Il gabbiano è una commedia in quattro atti di Anton Cechov.
Nel post di questa settimana vorrei riassumere i contenuti dei quattro atti, provare a riflettere su una concezione di teatro che traspare in quest'opera e presentarvi inoltre anche il tema della morte e del decadimento, presenti soprattutto nell'ultimo atto.
ATTO I°:
La scena si svolge nella villa di campagna di Sorin, ex consigliere di Stato in pensione e zio del giovane Konstantin Trepliov, aspirante scrittore. La sorella di Sorin è la Arkàdina, attrice vedova da tempo che ha come amante Borìs Trigorin, romanziere.
In questo atto alcuni personaggi stanno per assistere ad un dramma, che inizierà al sorgere della luna, scritto e diretto da Konstantin.
Nina, attrice in erba della quale Trepliov è innamorato, deve qui recitare la parte principale.
A questo punto vorrei riportare tre battute di un dialogo fra Nina e Konstantin:
NINA: Nella tua commedia è difficile recitare. Non vi sono figure vive.
TREPLIOV: Figure vive! Bisogna rappresentare la vita non com'è e non come deve essere, ma come ci appare nei sogni.
NINA: Nella tua commedia c'è poco intreccio, è tutta declamazione.
Nina non ha torto quando afferma che l'opera di Konstantin è "tutta declamazione"! Ve ne accorgerete quando citerò alcune parti di un lungo monologo che, al momento della rappresentazione, risulta quasi del tutto privo di azioni con specifiche finalità. Al corso di teatro ho imparato a distinguere tra movimento e azione (e, a dirla proprio tutta, la semantica dell'italiano dà pienamente ragione alla differenza che, secondo molti attori, intercorre tra queste due parole). Un qualsiasi movimento, come ad esempio spostarsi da una sedia ad un'altra, non ha finalità, l'azione invece sì. L'azione di sedersi per leggere o per suonare ha uno scopo, quindi, può rendere interessante il fare teatro.
Trepliov è convinto che l'opera teatrale non debba essere caratterizzata da contenuti attinenti con la vita reale (cioè veri e/o verosimili). Questa concezione si distanzia moltissimo dalla poetica di Alessandro Manzoni!
Per Konstantin, il teatro è "sogno" e, come i lettori avranno modo di appurare successivamente, "surrealtà". E ora ragioniamo con alcune considerazioni che mescolano la storia della letteratura con la storia del teatro.
Ques'opera è stata scritta nel 1895. Collocato nel tempo, questo anno appartiene senza dubbio al periodo della Belle Epoque, epoca che prevede l'aumento dell'utilizzo dell'energia elettrica nelle città d'Europa, la nascita della radio e del cinema. In Italia, nel 1895 a governare c'è Umberto I di Savoia e in Parlamento troviamo la Sinistra Storica con le sue per lo più inefficaci riforme sociali.
Ad ogni modo, è il 28 dicembre 1895 quando i fratelli Lumière rendono pubblico il loro primo cortometraggio intitolato L'uscita dalle fabbriche Lumière: qui, ovviamente in bianco e nero, senza parole o sottotitoli e senza alcuna tecnica sonora né alcun espediente di montaggio (per i primi montaggi alternati bisogna attendere l'inizio degli anni '30 del Novecento), viene rappresentata l'uscita di alcuni lavoratori alla fine del loro turno in fabbrica. Cinema davvero molto attinente con il reale!
Ora torniamo indietro nel tempo: prima di Goldoni c'era, in Italia, la cosiddetta "commedia dell'arte", nella quale si dava molta importanza alle capacità di mimare degli attori e anche, naturalmente, alla loro abilità nel rappresentare in modo comico dei tipi fissi (non personaggi con psicologia e profondità di stati d'animo). Questo tipo di commedia prevedeva un "canovaccio", scritto nel quale venivano riassunte azioni ed eventi da mettere in scena, ma, attenzione, non erano scritte battute da mandare a memoria. Era dunque anche un teatro di improvvisazione.
Poi arriva Goldoni che, nel 1738, per il Momolo Cortesan, la sua prima commedia in dialetto veneziano, stila il copione soltanto per il protagonista. Nella sua riforma sul teatro italiano, Carlo Goldoni pian pianino abolisce i tipi fissi e le maschere a favore di personaggi dotati di determinazione (come Mirandolina) e di una specifica psicologia che li contraddistingue. E il copione viene esteso a tutti i personaggi.
La commedia dell'arte ha per protagonisti delle maschere conosciute dalla tradizione popolare (Arlecchino, Pulcinella, Colombina), mentre invece, nella commedia di Goldoni, compare la borghesia con i suoi valori, i suoi principi e la sua etica del lavoro, quindi in genere, un qualcosa di vicino alla realtà di quel tempo.
Cosa c'è stato nella letteratura russa prima del 1895?
-Tolstoj, con la sua passione per la storia e per dei personaggi ben radicati nel contesto di primo Ottocento, riguardante il conflitto con la Francia napoleonica ("Guerra e Pace") e anche certamente per le vicende delle famiglie borghesi ("La felicità familiare", "Anna Karenina", "La morte di Ivan Il'ic").
-Dostoevskij, con le sue opere profondamente psicologiche, in grado di scandagliare le angosce e le inquietudini dell'animo umano, di personaggi che si trovano di fronte a sentimenti che nella vita reale sono da sempre eterni, come l'odio, la rabbia, la contraddizione interiore, la nostalgia, la disillusione ("Delitto e castigo", "Le notti bianche", "Povera gente", "Il giocatore", "L'eterno marito").
*Pasternak è del Primo Novecento e, non preoccupatevi, non mi sono dimenticata del Dott. Zivago.
Entrambi gli scrittori sono vicini e attinenti al reale, proprio come Verga in Italia che, nei Malavoglia tratta le condizioni degli umili e dei ceti bassi, in Mastro Don Gesualdo la melanconia e la solitudine esistenziale borghese. In Francia, con Zola succede più o meno la stessa cosa.
In Regno Unito, con Dickens soprattutto, vengono creati romanzi sociali sulla povertà, sull'industrializzazione crescente di Londra e sui maltrattamenti verso i bambini ("Oliver Twist", "David Copperfield", "Tempi difficili"). Jane Austen, che di poco precede Dickens ma che fa parte comunque del primo Ottocento, parla di matrimoni, di ingressi in società delle ragazze piccolo-borghesi in età da marito, di doti, di sentimenti e di fraintendimenti che precedono i fidanzamenti e che spesso si rivelano formativi per la crescita affettiva delle protagoniste. Anche qui: tutto vicino al reale.
E prima c'è Shakespeare: l'intensità dei sentimenti dei suoi personaggi, le situazioni di contrasti familiari... Anche Shakesperare, devo ammetterlo, era un fine psicologo.
Quindi, dopo queste considerazioni, possiamo desumere che l'Ottocento, in tutta Europa, è stato un secolo caratterizzato, in gran parte, da opere letterarie vicine o attinenti al reale, al sociale e al quotidiano.
Alcuni anni dopo il 1895, i pittori per primi e in seguito anche gli scrittori, avvertono il bisogno di fare l'opposto rispetto alla tradizione e da qui nascono l'astrattismo, il cubismo, l'espressionismo, il surrealismo e, dopo la bomba atomica del '45, negli Stati Uniti nasce l'informale con Pollock. In letteratura italiana da una parte compare il provocatorio movimento futurista che vorrebbe stravolgere persino le regole sintattiche, mentre dall'altra si intensifica il filone autobiografico e psicologico con leggero sfondo storico, sicuramente più inerente alla realtà borghese (poesie di Ungaretti, Il mio Carso di Slataper, i Canti Orfici di Dino Campana, i tre noti romanzi di Svevo).
A quanto sembra dunque, anche Trepliov è "stanco del reale, del verosimile, del sociale, del psicologico". La vita come ci appare nei sogni... E' una frase che sembra volersi distaccare da gran parte della tradizione, anche recente, per mettere in scena un'opera pseudo-fantascientifica. In effetti, Trepliov quella sera presenta sul palcoscenico un'opera ambientata in un remoto futuro, fra centomila anni.
Vi riporto alcune frasi recitate da Nina:
Gli uomini, i leoni, le aquile e le pernici, i cervi dalle ampie corna, le oche, i ragni, i muti pesci abitanti nell'acqua, le stelle marine e quegli esseri che non si potevano scorgere ad occhio nudo, - in breve tutte le vite, tutte le vite, tutte le vite, compiuto un malinconico ciclo, si spensero... (...) Freddo, freddo, freddo. Vuoto, vuoto, vuoto. Paura, paura, paura. I corpi delle creature viventi svanirono nella polvere, e l'eterna materia li mutò in pietre, in acqua, in nuvole, e le loro anime si fusero in una. (...) Sono sola. Una volta ogni cento anni io apro bocca per parlare, e la mia voce risuona squallida in questo vuoto, nessuno la sente...
Cosa significa per voi fare letteratura?
Quanto, secondo voi, è incisiva l'azione in un atto teatrale?
Quale genere di letteratura e di teatro, a vostro avviso, è dotato di maggior qualità tra il verosimile e il fantastico?
ATTO II°:
Qualche giorno dopo la rappresentazione (che è stata in effetti un insuccesso), Trepliov uccide un gabbiano che consegna a Nina, inorridita. Nina non comprende il gesto del giovane, che invece, per noi lettori, è simbolo di insoddisfazione esistenziale e di ricerca della felicità. Konstantin crede che la sua felicità possa dipendere da una relazione con Nina. I gabbiani, come si accenna anche ad una poesia di Cardarelli che inizia così: Dove trovano pace i gabbiani?
In effetti, i gabbiani sono uccelli nomadi e, come noi, non sono fatti per la staticità dal momento che "esistere" significa "essere in cammino".
Si scopre qui che Nina è attratta da Borìs Trigorin, scrittore continuamente ispirato per immagini:
Giorno e notte mi affligge un solo pensiero molesto: io devo scrivere, io devo scrivere, io devo... Ho appena finito una novella che subito, non so perché, devo scriverne un'altra, e poi una terza, e dopo la terza una quarta... Scrivo senza interruzione, cambiando i cavalli alle stazioni di posta, e non posso altrimenti. (...) Vedo una nuvola simile a un pianoforte. Penso: bisognerà accennare in qualche racconto che fluttuava una nuvola simile ad un pianoforte. (...) Colgo ogni parola, ogni frase, che io e lei pronunziamo e mi affretto a rinchiuderle tutte nel mio deposito letterario: potranno servirmi!
Secondo voi questo è autentico talento oppure è una compulsione ossessiva volta a riempire la vita, vuota di relazioni e, oserei dire, anche di vera interiorità?!
ATTO III°:
L'atto terzo è drammatico in tutti i sensi. Trigorin e la Arkadina partono per Mosca. Trepliov tenta il suicidio. Le condizioni di salute di Sorin peggiorano.
In questo punto del dramma diviene chiaro che la Arkadina non ama per nulla suo figlio, ragazzo che lei, in pratica, considera inutile e presuntuoso. Questa donna tiene molto di più all'amante che non al figlio, disperato e frustrato di fronte agli eventi della vita e privo di amore. Per la madre prova un affetto non ricambiato.
Il gabbiano morto nell'atto precedente rimanda quindi anche all'esistenza sola e triste di Trepliov.
ATTO IV°:
Tra il terzo e il quarto atto c'è uno stacco temporale di due anni. L'ultimo atto del dramma si svolge tutto nello studio di Trepliov. I lettori vengono a conoscenza del fatto che Nina ha girato mezza Russia in quel periodo come attrice, ma senza aver mai avuto un vero successo.
Qui entra anche il tema del decadimento fisico, con le condizioni di Sorin che peggiorano. Finora non ho mai nominato Dorn, medico amico da una vita di Sorin, persona che sarebbe dunque, a rigor di logica, idonea ad assisterlo e a curarlo.
Sorin in quest'atto non cammina più, fa la spola tra carrozzina, letto e divano. E' il più sobrio e il più buono dei personaggi. Ha sempre avuto una vita tranquilla. E ad un certo punto dice, in modo molto lucido: Che strano! Sono malato, sto peggiorando, eppure, non mi si dà nessuna medicina.
E per tutta risposta si sente dire da Dorn: Ma cosa pretendi? Ogni vita umana, secondo le leggi della natura, deve aver fine.
Ma che gran bel gusto che c'è ad essere amico di una persona così delicata e sensibile! Simpatia, empatia e professionalità portatemi via...!!!
Mai lasciare da soli gli ammalati, indipendentemente da fatto che abbiano 11, 18, 36, 40, 55, 60, 70, 95, 100 anni!! Li si accompagna fino alla fine.
Certo che la morte, per ognuno di noi, è inevitabile, e un giorno lo sarà anche per la sottoscritta. Ogni vita umana ha fine.
Ma forse, ad un certo punto della vita, il pensiero e l'inevitabile dolore di dover andarsene per sempre, divengono più sopportabili se accanto si hanno persone che si preoccupano e si occupano di te. L'importante, credo, è non morire soli, in modo tale da sentire il calore umano nell'ultimo periodo di vita.
Vi cito Seneca: In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterit; quidquid aetatis retro est mors tenet.
(In questo infatti ci sbagliamo, dal momento che ci avviciniamo alla morte: gran parte di questa è già passata, qualunque periodo che è trascorso lo tiene la morte).
(Epistola a Lucilio, I)
Dorn, la Arkadina e Trigorin giocano a tombola.
Trepliov è depresso. Mentre, nel primo e nel secondo atto, a questo personaggio vengono attribuite un buon numero di battute, qui quasi non parla. Perché a fine dramma si suicida, dopo aver strappato tutti i suoi manoscritti.
Nina non lo ha mai veramente amato, lei è indifferente, assolutamente non propensa a consolare la sua sofferenza. Più volte, nel corso di un dialogo, dice a Konstantin: Io sono un gabbiano.
In questo caso il gabbiano rappresenta tutti i viaggi (a vuoto e senza buone prospettive di carriera) della ragazza da un teatro all'altro, alla ricerca appunto di felicità, successo, fama e ricchezza. Nina non si rende conto però di non decollare come attrice, al punto tale che dice, pochi istanti prima che Trepliov muoia: Arrivederci! Vieni a trovarmi quando sarò famosa!
...Senza rendersi conto dello strazio di chi ha davanti.
Trepliov muore prima dello zio e decide di morire a 27 anni.
Quanto la mancanza d'amore è direttamente proporzionale alla voglia di morire?
KONSTANTIN TREPLIOV:
Devo ammetterlo, nel primo atto mi stava antipatico. Poi ho provato pietà, un profonda pietà.
Konstantin viene paragonato da alcuni critici all'Amleto di Shakespeare perché, come Amleto cerca di salvare sua madre Gertrude dallo zio Claudio, così Konstantin intuisce la vera natura (=insensibile e bieca) di Borìs e cerca di farlo capire a sua madre. Anzi, vi dirò di più: nel terzo atto Trepliov, che è colto (ma la cultura non dà felicità e una prova di ciò sono i nonni di chi appartiene alla mia generazione), cita alla madre l'Amleto: E perché indulgi nel vizio, cercando l'amore nell'abisso del crimine?
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-A conclusione di questa impegnativa (e pesante) tematica, per la prossima settimana è programmata la recensione del film In the year 2889, a mezza via tra l'horror e il fantascientifico. E' un film che ha ormai poco più di 50 anni, di valore, comprensibile se collocato storicamente. Però è apocalittico. Già solo per questo raccomando ai miei lettori di tenere lontani dal post della settimana prossima gli under 18 (ma direi anche i diciottenni se possibile) e raccomando caldamente ai ragazzi di quella fascia d'età di non leggere neanche per curiosità quel che scriverò su quel film. Soltanto per una settimana. Non è affatto una pellicola scandalosa, ma, a quell'età, si deve pensare alla vita e alle piccole soddisfazioni di ogni giorno, non alle guerre nucleari che devastano natura e umanità! Questi sono argomenti per giovani adulti e per adulti.