20 luglio 2020

"Il ragazzo morto e le comete", G. Parise:

Negli ultimi giorni di marzo mi sono trovata sulla piattaforma "Panopto"
dei 
nostri corsi universitari un video della nostra docente di Storia dell'italiano letterario relativo a questo romanzo. 
Era un video breve, una registrazione di poco più di 15 minuti in cui la professoressa Zangrandi presentava questa prima opera di Parise, pubblicata da Neri Pozza nel 1951. 
Le altre sette video-lezioni erano invece inerenti con "I Sillabari". 
Questa no, perché secondo me costituiva un implicito invito a leggerlo e a rifletterci sopra.
A leggere e a ragionare sono riuscita benissimo mentre ero via la scorsa settimana, anche perché sul litorale veneziano non c'era proprio un clima da poter stare tanto a lungo in spiaggia. 
Sapete che vi dico?! Al diavolo quei luglio che, proprio nella settimana centrale, quando la mentalità comune dà per scontate le temperature molto alte, assomigliano a settembre!!
Anzi... al diavolo il 2020!!!

Parto dal giudizio di Montale.

O) IL GIUDIZIO DI MONTALE SU QUESTO ROMANZO:

"Siamo di fronte a una sostanza poetica che ribolle e rifiuta di assestarsi entro schemi definibili".

E io credo che Montale abbia ragione.

1) PUO' ESSERE CONSIDERATO UN ROMANZO NEOREALISTA?

Non è possibile definirlo tale, anche se alcuni tratti in comune ci sono.

 

NEOREALISMO


“IL RAGAZZO MORTO E LE COMETE” DI PARISE


Contenuti dei romanzi neorealisti: guerra, violenza e atrocità del nazi-fascismo, la Resistenza partigiana, la povertà soprattutto dei ceti popolari.


Contenuti: Il protagonista qui è un adolescente di 15 anni morto da poco, che viene ricordato continuamente nel corso del libro, come se fosse ancora presente.

Qui non c’è alcun riferimento al fascismo, alla Resistenza, alla liberazione, agli americani o alla politica dell’immediato dopoguerra.


 

Anni di collocazione delle narrazioni: 1943-1945

 

Anno e mese in cui sono collocati i ricordi: dicembre 1945

 

 

IN ENTRAMBI LA LINGUA E’ L’ITALIANO POPOLARE, CARATTERIZZATO DA SEMPLICITA’ SINTATTICA E LESSICALE, FENOMENI DI MIMESI DELLA LINGUA PARLATA, PERDITA TOTALE DI LETTERARIETA’ E AULICITA’.

 

 

C’E’ SOLTANTO UN ASPETTO IN COMUNE DAL PUNTO DI VISTA DEI CONTENUTI: LA POVERTA’ DEI CETI POPOLARI, MESSA BEN IN EVIDENZA NEI SUOI ASPETTI ALIMENTARI, IGIENICI ED EDILI.

 



2) HA ANCHE DEGLI ASPETTI IN COMUNE CON "IL QUARTIERE" DI PRATOLINI:

 

“IL QUARTIERE” DI PRATOLINI


“IL RAGAZZO MORTO E LE COMETE” DI PARISE


Contenuti: Vicende lavorative, relazionali, familiari, sentimentali del proletariato umile e povero di una periferia fiorentina.

In questo romanzo i personaggi sono tutti vivi e vegeti.

 


Contenuti: Il protagonista qui è un adolescente di 15 anni morto da poco, che viene ricordato continuamente nel corso del libro, come se fosse ancora presente.

Il protagonista, chiamato spesso "ragazzo di 15 anni", è un morto che parla, agisce, corre sui tetti, ama, prova attrazione per Edera. 

(Qualcosa di lui sopravvive anche fisicamente).


 

IN ENTRAMBI LA LINGUA E’ L’ITALIANO POPOLARE, CARATTERIZZATO DA SEMPLICITA’ SINTATTICA E LESSICALE, FENOMENI DI MIMESI DELLA LINGUA PARLATA, PERDITA TOTALE DI LETTERARIETA’ E AULICITA’.

(*)

 

 

MOLTO SPAZIO SI DA’ A PERSONAGGI GIOVANI O GIOVANISSIMI.

 

 

NEL ROMANZO DI PRATOLINI RISULTA CHIARO FIN DALLE PRIME RIGHE IL LUOGO: FIRENZE.

GIA’ NELLA PRIMA PAGINA L’AUTORE FORNISCE UNA LOCALIZZAZIONE ESATTA DEL QUARTIERE, CON TANTO DI NOMI DI VIE.

 

 

NELL’OPERA DI PARISE, SIAMO PROBABILMENTE DI FRONTE AD UNA VENEZIA MAI NOMINATA, FATTA DI CANALI, DI BARCHE, DI MELMA, DI SPORCIZIA  E DI STRADINE STRETTE.

 


(*) Però a mio avviso Pratolini è più chiaro nella sua semplicità. Da un certo punto di vista è come Calvino: ricorre a metafore e a similitudini per conferire alla sua prosa una certa concretezza nelle immagini.

Parise invece ha sempre avuto alcune espressioni poco comprensibili: ancora nel corso del primo capitolo, Squerloz, padre di Abramo, dice al ragazzo di 15 anni: “Hai gli occhi neri, lunghi, pieni di antichità”. Su “neri” ci capiamo. Ma "lunghi e pieni di antichità” che significa?


Ci terrei ora a presentarvi forma e contenuti di alcuni capitoli.

A) INCIPIT (CAP.1- "IL CORTILE"):

Questa è una sera d’inverno. Prima che il buio e il gelo arrivino nei cortili a tramontana per tutta la notte, Giorgio, Abramo e gli altri ragazzi accendono fuochi con foglie fradice, rami morti e carta raccattata nelle immondizie. 
Il fumo pieno di umori estivi e di erbe aromatiche cammina dentro i cunicoli delle fogne dove il canale s’insinua a trasportare erbe, gatti morti, piccoli involti dal contenuto roseo e informe, spellato dall’acqua.
A quest'ora si illuminano le finestre nella soffitta dove abita la famiglia di Abramo. Due grandi stanze dal pavimento di mattoni sono la casa di Abramo; una ha nel mezzo la tavola, ai ganci del soffitto -coperto di giornali e di manifesti, con molte macchie e disegni di umidità- sono appese le pentole di alluminio e la lampadina. L'abbaino è la finestra più grande della casa. Ora vede le stelle, ma a volte la pioggia e in certe notti le eclissi di luna. Nella stanza vi sono i tre letti di ferro spinti fin dove il tetto degrada, un armadio di lamiera, una poltrona di vimini, degli ombrellini da sole; e infine il grammofono a cilindri, l'indimenticabile macchina che non manda più suono ma che per un tempo infinito muove e fa girare rotelle lucenti nel buio.

E' inverno ed è sera. Giorgio, Abramo e gli altri ragazzi accendono fuochi nel cortile.
Si parla di una canale, si parla di fumo, di fogne e di assorbenti. E si descrive infine l'interno della casa di Abramo: due semplici stanze; la camera e una cucina che funge anche da sala da pranzo.


B) CAPITOLO 2: "FIORE".

Il tempo prevalente del romanzo è il presente
Questo capitolo però è un'eccezione, perché Fiore, il migliore amico del "ragazzo di 15 anni", assume soltanto in questo capitolo il ruolo di narratore e parla al passato. L'imperfetto e il passato prossimo sono i tempi dominanti del secondo capitolo.

Soltanto l'ultimo paragrafo è al presente:

Basta. La lapide bianca sulla tomba del mio amico ha dieci giorni di vita ed è in mezzo a tutte le altre con gli angeli, i busti di Gesù, o fatte a piramide acuta: è quasi addossata al muro del campo e sopra si vede scritto con la vernice fresca che è nato l'otto dicembre del millenovecentoventinove ed è morto il sei novembre del millenovecentoquarantacinque.
Essa mi fa l'effetto, è un bel fenomeno, mi fa l'effetto di una di quelle cose che si cominciano con grande entusiasmo e poi invece si abbandonano a metà e si lasciano in giro per la strada.
Ora nevica, l'inverno è al colmo, soffia vento freddo e lui non batte i denti; io fumo la mia pipetta seduto accanto alla stufa e se lascio andare sul fuoco la saliva che ho in bocca lo spengo. Questo so.


Fiore racconta le avventure con l'amico da poco scomparso (e notate che in questi due paragrafi che vi propongo prevale l'imperfetto):

Lui aveva quindici anni; mi diceva sempre che ero il suo più grande amico. Era così infatti; chi ci vedeva mai se non a braccetto insieme? A casa mia, in giro per le strade, al cinema, seduti sotto i monumenti con un gelo maledetto, in bicicletta uno sopra l'altro, dappertutto. Nessuno ci ha mai visti sulla bicicletta di mia madre? Nessuno? Peccato! Le biciclette da donna mancano del tubo trasversale e non ci si può andare che da soli; ma noi avevamo trovato il modo di viaggiare insieme: io guidavo mentre lui stava in equilibrio sul manubrio, pronto a saltare ad ogni cunetta. Andavamo per le strade vicino alla stazione, tutte una buca per le bombe che le avevano squassate e per le macerie che le  ingombravano. 
(...) 
Quando le ruote entravano in una buca o scavalcavano una pietra lui saltava su dal manubrio con un colpo di reni, restava qualche secondo in aria come un uccello, poi ripiombava sul manubrio appena in tempo per sedersi e riprendere a fischiare. Per frenare io aprivo le scarpe che avevano una settimana di vita, così ci eravamo abituati a non frenare e, saltati giù, uno da una parte e uno dall'altra, lasciavamo che la bicicletta andasse a fermarsi da sola contro il muro, contro un albero o contro la gente.

In comune con il ragazzo morto e con Parise stesso Fiore ha la situazione familiare: è figlio di una ragazza madre che poi si è sposata con un uomo che lo ha adottato dandogli quindi il cognome.
Nei "Sillabari", nel racconto "Carezza", traspare l'infanzia di Parise: un bambino senza nome e per sette anni cresciuto senza la figura paterna, si accorge che la madre ha iniziato una storia con un distinto signore: escono quasi ogni sera, mentre il bambino sta a casa a giocare con i nonni.

Finché un giorno, il distinto signore chiede la mano della ragazza madre. Il racconto termina con il gesto del futuro patrigno, che dà una carezza al bambino.

C) CAPITOLO 5: "LA FUGA":

Di questo capitolo c'è una metafora che mi ha colpita. Eccovela:

Compresi che Dio era una cometa apparsa nel cielo, bellissima e misteriosa, la più bella di tutte le comete; ma come tutte anch'essa aveva compiuto il suo giro, ci aveva illusi e si era spenta come una pietra, nel buio.

Dio è soltanto un miraggio?! Personalmente spererei di no!
E' un ebreo a pronunciare questa frase di fronte al ragazzo di 15 anni.
Ci sono circa 5 o 6 pagine di questo penultimo capitolo in cui quest'uomo ebreo narra le persecuzioni che lui e la famiglia hanno subito negli anni '30 e nei primi anni '40. 
Tuttavia, si parla di persecuzioni, di diritti negati, di deportazione, di fughe senza mai una volta fare ricorso a parole o ad espressioni propriamente storiche come: "Shoah", "camicie nere", "dittatura fascista", "campi di concentramento", "passaporti e documenti falsi".

Queste 5-6 pagine però, ci tengo a precisarlo, non bastano a definire "Il ragazzo morto" come 
un romanzo storico oppure come un romanzo di testimonianza sulla Shoah. Perché questa enorme tragedia non è sicuramente il tema principale del libro.

D) CAPITOLO 6: "LA RICERCA":

Antoine Zeno (altro caro amico del ragazzo di 15 anni) e Fiore ricordano, nella parte iniziale di questo capitolo, il ragazzo morto. E' Fiore a soffrire di più, dichiarando di sentirsi molto solo. Tuttavia, sebbene il loro amico sia morto da ormai un mese, Fiore si ritiene convinto di averlo visto in giro per i quartieri della città. Inizialmente Antoine Zeno non lo prende sul serio ma poi, decide di accompagnarlo per andare alla ricerca della presenza fantasma del loro amico. I due ragazzi lo cercano dapprima nei pressi di una cava di lignite, poi al lungomare ("Desiderava voler vedere il mare", dice Fiore. Inconsapevolmente, Parise pare aver anticipato di alcuni anni l'Antoine Doinel dei Quattrocento colpi).
Ed è proprio all'interno di un ex bunker tedesco che a Fiore e ad Antoine Zeno appare il morto.

Come termina questo particolare romanzo?

"Basta, è ora che me ne vada"- dice il ragazzo stringendosi nella giacca. "Ah Ah! Fiore, in fondo non è poi una tragedia, succede sempre così"-e si stende sul capo il fazzoletto inzuppato- "sai cosa succederà a noi? Io andrò per i fatti miei, come hanno fatto tanti altri prima di me, e tu troverai un altro amico. Certo che lo troverai, e questa volta non morirà così presto. Ciao Fiore".

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Riflessioni sul significato del titolo:

-Il significato del titolo per Silvio Perrella:

Praticamente, Perrella sostiene, nel suo commento critico, che Parise avrebbe scritto questo romanzo per "sotterrare se stesso". Mi spiego.
Il ragazzo morto di questo libro ha la stessa data di nascita del suo autore: 8/12/1929.
Parise avrebbe voluto seppellire il figlio di una ragazza madre molto apprensiva.

"Dalle spoglie di questo ragazzo è nato un giovane uomo che scrive", dice Perrella.

E le comete? Le comete sono "Quello che Parise ha visto scrivendo. Le comete sono la letteratura, i libri già scritti, quelli da scrivere ancora."

-Il significato del titolo per me:

Condivido ciò che Perrella pensa a proposito delle comete. La cometa qui non rappresenta la concezione che l'ebreo del quinto capitolo ha di Dio, quanto piuttosto le idee di scrittura, la letteratura passata, presente e futura.

Per quel che riguarda quel "ragazzo morto", io la vedo un po' diversamente.
Parise aveva 21 anni quando ha scritto questo libro, 22 quando è stato pubblicato.
Il "ragazzo morto" secondo me è il Parise ventiduenne con "la morte dentro", con un dolore quasi contagioso per il lettore attento. Non nascondo che in effetti, un paio di volte sono stata sull'orlo del pianto quando ho letto questo libro.
Parise non ha sofferto soltanto perché era il figlio di una ragazza madre sedotta e abbandonata.
Il Parise bambino ha vissuto la dittatura, il Parise adolescente la guerra, il Parise giovane universitario cerca, a mio avviso, di scrivere questo libro con un protagonista defunto che porta la sua stessa data di nascita non tanto per cancellare o per seppellire un passato difficile (il passato non è una lavagna di ardesia!!) quanto piuttosto per curarsi, per dire a se stesso più o meno ciò che il ragazzo morto, a fine libro, dice a Fiore:

Io andrò per i fatti miei, come hanno fatto tanti altri prima di me, e tu troverai un altro amico.

Il che varrebbe a dire: "questa prima parte di vita è terminata. Tu stesso, ora che sei cresciuto, dovrai trovare la forza per andare avanti senza più rimanere "impantanato" nei ricordi di morte, di drammi e di distruzioni. Abbi fiducia nelle tue risorse. Cerca di guardare avanti e al di là dell'indifferenza e dei giudizi cattivi della gente."
Ora le ragazze madri vengono sostenute dagli ammortizzatori sociali. Non le si può definire proprio "sole", anche se non manca mai chi pronuncia nei loro confronti dei commenti e dei giudizi pesanti.
Nel secolo scorso invece, anche e soprattutto in un Veneto contadino, bigotto e "giudicone", la figura della ragazza-madre destava scandalo.
Quella parte iniziale del titolo: "Il ragazzo morto" vuol forse alludere ad un pensiero che sarà ricorso più volte nella mente di Parise: "Io sono stato male. Per la nostra situazione io e mia mamma siamo stati emarginati. A parte il mio patrigno, la gente non è stata solidale con noi".
Forse quel "morto", che in italiano è sia aggettivo che participio passato, vuole anche fare un riferimento alla sofferenza causata dall'indifferenza altrui.


Sì ma... in generale, la vita di Goffredo Parise, non è stata facile. Pensate che a 35 anni stava già divorziando.



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