26 gennaio 2020

Guerra e violenza:

 Post di riflessione storica, lessicale e letteraria 
che precede la memoria della Shoah

1. QUANTE FORME DI VIOLENZA ESISTONO?
Le ho elencate su una tabella. Ho scritto tutto ciò che mi veniva in mente. Ho fatto un brain-storming.


TIPOLOGIE DI VIOLENZA
Violenza di guerra: bombardamenti che uccidono e che distruggono la storia e la cultura di alcuni popoli
Violenza da “genocidio etnico”: una nazione ne stermina un’altra per presunto senso di superiorità.
Violenza domestica: il marito sottopone la moglie a violenze fisiche e/o psicologiche, con l’intento di sottometterla e di umiliarla continuamente.
Violenza del bullismo: pestaggi, pettegolezzi, calunnie, fare la doppia faccia a qualcuno (=mi fingo tuo amico ma appena posso ti derido e ti metto in cattiva luce davanti agli altri). 
Violenza mafiosa: atti di prepotenza e di oppressione (=celati da paura e omertà) verso una popolazione e verso chi lotta per valori come la giustizia sociale e l’onestà.
Violenza sugli animali: annegare dei cuccioli in una vaschetta, abbandonarli in mezzo ad una strada o ai campi,
chiuderli in una scatola e mettere la scatola accanto ai bidoni della spazzatura sono atti di cattiveria. I gatti non hanno la facoltà di pensare, però hanno dei sentimenti. Questo ve l’assicuro. Come ci è finito a casa mia il gattino nero che vedete in copertina? E’ una storia lunga, che ha a che fare anche con l’insensibilità umana.
Violenza social: scrivere cattiverie inaudite su qualcuno che si conosce oppure su qualche personaggio famoso, approfittando del fatto che si è di fronte ad uno schermo, non di fronte alla vittima di offese. (e qui, oltre alla cattiveria e all'invidia, c'è anche una buona dose di codardia).





E poi, un'ultima parola vorrei tanto spenderla su di lei, una concorrente di "Amici", il talent show italiano più seguito da adolescenti e giovani. Poverina! So quanto fanno male l'ipocrisia, la stupidità e la superficialità altrui.

Seguo "Amici" da una vita. In quel programma si sono formati dei veri e propri talenti nel canto, tipo Irama, Giordana Angi, Federica Carta, Emma Marrone, Elodie, Deborah Iurato...
Permettetemi di essere schietta: per me quest'anno, l'unico vero talento è lei, Giulia Molino.
Può anche non piacere, d'accordo, ma a me il suo modo di cantare mette i brividi. Perché è evidente che ci mette tutta l'anima, tutti i suoi sentimenti e tutto il suo vissuto non facile (se le persone ascoltassero, cavolo, ascoltassero veramente la musica dei veri artisti, smetterebbero di giudicarli e di insultarli. Ascoltatevi "Va tutto bene". Quasi quasi veniva da piangere anche a me).
Non trovo giuste due cose: l'invidia e le pesanti e volgari derisioni che altri ragazzi le rivolgono alle spalle (e chi non ride e chi non la denigra sta zitto, perché nemmeno ha le p*ll* per difenderla o per dire agli altri: "Finitela!") e i commentini cattivelli sui social su di lei, del tipo: "E' lì solo per la fama, non perché ha vero talento".
Sappiate che anche questa è una forma di violenza, eccome se lo è!
Non vi piace per come canta? Almeno siate civili ed educati.

2. ETIMOLOGIA DI VIOLENZA E CONFRONTI LINGUISTICI:


Parto con il citare lo storico Marco Bellabarba (docente presso l'Università di Trento): 
Le tragedie del Novecento hanno riportato sotto lo sguardo talvolta incredulo degli storici il tema della violenza. (...) La violenza non è un impulso irrazionale o una patologia, ma l'esito pressoché inevitabile delle dinamiche di un qualsiasi organismo sociale (...). Uno storico inglese ha proposto di definirla come un esercizio di forza fisica tale da infliggere una ferita o un danno a persone e proprietà. Se l'offesa intenzionale portata all'integrità fisica del corpo umano è comune a molte altre definizioni, è facile osservare che gli atti di violenza non sono mai delle cose in sé, ma azioni che a seconda dei contesti culturali e a seconda dei tempi, vengono giudicate intollerabili o meno. Prima di essere un gesto concreto, la violenza è quindi fatta di pensieri e di rappresentazioni collettive.

Violenza richiama indubbiamente il termine latino vis che racchiude diversi significati: energia, vigore, potenza ma anche prepotenza e violenza.
Il diritto romano distingueva la vis publica, corrispondente all'utilizzo della forza mediante le armi, e vis privata, ovvero, una violenza fatta da minacce e offese ma senza alcuna arma.
In greco antico invece abbiamo dei termini diversi: βία, (bìa, violenza), ὕβρις (ùbris, arroganza) e δύναμις (dùnamis, forza associata a movimento e dinamismo).
Interessante, dal punto di vista dei termini che designano "violenza e forza" è anche la lingua tedesca che, a partire dal tardo medioevo, presenta due termini: Macht, riferito al potere legittimo di un'autorità, e Gewalt, derivante dal verbo walten, che indica azioni illegittime e ostili.
Mi sento, al fine di arricchire il paragrafo, di menzionare i termini e i significati anche di altre due lingue: francese e inglese.
In francese il potere legittimo è pouvoir, il suo corrispondente inglese è power, visto che force è proprio "forza, vigore".

3. ETIMOLOGIA DI "GUERRA":

Riporto sinteticamente e attraverso alcuni punti i ragionamenti linguistico-lessicali dello storico austriaco Otto Brunner:
1) Il termine germanico Werra è giunto prima di tutto all'inglese war.
2) Nelle lingue neolatine, Werra diviene guerra.
3) Già a partire dall'epoca medievale, l'opposto di Werra è Friede, pace, da cui Freund e friend (amico, rispettivamente in tedesco e in inglese).

4. EVENTI STORICI DI GUERRA TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO:


Nel medioevo, periodo di crociate, la guerra santa era l'unica guerra che le istituzioni politiche e religiose non soltanto giustificavano ma anche incentivavano: recarsi a Gerusalemme per liberare il Santo Sepolcro di Cristo dagli islamici. La prima crociata (1096-1099) era stata indetta da Papa Urbano II, la seconda (1147-1150), era stata annunciata da Papa Eugenio III e guidata da sovrani d'Europa come Luigi VII di Francia, la terza (1189-1192), era stata un tentativo da parte dei sovrani europei di riconquistare Gerusalemme e di fermare l'espansione dei saraceni.
Alla fine del Quattrocento, in Europa cambia il modo di fare guerra: il numero dei soldati di un esercito aumenta considerevolmente (durante la Battaglia di Agnadello del 1509, Venezia aveva schierato 30.000 soldati), viene inventata la polvere da sparo, vengono ideati i primi cannoni (che potevano essere trasferiti sulle navi) e vengono costruite delle architetture difensive.
Da precisare inoltre che le architetture difensive inducevano i governi ad aumentare il numero di soldati da schierare e da mettere in campo durante gli assedi.


Inoltre i cannoni che si potevano trasferire sulle navi causavano effetti devastanti durante le battaglie marittime. Un valido esempio di ciò è proprio la battaglia di Lepanto del 1571, dove la Sacra Lega cattolica aveva sconfitto le navi ottomane, che erano in maggior numero, in virtù del numero di cannoni imbarcati.
E' fondamentale aggiungere inoltre che l'aristocrazia, durante tutto il Medioevo e tutta la cosiddetta "età moderna", è stata protagonista indiscussa della violenza.
Per gli aristocratici, il saper maneggiare le armi, alle quali venivano addestrati fin dalla prima adolescenza, era sia un privilegio che conferiva potere e autorità che un mezzo per difendere l'onore delle loro famiglie.
Molto frequenti, nel Quattro e nel Cinquecento, erano i duelli presso le vie delle città e le vendette individuali, al punto che, a Napoli nel 1540 e a Venezia nel 1541, erano stati emanati dei bandi che rendevano punibili tutti coloro che partecipavano a duelli o li provocavano.
Pochi anni dopo, anche a Parma e a Mantova erano stati presi provvedimenti simili. Tuttavia, episodi di violenze, duelli e faide continuavano comunque a verificarsi, proprio perché le leggi le faceva l'aristocrazia, unica detentrice di armi. Re e aristocratici, sia nel Rinascimento che nell'Ancien Regime, facevano bandi e leggi ma, per loro somma coerenza, non si ritenevano obbligati a rispettarle.

Esempi di scontri, duelli e guerre nella letteratura degli ultimi cinquecento anni:

5. DUELLI E VIOLENZA NELLA GERUSALEMME LIBERATA:


CANTO DICIANNOVESIMO, OTTAVE 2-5/OTTAVE 11-12:


II.
  Ma sovra ogni altro feritore infesto
Sovraggiunge Tancredi e lui percote.

Ben è il Circasso a riconoscer presto,
12
Al portamento agli atti all’arme note,

Lui che pugnò già seco, e ’l giorno sesto

Tornar promise, e le promesse ir vote.
Onde gridò: così la fe, Tancredi,
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Mi servi tu? così alla pugna or riedi?

III.
  Tardi riedi, e non solo. Io non rifiuto
Però combatter teco, e riprovarmi;

Benchè non qual guerrier, ma quì venuto
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Quasi inventor di machine tu parmi.

Fatti scudo de’ tuoi: trova in aiuto

Novi ordigni di guerra, e insolite armi;
Chè non potrai dalle mie mani, o forte
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Delle donne uccisor, fuggir la morte.

IV.
     Sorrise il buon Tancredi un cotal riso
Di sdegno, e in detti alteri ebbe risposto:

Tardo è il ritorno mio; ma pur avviso
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Che frettoloso e’ ti parrà ben tosto:

E bramerai che te da me diviso

O l’alpe avesse, o fosse il mar frapposto;
E che del mio indugiar non fu cagione
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Tema o viltà, vedrai col paragone.

V.
Vienne in disparte pur, tu che omicida
Sei de’ giganti solo e degli eroi:

L’uccisor delle femmine ti sfida.
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Così gli dice: indi si volge ai suoi,

E fa ritrargli dall’offesa, e grida:

Cessate pur di molestarlo or voi:
Ch’è proprio mio più che comun nemico
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Questi, ed a lui mi stringe obbligo antico.



Tancredi e Argante riprendono il duello che era stato interrotto al canto VI°. Tancredi, dopo sei giorni, non ha mantenuto la promessa di riprendere il duello.
Prima di iniziare a combattere si offendono. Cioè, più che altro è Argante che offende Tancredi, cercando di ravvivargli il dolore di aver ucciso (seppure inconsapevolmente) Clorinda ("uccisor delle donne").
Argante è feroce ed è risentito, è rabbioso, perché Tancredi, alcuni canti prima, lo ha privato di un'amica e di una fedele compagna militare.


XI.
     È di corpo Tancredi agile e sciolto,
E di man velocissimo, e di piede.
Sovrasta a lui con l’alto capo, e molto
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Di grossezza di membra Argante eccede.

Girar Tancredi inchino, e in se raccolto

Per avventarsi, e sottentrar si vede:

E con la spada sua la spada trova
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Nemica, e in disviarla usa ogni prova.

XII.
   Ma disteso ed eretto il fero Argante
Dimostra arte simile, atto diverso.
Quanto egli può va col gran braccio innante:
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E cerca il ferro no, ma il corpo avverso;

Quel tenta aditi novi in ogni instante:

Questi gli ha il ferro al volto ogn’or converso.

Minaccia, e intento a proibirgli stassi
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Furtive entrate, e subiti trapassi.


Queste sono ottave che confrontano i due combattenti: Argante è più robusto, ma la tattica schermistica di Tancredi non è da meno della sua, benché diversa: Argante  ha sempre la spada rivolta contro il viso di Tancredi, Tancredi invece lo colpisce dal basso.
Ad ogni modo, Argante rappresenta la violenza, la rabbia, la ferocia, Tancredi invece la correttezza e la lealtà nelle tattiche schermistiche e l'abilità.
Il duello termina alcune ottave più avanti. Argante perde la vita, Tancredi è vivo ma gravemente ferito. Arriverà poi Erminia che se ne prenderà cura per poterlo guarire.

6. MANZONI, PROMESSI SPOSI, CAP.4:

Siamo nel pieno della digressione relativa al passato di Fra' Cristoforo (precedentemente Lodovico).
Lodovico, come sapete bene, è dotato di un'indole onesta ma al contempo violenta, è protettore degli oppressi e vendicatore dei torti. Odia gli arroganti e gli ingiusti.
Arriva ad uccidere un uomo, socialmente superiore a lui dal momento che si tratta di un nobile, per un motivo futile.

Ecco il punto esatto: 
Que’ due si venivano incontro, ristretti alla muraglia, come due figure di basso rilievo ambulanti. Quando si trovarono a viso a viso, il signor tale, squadrando Lodovico, a capo alto, col cipiglio imperioso, gli disse, in un tono corrispondente di voce: “fate luogo.” 
“Fate luogo voi,” rispose Lodovico. “La diritta è mia.”
“Co’ vostri pari, è sempre mia.”
“Sì, se l’arroganza de’ vostri pari fosse legge per i pari miei.” 
I bravi dell’uno e dell’altro eran rimasti fermi, ciascuno dietro il suo padrone, guardandosi in cagnesco, con le mani alle daghe, preparati alla battaglia. La gente che arrivava di qua e di là, si teneva in distanza, a osservare il fatto; e la presenza di quegli spettatori animava sempre più il puntiglio de’ contendenti.
“Nel mezzo, vile meccanico; o ch’io t’insegno una volta come si tratta co’ gentiluomini.”
“Voi mentite ch’io sia vile.”
“Tu menti ch’io abbia mentito.” Questa risposta era di prammatica. 
“E, se tu fossi cavaliere, come son io,” aggiunse quel signore, “ti vorrei far vedere, con la spada e con la cappa, che il mentitore sei tu.”
“E un buon pretesto per dispensarvi di sostener co’ fatti l’insolenza delle vostre parole.”
“Gettate nel fango questo ribaldo,” disse il gentiluomo, voltandosi a’ suoi.
“Vediamo!” disse Lodovico, dando subitamente un passo indietro, e mettendo mano alla spada.
“Temerario!” gridò l’altro, sfoderando la sua: “io spezzerò questa, quando sarà macchiata del tuo vil sangue.”
Così s’avventarono l’uno all’altro; i servitori delle due parti si slanciarono alla difesa de’ loro padroni.

Poi... penso ricordiate come finisce.
Lodovico, divenuto Fra' Cristoforo, decide di porgere le sue scuse al fratello dell'ucciso. Lo fa pubblicamente. E, quell'abbraccio con un aristocratico dal portamento solitamente fiero e superbo, sancisce per Cristoforo l'inizio di una nuova vita di frugalità, di umiltà e di aiuto verso il prossimo.

7. ZANZOTTO E LE POESIE DI GUERRA IN "DIETRO IL PAESAGGIO":

"Dietro il paesaggio", raccolta uscita nel '51, contiene anche delle liriche relative alla guerra, vissuta dal giovane Zanzotto.
Nel componinento "Notte di guerra a tramontana", permeato da un'atmosfera opprimente, sembra che tutto ferisca. E' un paesaggio buio, non certo arcadico e idilliaco, sfondo di esplosioni e di morti tragiche e ingiuste.



L'ombra del vento è "dentuta" e scava una luna che, più o meno come la luna del pastore errante dell'Asia di Leopardi, contempla dall'alto le sofferenze e le atrocità umane.
Difficile risulta chiarire sintagmi quali "lumache petali madidi" e "monti solitudini amorose". Potrebbero essere metafore, potrebbero essere, come il fiore in basso a destra in Guernica di Picasso, dei piccoli flebili segnali di bellezza e di voglia di credere nell'uomo, nonostante il clima di terrore e di angoscia provocato da una guerra terribile.
... Anche in Guernica le forme, degli umani e degli animali, sono dentellate e aguzze.


... Io, come voleva il nostro professore, ho l'edizione della Mondadori 2018 di tutte le poesie di Zanzotto. 
Ho provato nei giorni scorsi a leggere due raccolte dello Zanzotto maturo che in aula non abbiamo mai affrontato. Cioè, ho letto qualcosa di "Pasque" e di "Conglomerati". Non ho capito praticamente nulla, nessuna immagine mi è rimasta impressa.
Zanzotto è il primo poeta che mi risulta difficile analizzare e interpretare. 
Ad ogni modo, preferisco le sue prime raccolte. Secondo me, da "La Beltà" (1968) in avanti, la poesia di Zanzotto smette di esercitare fascino, attrattiva e comprensione nei lettori o meglio, nei comuni mortali.

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