24 settembre 2021

"La figlia del capitano", Aleksandr Puskin:

Aleksandr Puskin aveva 37 anni quando era uscito questo suo ultimo romanzo, esattamente, il giorno precedente la sua morte. Puskin è stato indubbiamente un autore versatile: poeta, drammaturgo e autore di fiabe e di romanzi. Originario di Mosca, era di nobile famiglia e, da bambino, era stato istruito da precettori francesi e tedeschi. Alla fine degli studi liceali aveva ottenuto un incarico presso il Ministero degli Esteri ma, nel 1823, era stato licenziato per aver espresso le sue simpatie verso l'ateismo e le idee rivoluzionarie ostili allo strapotere dello zar. 

Più volte, nel corso della sua non lunga vita, Puskin era stato esiliato e fatto sorvegliare per ordine dello zar Nicola I. 

Inoltre, il matrimonio con Natalja non era stato esattamente tra i più felici: lei lo tradiva con numerosi amanti. Il 29 gennaio 1836 Puskin era morto sfidando a duello uno degli amanti della moglie.

Dopo questi brevi e pochi accenni biografici parto immediatamente con i punti della recensione e della riflessione sull'opera... Ho diversi paragrafi da scrivere, anche se, ovviamente, voi siete liberissimi di uscire in qualunque momento dalla pagina web.

1. RIASSUNTO DELLA PRIMA PARTE DEL ROMANZO:

Il protagonista è il giovanissimo Petr Grinev, unico figlio di un nobile ufficiale e dunque destinato alla carriera di sergente sin dal grembo materno. Fino ai 17 anni cresce in campagna a Simbirsk, dapprima sotto la tutela dell'ammirevole servo Savél'ic e poi nelle mani di un intelligente ma squilibrato precettore francese:

Dall'età di cinque anni ero stato affidato allo stalliere Savél'ic che, per suo sobrio comportamento mi era stato assegnato come maestro. Sotto la sua sorveglianza, a dodici anni avevo imparato a leggere e a scrivere in russo ed ero in grado di valutare con molto giudizio le doti di un levriero. In quel periodo papà mi prese un francese, ordinato da Mosca insieme alla scorta annuale di vino e di olio d'oliva. Il suo arrivo a Savel'ic dispiacque molto. 

Ad ogni modo, Petr è ancora adolescente quando il suo arcigno padre lo invia ad Orenburg per il suo primo servizio militare. Con la compagnia di Savé l'ic, Petr intraprende il viaggio. La prima sera lontano da casa, il ragazzo perde ben 100 rubli giocando ad una locanda con Zurin, capitano di un reggimento degli ussari. Il giorno seguente, dopo aver saldato il debito, Petr e Savél'ic proseguono il percorso ma, sorpresi da una violenta tempesta di neve, si trovano costretti ad affidarsi ad un vagabondo che indica loro la strada per un villaggio vicino. Dopo la sosta notturna in una locanda, Petr decide, come segno di riconoscenza, di regalare al vagabondo la sua pelliccia di lepre.

Pochi giorni dopo, Petr e il suo servitore raggiungono la fortezza Belogorsk, immersa nelle campagne innevate attraversate da un corso d'acqua quasi gelato:

Il sergente cosacco mi portò in un'izba sull'alta riva del fiume, proprio ai limiti della fortezza. Metà dell'izba era occupata dalla famiglia di Kùzov, l'altra l'assegnarono a me. Era formata da una stanza piuttosto ordinata divisa in due parti da un tramezzo. Savél'ic si mise a fare ordine: io mi misi a guardare dalla finestrella stretta. Davanti a me si estendeva la triste steppa. Di traverso c'erano alcune piccole izbe; per la via gironzolavano delle galline.

*L'izba è una casa contadina russa di solito costruita in legno.

Il giovane entra subito al servizio del mite capitano Mirònov e, in tempi rapidi, si affeziona al resto della famiglia. Masha (diminutivo di Marja) che, per l'appunto, è la figlia del capitano, diviene oggetto dei componimenti poetici di Petr, che le si dichiara ricambiato.

Tuttavia, ci sono tre ostacoli non facili da affrontare per i due giovani:

A) La rivalità amorosa con Alekséj, altro ufficiale al servizio di Mirònov. Tra Alekséj e Petr avviene un duello una mattina, a causa del quale Petr rimane ferito.

B) La violenta rivolta di Pugacev nella steppa e nelle campagne, cosacco che voleva abolire la servitù della gleba nell'Impero Russo (per questo c'è spazio nel paragrafo 5).

C) Il dissenso del padre di Petr al matrimonio.

2. LA RISPOSTA DEL PADRE ALLA LETTERA DI PETR:

Quando Petr invia una lettera ai genitori chiedendo il consenso paterno per il matrimonio con Marja, riceve questa risposta:

Figlio mio Petr, la lettera in cui chiedi la benedizione di noi genitori e il consenso al matrimonio con Marja Ivanovna Morònova l'abbiamo ricevuta il 15 di questo mese, e non solo non ho intenzione di darti né la mia benedizione né il mio consenso, ma per di più mi appresto a fare i conti con te per le tue malefatte e a darti una lezione come si deve, come ad un bambino, nonostante il tuo grado di ufficiale: perché hai dimostrato che non sei ancora degno di portare la spada, che ti è stata affidata per la difesa della patria, e non per duelli con lestofanti di fatta par tua. Scriverò immediatamente ad Andréj Kàrlovic chiedendogli di trasferirti lontano dalla fortezza Belogòrskaja, dove ti possa passare la stupidità.

Però... Con la magnanimità ci andava a braccetto quest'uomo!

Se nella Mostellaria, la scorsa settimana, abbiamo incontrato la figura di un padre moolto ingenuo e ingannato, qui invece abbiamo a che fare con un genitore severissimo, autoritario, la cui ottica è sostanzialmente la seguente: "Tu, figlio, hai il mio appoggio soltanto se fai quello che ti dico io e soltanto se ti comporti bene. Non puoi permetterti di sbagliare, mai. Altrimenti meriti il mio disprezzo". 

Questa lettera non è affatto l'unico episodio in cui il signor Grinev manifesta durezza verso il figlio. Si può tranquillamente affermare che questo padre nutre più fiducia e attribuisce più credibilità alle istituzioni militari e governative che non ad un figlio che, in fin dei conti, è un buon ragazzo alla scoperta del mondo e delle sue insidie.

Abbastanza significativa, in questo romanzo, è la componente onirica: infatti, pochi giorni prima di ricevere la lettera paterna, Petr sogna di ritornare a casa da Orenburg. Nel sogno vede la madre piangente che gli annuncia la morte del padre. Ma, quando sale in camera, Petr si accorge che sdraiato sul letto non c'è il padre morto, bensì un uomo bello sveglio e in carne che, una volta accortosi della presenza di Petr, prende un'accetta e inizia a corrergli contro.

Questo sogno del protagonista può essere interpretato come un presagio di due eventi: il dissenso paterno (che una parte di Petr si aspettava) e l'arrivo, di lì a poco, di Pugacev e dei suoi compagni cosacchi, pronti a mettere a soqquadro i villaggi russi e pronti a bruciare, saccheggiare, impiccare e violentare. Per un pelo Petr scampa all'impiccagione. Durante la guerra di Pugacev invece perdono la vita il capitano Mirònov e la moglie la quale, a mio avviso, è un'ottima allieva di San Paolo apostolo: "Moglie è marito non sono forse una sola carne e un solo spirito?".

*I cosacchi erano i nomadi che percorrevano le steppe della Russia Meridionale.

3.DESCRIZIONE DI UN MIO SOGNO:

Come li considerate e come li interpretate i vostri sogni? Hanno avuto o hanno un minimo di attinenza con la vostra quotidianità? Riuscite a ricordarne uno di significativo?

Io vi racconto il mio di stanotte.

Guidavo. All'inizio del sogno era estate e c'era caldo. Mi ricordo bene tutte le vie e tutti i luoghi di Villafranca che ho percorso e passato, ma arrivo al punto in cui oltrepasso la zona del Tione, dell'Ospedale e del negozio di elettrodomestici. Ero ormai fuori città, in mezzo ai campi della pianura. Non c'era più il sole estivo, ma la nebbia. Una nebbia abbastanza alta. Non capivo più dove fossi esattamente. Ero in mezzo a un sentiero di campagna che non avevo mai conosciuto né attraversato prima!

Sono scesa dall'auto. Ero vestita così, come al giorno della discussione della tesi. Avevo freddo e niente per coprirmi.

Essendo sola avevo anche un pochino di paura. Ad un tratto però, abbracciata proprio da un leggero manto di nebbia, ho intravisto una casa di legno e l'ho raggiunta. Ero convinta, mentre la raggiungevo, che non ci fosse nessuno al suo interno. Invece, non appena apro la porta, mi trovo davanti una donna intorno ai 40 anni, con un vestito grigio lungo, un bambino pallidissimo e immobile in braccio. Il suo sguardo era severo. "Ciao Anna. Ti aspettavo", mi aveva detto. Sapeva tutto di me. In pochi minuti mi sono sentita la sintesi di ciascuna delle fasi di vita che finora ho attraversato: infanzia, medie, adolescenza, università. Sapeva tutto: come mi ero comportata, che scelte avevo fatto. Io, un po' stupefatta e un po' impaurita dalla sua severità e autorevolezza, sentivo la lingua attaccata al palato. 

Poi la signora si era avvicinata a me. E' stato allora che mi sono resa conto che suo figlio, molto simile a lei nei tratti, era... morto. "Mi dispiace molto", sono riuscita a dirle. 

A quel punto la donna in grigio mi ha accompagnato verso due poltrone. 

"Signora, non so esattamente dove sono. Improvvisamente è inverno e... devo ritornare a casa."

"Prima però devo farti due domande. Tu sei una ragazza che in questi anni ha dimostrato di essere brillante negli studi e di essere dotata di belle capacità umane. Eppure non ti vedo stare bene con te stessa. Come mai questo "male di vivere"? Cosa significa per te amare?". Il tono di voce della donna era già più morbido.

"Non posso essere tanto contenta, perché, se amare vuol dire soltanto appassionarsi alla letteratura, aiutare in casa e svolgere volontariato, non posso più essere pienamente soddisfatta. Vorrei potermi donare in maniera più profonda. poter trasmettere la passione per la vita e per i libri. Portare un figlio dentro di me, dare ogni giorno la vita per mio marito e per i miei figli. Questo per me è amare veramente".

A quel punto lo sguardo della signora si era fatto tenero. E mi sono sentita rispondere: "Ventisei anni sono ancora pochi. C'è tempo. Presto affronterai un periodo di grandi cambiamenti. E l'anno del tuo matrimonio non è così lontano come credi".

A quel punto c'era stato un silenzio nel nostro dialogo. 

E la voce della signora in grigio si era di nuovo un pochino indurita: "Non mi credi, vero? Ti ricordo che a te non è dato conoscere il futuro. Quel che invece dovresti fare è recuperare un po' di fiducia in te stessa".

A quel punto il sogno si è interrotto, visto che mi sono svegliata. Era ancora mattina presto. Mentre pulivo i pavimenti delle camere mi sono messa a piangere. Poi però ho iniziato a stare un po' meglio. Sto già meglio.


4.  IL ROMANZO LA FIGLIA DEL CAPITANO PUO' ESSERE CLASSIFICATO IN UN DETERMINATO GENERE?

NO. 

E mi permetto di affermare che è un'idiozia insegnare a suddividere rigidamente i romanzi in generi letterari, sia alle medie che al primo biennio di scuola superiore! In effetti, docenti e libri universitari ci hanno caldamente invitato a cambiare modo nello spiegare i generi letterari, che non vanno affatto divisi in compartimenti stagni! Come se un romanzo giallo non potesse assolutamente avere ad esempio anche una buona componente psicologica o storica! Allora si illustrano brevemente e chiaramente i significati di "storico", "sociale", "di formazione", "horror", "fantasy", "psicologico" e poi si precisa che uno non esclude gli altri.

In quale genere collochereste ad esempio I Promessi sposi del nostro grande Alessandro? Provate a dirmi "solo storico" per farmi saltare i nervi! E' riduttivo!!! Alessandro Manzoni non è forse il più grande scrutatore della psiche umana, soprattutto nella sezione dedicata all'Innominato? 

Il quarto capitolo, il nono e il decimo e il ventiduesimo appartengono al genere biografico: rispettivamente, la vita di Fra' Cristoforo/Lodovico, l'infanzia e l'adolescenza della Monaca di Monza e il vissuto di Federigo Borromeo. E pensate poi alla sezione dei capitoli XII°-XVII°: Renzo a Milano. Non è forse questa una sezione che si avvicina molto al romanzo di formazione? Se la lenta e inesorabile scalata verso i 30 non inganna la mia memoria, mi pare che Renzo venga messo a dura prova in quei sei capitoli e mi pare che ne esca più assennato e più astuto.

A tutte queste componenti aggiungete sicuramente anche quella sociale: si dà voce al travagliato percorso, esistenziale, spirituale ed economico di due umili, si parla di nobili oppressori, di leggi ingiuste scritte con toni barocchi e roboanti, delle conseguenze su famiglia e società della peste bubbonica del 1630, si parla dell'assalto dei forni a Milano da parte di una folla che non reggeva più l'aumento del prezzo del pane e della farina.

Ad ogni modo, come si classifica in modo decente La figlia del capitano?

Romanzo storico, prima di tutto, visto che il suo autore lo ambienta nella Russia della seconda metà del Settecento. Ma anche romanzo di formazione: Petr Grinev all'inizio è "il ragazzino di mamma", molto amato anche dal fedele Savél'ic. Ma le difficoltà, la rivoluzione e un'accusa ingiusta lo rendono uomo. Uomo e cavaliere della sua Masha. La figlia del capitano è dotato quindi anche di una componente romantica. E c'è anche una componente sociale: si imparano piuttosto bene le disuguaglianze delle classi sociali della Russia di 250 anni fa.

Vedete come la letteratura è nemica della superficialità?!

5.GUERRA DI PUGACEV, CENNI STORICI:

Per "guerra di Pugacev" si intende un periodo compreso fra il 1773-1775, anni in cui Emel'jan Pugacev, cosacco molto abile nel combattimento dal momento che era stato tenente dell'esercito imperiale, aveva approfittato per proclamarsi zar, dal momento che l'imperatrice dell'epoca, Caterina II, era impegnata in un conflitto con l'Impero Ottomano.

Pugacev aveva dunque assunto il nome di Pietro III e pretendeva di essere riconosciuto come tale dai contadini e dai soldati delle steppe russe. Chi non lo riconosceva imperatore era destinato all'impiccagione immediata. Negli anni della rivolta, il falso Pietro III aveva dichiarato l'abolizione della servitù della gleba.

Il vero Pietro III, di origini tedesche, era stato zar della Russia e marito di Caterina soltanto per 6 mesi; dopodiché, la moglie lo aveva esiliato: lo disprezzava di brutto e, d'altro canto, Pietro III non si era mai sentito adeguato al ruolo di zar.

Ma, nell'inverno 1775, lo pseudo-governo di Pugacev era stato represso dalla stessa Caterina II che aveva di conseguenza fatto arrestare e giustiziare Pugacev e tutti i collaboratori. Pugacev è stato decapitato... orribile destino riservato unicamente agli attentatori dell'Impero Russo. 

Posso dire che Puskin è stato intelligente nella stesura di questo romanzo? La componente storico-realistica è molto importante in  quest'opera, tuttavia, il lettore non prova mai odio per un Pugacev che fa mettere a morte degli ufficiali e ricorre alla prepotenza.

Indubbiamente quindi si tratta di un romanzo sulla misericordia e sulla carità: Pugacev, prima di iniziare a suo rischio e pericolo una rivoluzione armata, è stato un uomo che ha indicato la strada a Petr per una locanda. E' stato un uomo che camminava solo, al freddo, in mezzo ad una tempesta di neve. Era lui il viandante che aveva proprio bisogno della pelliccia!!

Adesso capite il motivo per cui Pugacev risparmia la vita sia a Petr che a Savé l'ic? Perché li riconosce e ricorda questo atto di generosità. 

Emel'jan Pugacev, prima di divenire un sanguinario che incute terrore, è un essere umano che conduce una vita precaria, senza una dimora fissa, senza ricchezze. Un'esistenza che prova rabbia per le ingiustizie subite dai poveri. La rivolta di Pugacev mirava a dare più diritti ai contadini russi.

(Se non vi ho scritto la trama per filo e per segno fino alla fine è perché vi consiglio questo libro piuttosto caldamente).

17 settembre 2021

"Mostellaria", Plauto

Mostellaria significa "commedia su un fantasma". monstellum è, letteralmente, il "mostriciattolo". Credo che vi divertirete un pochino, anche se qui presenterò alcune parti e alcune battute scritte in un latino poco simpatico. Si tratta di un latino ancora nella sua fase arcaica e antichissima, un po' diversa dalla lingua di Cesare o di Cicerone.

Ho deciso di liquidare la piacevole vena scherzosa di Plauto in un solo post, questo. Ho preferito offrirvi un approfondimento su una delle due commedie.

Chi mi conosce sa che di solito preferisco fare poche cose fatte bene che non molte e in modo superficiale.

ARGUMENTUM:

In 11 versi vengono riassunti i contenuti di quest'opera teatrale. Le lettere iniziali di ogni verso formano l'acrostico del titolo (MOSTELLARIA).

Manu misit emptos suos amores Philolaches

Omnemque absente rem suo absumit patre.

Senem, ut revenit, ludificatur Tranio;

Terrifica monstra dicit fieri in aedibus,

Et inde pridem emigratum. Intervenit

Lucripeta fenus fenerator postulans,

Ludosque rursum fit senex; nam mutuum

Acceptum tum dicit pignus emptis aedibus.

Requirit quae sint: ait vicini proxumi.

Inspectat illas. Post se derisum dolet,

Ab sui sodale gnati exoratur tamen.

Filolachete ha acquistato la sua amante per liberarla e, mentre suo padre manca, dilapida tutto il patrimonio. Il vecchio, quando fa ritorno, viene deriso da Tranione: (quest'ultimo) dice che in casa accadono fenomeni terribili e che già da tempo hanno dovuto trasferirsi. Giunge un usuraio, avido di guadagno, che richiede gli interessi, ma il vecchio è ingannato di nuovo: (Tranione) gli dice infatti che il prestito su pegno è stato fatto per comprare una casa. Chiede quale sia: gli risponde che è quella del vicino accanto. Va a vederla. Poi gli dispiace essere stato deriso, tuttavia, viene placato dall'amico di suo figlio.

aedibus (v.4)= da aedes, aedium, ovvero, "casa". Il singolare, aedes, aedis, significa invece "tempio".

gnati (v.11)= Voce arcaica per natus, i, figlio. Il verbo corrispondente è nascor, nasci. A proposito di sfera semantica della nascita e della generazione: i corrispondenti in greco antico sono γένος (=stirpe), γένεσις (=origine) e γίγνομαι (=nascere). Ricorda inoltre anche il latino gigno, "generare, far nascere".

*La seguente commedia, in cinque atti, è ambientata ad Atene.

ATTO I, SCENA PRIMA:

Il primo atto contiene quattro scene in totale.

La commedia si apre con il dialogo, o meglio, con il litigio fra i due servi: Tranione e Grumione. 

Teopropide, il loro padrone, si trova in Egitto da tre anni per motivi commerciali. Ha lasciato a casa il figlio Filolachete che, con la complicità di Tranione, si dà ad una vita dissoluta e immorale. 

Vi riporto soltanto due battute del dialogo (una per servo), vv. 12-15:

GRUMIONE: Patiar. Sine modo adveniat senex. Sine modo venire salvom, quem absentem comes.

TRANIONE: Nec veri simile loquere nec verum, frutex: comesse quemquam ut quisquam absentem possiet?

GRUMIONE: Pazienza. Lascia soltanto che ritorni il vecchio. Lascia solo che torni sano e salvo, quel pover'uomo che tu mangi mentre è assente.

TRANIONE: Ciò che dici non è verisimile né vero: testa di legno! Come si potrebbe mangiare qualcuno mentre è lontano?

salvom (v.13)= Accusativo arcaico per "salvum".

frutex (v.14)= Letteralmente significa "arboscello". Qui, sia io che Bettini, lo abbiamo trasposto in "testa di legno".

comesse (v.15)= da comedo, "mangiare", verbo derivato da edo, edis, edi, esum, edere, che porta lo stesso significato. Da qui deriva l'aggettivo italiano "edibile". Altro verbo è manduco, manducare, "masticare". 

Da segnalare infine l'anafora sine modo (=lascia soltanto che). Questa espressione anaforica appartiene alla battuta di Grumione e probabilmente ha la funzione di evidenziare quanto Grumione è in disaccordo con Tranione.

Come inoltre ricorda Grumione (e come ricorderà poi lo stesso padroncino), Filolachete era, prima della partenza del padre, un giovane atletico e diligente negli studi (vv.20-28):

GRUMIONE: Nunc dum tibi lubet licetque, pota, perde rem,

corrumpe erilem, adulescentem optimum, 

dies noctesque bibite, pergraecaminei;

amicas emite, liberate; pascite

parasitos; obsonate pollucibiliter.

Haecine mandavit, tibi, quom peregre hinc it, senex?

Hocine modo hic rem curatam offendet suam?

Hocine boni esse officium servi existumas,

ut eri sui corrumpat et rem et filium?

GRUMIONE: Ora, mentre tu puoi e vuoi, bevi, sperpera il patrimonio, corrompi il signorino, quel bravo ragazzo! Bevete notte e giorno, vivete alla greca, acquistate e liberate le amanti, nutrite i parassiti, imbandite banchetti degni degli dei! Sono questi gli ordini che ti aveva dato il vecchio partendo per un paese straniero? In questo modo riesci ad amministrare i suoi beni? Ritieni che il dovere di un buon servo sia questo, guastare sia il figlio sia le ricchezze al suo padrone?

lubet (v.20)= Arcaico per libet, "piace, è gradito".

pergraecaminei (v.22)= "vivere alla greca". Sostantivo largamente in uso per l'epoca letteraria di Plauto. Fa pensare al simposio, tipo di banchetto, sia greco che romano, in cui si gustavano vini, si ascoltavano le suonatrici di cetra e si cantava. Le danze non erano affatto escluse.

ATTO PRIMO, SCENA SECONDA:

Vorrei poi riportare una parte del monologo di Filolachete, nella scena seconda di questo atto (vv.118-122) e (vv.133-145). Interessante, dal momento che paragona l'essere umano appena nato e in fase di crescita ad una casa:

FILOLACHETE: Haec argumenta ego aedificiis dixi; nunc etiam volo

dicere ut homines aedium esse similis arbitremini. 

Primundum parentes fabri liberum sunt.

Ei fundamentum substruunt liberorum,

extollunt, parant sedulo in firmitatem

FILOLACHETE: Ora voglio anche dirvi come dobbiate credere che gli uomini siano simili ad una casa. Prima di tutto i genitori sono i fabbri dei loro figli. Costruiscono le fondamenta dei loro figli, li tirano su, si impegnano a consolidarli. 

liberum (v.120)= liberi, sono i "figli", la "prole".

firmitatem (v.122)= Fermezza morale, da firmitas.

FILOLACHETE: Nam ego ad illud frugi usque et probus fui,

in fabrorum potestate dum fui.

Postea, quom immigravi ingenium in meum,

perdidi operam fabrorum ilico oppido.

Venit ignavia. Ea mi tempestas fuit;

mi adventu suo grandinem imbremque attulit.

Haec verecundiam mi et virtutis modum

deturbavit detexitque a me ilico.

Postilla optigere me neglegens fui:

continuo pro inbre amor advenit (in cor meum).

Is usque in pactus permanavit, permadefecit cor meum.

Nunc simul res, fide, fama, virtus, decus

deseruerunt; ego sum in usu factus nimio nequor.

FILOLACHETE: Finché rimasi sotto l'autorità dei costruttori, ero un ragazzo buono e davo soddisfazioni. Ma poi, non appena mi sono trasferito in me stesso, ho presto perduto del tutto il lavoro dei costruttori. Mi prese la pigrizia. Questa fu il mio temporale: con il suo arrivo mi ha portato anche pioggia e grandine. Immediatamente mi strappò via ogni modestia ed ogni moderazione, e quasi mi ha lasciato scoperchiato. Poi non ho avuto voglia di rifarmi il tetto. E, con la pioggia, venne l'amore, e mi è filtrato sino in fondo al petto, ha oscurato ogni mia ragione. E ora patrimonio, credito, reputazione, virtù, decoro, tutti mi hanno abbandonato: io non sono più buono a nulla.

frugi (v.133)= Da frux, "frutto". Davo frutto, quindi, ero motivo di contentezza e di soddisfazione.

ignavia (v.137)= Pigrizia. L'ignavus è infatti il pigro.

Ho una domanda a proposito di questo monologo di Filolachete: ma chi sono per davvero le figure genitoriali? Dei gendarmi che controllano ossessivamente i loro figli oppure dei costruttori di anime che, una volta divenuti adulti, si riveleranno capaci di scegliere in consapevolezza e in libertà?

Il primo atto si conclude con un banchetto al quale partecipa anche Filemazio, amante di Filolachete.

ATTO II:

Atto formato da tre scene totali.

Teopropide giunge al porto di Atene. Ancora non sa che il figlio ha sperperato tutte le sue sostanze. Tranione però, una volta venuto a conoscenza del ritorno del vecchio, fa nascondere i banchettanti all'interno della casa. Ordina loro di stare in silenzio anche nei momenti in cui Teopropide busserà alla porta, li chiude a chiave dall'esterno e dice, a Teopripide che sopraggiunge, che la casa è infestata dal fantasma di un uomo ucciso tempo prima. (Ma che fantasia persuasiva!)

ATTO II, SCENA TERZA:

Dialogo fra Teopropide, che non riesce ad entrare a casa sua, e Tranione (vv.448-453):

TRANIONE: Ere, salve! Salvom te advenisse gaudeo! Usquin valuisti?

(= Salve, padrone! Sono contento che tu sia di ritorno sano e salvo! Sei sempre stato bene?)

TEOPROPIDE: Usque, ut vides.

(= Sì, come vedi)

TRANIONE: Factum optime.

(=Benissimo)

TEOPROPIDE: Quid vos, insanin estis?

(=Ma voi siete impazziti?)

TRANIONE: Quidum?

(=E perché?)

TEOPROPIDE: Sic: quia

foris ambulatis; natus nemo in aedibus

servat, neque qui recludat neque quis respondeat.

Pultando pedibus paene confregi hasce ambas foris.

(=Come "perché"? Siete tutti fuori, e in casa non c'è anima viva che dia un'occhiata, né qualcuno che apra o che risponda. A forza di bussare ho quasi fracassato i due battenti).

ere (v.448) è vocativo di erus (padrone).

foris (v.450)= Sono i battenti di una casa. Ianua è invece la porta di ingresso. Ianus, cioè Giano, era per gli antichi romani il dio del tempo con due facce. A Roma il tempietto di Giano era formato da due porte e un corridoio.

ATTO SECONDO, SCENA TERZA:

Prosegue il dialogo fra servo e vecchio padrone. Se ne riportano qui i versi 476-488:

TRANIONE: Scelus, inquam, factum est iam diu, antoquom et vetus.

(= Ti dico che è stato commesso un delitto, molto tempo fa: si tratta di un crimine antico, vecchio)

TEOPROPIDE: Antiquom? (=Antico?)

TRANIONE: Id adeo nos nunc factum invenimus.

(=Noi ce ne siamo accorti solo adesso).

TEOPROPIDE: Quid istuc est sceleris aut quis id fecit? Cedo.

(=Che assassinio sarebbe questo, chi lo ha commesso? Dimmelo)

TRANIONE: Hospes necavit hospitem captum manu.

Iste, ut ego opinor, qui has tibi aedis vendidit.

(=Un ospite ha ucciso con le sue mani il suo ospite. Egli, come io credo, è colui che ti ha venduto questa casa).

TEOPROPIDE: Necavit?

(=L'ha ucciso?)

TRANIONE: Aurumque ei ademit hospiti,

eumque hic defodit hospitem ibidem in aedibus.

(=E all'ospite ha portato via il suo oro, e l'ha sotterrato, l'ospite, in questa stessa casa).

TEOPROPIDE: Quapropter id vos factum suspicamini?

(=Ma che cosa vi fa sospettare un fatto simile?)

TRANIONE: Ego dicam, ausculta. Ut foris cenaverat

tuus gnatus, postquam rediit a cena domum,

abimus omnes cubitum, condormivimus.

Lucernam forte oblitus fueram extinguere; 

atque ille exclamat derepente maximum.

(=Te lo dirò, ascolta. Quando tuo figlio aveva cenato fuori, dopo che è rientrato a casa dalla cena ce ne siamo andati tutti a letto, dormivamo. Per caso, mi ero dimenticato di spegnere la lucerna. Ecco che lui all'improvviso urla)

TEOPROPIDE: Quis homo? An gnatus meus?

(=Ma chi? Mio figlio?)

TRANIONE: Tace! Ausculta modo.

Ait venisse illum in somnis ad se mortuum...

(=Taci! Pensa ad ascoltare. Dice che il morto era venuto da lui in sogno).

*A causa di questo episodio dunque, per Tranione sarebbe sacrilego abitare in quella casa.

Antiquom (v.476 e v.477)= Arcaico per antiquum. Antiqua è l'antichità e con  antiqui si intendono "gli antichi".

vetus (v.476)= Significa vecchio. I veteres sono gli antenati.

ATTO TERZO:

Atto di tre scene.

Compare qui l'usuraio Misargiride che, tempo prima, aveva prestato del denaro a Filolachete. Misargiride incontra Tranione e Teopropide. Ovviamente quest'ultimo è ignaro del prestito. Tranione ad ogni modo fa credere a Teopropide che i soldi
prestati al figlio erano stati impegnati per l'acquisto di una casa nuova. La casa nuova sarebbe quella del vicino Simone (ignaro di tutti questi fittizi e ponderati traffici commerciali).

Di questo atto riporto soltanto una frase di Simone, il vicino di casa di Teopropide (v.726):

SIMONE: Vita quam sit brevis, simul cogita.

(=Pensa a quanto è breve la vita!).

Le riflessioni sul tempo e sulla brevità e precarietà della vita abbondano in epoca greca e romana. Basti pensare intanto ad Asclepiade di Samo, poeta ellenistico (nato a Samo nel 305 a.C.), che scriveva δάκτυλος ώς e dunque, "la vita è breve come un dito".

O anche Seneca, nel suo De Brevitate vitae: la vita umana non è breve. Siamo non incapaci di sfruttare e di impiegare bene il tempo che ci è stato dato.

E poi il diabolico Tranione dice a Simone che Teopropide vuole visitare la sua casa per prenderla a modello in modo tale da poter fabbricare un gineceo.

ATTO IV, SCENA QUARTA:

Atto costituito da cinque scene.

Fanisco e Pinacio sono i servi di Callidamate, amico e compagno di bevute di Filolachete. I due servi cercano di entrare nella casa di Filolachete ma non ci riescono. Nell'incontrarli, Teopropide comprende di essere stato ingannato da Tranione.

Riporto la parte che comprende i versi 956-969:

FANISCO: Habitat profecto: nam heri et nudius tertius,

quartus, quintus, sextus, usque postquam hinc peregre eius pater

Abiit, numquam hic triduum unum desitumst potarier.

(= Ci abita, invece: infatti ieri, l'altro ieri e l'altro ieri ancora, e l'altro e l'altro, da quando suo padre è partito, qui non si è mai stati tre giorni di fila senza bere!)

TEOPROPIDE: Quid ais?

(=Che dici?)

FANISCO: Triduum unum est haud intermissum hic esse et bibi,

scorta duci, pergraecari, fidicinas, tibicinas ducere.

(=Dico che qui non si è mai stati tre giorni di fila senza mangiare e senza bere, senza affittare meretrici, senza divertirsi, senza affittare suonatrici di lira e di flauto).

TEOPROPIDE: Quis istaec faciebat?

(Chi faceva tutto questo?)

FANISCO: Philolaches.

(=Filolachete)

TEOPROPIDE: Qui Philolaches?

(=Quale Filolachete?)

FANISCO: Quoi patrem Theopropidem esse opinor.

(=Quello che ha per padre Teopropide).

TEOPROPIDE: Ei mihi occidi

si haec hic vera memorat. Pergam porro percontarier.

Ain tu istic potare solitum Philolachem istum, quisquis est,

cum ero vostro?

(=Egli mi uccide, se tutto questo è vero. Continuiamo a fargli domande. Tu dici che questo Filolachete, chiunque sia, ha l'abitudine di bere qui, con il vostro padrone?)

FANISCO: Hic, inquam.

(=Qui, ti dico).

scorta (v.961)=  Da scortum, "meretrice".

occidi (V.965)= Da occido, occidere e quindi, "cadere in rovina, morire, uccidere". Il supino attivo è occasum, da cui deriva occasus: tramonto. Occidio significa, naturalmente, "uccisione, omicidio".

Teopropide fa fatica a credere che suo figlio sia come Fanisco racconta. Ma è proprio in questo punto della commedia che inizia a crollare il meraviglioso castello di bugie costruito dall'architetto Tranione. Anzi, per dirla tutta, il castello di fandonie crolla totalmente nella quinta scena, quando Teopropide incontra Simone che sta rientrando in casa. "Tu hai ricevuto quaranta mine da Filolachete. Avete combinato un affare". "Cosa?! Quale affare? Tuo figlio avrebbe fatto un affare con me mentre tu non c'eri?".

ATTO V, SCENA SECONDA:

Teopropide, oltremodo arrabbiato, vorrebbe torturare Tranione. Il dialogo conclusivo fra Tranione, Teopropide e Callidamate convince Teopropide a perdonare sia il figlio che Tranione.

Ricopio e traduco una battuta di un Tranione un po' sconcertato dal fatto che Teopropide abbia scoperto tutti i suoi inganni (v.1071-1074):

TRANIONE: O mortalem malum!

Alter hoc Athenis nemo doctior dici potest. 

Verba illi non magis dare hodie quisquam quam lapidi potest.

Adgrediar hominem, appellabo.

(=Oh, maledetto! Non si può dire che ad Atene ci sia qualcuno che la sa più lunga. Oggi sarebbe più semplice raccontare frottole ad un sasso che a lui. Mi avvicinerò e gli parlerò).

alter (v.1072)= Alter è "altro fra due", alius invece "altro fra molti".

lapidi (v.1073)= da lapis, e dunque, "pietra, sasso".

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CONCLUSIONE FATTA DI BREVI RIFLESSIONI:

A) Questa commedia antichissima ci fa riflettere su un padre che, per la maggior parte della rappresentazione, ha un'alta opinione del figlio e nutre molta stima nei confronti di Tranione, Per questo dunque crede ciecamente a tutto ciò che il servo gli dice, anche all'assurdità del fantasma dentro casa.

B) Ricordo che nelle commedie di Plauto di solito i giovani si scontrano con i valori che l'educazione paterna, autorità che controllerebbe la loro libido (anche sessuale). Per di più, il servo di casa è spesso complice del giovane e non del vecchio. Per l'appunto, è il servus callidus, astuto.

C) Monsieur Goriot è un padre abbandonato e non amato dalle figlie. E' una figura drammatica che purtroppo è cosciente anche in punto di morte, visto che, da infermo, con le poche forze che gli restano, afferra il braccio di Rastignac e quello di Bianchon e dice: "Angeli miei!". Gli unici che gli hanno voluto bene, che comprendevano la sua bontà in un mondo cinico che non ricambia affatto la generosità. Teopropide è un padre ingenuo, credulone. Però è anche un padre ingannato. Ciò che mi sorprende è anche il mancato dialogo fra Teopropide e Filolachete. Non esistono in tutti i 1100 versi battute di dialogo scambiate fra padre e figlio.

D) Questa è anche una commedia sulla bugia. Sulla menzogna che, nei rapporti umani, non porta a nulla: rovina le amicizie, allontana la confidenza fra genitori e figli e in alcuni casi fa sbollire l'interesse verso una persona. Tanto prima o poi la verità viene a galla: il castello di balle, anche virtuali, è fatto di porcellana, non di mattoni.




12 settembre 2021

"Papà Goriot", H. de Balzac:

"Per quanto male ti vengano a dire della società umana, credilo,

 non c'è nessun Giovenale che possa dipingerne l'orrore,

avvolto nell'oro e nelle pietre preziose".

(Eugène de Rastignac)

È lungo, ma vi converrebbe reperire e leggere questo romanzo se avete un diploma di liceo classico o di liceo scientifico tradizionale dal momento che, al suo interno, si trovano diverse renimiscenze sia di mitologia greca, sia degli autori latini sia dell'arte greca. Io ho frequentato un classico con potenziamento della storia dell'arte. Si trattava di un piano di studi affascinante che, nel 2009, esisteva soltanto a Villafranca: fin dal primo anno del primo biennio avevo due ore la settimana di storia dell'arte, poi per il resto, il quadro orario era identico all'indirizzo del classico tradizionale.

Ad ogni modo, ho introdotto il seguente post con la citazione di un discorso diretto del giovane Eugène, uno dei personaggi principali e uno dei personaggi migliori.

Questa recensione è suddivisa per caratteristiche del romanzo.

A)INCIPIT DESCRITTIVO E NARRATORE ONNISCIENTE:

Ve ne riporto alcune parti:

Madame Vauquer, nata de Conflans, è una donna anzianotta che, da quarant'anni, gestisce a Parigi una pensione familiare, sita in Rue Neuve-Sainte-Geneviève, fra il quartiere latino e il faubourg Saint-Marcel. La pensione, conosciuta come Casa Vauquer, accetta tutti, uomini e donne, giovani e vecchi, senza che la maldicenza abbia mai scalfito l'onorabilità di quella rispettabile istituzione.

(...)

La casa in cui si gestisce la pensione appartiene a Madame Vauquer e si trova nella parte inferiore della rue Neuve-Sainte-Geneviève, in un punto ove il suolo si abbassa veros rue de l'Arbalète con una pendenza così brusca e ripida che ben di rado i cavalli la risalgono o la discendono. Motivo per cui regna il silenzio in quelle vie anguste fra i tempi di Val de Gràce e del Panthèon, due monumenti  che modificano le condizioni dell'atmosfera, spandendo dei toni gialli, e oscurano tutt'intorno con le tinte severe proiettate dalle loro cupole. Là il selciato è secco, nei rigagnoli non c'è nè fango nè acqua, lungo i muri cresce l'erba e anche l'uomo più spensierato, come qualsiasi passante, s'immalinconisce: il rumore di una carrozza diventa un avvenimento, le case sono tetre, i muri sanno di prigione.

(...)

La rue Neuve-Sainte-Geneviève, in particolare, è come una cornice di bronzo, l'unica che si attagli a questo racconto a cui non riusciremo mai ad accostarci con colori sufficientemente scuri e pensieri abbastanza gravi.

(...)

La facciata della pensione porge su un giardino così piccolo che, in pratica, la casa cade ad angolo retto sulla rue Neuve-Sainte-Geneviève, dove la si può vedere delineata in profindità. Lungo la facciata, fra la casa e il giardino, corre un acciottolato concavo, largo una tesa, davanti a cui si slancia un viale sabbioso, fiancheggiato da gerani, oleandri e melograni in grandi vasi di maiolica bianca e blu.

Come avrete potuto notare, già le primissime frasi del romanzo danno informazioni molto dettagliate su Madame Vauquer e sulle coordinate geografiche della pensione che gestisce. Seguono poco dopo altri dettagli topografici sulla rue Neuve-Sainte Geneviève e sull'esterno della pensione. È una descrizione quasi fotografica, precisissima.

Comunque siamo nella prima metà dell'Ottocento.

Poi devo farvi notare qualcosa di veramente importante:

(...) a questo racconto a cui non riusciremo mai ad accostarci con colori sufficientemente scuri e pensieri abbastanza gravi. Qui Balzac ricorre al plurale maiestatis per cercare di coinvolgere il pubblico dei lettori. Ma un'affermazione del genere può scriverla soltanto un "narratore onnisciente", (et.: omnia-scio). Si tratta di un narratore che non soltanto esterna le sue conoscenze su tutti i pensieri, gli stati d'animo e le azioni (presenti, passate e future) dei personaggi, ma che esprime, anche frequentemente, giudizi e commenti sulla storia che sta narrando.

B) PARIGI E L'IMMORALITA' DELLA SOCIETA':

Ma Parigi è un vero e proprio oceano. Gettatevi la sonda, e non ne conoscerete mai la profondità. Provatevi a percorrerlo, a descriverlo: per quanto numerosi e interessati siano gli esploratori di questo mare, s'incontrerà sempre un luogo vergine, un antro sconosciuto, dei fiori, delle perle, dei mostri, qualcosa di inaudito e dimenticato dai palombari letterari.

Che cos'è per voi la società del XXI° secolo? Un oceano, un mare o una serie di isole? 

Una cosa so: è una società di persone sole e a volte, alla solitudine si aggiunge anche l'egoismo e la mancanza d'anima. La società che presto sarà formata soprattutto da persone della mia generazione sarà una società di solitudini e di vuotezza!

Sei solo se mantieni il tuo senso di integrità, perché sei una barca controcorrente, perché sei un clown da deridere e da emarginare e basta. Ma sei solo anche se ti conformi agli altri, visto che gli altri non sanno amarti per come sei ma perché porti i loro stessi abiti, o assumi i loro stessi atteggiamenti.

"Per quanto male ti vengano a dire della società umana, credilo, non c'è nessun Giovenale che possa dipingerne l'orrore, avvolto nell'oro e nelle pietre preziose", dice Rastignac, studente di Legge, a Bianchon, studente di Medicina e suo coetaneo.

Giovenale era un poeta latino nato ad Aquino intorno al 60 d.C. Si hanno poche notizie sulla sua vita (forse è morto intorno al 130 d.C.?!), si sa più che altro che, nei suoi libri di Satire, egli denunciava con enorme sdegno i vizi e la corruzione dell'età imperiale. Nelle sue Satire Orazio dava anche delle informazioni autobiografiche, mentre per Giovenale questo genere poetico deve essere soprattutto un mezzo di denuncia e di ammonimento, senza alcuna auto-ironia.

Quando Rastignac pronuncia questa affermazione, il vero protagonista del romanzo, Papà Goriot, è già ammalato e le sue figlie, Anastasie e Delphine, se ne infischiano andando ai ricevimenti e ai balli di gala.

Rastignac ha 22 anni; è un giovane venuto dalle campagne, da una famiglia abbastanza povera ma dignitosa. Eugène conosce l'importanza dello studio, anche se si fa distrarre dalla possibilità di entrare nel mondo dei ricchi, spesso costituito da cinismo, di pettegolezzo e di superficialità.

Eugène per un periodo si lascia affascinare dalle apparenze, dal lusso e dallo sfarzo di conti e marchesi. Il loro stile di vita ricorda pressapoco quello descritto nella Signora delle camelie di Dumàs: da teatro, balli e ricevimenti i nobili ritornano a casa alle 4 e si svegliano poi a mezzogiorno, nel loro ingombrante baldacchino. 

Però alla fine Rastignac si indigna e si rattrista nel vedere il cinismo e l'insensibilità di Anastasie e di Delphine che non solo non si preoccupano della salute del loro padre mentre è moribondo e infermo, ma che non organizzano, non pagano e nemmeno assistono al funerale del loro padre. 

Nessuno merita un trattamento del genere da parte dei figli, neanche un padre che per tutta la vita ha sprecato soldi con le prostitute!

E poi pensavo, mentre leggevo e ben prima di arrivare alla fine: è un "romanzo di cattivi maestri". Vautrin, che alloggia alla pensione Vauquer e che è in realtà un assassino che si nasconde sotto falso nome, dà consigli del genere ad Eugène:

Ammettiamo che lei sia giudizioso, che beva latte e scriva elegie, dovrà, generoso com'è, cominciare- dopo tante noie e privazioni da diventare un cane rabbioso- col sostituire qualche marpione, in un buco di provincia, dove il governo le getterà mille franchi di stipendio, come si molla una zuppa al cagnaccio del macellaio. (...)

Se non ha protezioni, marcirà nel suo tribunale di provincia. Verso i trenta sarà giudice a milleduecento franchi l'anno, se non ha ancora gettato la toga alle ortiche. Quando avrà raggiunto la quarantina, sposerà la figlia di qualche mugnaio, titolare di una rendita di seimila lire.  Se invece otterrà delle protezioni, a trent'anni diventerà procuratore del re, con mille scudi di stipendio, e sposerà la figlia del sindaco.

(...)

Ho una laurea magistrale, ho fatto, da studentessa, e faccio servizi di volontariato. Eppure qualche volta mi sono sentita dire: cosa ci guadagni a fare la brava ragazza? A che cosa ti servono queste esperienze se non ti fanno guadagnare un soldo?

Mi servono per continuare ad essere umana, per cercare il confronto con gli altri, per non diventare una saccente che pontifica e che sentenzia sulle scelte degli altri. I rapporti umani, nella vita, credo che siano necessari tanto quanto la cultura. Se i giovani leggessero Povera gente di Dostoevskij forse comprenderebbero quanto è importante continuare ad essere umani e privi di giudizi e di idee preconcette. Lì leggerete anche di un padre ubriacone che corre, tra la pioggia e il fango, dietro al carro funebre che trasporta la bara di suo figlio morto prematuramente. Non è mai stato un buon padre anzi... eppure a modo suo voleva bene al ragazzo.

Ah... un'altro consiglio interessante che una volta ho ricevuto da qualcuna, purtroppo anche in età avanzata, che "compativa il mio percorso di studi". Era un consiglio "alla Berlusconi": sposati con un uomo più grande e ricco, un notaio, un dentista, un ingegnere che ti mantenga. Con Lettere non lavori. Farsi mantenere da un uomo... neanche se mi puntassero un cannone in faccia, perché poi magari vuol dire sottomissione, anche psicologica oltre che economica.

Domani mattina inizia il nuovo anno scolastico. Solo in provincia di Verona ci sono 69 cattedre scoperte di Lettere nelle scuole secondarie di I° grado e 48 nelle scuole superiori, delle mie stesse materie. Vedremo se non lavorerò! Per "M.A.D." si intende, è vero, "candidatura ad insegnare a tempo determinato presso l'istituto a cui la invii", in caso di congedi per maternità o per malattie. Ma non è detto che non mi possano conferire anche un incarico annuale, se in una scuola c'è una cattedra vuota per esaurimento di graduatoria. (Non sono in vena di ironie, non è proprio giornata).

L'onestà non serve a nulla. (...) La corruzione esiste in abbondanza, il talento è raro. La corruzione perciò è l'arma della mediocrità preponderante, e ne sentirà dappertutto l'aculeo. 

(...)

Se parlo così della gente, è perché la conosco. Crede che la biasimi? Niente affatto. I moralisti non la cambieranno mai. L'uomo è imperfetto.

L'uomo è imperfetto, ma chiamato a vivere per gli altri e con gli altri. Anche se il cooperare in comunità costa sofferenza. Nessun uomo sarebbe un'isola. 

C) PAPA' GORIOT:

Papà Goriot, uomo di circa 70 anni, nutre un amore cieco e fanatico nei confronti delle due figlie, che lo sfruttano soltanto per "scroccare soldi". Per buona parte del libro, è come se Goriot non volesse vedere la realtà.

Le mie figlie mi vogliono bene e io sono un padre felice. Solamente i miei generi si sono comportati male con me. Non ho voluto far soffrire quelle care creature per i miei dissapori con i mariti.

(...)

La mia vita, per me, è riposta nelle due figlie, Se si divertono, se sono spensierate, se sfoggiano abiti eleganti, se camminano sui tappeti, che importa la stoffa di cui sono vestito e il luogo dove dormo? Se hanno caldo io non sento il freddo. se ridono io non mi annoio mai. Le uniche pene sono quelle che hanno loro.

Certo, i generi di Goriot sono degni delle figlie. Goriot stesso, quando è in vita, incoraggia il rapporto extra-coniugale fra Delphine ed Eugène: prende per loro in affitto un appartamento.

Tuttavia, quello fra Delphine e il giovane studente, è vero amore, anche se dura un anno? No. Per Delphine Eugène è soltanto un passatempo fra i diversi amanti. E quanto ad Eugène...

Eugène si accorse che fino allora l'aveva solamente desiderata, l'amò infatti all'indomani della soddisfazione: l'amore forse non è altro che la riconoscenza del piacere. Infame o sublime, adorava quella donna per le voluttà che le aveva donato e per tutte quelle che aveva ricevuto; allo stesso modo Delphine amava Rastignac come Tantalo avrebbe amato l'angelo che fosse sceso a placargli la fame o a spegnere la sete delle sue fauci prosciugate.

Tuttavia, sul letto di morte, Goriot è costretto ad ammettere la verità:

Hanno tutte e due un cuore di pietra. Nutrivo troppo amore per loro perché ne fossi contraccambiato. Un padre deve conservare sempre le proprie ricchezze, e deve tenere i figli a freno come cavalli infidi. Io invece ero in ginoccchio davanti a loro.

Monsieur Goriot muore poverissimo e viene seppellito a spese di Bianchon e di Rastignac, cioè, proprio a spese di due studenti che con i loro pochi gruzzoli riescono a pagare un prete perché canti, nella cappella della chiesa, il De Profundis per il morto.   ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Prossima settimana: Plauto.

Al mio excursus letterario sulla figura paterna dovrò aggiungere anche un altro romanzo di valore storico: La figlia del capitano di Puskin.