2 aprile 2021

"Elegia pasquale", A. Zanzotto:

A Don Marco.


Nelle tue sofferenze fisiche e spirituali 

di questi giorni ci stai pensando. Me lo sento.


ELEGIA PASQUALE:


Pasqua ventosa che sali ai crocifissi
con tutto il tuo pallore disperato,
dov'è il crudo preludio del sole?
e la rosa la vaga profezia?
Dagli orti di marmo
ecco l'agnello flagellato
a brucare scarsa primavera
e illumina i mali dei morti
pasqua ventosa che i mali fa più acuti


E se è vero che oppresso mi composero
a questo tempo vuoto
per l'esaltazione del domani,
ho tanto desiderato
questa ghirlanda di vento e di sale
queste pendici che lenirono
il mio corpo ferita di cristallo;
ho consumato purissimo pane


Discrete febbri screpolano la luce
di tutte le pendici della pasqua,
svenano il vino gelido dell'odio;
è mia questa inquieta
gerusalemme di residue nevi,
il belletto s'accumula nelle
stanze nelle gabbie spalancate
dove grandi uccelli covarono
colori d'uova e di rosei regali,
e il cielo e il mondo è l'indegno sacrario
dei propri lievi silenzi.


Crocifissa ai raggi ultimi è l'ombra
le bocche non sono che sangue
i cuori non sono che neve
le mani sono immagini
inferme della sera
che miti vittime cela nel seno.


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Siamo entrati nel triduo pasquale. 

Andrea Zanzotto aveva l'età di Don Marco quando ha scritto questa poesia: era la Pasqua del 1948. Zanzotto, in quel periodo, aveva appena concluso un'esperienza piuttosto lunga da insegnante supplente presso un collegio svizzero, a Losanna; ed era da poco rientrato nel suo paese natale, Pieve di Soligo. Qualche anno più tardi aveva superato il concorso per entrare, a tempo indeterminato, come docente di Lettere presso la scuola media di Conegliano.

Questa poesia è ricca di simboli e credo possa essere spiegata e gustata ricorrendo a richiami evangelici sin dai primi versi. Qui sotto dunque ho provato a legare alcune immagini create da Zanzotto con altre sue poesie e soprattutto con dei passi tratti dai Vangeli.

A) Pasqua ventosa che sali ai crocifissi/con tutto il tuo pallore disperato,/dov'è il crudo preludio del sole?

Proprio nell'incipit di questa poesia, ci accorgiamo che la Pasqua è personificata, umanizzata, come se fosse una ragazza un po' pallida e pensierosa che stesse percorrendo un sentiero collinare un po' in salita per arrivare presso una piccola chiesetta circondata da un paio di croci di legno o di pietra. La Pasqua, modestamente parlando, sembra me in questo periodo quando, nelle pause fra un'ora e l'altra di studio, cammino in campagna, poco distante da casa, sola, a volte anche con un piccolo quaderno in mano per poter scrivere ciò che sento. Cammino spesso sola per gustare il silenzio interiore e i suoni della natura. 
Tuttavia penso sia legittimo attribuire anche un altro significato a quei crocifissi di cui si parla. Potrebbero anche alludere al legno della croce di Cristo e dunque, potrebbero essere i rami e i tronchi degli alberi che, rimasti spogli e nudi per tutto l'inverno, stanno iniziando a rifiorire sotto il tepore del sole primaverile.
L'aggettivo crudo lo si trova anche in un altro componimento di Zanzotto, ma scritto da uno Zanzotto ormai sessantenne, presente nella raccolta Pasque e intitolato Subnarcosi. Vi riporto soltanto i primi tre versi di questa poesia difficile: uccelli/crudo infinito cinguettio/su un albero invernale. Qui, le rondini, i merli e i passeri volano e cantano, ma per gli alberi, per molti alberi, sembra essere ancora inverno, dal momento che non rifioriscono. Non rifioriscono perché sia l'inverno sia il mese di marzo sono stati dei mesi "secchi" in cui raramente è piovuto, proprio come in questo 2021. Con Pasque siamo verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso, siamo dunque in un periodo in cui la civiltà contadina, durata per millenni con le sue tradizioni e i suoi valori comunitari, sta scomparendo. Forse Zanzotto in questo periodo già iniziava a intuire che l'industrializzazione e l'urbanizzazione avrebbero portato sia alla rovina di diversi paesaggi naturali sia all'inquinamento e dunque ai cambiamenti climatici. Questa preoccupazione del poeta, ad ogni modo, emerge in Meteo (1996), Sovrimpressioni (2001) e Conglomerati (2009), le sue ultime tre raccolte di poesie.

B) Dagli orti di marmo/ ecco l'agnello flagellato. 

Si legge in Isaia, 53, 7-9: 

Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte.

L'orto degli ulivi, luogo in cui, secondo la tradizione e secondo le "Vie Crucis", Gesù prega angosciato mentre i discepoli, poco distanti da lui, dormono. Nei film sulla Passione, ma più in generale, nei film sulla vita di Gesù, il Getsemani è sempre presentato nello stesso modo: è notte ed è un giardino buio, fatto di muretti e ulivi grandi dalle chiome folte.

C) ho consumato purissimo pane. 

Si legge nel Vangelo di Marco, 14, 17-25:

Venuta la sera, egli giunse con i Dodici. Ora, mentre erano a mensa e mangiavano, Gesù disse: “In verità vi dico, uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà”. Allora cominciarono a rattristarsi e a dirgli uno dopo l’altro: “Sono forse io?”. Ed egli disse loro: “Uno dei Dodici, colui che intinge con me nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Bene per quell’uomo se non fosse mai nato!”.

Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio”.


D) il vino gelido dell'odio. 
Io avrei detto: il vino gelido del tradimento e del doloreIl Vangelo del 30 marzo, cioè, di questo martedì santo, era un passo preso dal Vangelo di Giovanni:

Giovanni, 13, 21-30:

Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Di', chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: «Quello che devi fare fallo al più presto». Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo;  alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.

E) è mia questa inquieta/gerusalemme di residue nevi. Gerusalemme è in questa lirica con la lettera iniziale minuscola perché si tratta di Peive di Soligo, paesino trevigiano in alta collina in cui è possibile che, a fine marzo e quindi all'inizio della primavera, nei prati, alcune chiazze di neve e di ghiaccio convivano con la nascita dei primi fiori.

F) Crocifissa ai raggi ultimi è l'ombra. 

Si legge in Marco, 15, 25-37:

Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei GiudeiCon lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra. 
I passanti lo insultavano e, scuotendo il capo, esclamavano: «Tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: «Ha salvato altri, non può salvare se stesso!  Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonatoAlcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.

Ad ogni modo, il verso crocifissa ai raggi ultimi è l'ombra mi richiamava proprio quel Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra

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Ho trovato, in questi giorni, un cortometraggio animato che a mio avviso riassume bene quello che è il senso del Cristianesimo. 

Perché vale la pena vivere pienamente l'esistenza precaria che ci è stata data? 
Per i contenuti che propone questo cartone!


E' una storia senza parole che dovrebbe insegnare soprattutto tre cose:

1) Imparare ad accogliere e a condividere i drammatici vissuti degli altri e i dolori che si portano dentro, quei dolori che nemmeno con un abbraccio potremmo guarire. Quei dolori però che noi potremmo lenire con la nostra sincera vicinanza verso chi soffre.

2) Il passato ce lo portiamo dentro per sempre. Forse non guariremo mai del tutto da alcuni nostri tristi vissuti di infanzia. L'importante però è sentire l'amore, il conforto e la tenerezza di quelle persone particolarmente significative che segnano positivamente il nostro sentiero di vita.

3) Noi stessi possiamo farci strumenti d'amore, di pace e di solidarietà verso il prossimo, cercando, quotidianamente, di oltrepassare quello che è il nostro "piccolo mondo" fatto anche di fragilità per tendere la mano a chi si trova in difficoltà.

Quest'autunno Don Marco mi ha fatto da guida spirituale: mi ha accompagnato, tutti i giorni con un colloquio, in un percorso di EVO (esercizi spirituali nella vita ordinaria). 
Ogni giorno per sei giorni mi aveva assegnato un brano tratto dai Vangeli o da San Paolo e io, nel leggerlo e nel pregarlo, dovevo riflettere e "sentire" dentro di me alcune frasi e poi riportare in una tabella pensieri e sentimenti sia positivi che negativi. 
Don Marco mi stava insegnando ad essere meno introspettiva nel pregare e più "universale": secondo lui ho una predisposizione per queste forme di preghiera ma mi consigliava di praticarla pensando a tutta l'umanità, non soltanto a me stessa e al mio presente.

Ormai sono passati sei mesi da quella nostra settimana di EVO, per cui  qualcosa posso dirvi: il quarto giorno di quella settimana dovevo meditare una parte della seconda lettera di San Paolo ai Corinzi, quel passo che dice: Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze.
Dopo averlo fatto, il Don mi aveva invitata nel suo studio e gli avevo esposto una piccola perplessità che era sorta leggendo e rileggendo la frase: Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.

Ricordo di avergli detto: "Questa frase mi mette tristezza, mi dà fastidio! Per qualche istante ho addirittura tremato di indignazione. E se gli altri non si accorgessero del nostro bisogno di amicizia e di sentirci accolti e accettati? E poi, c'è chi è e resta sempre solo, senza nessuno su cui poter contare. In questi casi dov'è la grazia di Dio?"

Il bello di Don Marco è che ti ascolta e ti fa vivere le domande, oltre a viverle con te. 

Se è vero che Dio agisce attraverso altre persone, Dio era in quel sorriso mite e accogliente che mi proponeva di inserirmi in un gruppo giovani appena formato. Dio era in quel giovane curato robusto che, il giorno del suo compleanno, l'estate scorsa, ci ha radunati nel cortile del Centro sociale per una serata di cinema all'aperto e ci ha offerto i ghiaccioli alla fine. 
Dio era forse anche seduto, in quell'afoso pomeriggio di agosto, sulla canoa, che si guardava intorno sorridente con una telecamera in mano, compiaciuto del fatto che ci stessimo divertendo. 
Dio era in quegli occhi non coperti da mascherina che si interessava ancora di più a me e ai miei stati d'animo quando mio zio Attilio ha avuto un incidente.
Dio era quel giovane uomo che, seduto su una poltrona della sua stanza, ascoltava i miei desideri, le mie ansie e le mie riflessioni. 
Dio dimorava e dimora in lui, in quella sua forza interiore, in quella volontà di starci sempre accanto, di esserci sempre, anche quando il clima tra noi giovani era meno sereno.

Dio ora è in un letto d'ospedale che patisce e ci manca molto.





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