alcuni miei compagni di corso di questo libro di Parise, e mi ha fatto veramente molto bene!


1) AMBIENTAZIONE ROMANZO:

Qui ho fatto un errore io. Cioè, un mio compagno di studi, nel leggere Il padrone, ha riconosciuto la città di Milano, io invece, fino a ieri ero convinta che la vicenda fosse ambientata a Verona o comunque in un Veneto che, a metà degli anni '60, si stava notevolmente industrializzando (i figli dei contadini, tra cui mia mamma, per far fronte alla povertà e alle difficoltà di proseguire gli studi, cercavano lavoro nelle ditte sin da adolescenti).

All'interno del libro non viene mai specificato il nome della città nella quale il protagonista giunge.
Io sostanzialmente ho pensato a Verona perché Saturno, il padre del dottor Max, a p. 128 canta in dialetto veneto: "la gavea 'na gamba de legno". (Questa è esattamente la lingua in cui penso e dalla quale traduco i pensieri in italiano. Non si tratta certo del dialetto milanese!).

Cartolina sullo sviluppo edilizio e industriale a Milano negli anni '60

Però, quasi all'inizio del libro, c'è questa descrizione:

Non ricordo affatto l'itinerario di questa prima passeggiata,  ho visto molte cose, ma quelle che mi sono rimaste bene nella memoria sono una enorme cattedrale, una grande piazza circondata da edifici tappezzati di scritte luminose, un alto palazzo (molto più grande di quello della ditta) che sorgeva da uno specchio d'acqua da cui galleggiavano larghe foglie e ninfee, anch'esso interamente d'acciaio e cristallo, e illuminato: all'interno, fin dove poteva salire il mio sguardo, ho visto grandi sale di esposizione e vari oggetti di cristallo e acciaio in mostra sui banchi.

Dai, è vero... è Milano. Stavolta ho forse l'1% di possibilità di aver intuito bene. 
Ma i paroni del romanzo, ovvero i membri della famiglia del dottor Max sono di origine veneta? Non lo si chiarisce. 
Resta comunque la certezza che Goffredo Parise era vicentino.

2) L'INCIPIT:

Chiarito il "dilemma" geografico, proseguo con un confronto di incipit.

INIZIO DEL PADRONE- cap.1:

Questo è il mio primo giorno nella grande città dove ho trovato lavoro. Non posso negare di essere un poco emozionato, da oggi la mia vita muta radicalmente: fino a ieri ero un ragazzo di provincia, senza nulla in mano, che viveva alle spalle dei genitori. Oggi invece, sono un uomo che ha trovato lavoro e che d'ora in poi provvederà a se stesso, non solo, ma già comincia a pensare ad una famiglia propria e, quando sarà il momento, ad aiutare anche voi, cari genitori. Sono partito dalla nostra città con le cinquantamila lire che voi mi avete dato, le terrò con cura, non le butterò certo via e ricorderò sempre questo sacrificio che avete fatto per me. Cari mamma e papà, vi vedrò sempre più raramente, i capelli bianchi si infittiranno sul vostro capo e, di tempo in tempo, la vecchiaia apparirà sui vostri volti pieni di speranza in me.

A inizio romanzo, il protagonista-narratore, che non rivela mai il suo nome proprio, (al contrario della mia protagonista, che a fine primo capitolo, dice chiaramente nome e cognome al lettore: "Mi chiamo Zoe Trevi. Ho 17 anni e per i miei compagni di classe non esisto") confida ai fruitori della sua vicenda i suoi stati d'animo: "oh, che bello, che emozione, cambio vita, da semplice ragazzo di campagna divento un dipendente di una ditta, acquisisco autonomia economica, continuo a coltivare i miei sogni e i miei progetti per il futuro!"
Trovo comunque bellissima l'apostrofe ai genitori ("Cari mamma e papà"), come se il ragazzo, appena arrivato nella grande città, stesse loro scrivendo una lettera.
Li ricorda sì con affetto, ma anche con gratitudine, dal momento che entrambi ripongono molta stima in lui e nelle sue potenzialità.
Nel primo capitolo, il ragazzo protagonista ha 20 anni tondi tondi ed è vivo dentro, nel tredicesimo (penultimo), lo riscopriamo un ventiduenne passivo, soggiogato psicologicamente alle volontà del dottor Max e della madre di quest'ultimo e incapace di uscirne.

INIZIO DI DONNARUMMA ALL'ASSALTO-cap.1:

Donnarumma all'assalto è incluso nella parte B di questo blog, ancora dedicata alla letteratura industriale. Cioè, è la prossima opera di cui parlerò, a mio avviso anche più accattivante di questa.

Marzo-lunedì

Sono entrato per la prima volta, all'improvviso, nel laboratorio psicotecnico. C'erano i candidati, seduti ai banchi, e hanno alzato il capo dai figli dei test per osservarmi. Eccone un altro, pensavano, il nuovo, l'ultimo venuto. Che tipo è? Porta bene o male? Lo sanno che il nuovo impiegato arriva sul loro destino. Una luce forte fluiva dalle due pareti di vetro, d'angolo, ma subito mi sono tolto gli occhiali neri; tuttavia mi sono comportato freddamente, da funzionario indecifrabile, senza guardare nessuno. Ho salutato la signorina S., la mia collega, e mi sono dato a sfogliare le pratiche dei candidati sul tavolo accanto alla lavagna.

Donnarumma all'assalto è un romanzo di Ottiero Ottieri. E' ambientato in Campania, non al Nord.
E qui, il protagonista-narratore, non è un giovane che sta per divenire un dipendente, bensì un uomo maturo, un uomo di cultura che viene trasferito presso un nuovo stabilimento della Olivetti, nel Meridione, dalle parti di Napoli.
Insieme alla signorina S. è addetto alla selezione del personale della fabbrica. L'assunzione dei candidati avviene prima di tutto mediante dei test attitudinali, poi c'è la prova delle abilità meccaniche e infine il colloquio.
Anche il protagonista-narratore di Donnarumma all'assalto sembra non avere un nome proprio (non viene mai detto all'interno del libro). 
Sebbene lo stile, in tutto il libro, risulti oggettivo e ben ricco di precisazioni cronologiche di tipo diaristico (giorni esatto della settimana e mese), traspare, nel corso di tutta la vicenda, la profonda sensibilità del protagonista, soprattutto nelle circostanze dei colloqui con i candidati.

3) LA MORTE DEI SENTIMENTI DEL PROTAGONISTA-NARRATORE:

E' l'elemento più interessante ma allo stesso tempo più triste e più sconcertante di quest'opera.
Ma è il dispotismo del dottor Max che rovina il protagonista, che all'inizio è un bravissimo ragazzo.

C'è qualcosa di strano, di stranissimo: il ragazzo senza nome ha 20 anni, il dottor Max è quasi un suo coetaneo, perché si intuisce subito che è ancora molto giovane, che avrà al massimo 5 anni in più.
Lavorare alle dipendenze di un padrone che, per l'età che ha, potrebbe benissimo essere o tuo fratello o tuo amico, non è abbastanza anomalo?
E un qualcosa che nella realtà non dovrebbe succedere mai.
In effetti, la confidenza tra il dottor Max e il protagonista inizialmente è molta, perfino troppa. Si danno del lei, ma parlano troppo tra di loro.
4/5 anni di differenza non sono poi così tanti, e lo dico anche pensando alla mia situazione personale.
Cioè, io non la sento tanto, la diversità. Ho un pochino di esperienza in più, un pochino di università in più rispetto ai '99 e ai 2000, tutto qui.
Ma, logicamente, data l'appartenenza alla stessa generazione, non posso ricoprire alcun ruolo educativo né direttivo.
Quello che si è portati a chiedersi all'inizio è: come fa un giovane a imporsi su un altro giovane in un contesto di lavoro? Ci riesce?
Il dottor Max ci riesce eccome, perché è un manipolatore, di fatto un ragazzino viziato, collerico e prepotente, che pian piano rivela tutto il suo incredibile cinismo.
(Con uno come il dottor Max io non condividerei nemmeno un caffè a metà mattina!)
Perché dunque, nonostante la sua giovinezza, Max è diventato padrone e coordinatore della ditta commerciale? Il padre Saturno, effettivo titolare, non ha voglia di occuparsene. Va a pesca. Non ha voglia di lavorare.
Comunque, il dottor Max, che solo all'inizio del libro appare come un giovane dall'aria triste e romantica (credo sia un giudizio ironico), dice esattamente questo al suo nuovo dipendente:
"Lei è arrivato dalla provincia così, puro e intatto. Si conservi così come mostrano i suoi occhi."

E il dottor Max colloca il protagonista-narratore in un piccolo ufficio di fronte al suo (il suo ex gabinetto).
Attenti a quell'ultima affermazione sopra, perché in pratica segna la morte, futura e certa, dei sentimenti e della libertà individuale del ventenne pieno di entusiasmo e di aspettative.
Quell'ufficio è troppo, troppo vicino a quello del padrone corruttore. 
Dal giorno dopo, per il ragazzo di campagna inizia una routine quotidiana monotona, ripetitiva, priva di originalità: ogni giorno fa le stesse cose.
A poco a poco, gli svaghi che non hanno a che fare con la ditta, lo annoiano, non gli interessano più.
Diviene un alienato, una persona incapace non soltanto di apprezzare ma addirittura di scorgere una realtà oltre la ditta, all'interno della quale peraltro, non svolge nessuna effettiva mansione.
Il dottor Max è un manipolatore, l'ho detto anche prima. Relega il giovanissimo nuovo acquisto in una stanzetta piccola, lo paga poco e non lo fa lavorare. Ma non perché gli voglia bene.
Tra l'altro, basta che il ragazzo sollevi qualche piccola obiezione a qualche suo discorso per sentirsi insultare.
Lo tiene ai margini della propria ditta per "lavorarselo", sostanzialmente, per fargli perdere non soltanto il candore e l'ingenuità da "campagnolo", ma anche i legami con il suo passato e con la sua famiglia di origine.
Già al sesto capitolo, il ragazzo arriva a non provare più nulla per nulla:

Sono a casa, nella mia città. Ho chiesto al dottor max alcuni giorni di ferie che mi ha subito concesso.
(...)
Al tempo stesso in questi giorni ho dovuto ammettere, con ripugnanza, che più nulla mi lega a mio padre, a mia madre, a Maria e alla città dove sono nato. Non un sentimento, un ricordo, nulla. Quello che provo è invece un sentimento, se così si può chiamare, di insofferenza, di noia e persino di assurdità. Spesso, stando con i miei genitori o con la mia fidanzata, mi domando cosa faccio lì, con quella gente.  Mia madre mi pare una donna qualunque, mio padre un vecchio altrettanto qualunque, Maria una ragazza che non soltanto non amerò mai, ma che sono convinto di non aver mai amato. La casa mi pare una casa triste e funebre, il mio letto il letto di un estraneo, la città una città di provincia come tante altre, noiosa e sonnacchiosa.

Domanda-provocazione che vi faccio: che cos'è un uomo senza memoria? 

E' molto facile, anzi, direi naturale, collegare la memoria allo sforzo del ricordo. Ma il ricordo, indipendentemente dalla sua positività o negatività, cosa implica?
Implica la sfera degli stati d'animo (cosa si provava durante quell'avvenimento e cosa si prova nel presente nel ricordarlo) e la sfera del pensiero (semplicemente perché la memoria ricostruisce, ripensa alle immagini che nell'effettivo presente del momento in cui si ricorda non sono più).

Togli all'uomo la facoltà del ricordo, secondo me gli togli tutto: gli togli la sua storia, il suo vissuto, la sua personalità, i suoi pensieri. E' sostanzialmente questo il motivo principale per cui detesto non certamente la letteratura industriale, che riflette su problemi economici e psico-sociali, ma il Nouveau Roman, dove c'è l'esplicita intenzione di annullare psicologia e memoria.
Robbe-Grillet, il fondatore del Nouveau Roman, non è stato un uomo di grande cultura, ma un grande sciocco, permettetemi di dirlo, anche se non dovrei, anche se dovrei studiare per questo esame senza preoccuparmi troppo di dare dei giudizi di valore.

4) IL FINALE E L'IMMAGINE DEL BARATTOLO:

Eh lo so, è uno dei miei più grandi difetti: rivelarvi il finale di ogni libro di cui svolgo la recensione.

Ognuno desidera trasmettere nel figlio che lo continuerà i propri caratteri individuali. Spero dunque che non sia come me, ma felice come sua madre nella beatitudine pure dell'esistenza. Egli non userà la parola, ma nemmeno saprà mai cosa è morale e cosa è immorale.
Gli auguro una vita simile a quella del barattolo che in questo momento sua madre ha in mano, solo così nessuno potrà fargli del male.

Finale terribile!
Praticamente, la famiglia del dottor Max costringe il ragazzo a sposarsi con Zilietta, un'adolescente mongoloide (senza disprezzo, eh, è che il romanzo non specifica che tipo di disabilità sia, dice solo "mongoloide").
Non vi dico attraverso quali metodi viene costretto, anzi sì, ve lo rivelo: attraverso lettere di persuasione e di condizionamento, che il dottor Max indirizza al protagonista al fine di provocare in lui un vero senso di colpa già soltanto per aver avuto l'intenzione di disobbedirgli.

Sapete una cosa invece?
Io mi auguro che mio figlio sia intelligente, anche più intelligente di me, tremendamente intelligente.
In quest'epoca di globalizzazione e di elevate tecnologie, nella quale la gente non si incontra per davvero, non si parla per davvero, nella quale la gente è per lo più superficiale, vuota, arrogante e insensibile, io mi auguro di partorire dei figli molto intelligenti.
Ma non di intelligenza soltanto scolastico-accademica (quando i voti risultano tutti più che sufficienti, va benone). 
Mi auguro, in sostanza, che i miei figli, già da adolescenti, sappiano servirsi della facoltà critica del pensiero, per capire bene le loro inclinazioni e la loro strada di vita, per comprendere bene che non è tanto "quanto fai e ciò che hai" che definisce quello che sei. 
Mi auguro che i miei figli siano intelligenti, così intelligenti da comprendere presto che la vita è una sola e unica e che va vissuta certamente rispettando la Natura e gli altri, ma anche avendo cura di se stessi e della propria originalità.
... Perché gli intelligenti, oggi come oggi, soffrono l'invidia, la rabbia, l'immaturità e l'avversione altrui... ma trovano sempre la forza di stringere i denti e i pugni per dire a se stessi: "Io persevero. Io sono un progetto. E affronto tutto ciò che c'è da affrontare per realizzarmi. Anche se, abbastanza spesso, i giudizi altrui mi fanno male."


Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.