12 gennaio 2020

Pensieri sparsi a ridosso di un'impegnativa sessione:

Il 2020 è iniziato... E, dal punto di vista di pensieri e di progetti da realizzare è già ora abbastanza denso.
Raramente faccio post di questo genere, cioè, post simili a delle chiacchierate. A differenza della gente della mia età, io preferirei parlare faccia a faccia con gli altri, non attraverso uno schermo! E su un blog di solito mi riservo soltanto il piacere e il diritto di affrontare letteratura e cinema.
Siamo più attaccati agli schermi (un po' tutti) dei nostri strumenti tecnologici che non alla vita stessa e alle opportunità off-line che questa ci offrirebbe. 
(Vi consiglio vivamente, soprattutto se siete giovani, di farvi un serio esame di coscienza su questo mio discorso).


IL SOGNO NELLA NOTTE TRA IL 2 E IL 3 GENNAIO:


Come dicevo in un post dell'estate 2016; per la precisione, il post dedicato a "Doppio sogno" di Arthur Schnitzler, talvolta appare difficile stabilire un netto confine tra sogno e realtà. A volte non coincidono affatto, altre volte invece, sogno e realtà si richiamano.
Alcuni miei compagni di corso mi guardano male quando dico loro che adoro il Surrealismo... Da una parte è vero che questa è un'avanguardia francese abbastanza assurda, visto che teatro, cinema e arte surrealista mirano al non-sense oltre che all'onirico e alle pulsioni sessuali. 
J. Mirò, "Il carnevale di Arlecchino"
Però io credo questo: Andrè Breton, con il Manifesto del Surrealismo del '24, vuole farci rendere conto di quanto il sogno rifletta i nostri lati nascosti, i desideri, le intenzioni, le paure e gli istinti che teniamo dentro di noi e che mai manifestiamo.
I Surrealisti criticano fortemente l'ipocrisia borghese. Anche per questo mi piacciono.

Sto per raccontarvi un sogno i cui contenuti rievocavano anche la realtà del mio vissuto. 
In questo sogno, mi era stata affidata una cattedra di Lettere in un liceo e mi frequentavo con un ragazzo... molto malato. Tumore osseo con metastasi.
Lo visitavo ogni giorno in una clinica grigia e con un grande e verde giardino, dopo le mie mattinate trascorse a scuola un'ora a spiegare dei brani tratti dalla Liberata di Tasso ad una classe quarta, un'altra ora lo Stilnovo ad una terza, un'altra ora ancora la fondazione del regno longobardo  in una classe seconda...
Dev'essere stato un sogno lungo, di cui ricordo due immagini in particolare: quella in cui, mentre il ragazzo si assopiva, io ero seduta dietro un tavolino accanto al suo letto e correggevo i temi e i compiti scritti dei ragazzi.
E poi l'altra, molto più bella: io che lo sorreggevo, cioè, che lo prendevo a braccetto mentre camminavamo per il giardino della clinica, che, almeno ai miei occhi, appariva sempre più grigia, angusta e orribile.
Quando era con me, il ragazzo non era più pallido e stanco: aveva un bel colorito roseo, gli occhi molto luminosi e... credeva davvero di poter migliorare in salute.
"Quando starai meglio, ti porterò via da qui. Verrai a vivere con me.", gli sussurravo, mettendogli una mano sulla guancia.
Poi il dramma terribile... Il medico, o meglio, l'oncologo che seguiva il ragazzo senza nome del mio sogno, era convinto, risoluto a fargli l'eutanasia. Il dialogo tra me e il medico me lo ricordo ancora benone.
"E' sempre peggio... Ogni millimetro del suo corpo è malato. Farlo sopravvivere non è nel suo interesse.", aveva detto, in un tono così risoluto e cinico da irritarmi.
"Ma quando è con me cammina! Le nostre passeggiate in giardino durano anche delle mezz'ore! Invece dell'iniezione mortale trovate un modo per farlo guarire! Quel ragazzo ha fame di vita! E poi è ancora giovanissimo... cioè, è più o meno come me, ha poco più di 20 anni" avevo replicato io.
A quella mia replica, aveva riso sguaiatamente... Fino a dirmi: "Anche tu a 6 anni eri malata!!". A quel punto gli oh dato uno schiaffo così forte da farlo cadere sul pavimento.
...Non abbastanza forte però per farlo svenire... A quel punto, il grande cinico insensibile si è rialzato ed è andato dritto dritto nella stanza del ragazzo, brandendo la siringa dalla tasca.
E io volevo strappargliela dalle mani, ma non riuscivo a correre... Non riuscivo a raggiungerlo, perché improvvisamente mi sono ritrovata imprigionata in una bolla di vetro senza porte né vie d'uscita.

Mi sono svegliata, avevo freddo, era abbastanza tardi, e le mie condizioni di salute erano queste... Avevo la febbre.

Eppure quel giorno ho fatto tutto quello che dovevo fare, dopo aver ingerito una tachipirina 1000 mg: ho continuato a prepararmi sull'esame di Poesia italiana del Novecento e ho ricevuto tutte le ragazzine a ripetizioni.
Dopo che era andata via da casa mia la ragazzina di latino, ho cominciato, davanti ad una tazza di tè e con un gran mal di testa (= ultimamente ho spesso mal di testa) a ripensare al sogno della notte.
In prima elementare non potevo andare a scuola regolarmente perché non stavo bene. Facevo la spola tra lo studio pediatrico del mio paese e l'Ospedale di Padova. 
Nessuno di voi saprà mai che malattia era la mia. Accontentatevi del fatto che sono completamente guarita e che il malanno che avevo non comparirà mai più nel corso della mia vita.
Eravamo nell'aprile 2002 quando sono stata operata e... i liquidi che mi sono stati somministrati durante l'operazione provenivano dagli Stati Uniti. 
Comunque, se anche in famiglia i miei 6 anni sono "tabù", nel senso che non se ne parla praticamente mai e soprattutto, nel senso che io non voglio ricordare quel periodo a voce alta anche se ha avuto un lieto fine, in sogno non ho permesso ad un medico di mezz'età di deridere quello che io e i miei genitori abbiamo passato tra il 2001 e il 2002 e di passarla liscia. Un bel manrovescio ci stava, forse anche due! Cosa c'è da ridere?

Dopo l'operazione mi hanno riportata a casa in carrozzina. Per alcuni giorni non dovevo camminare.
Però a me non è mai piaciuto stare ferma. Sapete come reagivo? Di nascosto, quando la sedia a rotelle era molto vicina a qualche mobile, mi alzavo e provavo a fare due o tre passi ben aggrappata alla superficie di un tavolo o di un mobile.
Ecco da dove vengono anche la mia tenacia e la mia volontà di ferro.
Anche se non sono fatta di ferro. Non sono fatta né di ferro né di acciaio. Sono fatta di carne. Sono fatta di sogni, di ansie, di progetti da attuare, di esperienze positive e negative, di giornate grigie.

"IL CIRCO DELLE MERAVIGLIE", COMMEDIA INTERPRETATA DAI GIOVANI DI VILLAFRANCA:

Devo ammettere innanzitutto che, nonostante io viva ad appena 10 km da Villafranca, non conosco bene questa città. 
Se mi dite: Chiesa di Madonna del Popolo, Via Quadrato, Corso Garibaldi, chiaro che so bene come arrivarci. 
Villafranca è l'attrattiva più vicina e più comoda da casa mia, anche un po' più del Garda e di Peschiera.
Non conosco gli ambienti e i gruppi di questa città... Non conosco chi fa parte della parrocchia e non so se i rapporti tra i ragazzi e i giovani siano sempre civili e sereni.
(Però, villafranchesi, tenetevi stretto Don Daniele, credetemi! Don Daniele prima di trasferirsi da voi era parroco a Ronco all'Adige, dove vivono i miei parenti, che hanno ancora un ottimo ricordo di lui. Anch'io ce l'ho, perché nel lontano 2012 ha celebrato il funerale di mio nonno e, nell'omelia, ha speso parole semplici ma al contempo significative. Mio nonno Francesco era proprio come lui lo aveva descritto).

Non ricordo esattamente tutti i nomi dei personaggi della storia che i giovani di Villafranca hanno rappresentato una settimana fa.
Innanzitutto mi sento di dire che, dalla parte del pubblico, ci si accorgeva benissimo del  lavoro e dell'impegno notevole che tutti, attori giovani e collaboratori adulti hanno impiegato nel mettere in scena molto bene la storia, credendo davvero nell'iniziativa e portando egregiamente avanti un gruppo teatrale parrocchiale che da loro esiste dal '91 o dal '92.
Sicuramente ogni tanto, in quei tre mesi di preparazione dello spettacolo, ci saranno stati litigi e discussioni ma... credo siano stati superati sia dalla voglia di confrontarsi per crescere insieme sia dal desiderio di dare alla comunità qualcosa di piacevole, che avesse un contenuto solido e reale.

La trama è più o meno questa: un giovane (Alex?) sta per essere promosso dal suo capo. Sogna l'avanzare della sua carriera ("una volta desideravo una famiglia e dei figli... ma una volta!") ma... un amico gli propone di andare ad assistere ad uno spettacolo di un circo.
Al giovane protagonista, la vita di chi lavora in un circo appare libera e piacevole. 
Gli stessi membri di quel circo sono convinti di essere liberi di poter manifestare il proprio essere ad un pubblico che li applaude ogni giorno ma in realtà non è esattamente così, visto che monsieur Marcel, il padrone del circo, li considera di sua proprietà.

Il messaggio che si ricava dal copione teatrale di questi giovani:

Affermare qualcosa come: "Tutti sono speciali", è come dire che nessuno lo è veramente. 
"Speciale" in effetti, sarebbe sempre meglio sostituirlo con "autentico".
I talenti particolari (ad esempio essere delle ottime equilibriste) non danno la felicità.
"Fare carriera" nel lavoro, magari trascurando le relazioni umane, non rende felici.
E' invece necessario essere autentici, comunque sia, in qualsiasi situazione ci troviamo. E' necessario essere coerenti con se stessi, essere veri, ora più che mai, in un mondo e in una società in cui tecnologie e cellulari condizionano la quotidianità.
Troveremo sicuramente chi non ci comprenderà e chi ci deriderà ma... teniamo i denti stretti, crediamo in noi stessi... prima o poi le nostre vite incroceranno altre vite che avranno voglia di confrontarsi con noi e di camminare insieme a noi.
C'è del Pirandello!
Pirandello, per capirci, è "l'autore delle maschere". Tiene molto, nei suoi romanzi e nelle sue opere teatrali, al tema dell'identità e dell'autenticità del singolo.
Noi siamo uno (=viviamo secondo ideali, abbiamo delle caratteristiche fisiche e psicologiche diverse dagli altri, e mai perfettamente identiche a quelle degli altri), centomila (=gli altri non ci  vedono come noi vorremmo ci vedessero e ognuno ha un'opinione diversa di noi) e quindi nessuno (l'identità umana è in continuo divenire, non è mai definita, Nessuno può definirla, nemmeno noi stessi ci conosciamo perfettamente).
E Mattia Pascal, cosa ci ha guadagnato ad essere inautentico, a crearsi una falsa identità, a non smentire la falsa notizia sui giornali che riguardava la sua morte?
Ci ha guadagnato una non-vita. 
Adriano Meis non ha documenti, è un fantasma che non può reclamare alcun diritto e che non può realizzare i suoi sogni d'amore. Adriano Meis ovviamente ha anche un passato costruito, falsissimo.
Io lo so per esperienza personale: l'autenticità porta sofferenza e incomprensione. Nelle giornate più nere io arrivo persino a credere che le persone al di fuori della mia famiglia non mi vogliano realmente bene o che comunque, vedano soltanto una piccola parte di me: o la ragazza con "l'intelligenza letteraria e linguistica, quella passata con 105 all'Università" oppure "la contestatrice, la rigida, quella che non si adatta".

Comunque: bravi davvero.
A mio avviso, un'iniziativa teatrale ben coordinata e ben gestita porta davvero ad una crescita reciproca delle persone che collaborano tra loro e che per mesi ci lavorano: si impara ad ascoltarsi, a sostenersi e magari... ad essere gruppo, pur essendo decisamente numerosi.



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