28 agosto 2015

"Io sono Lì"-la determinazione di una madre cinese nell'Italia immobile della Laguna


"Io sono Lì" è un film del 2011 diretto da Andrea Segre, regista che si sta focalizzando sui temi dell'immigrazione, del dialogo interculturale e della solidarietà sociale.

La protagonista della pellicola è Shun Lì, una donna cinese che lavora a Roma come operaia in una fabbrica tessile per saldare i suoi debiti e per ottenere i documenti necessari che permetteranno a suo figlio, un bambino di otto anni, di raggiungerla in Italia per poter vivere con lei.
Lì scrive delle lettere a suo figlio, per fargli capire che lo pensa spesso e che continua ad amarlo nonostante sia molto lontana. Eccone una: "Figlio mio, come stai? Mi manchi tanto. Come sta il nonno? Come va la scuola? Quando il capo mi chiede di cucire trenta camicie al giorno, io ne faccio dieci in più, e queste dieci sono per te. Tutti i lavori che farò li farò per te, per farti arrivare il prima possibile. Devi solo avere pazienza e vedrai che torneremo insieme."

E' molto importante rilevare che la prima scena del film riguarda il culto del poeta Qu Yuan,
che viene praticato da Lì e da un'altra donna cinese all'interno di uno squallido appartamento nella periferia di Roma. Qu Yuan è il poeta più importante dell'antica tradizione letteraria cinese e in Cina viene celebrato facendo galleggiare candele e lanterne sulle acque dei fiumi, in modo tale da poter proteggere la sua anima che naviga attraverso le acque. In quell'occasione però, Lì fa galleggiare delle piccole candele rotonde nella vasca da bagno e dice: "Che il poeta Qu Yuan ci aiuti ad affrontare un nuovo anno di vita e ci protegga in questa terra lontana."

Improvvisamente, Lì viene trasferita dal suo capo a Chioggia, la graziosa cittadina lagunare  
vicinissima a Venezia, per occuparsi della gestione di un'osteria frequentata soprattutto da anziani pescatori. Lì parla poco l'italiano e conosce ancor meno il dialetto veneziano: per questo inizialmente viene derisa dai frequentatori del locale, molti dei quali la congedano senza pagare gli arretrati delle ordinazioni.
Tuttavia, Lì rimane suggestionata dal paesaggio marittimo della cittadina. Così scrive al suo bambino: 
"Ciao figlio mio, come stai? Mi manchi molto. Il mare qui è molto bello. Non so perché ma sembra più piccolo del nostro. Forse perché ha due nomi: uno è mare, l'altro è laguna. Chiamarlo mare o laguna dipende dalla distanza. In italiano la laguna è femminile, calma, misteriosa. Invece il mare è maschile, non riposa mai, sempre in balia del vento e delle onde. A me il vento piace, perché mi porta da te, figlio mio."

Fino al giorno in cui fa la conoscenza di Bepi, un pescatore di origini croate, residente a Chioggia da circa trent'anni. Bepi è soprannominato "il poeta" dagli altri pescatori grazie alla sua versatilità nel comporre rime e piccole liriche.
A poco a poco, tra Lì e l'anziano pescatore nasce un rapporto che, a mio avviso, non è esattamente un'amicizia, come dicono invece altre recensioni su questo film che potete trovare altrove. Non è assolutamente un amore erotico ma non è nemmeno una relazione di amicizia. E' semmai un rapporto caratterizzato da una profonda tenerezza, come in teoria dovrebbe essere un rapporto padre-figlia.
Bepi, oltre ad essere dotato di una grande sensibilità, sa ascoltare e sa comprendere la malinconia di Lì e la sua nostalgia per Fucho, la sua città natale. Egli dialoga con Lì; le fa domande a proposito del poeta Qu Yuan, si commuove per la nostalgia che lei prova per suo figlio e soffre nel vedere a quali dure condizioni di lavoro è sottoposta.
Il sincero dialogo con Bepi, improntato su un profondo rispetto reciproco, è un conforto per Lì.
In una limpida mattinata di marzo, Bepi la invita a fare un giro in barca.

"Bepi: «Lì? Quanto tempo rimani ancora a Chioggia?»
 Lì: «Non lo so. Io aspetto la notizia.»
 Bepi: «La notizia?»
 Lì: «Si. E' difficile spiegare. Io lavoro e aspetto. Lavoro e così pago. E un giorno il capo farà venire mio figlio, ma non so quando. Decidono loro quando.»

E, al delicato suono delle placide onde del mare, Bepi le accarezza dolcemente il viso e la abbraccia. Questa uscita in barca si rivela una fonte di ispirazione per il vecchio pescatore, che compone una poesia per Lì:
"Tutti i fiumi
scendono al mare
senza poterlo riempire.
C'è un vento freddo
ma scalda il cuore,
fa sorridere Lì
come un piccolo fiore".

Che cos'è che rende "Io sono Lì" un film malinconico e drammatico? Proprio il fatto che, l'ottimo rapporto tra la barista cinese e il vecchio pescatore diventa oggetto di pettegolezzi e di calunnie proprio da parte degli amici di Bepi, i quali sono convinti non soltanto che quest'ultimo sia attratto sessualmente da Lì, ma anche che lei lo voglia sposare al solo scopo di rubargli l'eredità. Ma quale eredità?? Bepi è in realtà molto povero perché possiede soltanto una barca e un vecchio casone sul mare.
In questa pellicola cinematografica, Segre illustra tutti gli assurdi pregiudizi  sugli stranieri. I pettegolezzi e le malelingue degli altri pescatori si diffondono in tutta la cittadina, fino al punto in cui giungono alle orecchie del capo di Shun Lì, che una sera la convoca per parlarle in privato e per dirle: "A Chioggia girano troppe voci su di noi, per colpa tua. Gli italiani parlano male dei cinesi. Tu non devi frequentare Bepi, il poeta. Altrimenti dovremo mandarti via e dovrai ricominciare da capo. Dovrai ripagare tutti i debiti dall'inizio. Non gli devi più parlare, a parte le ordinazioni."

Si interrompe così il meraviglioso rapporto tra Bepi e Lì. Per la protagonista della vicenda, rimane un unico ma prezioso conforto: quello della sua compagna di stanza Lian, la quale vive una vita simile alla sua. Lian le dice: "Hai mai visto come fa l'acqua? Va dal mare alla laguna e poi torna indietro. Ma non ritorna tutta al mare. C'è dell'acqua che non riesce più ad uscire e rimane intrappolata nella laguna."
E' un'immagine bellissima e, a mio avviso, se ci si riflette un po', si riesce anche a trovare un significato metaforico. Il mare è immenso e diviene un meraviglioso specchio d'acqua quando il sole, nel sorgere e nel tramontare, lascia i suoi riflessi rosei e aranciati in superficie. Però, alba e tramonto a parte, il mare è anche una monotona distesa d'acqua, dove le onde sembrano tutte uguali (e questo soprattutto quando è calmo o poco mosso). Per questo il mare mi affascina ma mi mette sempre inevitabilmente anche un po' di malinconia; perché le onde compiono sempre gli stessi movimenti: dal mare aperto giungono a riva, dove si infrangono, e poi "ritornano indietro", secondo il fenomeno della risacca.  Così è la vita di Lì in Italia: monotona e triste, molto povera di affetti, caratterizzata da numerose ore di lavoro al giorno e da una forte e dolorosa nostalgia per la sua famiglia e per il suo paese natale, al quale lei è molto affezionata. La compagnia di Bepi dava un po' di colore alla quotidianità di Lì. Bepi in un certo senso rappresenta quei riflessi luminosi del sole di cui parlavo poche righe sopra. Quei riflessi di cui Lì è stata ingiustamente privata...
E quella quantità d'acqua che rimane intrappolata nella laguna è quel sentimento di oppressione che Lì e Lian provano nel dover sottoporsi alla volontà di un capo che ha a cuore soltanto i guadagni economici e che ignora completamente la sfera dei sentimenti e delle relazioni, al punto tale che controvoglia concede a Lì una mezza giornata libera affinché lei possa acquistare un regalo di compleanno da mandare al figlio.

Poco tempo dopo, Lì viene trasferita nuovamente in un'altra città del nord Italia per lavorare in un grande magazzino.
Passa un altro anno di duro lavoro, le stagioni scorrono veloci; da una primavera soleggiata e vivace si passa ad un altro inverno. Fino al giorno in cui il suo capo si reca a farle visita portando con sé il figlio della donna. Pur essendo colma di gioia, Lì si chiede chi abbia pagato tutti i debiti al posto suo.

Il finale della storia è molto significativo: Lì ritorna a Chioggia per poter incontrare di nuovo Bepi, ma apprende che il poeta pescatore è morto e che le ha lasciato una lettera in cui dichiara di lasciarle in eredità il suo vecchio casone. La lettera si conclude così: "Mi piacerebbe che un giorno mi regalassi un funerale come quello del vostro poeta". ... Nell'ultima scena, il regista ci lascia con una breve lirica del poeta Qu Yuan, recitata mentalmente da Lì, che dice:
"Chiedo al guardiano del cielo di aprirmi. Appoggiato alla porta lui mi scruta. Un turbine di vento si raccoglie con il saluto di nubi e arcobaleni".

Il film merita, davvero. E' poetico, malinconico, delicato, sentimentale. Rivela tutto il fascino di Chioggia e dimostra come certi pregiudizi alimentano la paura nei confronti del diverso.
La colonna sonora è caratterizzata esclusivamente da melodie lente, dolci, languide, espressive al punto tale che toccano le corde più profonde dell'anima.


25 agosto 2015

"Cronaca di una morte annunciata": l'inevitabilità di sfuggire ad un destino crudele


Dopo una piacevole settimana di vacanza in cui i miei occhi hanno ammirato spettacolari paesaggi di montagna, riprendo a scrivere con un pizzico di nostalgia per il mio caro e dolce Sudtirol...

"Cronaca di una morte annunciata" è un breve e intrigante romanzo scritto dal celebre autore colombiano Gabriel Garcia Marquez.
Il protagonista della vicenda narrata è il giovane Santiago Nasar, ventenne di origini arabe che trascorre una vita tranquilla e piuttosto agiata; oltre ad essere il proprietario di una fattoria è anche un appassionato di cavalli e di armi da fuoco.
Il narratore, interno alla vicenda, non svela mai al lettore il suo nome nel corso della storia; si limita soltanto a dichiararsi uno degli amici di Santiago che, a distanza di molti anni dalla morte di quest'ultimo, intraprende una sorta di inchiesta e scrive la “cronaca” con l’intenzione di fare chiarezza su ciò che è accaduto.
"Il giorno che l'avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5,30 del mattino per andare ad aspettare il bastimento con cui arrivava il vescovo. Aveva sognato di attraversare un bosco di higuerones (alberi tropicali di legno duro) sotto una pioggerella tenera, e per un istante fu felice dentro il sogno, ma nel ridestarsi si sentì inzaccherato da capo a piedi di cacca di uccelli", sin da queste prime righe l'autore cerca di esporre nel modo più dettagliato possibile le azioni, le sensazioni e gli avvenimenti che caratterizzano le ultime ore di vita del protagonista.
Sin dall'inizio però, si avverte la reale difficoltà di rendere precisi diversi dettagli: uno di questi è il tempo meteorologico: "Molti coincidevano nel ricordare che era una mattina scintillante percorsa da una brezza marina che arrivava attraverso i bananeti, come era da supporre dovesse essere in un perfetto febbraio di quell'epoca. Ma i più erano concordi nel dire che era un tempo funereo, con un cielo torbido e basso e un denso odore d'acque stagnanti, e che nel momento della disgrazia veniva giù una pioggerellina minuta come quella che aveva visto Santiago Nasar nel bosco del suo sogno".

Una delle tematiche predominanti di questo romanzo è la fatalità: Placida Linero, la madre di Santiago, pur godendo della fama di abile interpretatrice dei sogni, non è in grado di avvertire il benché minimo presagio di morte nel sogno del figlio.
Tra l'altro, Santiago è incapace di sfuggire alla sua tragica sorte dal momento che è vittima di coincidenze sfortunate:
"Nel salotto, dove continuava a pulire pavimenti, Divina Flor vide allo stesso tempo che Santiago Nasar entrava dalla porta della piazza e saliva per le scale da nave delle camere da letto. (...) Tanto che quando Placida Linero le chiese di lui, Divina Flor la tranquillizzò: «E' salito in camera un minuto fa», le disse . (...) Attraverso la porta (Placida Linero) vide i fratelli Vicario che venivano di corsa verso la casa con i coltelli sguainati. Dal punto in cui lei si trovava poteva vederli, ma non riusciva a vedere suo figlio che correva da un altro angolo verso la porta. « Pensai che volessero introdursi in casa per ucciderlo là dentro» mi disse. Allora corse verso la porta e la chiuse di colpo. Stava tirando la spranga quando udì le grida di Santiago Nasar e sentì i pugni di terrore sulla porta, ma credette che egli fosse di sopra, insultando i fratelli Vicario dal balcone della sua camera da letto."

I Vicario, artefici del delitto, erano due gemelli pressoché identici nell'aspetto fisico, ma, nel corso della loro adolescenza, avevano ricevuto una formazione professionale molto diversa l'uno dall'altro: Pedro, il più sanguigno, era stato addestrato nell'esercito, Pablo invece aveva appreso il mestiere dell'orefice nell'officina del padre. I fratelli Vicario erano definiti dei giovani dall'indole mite e mansueta... aggettivi che, se utilizzati per definire due assassini che squartano vivo un ragazzo sotto casa, suonerebbero, oltre che fuori luogo, anche ridicoli.
Soltanto all'inizio del secondo capitolo l'autore rivela che Pedro e Pablo vogliono uccidere Santiago per una questione d'onore che riguarda la loro sorella Angela, ripudiata dal marito alla prima notte di nozze dal momento che quest'ultimo aveva scoperto che la sua novella sposa non era vergine.
Questo è un romanzo incentrato proprio sul delitto d'onore, tematica che influenzava profondamente la mentalità del secolo scorso e in particolar modo le civiltà rurali come quelle dell'America Meridionale.
Fino a circa sessant'anni fa, la difesa dell'onore giustificava qualsiasi azione violenta mirata a ristabilire l'ordine della morale collettiva. Proprio per questo i fratelli Vicario continuano a dichiararsi innocenti durante il processo.
A dire il vero, tutti i personaggi del romanzo hanno una relazione diretta con la morte di Santiago.
E non fanno nulla per impedirla. Nessuno interviene per salvare la vita del giovane; sia perché all'epoca c'era la convinzione che le questioni d’onore dovessero essere risolte dai diretti interessati, sia perché gli abitanti del piccolo paese in cui si svolge la vicenda sono sopraffatti o da codardia, o da una forte invidia nei confronti di un ragazzo giovane, bello e ricco, o da una totale indifferenza, oppure sono convinti del fatto che Santiago sia già stato informato a proposito delle intenzioni omicide dei due fratelli. Senza contare che alcuni banalizzano le intenzioni dei Vicario: "Faustino Santos non seppe spiegarsi quello che era accaduto: «Vennero ad affilare un'altra volta i coltelli e di nuovo gridarono perché tutti sentissero che avrebbero sventrato Santiago Nasar, tanto che credetti che ci stavano sfottendo."
"«Pensammo che erano fanfaronate da ubriachi», dichiararono diversi macellai, così come Victoria Guzman e molti altri che li videro più tardi."

Un altra figura molto curiosa è Angela Vicario. Nella prima parte del libro, appare una ragazza debole, decisamente sottomessa al volere della famiglia (come la maggior parte delle giovani dell'epoca):
Dall'omonimo film di Francesco Rosi
" (...) Angela Vicario non dimenticò mai l'orrore della sera in cui i suoi genitori e le sorelle maggiori con i rispettivi mariti, riuniti nel salotto di casa, la obbligarono a sposarsi con un uomo che aveva visto appena. (...) Angela Vicario s'azzardò appena a insinuare l'inconveniente della mancanza d'amore, ma sua madre lo demolì con una sola frase: «Anche l'amore si impara» (...) . «Una sola cosa imploravo da Dio, che mi desse il coraggio di uccidermi. Ma non me lo diede» mi disse Angela Vicario."

Nella seconda parte del libro, invece, si dimostra forte e determinata nel suo intento di riconquistare
il marito:
"Nessuno avrebbe mai sospettato, fino a quando ella si decise a raccontarmelo, che Bayardo San Roman si era insediato per sempre nella sua vita dal momento in cui l'aveva ricondotta a casa sua. (...) Le bastava chiudere gli occhi per vederlo, lo udiva respirare nel mare, la svegliava a mezzanotte l'ardore del suo corpo nel letto. Alla fine di quella settimana gli scrisse la prima lettera. (...) Attese invano una risposta. Al termine di due mesi, stanca di aspettare, gli mandò un'altra lettera. Sei mesi dopo aveva scritto sei lettere senza risposta, ma si accontentò di constatare che egli le stava ricevendo. Padrona per la prima volta del proprio destino, Angela Vicario scoprì allora che l'odio e l'amore sono passioni reciproche. Tante più lettere spediva quanto più si accendevano le braci della sua febbre (...). Divenne lucida, decisa, maestra della propria volontà e non riconobbe altra autorità che la propria né altra schiavitù che quella della sua ossessione."
La donna riesce nel suo intento: diciassette anni dopo, Bayardo ritorna da lei con due valigie: una contiene tutti i suoi capi di abbigliamento, l'altra invece è piena delle duemila lettere scritte da Angela.

Ad ogni modo, nel romanzo viene denunciata l'impossibilità di scoprire tutta la verità sui fatti accaduti: è davvero Santiago Nasar il ragazzo che ha disonorato Angela?
Io credo che sia improbabile, sostanzialmente per due motivi: in uno dei primi capitoli, il narratore ricorda che Santiago non era per nulla attratto da Angela e non aveva mai avuto l'intenzione di sedurla, sebbene lei fosse considerata la ragazza più bella del paese. Anzi, a dire il vero la considerava "un'oca già pronta per essere appesa a stendere sul filo dei panni". Insomma, tra Santiago e Angela non era mai nata una relazione sentimentale.
Inoltre, verso la fine si legge che alcuni abitanti del paese pensavano che Angela, nel voler proteggere qualcuno, avesse scelto il nome di Santiago Nasar credendo che i suoi fratelli, in quanto amici della vittima, non avrebbero mai osato fargli del male... e invece lo svolgimento della "cronaca" dimostra proprio il contrario.

L'AVVENIMENTO REALE:

Nella realizzazione di quest'opera, lo scrittore si è ispirato a un evento accaduto il 22 gennaio 1951. Mercedes, che all'epoca era la sua fidanzata, gli aveva fatto recapitare un biglietto che lo informava a proposito dell'assassinio di Cayetano Gentile, giovane di origini italiane che era stato un grande amico di infanzia per entrambi.
Cayetano era un giovane studente di medicina e abitava a Sucre, capitale della Bolivia, città in cui
era molto diffusa la criminalità.
Gli autori della carneficina in questo caso erano i due fratelli di Margarita Chica, l'ex fidanzata di Cayetano che provava verso quest'ultimo un forte risentimento e che lo aveva accusato di essere il responsabile della  perdita della sua verginità prima del matrimonio con Miguel Palencia.
I fratelli di Margarita, proprio come i fratelli Vicario, avevano dapprima atteso Cayetano in un bar di fronte a casa sua, poi, quando lo avevano visto correre verso casa, lo avevano inseguito. La madre di Cayetano, convinta che il figlio fosse già rientrato, aveva sprangato la porta d’ingresso. Ma il giovane ragazzo era stato squartato vivo con dei lunghi e affilati coltelli proprio sotto casa.

Nella mente dell’autore allora, era iniziata a maturare l’idea di scrivere un romanzo sui temi della morte, della fatalità e della verità.


10 agosto 2015

"Camera con vista", Edward Morgan Forster:


"Camera con vista" è un romanzo scritto dall'intellettuale inglese Edward Morgan Forster. L'opera, ambientata agli inizi del XX secolo, illustra una borghesia anglosassone ancora profondamente legata alla mentalità ipocrita e meschina del vittorianesimo ottocentesco. La prima parte del romanzo è ambientata in Italia, la seconda invece si svolge soprattutto in Inghilterra, nelle campagne londinesi.

La protagonista della storia è Lucy Honeychurch, una giovane ragazza inglese che sta visitando le più importanti città italiane con la cugina Charlotte Bartlett, molto più anziana di lei. Durante la loro breve permanenza a Firenze, le due donne alloggiano alla "Pensione Bertolini", albergo che ospita anche altri inglesi.

Il romanzo si apre subito con le loro lamentele riguardo la collocazione delle camere:
" «La signora non aveva assolutamente il diritto di farlo», disse Miss Bartlett, «Ci aveva promesso delle camere a sud, con vista, attigue, e invece eccoci qua, con due camere a nord, che danno sul cortile, e molto distanti l'una dall'altra. Oh, Lucy!»  (...)
(Lucy): «Desideravo tanto vedere l'Arno. Le camere che la signora ci aveva promesso avrebbero dovuto dare sull'Arno. La signora non aveva il diritto di farci questo. Oh, è una vergogna!»"
... Ho voluto riportare queste prime righe per far comprendere ai miei lettori che le capricciose signore della english middle class si indignavano per motivi veramente molto futili; in questo caso, per il fatto che le loro camere non si affacciano sull'Arno.

Charlotte e Lucy sono personaggi molto simili. La loro unica differenza sta soltanto nell'età anagrafica. Proprio come Charlotte, Lucy appare molto ligia alle convenzioni sociali della sua classe. Proprio come Charlotte, Lucy è complessata e incapace di comprendere i propri desideri. Proprio come Charlotte, Lucy ha il detestabile vizio di continuare a rimangiarsi le parole dette.                
Lucy è una ragazza che non è affatto dotata di una forte personalità, sia perché è sempre alla mercé di qualche adulto rigido che si diverte a indottrinarla, sia perché, dentro di lei, dimorano stati d'animo contraddittori. O meglio, lei stessa è contraddittoria. Ecco gli elementi che possono dimostrarlo con efficacia:
a) Sebbene non provi alcun affetto per Cecil Vyse, accetta comunque la sua proposta di matrimonio.
b) Sebbene lei sia attratta dal giovane George Emerson, cerca in tutti i modi di evitarlo e di stargli lontana.
Charlotte è una donna noiosa, petulante, bigotta. Scandalizzata per aver assistito al bacio tra George e Lucy durante una gita sulle colline di Fiesole, inizialmente proibisce alla cugina di raccontare quell'episodio alla madre, dal momento che vuole evitare un possibile rimprovero da parte di quest'ultima per non aver vigilato adeguatamente su di lei. Poi invece, quando George e suo padre si trasferiscono in una casa di campagna vicina a quella di Lucy, sollecita la ragazza affinché riveli la "pessima bravata di Mr Emerson" a Cecil, in modo tale da non compromettere la loro futura relazione matrimoniale.

Mrs Mariam Honeychurch è un po' diversa dalla figlia. All'interno del romanzo infatti, Mrs Honeychurch appare una donna molto mite. Vedova da tempo, zelante nell'eseguire le faccende domestiche all'interno della sua casa di campagna, abituata a rimboccarsi le maniche per garantire una buona istruzione e una buona educazione ai suoi due figli Freddy e Lucy, è fermamente convinta del fatto che una donna debba sposarsi per amore e non per migliorare la propria situazione economica o per "elevarsi socialmente". Invece, Lucy mirava a sposare Cecil, membro della borghesia cittadina, per poter divenire più ricca e più colta.

Le signorine Catherine e Teresa Alan, anch'esse ospiti della Pensione Bertolini, sono molto pettegole. La loro lingua è molto affilata e veloce, al punto tale che la si potrebbe tranquillamente definire una forbice che taglia con rapidità i tessuti... oddio, proprio ora mi rendo conto di non essere stata per niente originale nello scrivere quest'ultima frase! Ricordo infatti di aver imparato questo paragone tra la lingua e la forbice da un racconto di Bernasconi che avevo recensito su questo blog qualche anno fa, forse nel pieno della terza liceo...

 Miss Eleanor Lavish invece è una "falsa intellettuale". Scrive un romanzo, pubblicato sotto pseudonimo, assolutamente mediocre sia per lo stile, sia per i contenuti. E' egocentrica, bizzarra e decisamente egoista. Si trova a Firenze per "studiare la natura umana", ma in realtà anche lei si rivela abile a "spettegolare"... Solitamente, un bravo studioso della natura umana osserva, ascolta, medita e riflette... Ma Miss Lavish è decisamente troppo estroversa!!

A mio avviso, in questo romanzo la componente maschile presenta nel complesso personalità decisamente migliori!

Freddy, diciannovenne sorridente, brillante e sveglio, dedica la maggior parte delle sue giornate a collezionare francobolli, a studiare nozioni di anatomia e a giocare a tennis. Freddy è sincero, genuino... è un ragazzo che non conosce né l'ipocrisia né la falsità perché dice sempre quello che pensa. Quando conosce il giovane George Emerson, lo saluta così: "Felice di conoscerla. Venga a fare un bagno.", con l'intento di invitarlo per davvero a fare un bagno in un laghetto in mezzo ai boschi.

George Emerson è un ragazzo intelligente, profondo, sensibile, malinconico. E' molto istruito e conosce molto bene la filosofia occidentale. George ha la saggezza di un anziano, nonostante la sua giovane età. Intuisce, ovviamente molto prima di Lucy, che il futuro matrimonio della ragazza con Cecil non potrebbe mai funzionare: "Non può pensare di vivere con Vyse. Con lui si possono avere soltanto rapporti superficiali. Si può fare vita sociale e conversazione erudita. Ma Cecil non è fatto per conoscere intimamente nessuno, tantomeno una donna. (...) E' il tipo di persona che se la cava benissimo finché si attiene alle cose...libri, quadri.. ma quando passa alle persone diviene mortale. Egli si diverte a farsi beffe della gente, della più sacra forma di vita che si possa trovare. Poi vi vedo insieme e non posso fare a meno di notare che si mostra protettivo verso di lei, che le insegna a scandalizzarsi, quando toccherebbe a lei decidere se scandalizzarsi o meno. Ecco che tipo è. Non ha il coraggio di lasciare alle donne la libertà di decidere. (...) Dedica ogni istante della sua vita a plasmarla, a insegnarle che cosa è bello e che cosa è divertente, che cosa si addice o non si addice a una signora. (...) E lei ascolta quella voce invece della sua. (...) Ma io ti amo... in modo diverso da come ti ama lui, in modo migliore. Io voglio che tu continui ad avere le tue idee anche quando ti stringo tra le braccia."

Il padre di George è un uomo molto cortese e sincero, spontaneo, genuino. Ho immaginato che da ragazzo debba essere stato come Freddy! Il signor Emerson si rivela ironico, bonario... però ancora sofferente per aver perduto la moglie alcuni anni prima, malata di tifo.

Cecil invece è un individuo superbo e arrogante, che dimostra apertamente sia il suo disprezzo verso la borghesia di campagna sia il suo astio per Freddy, il suo futuro cognato. Guai a chi osa contraddirlo, guai a chi osa esprimere un parere diverso dal suo su qualsiasi questione, anche su quelle più banali. Cecil è irritabile, scontroso, dispotico. E approfitta di ogni buona occasione per far sfoggio della sua cultura artistica e letteraria.

Mr Beebe, il reverendo della parrocchia londinese di “Summer street”, è una persona tranquilla, dotata di equilibrio, sempre pronto a dare buoni consigli a Lucy. Mr Beebe non è affatto rigido; anzi, sa ridere di fronte agli stupidi pettegolezzi delle donne.
Devo ammettere con immenso piacere che Forster è molto bravo a descrivere i paesaggi di campagna. Ecco qui un esempio: “Ai piedi di Lucy il terreno scendeva bruscamente verso il paesaggio, e le viole correvano giù a rivoli, torrenti e cateratte, irrigando il pendio di turchino, turbinando intorno ai tronchi degli alberi, raccogliendosi in pozzi dentro le conche, coprendo l'erba di macchie di schiuma azzurra. Mai, però, con tanta profusione come sulla terrazza dove si trovava Lucy: lì era la sorgente, la fonte da cui la bellezza sgorgava a irrorare la terra.”


Per concludere questo post, aggiungo ancora un paio di osservazioni: questo libro non lo consiglierei mai ad un ragazzo! Già io di tanto in tanto sbuffavo, soprattutto quando leggevo i dialoghi tra Charlotte e Lucy, quindi credo proprio che voi ragazzi vi annoiereste a leggere i ridicoli problemi e i fastidiosi pettegolezzi delle signore inglesi del Novecento. 
E comunque, questo libro presenta una società che denigra la sessualità, che scambia la purezza d'animo e la spontaneità per maleducazione, che si chiude in alcune assurde convinzioni religiose, come questa: "Dio punisce con la malattia e con la morte coloro che non credono in Lui"... proprio l'ideale per infastidire e per scocciare un ragazzo giovane...

In questo romanzo c'è un'evidente contrapposizione tra la sincerità e l'onestà di Freddy, George, Mr Beebe e Mrs Honeychurch e il perbenismo di Charlotte, di Miss Lavish e di Cecil.
... Ma la vita chiede a Lucy di scegliere uno di questi due atteggiamenti!


3 agosto 2015

La mia esperienza ad un campo di volontariato:


Sono tornata, cari lettori! Sono appena tornata da una settimana intensa, impegnativa e utile, che mi ha permesso di tornare a casa più ricca, più informata e più felice di prima!
Ho infatti trascorso l'ultima settimana del mese di luglio a Campolongo, un paesino che si trova in provincia di Venezia, a soli quindici chilometri da Dolo. Forse alcuni di voi sanno già che Campolongo è il paese natale di Felice Maniero, capo della "Mala del Brenta", un'organizzazione mafiosa che, fino a trent'anni fa, controllava con la violenza e con l'intimidazione sia la zona del Veneto orientale (Ossia, le province di Padova e Venezia) sia una buona parte del Friuli.
Questo campo di volontariato è stato organizzato da alcuni membri dell'associazione "Libera",
fondata da Don Luigi Ciotti, sacerdote molto impegnato nel sociale.
Dunque, di questa esperienza estremamente utile -e la definisco così perché penso che ogni persona giovane dovrebbe aderire almeno una volta nella vita ad un campo che unisce il lavoro manuale alla formazione culturale- illustrerò soprattutto gli aspetti positivi.
Il campo è durato una settimana esatta; da sabato 25 luglio alla mattina del sabato successivo, ovvero il 1 agosto.
Le giornate erano strutturate in questo modo: la mattinata era dedicata soprattutto allo svolgimento di lavori di manutenzione, i momenti del tardo pomeriggio invece erano riservati alla formazione. Alcuni relatori provenienti da varie parti di Italia hanno spiegato a noi volontari tematiche di attualità quali: la struttura delle organizzazioni mafiose, l'eco-mafia, il concetto di giustizia sociale e l'esistenza di un'economia sana e onesta, promossa negli ultimi anni dalla Banca Etica.


Quanto mi piaceva lavorare!!!  La settimana scorsa ho imparato a verniciare e a dipingere le pareti esterne di un edificio che è stato confiscato circa dieci anni fa alla Mala del Brenta e che è ora divenuto un centro sociale e ricreativo per minori con gravi problemi familiari.
Eccomi al lavoro!!!
Lavorare senza essere retribuita mi faceva sentire felice, proprio perché sapevo che anch'io, come tutti gli altri campisti, stavo dando il mio piccolo ma importante contributo per rendere i muri di quell'edificio più belli, più accoglienti e più colorati. Stavo lavorando per il bene di una comunità... ma stavo lavorando anche per me stessa. Fare del bene con generosità e con determinazione mi ha riempito il cuore di gioia! Ero talmente felice che, durante il lavoro, cantavo "Logico" di Cremonini, "L'ultima notte al mondo" di Tiziano Ferro, "Non ho che te" di Ligabue, "Pronto a correre" di Mengoni e altre ancora, sotto gli sguardi allibiti dei miei "colleghi" di lavoro. A dire il vero, ero partita da casa già con l'idea di andare a fare qualcosa di grandioso. Quante volte, la settimana scorsa, ho pensato a quello stupendo aforisma di Madre Teresa di Calcutta: "Quello che noi facciamo è soltanto una goccia nell'oceano, ma se non lo facessimo l'oceano avrebbe una goccia in meno".


Alcuni incontri formativi sono stati molto interessanti: lunedì 27, la relatrice Elisabetta Tropea, guardia forestale che ha lavorato molto nel territorio calabrese, ci ha fatto riflettere sull'espressione "fare il proprio dovere". Mi ricordo di averle risposto che per me il concetto di "dovere" è sinonimo del termine "onestà". Le ho detto che, secondo me essere onesti significa assumersi le proprie responsabilità giorno per giorno, anche nelle piccole cose. Per essere onesti e responsabili è necessario essere anche consapevoli delle proprie scelte di vita: mi sono iscritto ad una determinata facoltà? Ho accettato volentieri questo posto di lavoro? Allora devo essere onesto con me stesso, ovvero, devo fidarmi delle mie doti e delle mie capacità per poter assecondare i miei desideri e i miei progetti di vita. Quindi, va da sé che devo impegnarmi, devo metterci il cuore in quello che faccio, devo accettare tutte le fatiche e i sacrifici che il mio attuale ruolo sociale comporta. Per me è una specie di catena: dovere-onestà-responsabilità-consapevolezza-autostima. Forse avrò divagato un po', ma non riesco a spiegarmelo in altro modo il concetto di dovere.

Un altro incontro molto istruttivo è stato quello del 30 luglio. Qui, un giovane economista proveniente da Parma, ci ha spiegato sia il concetto di eco-mafia, sia il ruolo della Banca Etica italiana. Mentre parlava, ho elaborato una riflessione (e almeno qui, credo che una buona parte dei miei lettori si troverà d'accordo con me): In Campania, soprattutto nella zona compresa tra Caserta sud e Napoli nord, la criminalità organizzata provoca gravissimi danni ambientali; incendia i campi incolti e li riempie di milioni di rifiuti tossici che fanno ammalare e morire di tumore molti bambini e molti giovani. Laggiù la gente soffre per colpa della cattiveria della Camorra, che non viene mai punita! Al Sud la presenza mafiosa è molto più evidente che al Nord. 

Al Nord, anche in provincia di Verona, proprio dove vivo io, la Camorra campana e la 'Ndrangheta calabrese agiscono in modo più subdolo. Quello che voglio dire è che i Camorristi sanno benissimo che non possono trasferirsi in Veneto per appiccare incendi e per accumulare discariche abusive nelle colline veronesi o nelle campagne vicentine! Se lo facessero davvero, sarebbero costretti a pagare multe piuttosto salate e verrebbero incarcerati. E così, approfittando del fatto che il Veneto è una delle regioni più industrializzate d'Italia, diventano "più raffinati": infatti, dopo essere stati informati a proposito dell'andamento economico delle aziende e delle fabbriche, si infiltrano nella finanza, erogano dei crediti agli imprenditori in modo tale da poterli vincolare al pagamento di interessi molto alti. Quando gli imprenditori non sono più in grado di pagare, i mafiosi prendono possesso delle loro imprese e dei territori circostanti alle fabbriche, per poter attuare i loro affari sporchi e illeciti.
L'economia italiana è malata, ha un tumore che si chiama mafia. Un tumore con metastasi, che si è originato al Sud e si è poi propagato al Nord, dall'Emilia Romagna al Piemonte.
Pensate che in tutto il Nord Italia vengono spesi circa 60 miliardi di euro all'anno per profitti illeciti.

Va inoltre ricordato che il Codice Penale Italiano prevede una sanzione piuttosto ridicola per il reato di mafia: dai 4 ai 12 anni di reclusione con una multa che varia da un minimo di 5.000 euro a un massimo di 25.000 euro. Il punto è che i mafiosi, con i loro affari disonesti, tra cui il traffico di droga, guadagnano milioni di euro. Se si cambiassero certe leggi, la nostra situazione economica di certo migliorerebbe.

Comunque, prima di questa esperienza, credevo che l'economia fosse soltanto una "bestia nera", ovvero, una disciplina astrusa ed estremamente complessa fatta di grafici, di numeri, di statistiche e di probabilità. Mi ero fatta questa idea proprio a partire dai primi mesi di università, quando mi recavo nella biblioteca dell'Ateneo a studiare e, di tanto in tanto, sbirciavo con la coda dell'occhio i libri e i quaderni di alcuni studenti di economia.
In realtà, l'economia è una disciplina interessante, molto legata alla storia, alla geografia e agli sviluppi delle civiltà.

Dall'altro lato della medaglia, mi limito soltanto a dire che gli animatori potevano organizzare meglio la tempistica del campo! La mattina si lavorava, è vero, ma ogni giorno, c'erano quei due fastidiosissimi "tempi morti" che non ho mai potuto soffrire: il primo, dalle 14 e 30 fino alle 17 e 30, il secondo, dalle 20.30 circa fino a tarda notte. Per "tempi morti" intendo dire che in queste ore non veniva svolta alcuna attività... La formazione invece durava circa un'ora e mezza (17.30-19.00).
Avrei voluto che questi due lunghissimi spazi di "tempo libero"(chiamiamoli così, per una volta!) venissero impiegati in modo più intelligente, magari vedendo dei film sul tema della mafia, o spiegando la vita di Felice Maniero (perché sì, sono andata a fare volontariato nel paese di Maniero, ma tuttora dispongo di notizie piuttosto frammentarie riguardo la sua biografia!) oppure parlando della vita di alcuni importanti personaggi che hanno lottato contro la criminalità (Don Peppe Diana, Rosario Livatino, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Don Pino Puglisi.)... e invece nulla di tutto ciò. In quei momenti della giornata, siamo stati abbandonati a noi stessi, liberi di fare le nostre grosse cavolate post-adolescenziali.

Insomma, come tutte le esperienze che ho fatto lontana da casa, anche questa ha avuto i suoi lati positivi e i suoi lati negativi!