7 ottobre 2019

"Le avventure di una liceale invisibile"- estratti:

 Con un senso di vera e propria soddisfazione vi metto qui alcuni estratti.
Sono parecchi, per farmi ancor più pubblicità, ma il libro è, direi, ancora di più di tutto questo (ci sono altri temi, diversi altri episodi forse ancora più interessanti e diversi altri spunti di riflessione, e non posso copiarli tutti quanto sui post del blog). Naturalmente in questo post non ci sono né l'ultimo capitolo (il n°54) né l'epilogo:

 CAP.1:


Ieri sera mi sono sentita piuttosto male.
Non solo non ho digerito la cena ma, per tutta la notte, sono stata perseguitata da un mal di testa feroce!
Per questo stamattina sono entrata a scuola con due ore in ritardo.
«Sei sicura di non voler rimanere a casa oggi?» mi ha chiesto mia mamma.
«No mamma, tranquilla! Non posso perdere l’ora di italiano» le ho detto io sorridendo.
Mia madre accosta davanti al cancello della scuola. Io scendo.
Ci salutiamo con un abbraccio. Sospiro.
È una nuvolosa giornata di fine ottobre.
Mentre percorro il cortile della mia scuola, vedo che le rondini volano veloci, come se volessero accarezzare quelle spumose nuvole grigie che accarezzano il cielo.
In questo momento vorrei trovarmi in Alaska, camminare sulla neve e sentire il gelido soffio della brezza che sfiora delicatamente le alte cime dei monti.
Proprio come aveva fatto Alex Supertramp nei suoi ultimi mesi di vita.
Into the wild è il mio film preferito e Alex è un grande!
In questo momento vorrei essere in mezzo alla natura selvaggia, lontana dal mondo abitato. Invece mi trovo a scuola.
Mentre percorro il corridoio, suona la campanella che annuncia la fine della prima ora di una mattina scolastica caratterizzata soprattutto da sonnolenza e apatia.
Salgo due rampe di scale ed entro in aula.
Il professor Giulio Venturi, ovvero, il mio prezioso e grandioso insegnante di letteratura italiana, deve ancora arrivare.
Saluto Valeria e Roberta, sedute in prima fila, intente a chiacchierare fittamente.
Non ricambiano. Chissà che cose interessanti si staranno raccontando!
Ad ogni modo, per me risulta sempre impossibile e impensabile interromperle!
Mi dirigo verso il mio banco, in seconda fila, vicino alla finestra.
Do un’occhiata generale alla classe più accogliente che sia mai esistita su questo pianeta: Sara e Laura saltellano ridendo fragorosamente, Jenny invece, esattamente dietro di me, è al telefono con un’amica.
Le sta raccontando ad alta voce e in modo particolareggiato le sue ultime prodezze compiute con un ragazzo molto più grande.
Sorrido e penso: viva il pudore!
Serena, Alice ed Emilia stanno sfogliando delle riviste gossip che parlano di alcuni triangoli amorosi tra modelle e famosi sportivi.
In fondo all’aula, in piedi e per lo più rasenti ai muri, ci sono tutti gli altri.
Non dicono nulla di interessante e spesso si lamentano dei bravi insegnanti.
Sono entrata. Sono una loro compagna di classe da più di tre anni, sono alta poco più di un metro e settanta, i miei capelli neri sono ricci e voluminosi.
Sarebbe facile accorgersi della mia presenza fisica, vero?
Ah, no: dimenticavo un piccolo ma fondamentale particolare: sono una liceale invisibile.

Mi chiamo Zoe Trevi. Un mese fa ho compiuto 17 anni. E per i miei compagni non esisto.


DAL CAP.5:

Sul mio banco è aperto il libro di letteratura inglese. Sto cercando, senza farmi notare troppo, di leggere un racconto di Edgar Allan Poe intitolato Eleonora, tutto in lingua originale.
Ma stamattina per me è impossibile rimanere concentrata nella lettura!! Sono troppo stanca e mi scoppia la testa!
Mentalmente, rimprovero me stessa per aver accettato l’invito di Marina, una ragazza del mio paese che proprio l’altra sera ha voluto festeggiare il suo diciassettesimo compleanno in un locale notturno.
Abbiamo aderito in molte alla sua proposta. Per arrivare alla discoteca, ci hanno dato un passaggio in auto dei ragazzi più grandi di noi, tutti studenti universitari che conosciamo poco più che di vista.
Quel posto era un locale buio, affollato, molto stretto.
Il volume della musica era altissimo, non si poteva nemmeno dire una parola perché non si riusciva a sentire nulla e per di più, delle colorate luci psichedeliche stordivano il senso della vista.

A momenti credevo che il cuore mi saltasse in gola!! Ogni tanto, il dj urlava al microfono delle parole volgari ed esortava i giovanotti a imbattersi in eccitanti avventure notturne con le ragazze.

(...)



Sono ritornata a casa alle tre del mattino, con grande sollievo di mia madre.
Eppure, nonostante ieri fosse domenica, non ho potuto riposare: dovevo esercitarmi per l’imminente compito scritto di greco e dovevo iniziare a studiare storia, in vista di una futura interrogazione dei prossimi giorni.
Ieri stranamente, nonostante una notte quasi in bianco, sono riuscita a mantenere la concentrazione in ciò che studiavo.

Ma in questo momento mi sta crollando proprio la stanchezza addosso!

(...)

Ma si può davvero parlare di divertimento?
Questa domanda che mi pongo mi fa pensare anche a quanto ieri ha bevuto Marina.
Penso al momento più terribile della nostra nottata, che è avvenuto quando Marina ha iniziato a sentirsi molto male.
Accorgendomi dal suo malessere, l’ho afferrata per un braccio; e siamo uscite rapidamente da quella stanza affollata e infernale per arrivare al cortile del locale.

Mentre Marina vomitava tutto il suo disagio e la sua grande insoddisfazione esistenziale, io mi chiedevo: ma che cosa significa divertirsi per i ragazzi della mia età? Possibile che non ci possano essere modalità alternative alle discoteche?

INIZIO CAP. 13:

È una grigia mattina di novembre. Piove a catinelle.
Dopo tre lunghe ore di lezione trascorse soprattutto a prendere appunti in modo molto diligente, esco dalla porta dell’aula.
Oggi sono stanca; e per di più infastidita per la ricomparsa dell’acne sulla guancia destra.

I brufoli sono gli amici più fedeli con i quali io abbia mai avuto a che fare in questi anni di liceo. Mi vogliono troppo bene per abbandonarmi. Il punto è che non mi rendono attraente per nessuno!

DAL CAP.16:

Assemblea di istituto delle classi quarte! Siamo tutti rannicchiati sui comodissimi spalti di legno dell’aula magna, intenti a vedere un film intitolato Come tu mi vuoi.
La protagonista, che all’inizio è una ragazza molto seria e bravissima negli studi, per farsi amare da un ragazzo che è l’opposto di lei, decide di cambiare comportamenti e abitudini quotidiane, diventando superficiale e disinibita.
In questo film c’è più di una scena di sesso.
I miei compagni ridono di gusto e di tanto in tanto da parte loro vengono pronunciati degli elogi verso la protagonista, la quale con grande zelo fa tutto il possibile per omologarsi.
I rappresentanti delle classi quarte, ovvero, gli organizzatori di questa assemblea, sono tutti seduti su delle poltroncine laterali, rasenti ai muri.
Anche loro guardano con grande interesse gli sviluppi del film.
Chissà per quale oscuro motivo lo hanno scelto, penso io, piuttosto annoiata.

(...)

... al termine della proiezione, uno dei rappresentanti spegne con il telecomando lo schermo della grande LIM e urla: «A noi rappresentanti è piaciuto un sacco questo film e così abbiamo pensato di proporvelo! Per tutto l’anno scolastico, faremo in modo che queste giornate di assemblea siano divertenti e piacevoli, non noiose e deprimenti come le solite mattine piene di lezioni e di verifiche!».

Molti allora iniziano ad applaudire e a urlare la loro approvazione.

(...)

Al suono della campanella, da me tanto agognato, esco da quella enorme aula.
Mentre percorro il corridoio, sento una voce che esclama: «Ma che schifoso film pornografico di m.... che ci hanno fatto vedere!».
Mi giro. Vedo Giorgio e Stefano, due miei coetanei che frequentano l’indirizzo scientifico di questo liceo e che ho conosciuto lo scorso anno durante una gita scolastica a Vienna. Noto che i loro volti sono piuttosto disgustati.
«Ma sì, dai! Come se non ci fosse stato nient’altro di meglio da farci vedere!» dice Giorgio, mentre con passi rapidi raggiunge l’uscita della scuola insieme all’amico.
In un battibaleno sono già scomparsi dalla mia vista.
Peccato, perché avrei tanto voluto dire loro che anche a me il film non è piaciuto per niente.

Ad ogni modo, grazie a loro oggi ho capito una cosa piuttosto importante: quando noi adolescenti siamo inseriti in un contesto di gruppo, di solito abbiamo paura di esprimere un’opinione diversa da quella della massa; mentre invece, se ci troviamo in compagnia di un amico o comunque di una persona di cui ci fidiamo, riusciamo facilmente a dire ciò che veramente pensiamo.

DAL CAP.  29:

Per i miei compagni le ore del prof. Marchesini sono una vera e propria pacchia: alcuni di loro prendono i libri di altre materie per studiare e arrivare decentemente preparati all’interrogazione dell’ora successiva, altri invece utilizzano i loro cellulari per inviarsi qualche selfie da un capo all’altro dell’aula.
I tentativi del prof di reclamare il silenzio sono sempre inutili e vani.
È timido e giovane il prof. Marchesini; potrebbe addirittura sembrare un nostro fratello maggiore.
Ed ora eccoci qui: mentre appoggia sconsolato i libri sulla cattedra, i miei compagni lo accolgono festosamente lanciando verso la cattedra delle palline di carta.
Il prof. sospira profondamente e poi, nel tentativo di spiegarci le tecniche pittoriche utilizzate da Tiziano Vecellio, proietta sulla LIM il dipinto della Venere di Urbino.
A quel punto parte dal fondo dell’aula un’ovazione da parte di alcuni miei compagni che urlano: «Ooooh! Ma che gran f…!».
«Silenzio, maleducati che non siete altro, silenzio!» urla il prof., rosso di rabbia in viso.
Se fossimo al di fuori del contesto scolastico io risponderei loro, con un sorrisetto beffardo: «Il prof. Marchesini è talmente affascinante che può permettersi di avere tutte le donne che vuole!».
«Carmen, portami il telecomando della LIM» ordina.
«No, lo tengo io» dice lei risoluta.
«Se non me lo dai subito ti metto una nota sul registro.»
«Quale regola d’istituto dice che il telecomando della LIM deve tenerlo soltanto il professor Marchesini?» dice Jenny alle mie spalle.

Il professore sospira profondamente, scuote la testa e riprende la sua spiegazione, accompagnata dalle continue e fastidiose chiacchiere dei miei compagni.

DAL CAP. 33:

Stamattina in aula magna è stato invitato il dottor Marco Zoccatelli, un giovane ricercatore universitario di storia contemporanea che ha spiegato a tutte le classi quarte il terribile dramma della guerra in Jugoslavia, durata dal 1991 al 1995.
(...) 
Tutti in assoluto silenzio, lo ascoltiamo raccontare tramite un sintetico power point dei bombardamenti a Sarajevo nel 1992, della distruzione del ponte di Mostar dell’anno successivo e dell’assurdo genocidio di Srebrenica del 1995, progettato e attuato dalle milizie del generale Mladic.
Il nostro eccellente relatore conclude la sua interessante conferenza con un video dalle immagini molto forti relative alle fucilazioni attuate su tutta la componente maschile della popolazione di Srebrenica.
Noto che nel video vengono uccisi molti ragazzi giovani, poco più grandi di me.
È soprattutto questo che mi impressiona.

(...)

Una ragazza che non conosco dice fra le lacrime ad una compagna: «Pensa che mio zio era nei caschi blu durante quella guerra!».

D’altro canto Carmen, una volta uscita dalla porta dell’aula magna, con un tono di voce abbastanza alto, sbuffa dicendo: «Ma che se ne torni da dove c… è venuto! Non ce ne frega un c… di questa roba che ha appena detto!»

...E' il capitolo in cui c'è, a mio avviso, la più bella poesia che io abbia mai scritto. Ero ancora un'adolescente quando mi è venuta così bene.

Cliccate qui per leggerla/rileggerla. E' la recensione del libro di Franco Di Mare, ma a fine post c'è anche la poesia:
https://riflessionianna.blogspot.com/2016/07/non-chiedere-perche-franco-di-mare.html

DAL CAP. 46:

«Zoe!».
Non è la voce di Maria questa.
Mi fermo e volgo lo sguardo verso laltro lato della strada. Cè un gruppetto nel quale sono inserite anche Jenny e Carmen, intente a fumare con grande piacere.
«Ciao, secchiona! Hai voglia di farti un tiro con noi?» mi urla Jenny.
Rimango allibita per qualche istante.
No, non è possibile che stia provando ad instaurare un qualche tipo di rapporto civile con me invitandomi a fumare con i suoi amici!
Rimango senza parole. Come mai le è venuta lidea di invitarmi a unirsi ai suoi cari e numerosi amici?
«Vuoi fumare, tonta?!».
Non cera assolutamente bisogno che Carmen chiarisse il concetto espresso poco prima dalla sua fedelissima compagna di sbandate.
Tra laltro, me lo sta chiedendo come se stesse parlando con una marziana venuta da chissà quale lontana galassia, che fatica a comprendere la lingua dei terrestri.
A quel punto reagisco: sorrido, le saluto calorosamente con alcuni cenni della mano destra e urlo, a mia volta: «Grazie per linvito ma io alla mia salute ci tengo parecchio!».

Accelero il passo, in modo tale da non poter sentire le loro fragorose e sguaiate risate.

DAL CAP. 47:

Stamattina in aula magna si sono radunate tutte le classi quarte, tra cui la mia ovviamente.
Stiamo ascoltando un signore, quasi sulla sessantina, che dovrebbe spiegarci educazione stradale, una materia le cui regole in Italia non vengono rispettate molto spesso.
Dico dovrebbe, perché in realtà, invece di affrontare argomenti e invece di illustrare il significato di alcuni segnali, continua a farci vedere video relativi a incidenti mortali.
Tra un video e laltro, ci rivolge con tono molto duro aspri e ingiusti rimproveri sulla nostra presunta imprudenza nella guida dei veicoli a motore.
(...)

Poco prima che suoni la campanella di inizio intervallo, il nostro relatore proietta sulla LIM della sala un filmato molto pesante relativo a un brutto incidente la cui vittima è un ragazzo di diciannove anni.
I medici in ambulanza non fanno in tempo a salvarlo e, a quel punto, il montaggio del video passa immediatamente a unimmagine del Paradiso in cui vediamo il ragazzo di nuovo sano, senza sangue né ferite, al cospetto di un Dio severissimo e inflessibile, che gli dice: «Stupido! Disgraziato! Per arrivare puntuale allappello desame ti sei giocato la vita».
A quel punto suona la campanella e io sono la prima ad alzarmi e ad uscire dal salone.
Sento un terribile nodo alla gola, come se qualcuno mi avesse costretta a ingoiare una pietra. Sento che sto per piangere e allora cammino in fretta per raggiungere il cortile, per sedermi da sola allombra di un albero.

Non penso proprio che Dio “accolga” in Paradiso con rimproveri così terribili e offensivi i ragazzi che hanno perso la vita facendo dei sorpassi azzardati oppure aumentando di molto la velocità di guida!

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