13 giugno 2020

La pittura dei Macchiaioli:

Avrei voluto proporvi una mia riflessione storico-biblica sul tema del muro, del muro che divide i popoli, che alimenta pregiudizi e abusi di potere. 
...Ma per realizzare un post del genere ci vuole tempo; e vi faccio presente come sono messa in questo periodo: un esame l'ho dato questa settimana ed è andato benissimo, il prossimo è lunedì e un altro l'ho rimandato ai primi di luglio (prima volta che mi capita in 5 anni di università, di dover rimandare un esame! Succede anche a chi ha la media del 29).
Per cui per il momento dovrete accontentarvi di un resoconto sui Macchiaioli italiani di metà Ottocento. 

I MACCHIAIOLI:

I Macchiaioli erano un gruppo di pittori italiani attivi in Toscana nel pieno del diciannovesimo secolo, che, nel voler superare le convenzioni insegnate dalle accademie italiane d’arte, realizzavano frequentemente le loro opere all’aperto per poter rendere bene luci, ombre e tonalità di colore. Questa pratica li rende simili agli impressionisti francesi.
I Macchiaioli si riunivano al Caffè Michelangelo di Firenze. Non tutti erano toscani: Giovanni Fattori, il principale componente, era livornese, Telemaco Signorini era fiorentino, Silvestro Lega era originario di Modigliana, paese in territorio romagnolo, Giuseppe Abbati era napoletano e Vincenzo Cabianca era veronese.
In epoca di guerre d'indipendenza in periodo pre-unitario (anni '30-'40-'50 del XIX° secolo), il Granducato di Toscana era l'unico stato della nostra penisola in cui regnava un clima socio-politico abbastanza sereno, sotto la guida del granduca Leopoldo II. A Firenze e dintorni in effetti fiorivano e crescevano circoli culturali all'epoca.
Nel Regno Lombardo-veneto invece (di cui anche Verona era parte), la censura era rigida e frequente, come anche in una Stato Pontificio guidato da Pio IX°.

Vengono qui sotto presentati alcuni dipinti che rappresentano lo stile dei macchiaioli.

1) GIOVANNI FATTORI:

"LA ROTONDA DEI BAGNI PALMIERI":


Il luogo raffigurato è la rotonda dello stabilimento balneare di Palmieri, sul lungomare di Livorno. 
All'ombra di un tendone giallo ocra ci sono sette donne borghesi. 
Forse tra loro c'è anche Settimia Vannucci, la giovane moglie di Fattori morta prematuramente di tubercolosi.
I volti delle figure femminili risultano privi di lineamenti (d'altra parte questo dipinto non è un ritratto in primo piano di qualcuno). 
E' abbastanza probabile che si tratti di una giornata estiva, data la predominanza di tinte calde (giallo e arancione) e dato il colore quasi grigio metallico del cielo, che sembrerebbe caratterizzato da foschia.
Le donne sono tutte rigorosamente vestite: molte di loro, sebbene all'ombra, portano dei cappellini e tutte quante portano vestiti lunghi. Circa duecento anni fa era questo il modo conveniente di andare al mare. Eh sì, il costume sul lungo mare era ritenuto decisamente volgare nel XIX° secolo.
Ad ogni modo il dipinto, caratterizzato da un formato orizzontale allungato, può essere suddiviso in fasce di colore. Parto dal basso: c'è un marroncino pallido per la parte ombrosa della rotonda, il giallo molto chiaro della parte esposta al sole, il celeste dello specchio d'acqua leggermente increspato dal bianco della spuma delle onde, il marrone (terra di Siena bruciata) dei monti di fronte alle donne, l'azzurro metallico del cielo e l'ocra del tendaggio. 

 "LA VEDETTA":


Nel dipinto è raffigurata una scena di vita militare in cui tre soldati effettuano la ronda di vigilanza, immobili sotto il sole caldo di un pomeriggio estivo. 
Il primo soldato a cavallo collocato in primo piano risulta decentrato sulla destra e proietta la sua ombra sul muro bianco retrostante.
Gli altri due militari si trovano invece all'estremità più lontana del muro.
Pochi altri colori e pochi altri elementi ci sono in quest'opera: il cielo, un po' blu e un pochino violaceo e la pianura arida bianco-giallastra.

In questa tela Fattori drammatizza la tecnica macchiaiola dal momento che, nell'impiegare macchie di colore ridotte all'essenzialità del bianco, del nero e dell'azzurro, ottiene una luce molto intensa che invade  tutto il dipinto, rendendo bene l'idea di una giornata estiva decisamente calda. Insomma, risulta qui molto realistico.

DE AMICIS, "MARCIA D'ESTATE", CAPITOLO PRIMO DI "VITA MILITARE":

Edmondo De Amicis, credo lo sappiate tutti, è vissuto in epoca risorgimentale e post-risorgimentale.
E' stato anche autore di alcuni bozzetti raccolti sotto il titolo di Vita militare che delineano la quotidianità e le azioni dei militari italiani del XIX° secolo. De Amicis è stato militare, e qui parlava ai suoi simili. Questo in effetti non è un diario di scuola in cui vengono proposti valori, ideali e buoni sentimenti.
Vi riporto dunque alcuni paragrafi del primo capitolo, intitolato Marcia d'estate (considerando che nel dipinto di Fattori descritto poco sopra le figure umane sono dei soldati):

Era una bella giornata d’agosto; non una nuvola, non un soffio di vento; l’aria immobile e infocata. La strada per cui il reggimento camminava era larga diritta e lunga che non se ne vedeva la fine, e coperta d’una polvere finissima che si sollevava a nuvoli, penetrando negli occhi, nella bocca, sotto i panni, e imbiancando barbe e capelli. A destra e a sinistra della strada non un albero, non un cespuglio, non un palmo d’ombra, non una goccia d’acqua. La campagna era secca, nuda, deserta; nelle poche case sparse qua e là, un silenzio, una quiete, che parevano disabitate. Non si poteva fermar lo sguardo sulla via, nè sui muri, nè sui campi, tanto vi batteva il sole. Si camminava a capo basso e a occhi socchiusi.
(...)
Il reggimento camminava da poco più di un’ora. Malgrado quella polvere e quel caldo soffocante, i soldati erano ancora vispi ed allegri come al momento ch’eran partiti. Due file camminavano a destra e due a sinistra della strada, e dall’una all’altra parte era un continuo scoccare e incrociarsi e ricambiarsi di motti, di frizzi e di mille voci lepide e strane; e di tratto in tratto una gran risata e un batter clamoroso di mani, a cui seguiva sempre un: — Al posto, via, in or
dine! — che ristabiliva momentaneamente il silenzio e la quiete. A tre, a quattro, a cinque voci assieme, si sentiva cantare qua l’allegro stornello toscano, là la patetica romanza meridionale, più oltre la canzone guerriera delle Alpi; ed altri smettere, ed altri cominciare, e mille accenti e dialetti svariati succedersi e mescolarsi. La marcia procedeva in tutto e per tutto a norma del regolamento; le file serrate, il passo franco, gli ufficiali al posto; tutto in ordine, tutto appuntino. Benone! E si andava, e si andava (...)

2) SILVESTRO LEGA

"IL PERGOLATO":


In origine il dipinto si chiamava Un dopo pranzo, titolo che descriveva con più efficacia l'episodio rappresentato: la tradizione italiana del caffè pomeridiano. 
Molto spesso Silvestro Lega raffigura scene di quotidianità con un realismo quasi fotografico. 
E' qui rappresentato un gruppo di donne che si intrattengono in maniera tranquilla e rilassata all'ombra di un pergolato, mentre attendono l'arrivo della domestica ritratta sulla destra che sta reggendo un vassoio con un bricco di caffè. Accanto alla domestica si profila un muretto sul quale sono collocati vasi di terracotta (come quelli che ho anch'io a casa).

Il sole primaverile proietta ombre molto lunghe sulla pavimentazione del viottolo, dove tra le mattonelle sbucano alcuni ciuffi di erba selvatica.
Predominano anche qui le tonalità chiare. Per questo Lega riesce a inondare la scena di una luminosità calda e diffusa, valorizzata anche  dall'ombra del pergolato. 

"IL CANTO DELLO STORNELLO":


Il dipinto raffigura tre giovani di buona famiglia intente a cantare. Una di loro suona l'accompagnamento musicale di una canzone al pianoforte. 
Le tre ragazze (Virginia, Maria e Isolina Batelli) indossano sono rischiarate da una limpida luce proveniente dalla grande finestra semiaperta della sala. La luce però non si diffonde in modo omogeneo nell'interno ma indugia su vari particolari, come le mani della pianista, la ricca tenda fiorata e la sottile camicia bianca della donna in piedi. 
Al di fuori dell'interno, dei campi e le colline alla periferia di Firenze.

Il canto dello stornello costituisce un rinvio alla pittura di Piero della Francesca. È Telemaco Signorini, che era molto amico del Lega, a confermarcelo:

Fedele al suo programma di produrre un'arte dove la sincerità d'interpretazione del vero reale, dovesse, senza plagio pre-raffaellista, ritornare ai nostri quattrocentisti e continuare la sana tradizione, non più col sentimento divino di quel tempo, ma col sentimento umano dell'epoca nostra, dipinse il suo quadro più grande, Il canto dello stornello.


3) GIUSEPPE ABBATI:


"STRADINA AL SOLE"



La strada quieta del paesino, delimitata da un muro abbastanza alto e ornato di arbusti verdi, è percorsa da una figura solitaria di donna che si protegge con un ampio cappello di paglia. Il colore del cappello di paglia risulta molto simile sia all'intensità della luce del sole meridiano, probabilmente un sole anche qui estivo, sia al colore della strada, che risente della calda illuminazione solare. 

Il cielo è molto azzurro, con delle sottili e delicate fasce bianche di nuvolette innocue al di sopra dei tetti delle case.

Predominano anche qui le tinte chiare e luminose. 


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