25 agosto 2022

Storia della novella italiana:

Vengono qui riassunte le tappe più significative degli sviluppi della novella in Italia.

Che cos'è la novella, innanzitutto?! 

Durante la frequentazione dell'insegnamento di Storia del romanzo italiano a me è piaciuta molto la definizione di Cesare Segre: la novella è una breve narrazione in prosa con personaggi umani ma di solito non storici. I contenuti sono verosimili.

Gli studiosi della nostra letteratura sostengono inoltre che la novella sia diversa sicuramente dalla favola la quale, sin dai tempi di Esopo, ha per protagonisti esclusivamente gli animali, ma anche dalla fiaba, la cui principale caratteristica è l'elemento magico.

Nelle novelle non ci sono né eroi né eroine, al contrario del genere epico. I personaggi delle novelle hanno estrazioni sociali diverse gli uni dagli altri, visto che possono essere dei nobili e dei mercanti ma anche artigiani, contadini e membri del clero.

1) QUANDO NASCE LA NOVELLA ITALIANA? 

La novella italiana nasce in Toscana alla fine del Duecento con il Novellino, costituito da un prologo e da 99 testi brevi. L'autore di questa raccolta ci è tuttora sconosciuto ma si presume sia stato attivo dal punto di vista letterario tra il 1281 e il 1300. Gli argomenti e i contenuti di queste novelle sono tratti sia dal mondo cavalleresco, sia dalla mitologia greca sia dalle leggende del ciclo bretone. 

Ad ogni modo, la novella diviene, nell'epoca del Basso Medioevo, dapprima un'alternativa all'exemplum, brevissimo racconto a scopo didattico e morale diffusosi nella letteratura latina medievale e legato alla fondazione di nuovi ordini religiosi. L'exemplum viene poi incorporato nelle novelle e ha queste caratteristiche: un'estrema sintesi nella forma e nei contenuti, lo scopo sia di istruire che di dimostrare la validità di una tesi o di un insegnamento.

2) LA BREVITAS DELLE NOVELLE: 

La brevità di una novella non si misura con il numero di pagine o con la quantità delle parole impiegate. 

Consiste semmai in una sorta di economia narrativa che presuppone innanzitutto un ritmo del racconto scorrevole, fluido e rapido e poi anche una certa chiarezza espositiva: mai dire più di quanto occorre!

Nel Medioevo il procedimento stilistico della brevitas era un precetto retorico molto impiegato in ambito forense, contrapposto all'amplificatio

I maestri di retorica, come ad esempio Quintiliano, hanno indicato il modo di ottenere l'effetto brevità: il racconto di un evento deve iniziare di scorcio e procedere sinteticamente e in modo conciso, senza lunghe digressioni e senza mettere l'accento sui particolari. Questo comportava sicuramente un andamento paratattico nei periodi e inoltre anche l'eliminazione di ripetizioni inutili che potevano annoiare gli ascoltatori.

Nel comporre il Decameron, Boccaccio accoglie la caratteristica della brevitas elogiandola in qualche passaggio.

Penso ad esempio alla sesta giornata, quando Filomena, una delle narratrici, definisce la brevitas come prerogativa femminile e narra la novella di Madonna Oretta, storia caratterizzata dal tema del motto, una frase ad effetto ironica finalizzata a concludere una novella.

Madonna Oretta è molto spiritosa e si prende gioco di un occasionale corteggiatore: durante una passeggiata a piedi il cavaliere dice di volerla "portare a cavallo con una novella" per renderle più piacevole il percorso. Però, mentre racconta, si rivela un narratore goffo, che continua a ripetere le stesse frasi. Così ad un tratto, Oretta prega il corteggiatore di "lasciarla scendere da cavallo".

D'altra parte, nelle sue Lezioni americane, Calvino paragona la novella ad un cavallo che trasporta le parole a una certa velocità. Quindi i narratori e gli autori di novelle non possono permettersi di essere maldestri!

3) LA CORNICE DEL DECAMERON


Ritengo importante soffermarmi sulla cornice del Decameron. 

I dieci narratori (sette ragazze e tre ragazzi) che, a causa dell'imperversare della peste a Firenze, si trovano in aperta campagna, rappresentano l'elite intellettuale che testimonia il proprio tempo e che trasmette alcuni valori, quali la solidarietà, l'amicizia, la semplicità, utili per attuare una vita comunitaria ideale.

La cornice del Decameron ha due funzioni: mette ordine alle tematiche proposte nelle novelle ed inoltre esiste affinché i narratori siano i mediatori tra Boccaccio autore e i lettori di ogni tempo.

Nel prologo sembra proprio che Boccaccio promuova l'otium, ovvero, una narrazione fondata sul piacere dell'ascolto. Per questo egli si rivolge alle donne oziose che trascorrono il loro tempo leggendo o ascoltando novelle.

4) LA NOVELLA NELL'OTTOCENTO:

Negli anni '30 e '40 del XIX° secolo fiorisce la novella tedesca i cui contenuti fondamentali sono essenzialmente o la casualità degli eventi o il fatto inaudito (unerhorte Begebenheit). Soprattutto Goethe ricorre al fatto inaudito inteso sia come il soprannaturale, sia come il non quotidiano, sia come la narrazione di un qualcosa di mai sentito prima.

Ad ogni modo, in Italia e in epoca risorgimentale, i termini "racconto" e "novella" vengono utilizzati come sinonimi. Ma, dopo Pirandello, il termine "novella" cade in disuso e la parola "racconto" predomina.

C'è inoltre differenza tra "racconto" e "bozzetto", dal momento che quest'ultimo è soltanto un testo privo di conclusione e senza intreccio.

Nella letteratura italiana, dopo secoli di poemi (L'Orlando Furioso, La Gerusalemme Liberata, L'Adone) e di liriche (i poeti rinascimentali e barocchi e i poeti dell'Arcadia), risorge, negli anni Sessanta del XIX° secolo, la novella, con i contenuti anche inquietanti. Un esempio di ciò è la novella più famosa di Arrigo Boito intitolata L'Alfiere Nero. 

Eccovi i contenuti dell'Alfiere Nero:

Siamo in montagna, in una stazione termale svizzera. Ci sono due giocatori: Anderssen, americano bianco, e Tom, schiavo nero originario delle Antille. I due uomini si sfidano in una partita a scacchi che sembra non finire mai. Tuttavia, tramite l'alfiere nero, Tom ad un certo punto dà scacco matto al re di Anderssen. Il giocatore bianco uccide Tom a colpi di pistola ma... con una conseguenza: non riuscirà mai più a vincere una partita, tormentato dal rimorso.

Di poco successiva è la novella di Caterina Percoto, friulana, intitolata Un episodio dell'anno della fame. Qui si raccontano le travagliate vicende di una famigila di contadini durante un periodo di carestia. Il protagonista è Pietro, giovane bracciante sposato e con un figlioletto piccolo a cui muore la madre di inedia. L'autrice interviene spesso per giudicare chi non esercita la carità cristiana e per compatire i poveri. Tuttavia, in questa novella, l'intervento della Provvidenza è ancora possibile (mentre in Verga no!): il parroco del paesino al quale sta simpatico Pietro riesce a trovare un lavoro a quest'ultimo.

Poi, sempre nella seconda metà dell'Ottocento, arriva Verga che adotta l'impersonalità nella narrazione: scompare quindi il punto di vista dell'autore, le strutture linguistiche ricalcano il parlato e viene illustrata la condizione degli umili senza che l'autore parteggi apertamente per loro. Così viene annullata la distanza culturale e linguistica tra il narratore e i personaggi.

Quello delle novelle (e dei romanzi) di Verga è un mondo soggetto alla fiumana del progresso materiale e tecnico che minaccia e smantella le forme del vivere comune (famiglia, chiesa e comunità). 

Significativo è l'esempio di Rosso Malpelo. 

Malpelo lavora in una cava e, a causa dell'ignoranza e della superstizione di chi lo circonda, è ritenuto "cattivo e malizioso". Rimasto orfano di padre (l'unico che lo amava), Malpelo reagisce assimilando la violenza che gli altri minatori esercitano su di lui: per questo assume un carattere duro. Il ragazzo, alla fine della novella, si perde per sempre all'interno di un tratto inesplorato di cava.

5) NOVELLE DI PIRANDELLO: 

Nelle novelle di Pirandello il caos e l'irrazionale prevalgono sulla ragione: la conoscenza del reale perde ogni oggettività per diventare frammentata e soggettiva. 

I personaggi di Pirandello sono degli attori di vita sociale. 

Pirandello rifiuta l'impersonalità verghiana ricorrendo a delle conclusioni epifaniche.

D'altra parte, Luigi Pirandello è contemporaneo al modernismo e i temi delle novelle moderniste europee riguardano le nevrosi, l'inettitudine, la vita in ambienti cittadini, la dimensione onirica. 

E, nei Dubliners di James Joyce, compaiono le "epifanie letterarie", ovvero, delle rivelazioni improvvise che scaturiscono da contesti di banalità quotidiana.

Un esempio di conclusione epifanica è la novella Ciàula scopre la luna: l'apparire della luna crea un effetto di sospensione e di improvvisa rivelazione in un contesto quotidiano:

Con le mani tra i capelli, si voltò a guardare verso la casa campestre: ma fu colpito negli occhi improvvisamente dall'ampia faccia pallida della luna sorta appena dal folto degli ulivi lassù; e rimase atterrito a mirarla. (...) E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva per il cielo, la luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco...

... A questo blog ultimamente mancano gli argomenti cinematografici. Sono effettivamente alla ricerca di film significativi.

17 agosto 2022

"Opinioni di un clown", H. Boll:

 "Ma che tipo di uomo sei, in conclusione?"

"Sono un clown"- risposi-" e faccio raccolta di attimi. Ciao".

Inizio questo post con la citazione di un passo che si trova alla fine del penultimo capitolo di questo particolare e impegnativo romanzo ambientato all'inizio degli anni Sessanta. Questa è infatti la parte finale della telefonata tra due fratelli: Leo, studente di teologia di venticinque anni, e il protagonista Hans, ventottenne clown. La narrazione è in prima persona e si svolge, in gran parte, nell'appartamento di Hans a Bonn, luogo in cui egli fa una serie di telefonate alle persone che conosce.

A) DELUCIDAZIONE SUI CONTENUTI:

Tutto il romanzo è imperniato sulla vita, già distrutta e fallimentare, di Hans Schnier. Si tratta di un'esistenza nella quale nessuno degli obiettivi e dei progetti prefissati è andato a buon fine: la sua professione lo ha ridotto in povertà, il giovane coltiva da anni una forte rabbia verso entrambi i genitori, e tra poco chiarirò il motivo, e inoltre ha perduto definitivamente la donna che amava. Lei non è morta, semplicemente, ha scelto Zupfner, cattolico praticante, come marito. E anche qui vedremo le ragioni che l'hanno spinta a tagliare i ponti con Hans.

Nel romanzo c'è pochissima azione non soltanto per il fatto che vengono messi in evidenza soprattutto i pensieri del clown ma anche per altri due aspetti importanti: perché sono numerosi i dialoghi tra il protagonista e i suoi interlocutori telefonici e anche a causa della consistenza narrativa assunta da quei flashbacks che rimandano ai ricordi di infanzia, alla convivenza con Maria, durata alcuni anni, e al periodo del nazismo.

A1) Spicca, nella prima parte del romanzo, il ricordo della sorella Henriette: 

Da quando è morta mia sorella Henriette, per me i miei genitori non esistono più come tali. Henriette è morta già da diciassette anni. Ne aveva sedici quando la guerra stava per finire: una bella ragazza bionda, la miglior giocatrice di tennis fra Bonn e Remagen. Allora la parola d'ordine era che le ragazze si arruolassero volontarie nella Flak (la difesa antiaerea), e Henriette si arruolò, nel febbraio 1945. Tutto si svolse così in fretta che io non me ne resi nemmeno conto. Tornavo dalla scuola e attraversavo la Kolner Strasse, quando vidi Henriette seduta nel tram che partiva proprio in quel momento, diretto in città. Mi fece un cenno di saluto e rise e anch'io risi.

(...)Hans crede che sua sorella maggiore sia partita per una gita scolastica e invece, una volta arrivato a casa per il pranzo, ecco cosa gli viene detto...

Quando alzai gli occhi su mia madre, ella disse con la sua voce dolce: "Capirai anche tu che ciascuno deve fare la sua parte per ricacciare gli yankees ebrei dalla nostra sacra terra tedesca.

B) COSA DICO IO DI HANS SCHNIER:

In questo paragrafo c'è soltanto l'opinione che io mi sono fatta di Hans. 

Hans è agnostico e molto critico, a tratti sprezzante, verso i cattolici.

Ad ogni modo, prendendo in considerazione le otto tipologie caratteriali di Le Sènne*, definirei il suo carattere sentimentale. Anzi, a mio avviso è un sentimentale puro, il che non è il massimo: si tratta di una struttura caratteriale costituita anche da aspetti positivi e preziosi, come l'originalità, un'accentuata sensibilità e un certo anti-conformismo che li rende anti-convenzionali. Però sono sostanzialmente degli inattivi, molto più propensi al lamento, all'invidia e alla polemica piuttosto che al pensiero e al rimboccarsi le maniche, e questo per me è un grosso limite. Ai sentimentali, come d'altronde ad Hans, piace crogiolarsi nei ricordi. Ma, oltre ai rimpianti, l'ancora giovane Schnier aggiunge anche la dipendenza dall'alcool da quando Maria lo ha lasciato.

Il clown in questione è emotivo, si commuove facilmente. Ecco vi una prova di ciò: durante una telefonata chiede all'amica Monica Silvs di suonare al pianoforte esattamente la mazurca di Chopin che, diversi anni prima, il fratello Leo suonava la mattina in cui Hans era rientrato a casa dopo la prima notte d'amore con Maria. E leggete quel che accade nell'animo del protagonista di questo romanzo:

Udii Monica che posava il ricevitore sul coperchio del pianoforte e cominciava a suonare. Suonava splendidamente, il tocco era perfetto; ma mentre suonava mi sentii infelice da morire e cominciai a piangere. Non averi dovuto tentare di far rivivere quel momento (...). I momenti della vita non si possono ripetere e neppure si possono dividere con altri.

Siete d'accordo con l'ultima frase? Io in parte. I momenti della vita, anche i più belli, sono unici, non possono essere ripetuti: passano gli anni, le esperienze. Cambiamo noi e si modifica il nostro modo di vedere il mondo man mano che proseguiamo nel percorso della vita. Però i momenti si possono (con-)dividere con altri, basta che siano disposti ad ascoltarci e ad accoglierci per quel che siamo e per quel che portiamo dentro di noi.

Hans è un artista, ha rinunciato ad un posto in ufficio e ad un percorso di studi accademico pur di seguire questa sua originale decisione di cimentarsi nel rischioso e precario ruolo di clown. Ma ha fatto davvero bene? E poi, è davvero portato per questa strada, se come clown suscita più compassione che risate? Quando gli viene offerta, da parte del padre, la possibilità di migliorarsi frequentando una scuola di recitazione, egli la rifiuta.

Hans Schnier è incapace di concretizzare il suo futuro. Bello essere contro corrente, bello porsi con spirito critico di fronte ad una società che valorizza l'economia, il benessere materiale e il profitto spesso a scapito dei rapporti umani. Ma non si vive di crucci, come non si può vivere soltanto di rancori e di ricordi.

Hans e Maria sono stati, secondo il mio parere, una coppia da sempre fragile: non condividevano le idee religiose e di fede dal momento che lei è sempre stata cattolica e ha sempre frequentato circoli di stampo liturgico-culturale presso i cattolici. 

Oltre a ciò, li ho trovati profondamente diversi dal punto di vista dell'indole: Hans sa essere schietto e diretto, in altri flashbacks ci si accorge infatti che non si fa problemi a polemizzare e a litigare, anche con teologi eminenti che lo invitano a cena, e questo a Maria genere un forte disagio e imbarazzo. Lei invece è "più allineata" alle convenzioni sociali, più rigida, a tratti patetica. Entrambi hanno i loro torti e il loro difetti. Hans è anche egocentrico: non pensa ad intraprendere una professione che gli dia più stabilità economica in vista di un matrimonio. E intanto Hans e Maria convivono per anni in maniera precaria. Hans rifiuta inoltre di educare i futuri ed eventuali figli alla fede cristiana. Per queste due ragioni che ho appena espresso il loro matrimonio è saltato. La terza è che Maria nel frattempo ha conosciuto Zupfner, più simile a lei.

Non credo sia vero, o almeno, nell'affettività non è matematico che gli opposti si attraggano. Quella è una legge dell'elettromagnetismo. Ci si attrae tra simili o comunque tra abbastanza simili, senza sublimazioni, nel rispetto reciproco, almeno per quel che sto sperimentando io. Tra simili si cresce comunque, importante è "ostinarsi a scegliersi quotidianamente", affrontando le sfide del futuro, sostenendosi nell'impegno del presente.


*per chi non le conoscesse tipologie caratteriali in questione sono: il collerico, il passionale, il sentimentale, il nervoso, il sanguigno, il flemmatico, l'apatico e l'amorfo. Sono stati definiti in base a tre parametri: il grado di emotività, l'attività e la risonanza (quanto persistono gli effetti causati da un evento dopo che questo è trascorso). Il carattere passionale ha tutti i parametri alti, mentre quello amorfo li ha tutti bassi. C'è una profonda differenza tra passionali e sentimentali: sono decisamente emotivi ma i primi incanalano l'ansia, la malinconia e il dolore in numerose attività e con l'adesione a ideali umani. Per questo sono i miei preferiti. A differenza mia, che rientro nella specie dei flemmatici e ho due parametri su tre decisamente alti, chi si riconosce nel carattere passionale tende a manifestare l'emotività anche arrabbiandosi (si tratta di arrabbiature "civili": lacrime sulle ciglia, pugni chiusi, labbra strette. Io non riesco a sentire così le sensazioni negative. Sento la rabbia e il dolore a scoppio ritardato, anche dopo mesi).

C) COSA HA DETTO MATTHIAS DI HANS SCHNIER:

Vi riporto tre considerazioni che il mio ragazzo ha fatto a proposito di questo libro. Tenete presente che è un po' più grande di me, (maggio '93) che il suo vissuto è stato finora molto intenso, che ha più esperienze di lavoro rispetto a me e quindi è più radicato nella realtà quotidiana. Per questo si è fatto un'opinione più chiara a proposito del personaggio.

C1) Hans critica il sistema sociale in cui vive ed è molto duro nei confronti delle persone che conosce e che praticano la fede cattolica. Però lui stesso si fa mantenere da quel sistema socio-economico che tanto contesta: alla fine si accontenta di quei pochi marchi (moneta tedesca del secolo scorso) che finiscono nel suo cappello mentre sta seduto a suonare la sua chitarra in un angolo della stazione. Ed è così che vuole arrivare a fine mese?! Vive di elemosina e non si orienta verso l'azione o verso un lavoro che lo renderebbe ben inserito in società. 

C2) Nei confronti dei cattolici che conosce ed ha conosciuto Hans è moralista: li giudica dall'alto della sua torre d'avorio dalla quale non vuole uscire per non vedere la realtà per quel che è. A volte gli capita di definire Maria una poco di buono e accusa il circolo dei cattolici di "averla rapita". Ma Maria, ragazza adulta, ha scelto da sola di lasciarlo e di sposarsi con Zupfner, senza influenze esterne.

C3) Chi vuole contestare l'autore: la società tedesca del secondo dopoguerra oppure Hans Schnier? Entrambi. Sia una società che sembra non avere una recente memoria storica (ma forse nelle persone di ogni epoca una consapevolezza storica non c'è mai stata davvero!) sia un giovane che è testardo e chiuso in se stesso. Non per niente il titolo è "Opinioni di un clown". Hans è un clown e non è un bravo clown. Quindi vale la pena prenderlo sul serio?

D) ALTRI TEMPI PRESENTI ALL'INTERNO DEL ROMANZO:

Ci sono altre tematiche in questo libro sulle quali ritengo utile soffermarmi un po'.

D1) Il cattolicesimo e i cattolici:

Dicevamo che Hans dimostra un atteggiamento negativo nei confronti dei credenti, in mondo particolare, di chi aderisce al cattolicesimo. E' iper-critico. Per questo non ha rapporti sereni con nessuno. 

Vi riporto una piccola parte della telefonata tra Schnier e Kinkel, uno dei rappresentanti di un circolo culturale cattolico di Bonn:

"I cattolici mi rendono nervoso perché sono sleali".

" E i protestanti?" domandò ridendo.

"Quelli mi fanno star male con quel loro pasticciare intorno alla coscienza".

"E gli atei". Rideva ancora.

"Quelli mi annoiano perché parlano sempre di Dio".

"E lei cos'è, in conclusione?"

"Io sono un clown." risposi "Attualmente molto migliore delle mie quotazioni. E c'è una creatura cattolica di cui ho bisogno come della vita: Maria. Ma proprio lei mi avete portato via".

Approfitto della citazione per chiedervi, indipendentemente dal vostro rapporto con la religione e con Dio: che cos'è il cristianesimo, anzi, che cos'è una religione? Soltanto un insieme di norme rigide e vecchie da seguire? 

E poi, che non sia il caso di ripensare ad una diversa struttura delle parrocchie e ad un diverso modo di parteciparvi? I laici che vi collaborano al loro interno sembrano in certi casi un gruppo chiuso ad esterni, prevenuti nell'accogliere nuove persone, pronti a giudicare, entrano in chiesa o nelle aule parrocchiali con il muso lungo...

Certo, Hans è duro e generalizza, talvolta risulta perfino irrazionale e ridicolo, ma se solo la Chiesa desse più importanza al problema della povertà, all'emarginazione sociale, ai diritti delle donne, alla formazione, cristiana e socio-politica, dei giovani e degli adulti!!

D2) Il tema della memoria:

Mi sono confrontata con Matthias la scorsa settimana a proposito di storia e memoria. In Opinioni di un clown Hans, e qui gli va riconosciuto il merito, sembra l'unico a conservare la memoria di quanto è stato terribile il nazismo. Però, di fronte agli ex hitleriani, agisce secondo me in modo poco equilibrato ed eclatante. Ecco che cosa accade la sera in cui lui e Maria vanno a cena da Herbert Kalick, ex nazista e, dal dopoguerra, promotore del sistema democratico:

Kalick era quello che, quando eravamo ragazzi, mi aveva denunciato per disfattismo e mentre mi processavano aveva chiesto per me durezza. Due anni fa una volta mi aveva invitato a casa sua, per riconciliarsi con me. Dovevo forse perdonargli di  avermi denunciato per disfattismo quando avevo dieci anni, chiedendo per me durezza, inflessibile durezza? Maria disse che un invito per una riconciliazione non lo si poteva rifiutare, così comperammo dei fiori e andammo a casa sua. (...) Tenni un discorso sugli yankees ebrei. Dissi che per un certo tempo si era creduto che il nome Schnier, il mio nome, avesse qualcosa a che fare con pitocco, ma che poi si era potuto appurare che derivava da Schneider, non quindi da schorren, e che perciò non ero né né ebreo né yankee e tuttavia... E in quel momento, del tutto improvvisamente, mollai a Herbert un ceffone perché mi era venuto in mente che aveva obbligato uno dei nostri compagni di scuola, Gotz Buchel, a portare la documentazione della sua discendenza ariana e Gotz era venuto a trovarsi in difficoltà perché la madre era italiana, nativa di un villaggio del meridione (...)

Maria piangeva e continuava a ripetere che era stato inumano da parte mia, che non mi ero comportato da cristiano; ma le risposi che non ero cristiano e che il mio confessionale non era ancora stato aperto.

Che cosa ha reso i tedeschi degli anni Trenta fanatici di nazismo, perfettamente obbedienti a Hitler, pieni di rabbia, ciechi di fronte ai valori veri di vita? La grave crisi economica e l'enorme debito pubblico del primo dopoguerra?

Effettivamente, Heinrich Boll ci presenta una Germania che, dalle rovine del '45, è risorta ed è in grande ripresa economica grazie agli aiuti del piano Marshall e dopo aver adottato un sistema neocapitalista. 

Quanto è importante avere una memoria e una consapevolezza storica secondo voi? Non c'è, in nessuno dei personaggi, un ricordo di quello che è stata e di quel che ha comportato la Shoah.

Buone riflessioni e... ci ho ripensato: la prossima settimana ritorna la pubblicazione automatica! 


12 agosto 2022

San Lorenzo:

Con leggero ritardo ho pensato di dedicare e pubblicare un post a questo importante martire cristiano protettore dei nostri diaconi.

A) ORIGINI E MARTIRIO:

Il nome Lorenzo deriva dal latino Laurentius, antica città del Lazio che probabilmente era un luogo pieno di piante d'alloro.

Sembra che Lorenzo, il futuro martire, sia nato il 31 dicembre 225 d.C. a Osca, città dell'attuale Spagna. 

Della sua vita si conosce poco: si sa per certo che è stato uno dei sette diaconi di Roma durante il pontificato di papa Sisto II e durante il governo dell'imperatore Valeriano, uno dei persecutori più accaniti della religione cristiana.

Nell'estate 258, i soldati imperiali avevano catturato, nelle catacombe di San Callisto, Lorenzo, gli altri sei diaconi e papa Sisto II. 

Mentre il pontefice e gli altri diaconi erano subito stati condannati a morte e decapitati, l'imperatore Valeriano aveva deciso di risparmiare Lorenzo dal momento che esigeva dal futuro santo la consegna dei tesori della Chiesa cristiana. Tuttavia, le agiografie raccontano che il giovane diacono avesse portato davanti all'imperatore diversi ammalati e poveri, dicendo chiaramente: "Ecco i tesori della Chiesa". Inviperito, Valeriano aveva deciso di affidare Lorenzo al centurione Ippolito che lo aveva rinchiuso, con il cieco Lucillo, in un sotterraneo buio e molto umido. 

In poco tempo Lorenzo era riuscito a convertire Lucillo al cristianesimo, battezzandolo addirittura con l'acqua di un rivolo che scorreva sul suolo del luogo di prigionia. Subito dopo il battesimo, miracolosamente, Lucillo aveva riacquisito la vista. Al constatare il prodigio, anche il centurione Ippolito si era convertito e fatto battezzare da Lorenzo. (Ippolito aveva poi pagato la sua adesione al Cristianesimo con una morte orribile).

La tradizione vuole che San Lorenzo sia morto bruciato vivo su una graticola, poco lontano da quella prigione molto umida.

B) ICONOGRAFIA DEL SANTO:


Da molti secoli San Lorenzo viene raffigurato con una fisionomia giovanile, rivestito della dalmatica (=ampia tunica dalle maniche larghe che indossavano i diaconi a partire dal II° secolo d.C.) e spesso con la graticola oppure con la borsa del tesoro della Chiesa romana che, quando era in vita, aveva distribuito ai poveri.

C) SAN LORENZO E IL LEGAME CON LE STELLE:

La notte di San Lorenzo ha un profondo legame con le stelle cadenti e con i desideri.

C'è più di un'interpretazione di questo nesso: la prima vede nelle stelle cadenti la rappresentazione delle lacrime del santo durante il martirio. Secondo questa credenza le lacrime di San Lorenzo vagherebbero nel cielo in eterno e scenderebbero sulla Terra solo nella notte tra il 9 e il 10 agosto. 

La seconda interpretazione invece collega le stelle cadenti ai carboni sui quali il santo sarebbe stato martirizzato.

Ad ogni modo, anche la celebre poesia di Pascoli intitolata X Agosto interpreta la pioggia di stelle cadenti come lacrime celesti.

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla arde e cade,
perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero; cadde tra spini,
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero, disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
Oh! D’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male.

Nella nostra tradizione letteraria i versi più canonici, e quindi i più frequenti sin da Dante, sono gli endecasillabi e i settenari. Pascoli però è più portato per novenari e decasillabi e questa poesia è dotata soltanto di questi due tipologie di versi. Oltre a ciò, la frequente punteggiatura rende il ritmo franto, singhiozzante. Anche questo rimanda ad uno stato emotivo di profonda malinconia (e di stagnazione psicologica in un evento molto traumatico avvenuto nella prima adolescenza dell'autore).

Già sulla prima strofa ne avrei da dire... innanzitutto il cielo è personificato. Inoltre, gli ultimi due versi della prima strofa: perché sì gran pianto/nel concavo cielo sfavilla mi richiama, sin dall'ultimo anno di liceo, l'idillio Alla luna di Leopardi Nell'idillio leopardiano è scritto: ma nebuloso e tremulo dal pianto/che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci/il tuo volto apparia. Certo, è facile pensare che sia il poeta che, a causa del pianto, non veda la luna ben nitidamente. Però a me è sempre parso ambiguo quel alle mie luci/il tuo volto apparia. Dal momento che l'intero idillio è un dialogo con la luna, che, per il Leopardi ventenne, è un elemento "grazioso" e "diletto", è possibile persino che questo astro riesca ad intuire lo stato d'animo dell'autore e a provare empatia.

Notevoli sono, in questa poesia, i riferimenti cristologici, già a partire dalla seconda strofa, quando compare la rondine che, quando viene uccisa, cade tra spini e quindi, presumibilmente, in un cespuglio spinato. Le spine comunque rimandano alla corona di spine di Gesù Cristo.

C'è un'analogia tra la rondine e il padre di Pascoli, visto che, a partire dalla quarta strofa, entra nel componimento anche un chiaro riferimento autobiografico. E anche qui, al di là dell'agnosticismo di Pascoli, c'è il valore cristiano del perdono, ultima parola pronunciata dall'uomo in agonia. E' un perdono che ha due accezioni: la vittima (Ruggero Pascoli), consapevole che sta per morire, chiede perdono a Dio dei suoi peccati e perdona anche i suoi assassini.

Gli ultimi versi racchiudono una convinzione ben radicata nell'animo di Pascoli: la Terra è luogo di innocenti e di malvagi. E tutti i viventi soffrono.

D) LA CHIESA DI SAN LORENZO A VERONA:

Nel mio periodo universitario mi era chiara una cosa molto bella: milanesi, torinesi, genovesi e fiorentini che a volte incontravo nelle zone del centro erano affascinati da Verona. E' ricca in effetti sia di storia romana che di storia medievale.

Ai lettori non veronesi che volessero trascorrere un'intera giornata a Verona suggerirei senza dubbio la visita a San Zeno, compreso il panorama della zona di Castelvecchio (che è la mia zona preferita della città); e San Fermo, basilica vicina a ponte Navi e quindi alla mia facoltà. Stupenda però è anche la chiesa romanica di San Lorenzo in Corso Cavour: sarebbe un peccato andarsene da Verona senza aver visitato questo gioiello architettonico.


Ad ogni modo, questa chiesa romanica è stata edificata nel XII° secolo, intorno al 1110. Dopo il terremoto del 1117 è stato costruito l'abside (=per tutti gli edifici sacri, è la parte terminale del coro) e, alla fine dello stesso secolo, la costruzione della chiesa è stata completata con l'aggiunta di transetto (=corpo architettonico perpendicolare alle navate), matronei (=balconi rialzati lungo le pareti delle navate e luoghi destinati alle donne) e torri cilindriche.

La pianta è a croce latina benedettina e questa chiesa ha ben 5 absidi, quindi per questo la sua struttura ricorda quella delle abbazie cluniacensi francesi:


La facciata a capanna è stretta tra due torri:

All'interno lo spazio è stato suddiviso in tre navate e la navata centrale è coperta da un soffitto a capriate lignee, ricostruito nel secondo dopoguerra. Sopra le navate laterali si innalzano i matronei, intervallati da colonne e pilastri cruciformi:

In alcune zone della chiesa le colonne risultano piuttosto elaborate: ad esempio, nella parte orientale molte delle colonne sono dotate o di capitelli corinzi con foglie d'acanto che appaiono spinose.

Il presbiterio di questo edificio religioso ha un carattere quasi barocco con i suoi marmi policromi e le balaustre, ma questo è dovuto a dei lavori che sono stati fatti in questa parte della chiesa all'inizio del Settecento.

Nell'emiciclo absidale c'è una grande pala risalente al 1566 che raffigura San Lorenzo che tiene la palma del martirio e la graticola, San Giovanni Battista e Sant'Agostino. Al di sopra di questi tre santi c'è Maria con Gesù Bambino.

Gli affreschi di epoca medievale della chiesa sono andati perduti. Rimane però, nella parete meridionale, un affresco che raffigura San Cristoforo con l'aureola.

All'interno di questo edificio religioso, nel 1774 è stata battezzata Santa Maddalena di Canossa, tra l'altro raffigurata da Novello Finotti attraverso una scultura presente all'interno dell'edificio, mentre nel 1901 ha celebrato la sua prima messa Don Giovanni Calabria che tra l'altro, con i suoi familiari, ha vissuto nelle gallerie della Chiesa per un certo periodo.

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La prossima settimana uscirà una recensione a due cervelli di Opinioni di un clown. 

Dopodiché anch'io mi fermo per alcuni giorni con i post (19-28 agosto). 

Ora sono alle prese con il Gattopardo, lettura impegnativa anche per me ma non tanto per lo stile quanto piuttosto per l'immersione in un'altra mentalità (la mentalità aristocratica dell'altro secolo e del Risorgimento). Ma forse ai primi di settembre riesco a creare una mini-tematica del genere: Il declino dell'aristocrazia con riferimenti sia alla Cripta dei Cappuccini di Joseph Roth che al Gattopardo.


4 agosto 2022

Le tipologie morfologiche delle lingue:

Bentornata linguistica! Chi non muore si rivede...


Ho terminato lunedì sera la lettura di Opinioni di un clown, ma credo vi illustrerò i contenuti e le tematiche, sfociando un pochino anche nella psicologia, tra un po' di giorni, dopo che ne avrò discusso con Matthias (era questo il nome che fino adesso ho nascosto con le lettere ebraiche), che attualmente è fuori Verona per un'esperienza da scout completamente all'aria aperta. Tra l'altro una parte della sua famiglia è originaria dalla Renania, regione in cui è ambientato questo romanzo di Heinrich Boll.

Adesso invece ritorno ad un argomento di linguistica che concerne la suddivisione delle lingue in base alle loro strutture morfologiche.

A) LINGUE ISOLANTI:

Risultano quasi del tutto prive di morfologia dal momento che i nomi di solito non variano per genere e numero (o variano soltanto per il numero), non ci sono declinazioni né flessioni, sono assenti le coniugazioni verbali e molto spesso manca il modo congiuntivo, gli aggettivi non sono declinabili.

Se il morfema, in linguistica, è la più piccola unità lessicale portatrice di significato, nelle lingue isolanti le parole non possono essere scomposte in unità morfologiche più piccole.

Le lingue prevalentemente isolanti sono indubbiamente caratterizzate da una morfologia piuttosto povera; per questo l'ordine delle parole all'interno di una frase tende ad essere piuttosto rigido.

L'inglese è una lingua prevalentemente isolante per i seguenti motivi: 

-I nomi vengono distinti soltanto per numero ma non per genere: cat sta per "gatto/gatta", cats per "gatti/gatte".

-Gli aggettivi risultano indeclinabili, come nel seguente esempio: A red carpet (=un tappeto rosso)/ Five red carpets.

-Nei tempi verbali è indispensabile assegnare la persona a cui il verbo si riferisce, soprattutto per quel che riguarda il Past Simple dei verbi regolari: la forma al past simple di to walk (camminare) è walked vale per tutte le sei persone (I, you, he, she, it, they). Tuttavia, c'è un'eccezione per quel che riguarda la terza persona singolare del presente: questa minima variazione morfologica prevede l'aggiunta della -s: She walks.

-In diversi paradigmi verbali, che in lingua inglese sono costituiti da presente- past simple- participio passato, il verbo non varia: cut-cut-cut (tagliare), cost cost cost (costare), burst-burst-burst (scoppiare), cast-cast-cast (trasmettere), bet-bet-bet (scommettere), beset-beset-beset (assalire), set-set-set (impostare).

Tuttavia, non è esatto definire l'inglese una lingua esclusivamente isolante. 

Ci sono dei fenomeni agglutinanti, come in alcuni passaggi da aggettivo a sostantivo: lonely=lonely-ness (solo= solitudine), happy= happiness (felicità).

In inglese è presente anche qualche caso di apofonia, fenomeno fonetico-grammaticale che risulta molto frequente nelle lingue prevalentemente flessive. L'apofonia è l'alternanza vocalica all'interno del tema di una parola. Le apofonie avvengono nei paradigmi dei verbi irregolari: drink- drank-drunk ("bere"), begin-began-begun ("iniziare"), eat-ate-eaten ("mangiare"), sing-sang-sung ("cantare"), see-saw-seen ("vedere").

Oltre a ciò, to be si comporta quasi in "modo flessivo": I am, you are, he/she/it is. Ma infine, are vale per tutte le persone plurali.

L'inglese è detto anche "foneticamente opaco" visto che quel che si legge non corrisponde quasi mai a quel che si scrive. E' così dal Cinquecento, dopo che si è verificato il fenomeno della Great Vowel Shift, ovvero, il "grande spostamento vocalico": prima di ciò le vocali dell'inglese medievale venivano pronunciate sempre come erano scritte.

Anche il cinese è stato classificato come lingua prevalentemente isolante.

B) LINGUE AGGLUTINANTI:

Funzionano così: ogni parola contiene tanti affissi quante sono le relazioni grammaticali che devono essere espresse. E' una definizione che ho imparato a memoria durante l'esame di linguistica abilitante per l'insegnamento di Lettere ma ve lo spiego in modo meno complicato: nelle lingue agglutinanti la parola è costituita da più morfemi e quindi ad una radice vengono aggiunti dei determinati suffissi per realizzare delle precise categorie o funzioni grammaticali.

Il turco è una lingua prevalentemente agglutinante, con i casi. Non vi riporto tutta la declinazione di questo sostantivo, ma soltanto i primi tre casi:

NOMINATIVO SINGOLARE: kus (=uccello).    NOMINATIVO PLURALE: kus-lar

GENITIVO SINGOLARE: kus-i                           GENITIVO PLURALE: kus-lar-i

DATIVO SINGOLARE: kus-in                             DATIVO PLURALE: kus-lar-in

Anche il finlandese risulta possedere molte caratteristiche agglutinanti, come in questo esempio:

kirja (libro)= kirja-ni (il mio libro)= kirja-ssa (nel libro).

C) LINGUE FLESSIVE:

Una precisazione devo subito farla: greco e latino sono lingue flessive, non agglutinanti. Questo significa che attraverso un solo morfema si possono esprimere più relazioni grammaticali. Sono lingue costituite da una radice e da molti affissi flessionali. Hanno i modi e, nella coniugazione dei tempi verbali c'è una desinenza per ogni persona, sono dotati di coniugazioni, possono avere declinazioni e casi, i nomi nella maggior parte delle volte variano per genere e numero come gli aggettivi. Le lingue neo-latine presentano molti caratteri flessivi.

Definirei il latino una lingua iper-flessiva, dal momento che qui frequentissime sono le apofonie (facio, facis, feci, factum, facere) e soprattutto dal momento che tutto viene declinato: ci sono cinque declinazioni nominali (rosa, rosae- donum, doni- dux,ducis- exercitus, exercitus- dies-diei), sei casi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, ablativo), quattro coniugazioni (laudo, laudare- moneo,monère- mitto, mittere- audio, audire), tre generi (maschile, femminile, neutro), due classi di aggettivi (altus, alta, altum e facilis, facile).

Tra le parentesi ho inserito gli esempi che ho mandato a memoria ai tempi del primo biennio.

 

In latino non ci sono articoli. Ci sono sei modi verbali: indicativo, congiuntivo, imperativo, infinito, participio, supino.

So che cosa potrebbero chiedersi alcuni di voi: al liceo andavo meglio in greco o in latino? Al primo biennio nutrivo più simpatia per la lingua latina e lì, anche negli scritti, ottenevo le valutazioni più alte. Avevo 8 in latino e 7 in greco. D'altra parte il liceo classico è fatto così: al biennio bisogna pensare soprattutto ad imparare la grammatica delle due lingue antiche: le ore totali settimanali sono 29 (e quindi avevo il lunedì "light" visto che uscivo sempre alle 11 e 55). Al triennio divengono 32 dal momento che si aggiungono filosofia e scienze naturali, fisica al penultimo anno.

Al triennio mi sono appassionata moltissimo alla letteratura italiana: inizia in effetti la parte più affascinante di questa materia. Si iniziano anche i programmi di letteratura greca e latina e se da una parte Omero, Sofocle, Virgilio e Orazio sono indubbiamente affascinanti da conoscere e da approfondire, dall'altra il tempo per tradurre diminuisce. Al triennio avevo 9 in letteratura e cultura italiana e 7 in entrambe le lingue classiche, però erano voti che scaturivano dal "compromesso dei quartini", come l'ho sempre chiamato: 6.75 in greco e 7,20 in latino.

In ogni caso, con la sua ricchezza morfologica e la sua estrema precisione nelle regole sintattiche, in latino riuscivo di più. 

Come accennavo prima, il greco attico è una lingua prevalentemente flessiva ma risulta più libero e con meno regole rispetto alla lingua degli antichi Romani: le declinazioni sono 3, le coniugazioni due, l'articolo è declinabile per genere, casi e numero, i verbi sono quasi tutti dotati di paradigmi irregolari e di radici verbali che in certi casi non stanno né in cielo né in terra, come negli esempi di questa tabella:

E, come se non bastasse, un sostantivo o un verbo sono portatori di più significati.
Per maturare un certo fascino nei confronti delle sfumature lessicali sono dovuta giungere all'epoca universitaria.
Una volta, ed ero al triennio perché al biennio potevo arrivare anche a 8 e 1/2 o 9  negli scritti, ricordo di aver sbagliato tutta la versione. E' accaduto con greco e sinceramente non so nemmeno come l'insegnante abbia fatto ad arrivare al 4 nel valutarmi. Brutti incidenti di percorso!
 
Il tedesco contemporaneo è prevalentemente flessivo: si articola in quattro casi (nominativo, genitivo, accusativo e dativo) e ci sono tre generi (maschile, femminile e neutro). 
Quel che è anti-convenzionale, in tedesco, è che "sole" è femminile e "luna" è maschile: Die Sonne e Der Mond.
 

L'ebraico è prevalentemente flessivo. Si legge da destra a sinistra ma, come le lingue neolatine, segue l'ordine sintattico S-V-O (soggetto-verbo- oggetto).

In ebraico sono diverse le apofonie:

נר (nir), cioè, "candela" e נרות (neròt), ovvero, "candele".

 כתיבה(ketìba), cioè, "scrivevo" e כתבתי (kitbàti), ovvero, "ho scritto".

Devo passare alle lingue incorporanti come ultima categoria ma prima dovrei accennare all'italiano. L'italiano, pur essendo prevalentemente flessivo, presenta qualche tratto isolante:

-città è un nome invariabile per genere e numero e architetto è un nome invariabile per genere. 

Oltre a ciò ci sono diverse forme di agglutinazione, pensate ad esempio ai nomi derivati:

-forno= forn-aio, giornale= giornal-aio, ombrello= ombrell-one, occhio= occhi-ale.

D) LINGUE POLISINTETICHE:

Sono dette lingue polisintetiche o incorporanti quando in un'unica parola si fondono diversi elementi grammaticali.

Il groenlandese è una lingua soprattutto polisintetica:

-aulisariartorasuarpok significa: "si affretta ad andare a pesca" visto che "aulisar" è "pescare", "iartor" sta per "va a", "suarpok" è invece "si affretta".

Anche nella lingua inuit prevalgono i caratteri polisintetici:

-Quanuppit? è "come stai?"

-Nacaqua invece vuol dire "mangio carne".

Ma le lingue polisintetiche sono presenti soltanto nelle zone polari? Non direi, visto che nell'Africa Sub-Sahariana c'è lo Zulu, che presenta molti caratteri incorporanti:

-Sawubona è "noi ti vediamo".