24 novembre 2016

"Il sabato del villaggio", Leopardi:


Dedico quest'analisi letteraria ad una ragazza che dovrebbe aver compiuto 22 anni proprio il mese scorso.
Lo so: conduciamo stili di vita diversi e lei ha intrapreso delle scelte di vita molto diverse dalle mie. 
Nonostante ciò, proprio lei è stata quasi l'unica figura positiva che ho conosciuto nel periodo del liceo. Era l'unica che sapeva ascoltarmi con un sincero sorriso sulle labbra, l'unica che con i suoi occhioni scuri a volte mi suggeriva di calmarmi e di fare un respiro profondo quando parlavo in modo concitato e senza pause. Era l'unica che non credeva nei cattivi, stupidi e maliziosi pettegolezzi che facevano su di me perché in fin dei conti questa ragazza aveva capito molto ma molto meglio degli altri la mia interiorità. Parlava con gli occhi e non con la bocca, almeno con me.
Starle seduta accanto anche soltanto per dieci minuti era come sentirmi a casa, al riparo dalle cattiverie e dalle falsità di tutti gli altri. 



 IL SABATO DEL VILLAGGIO:

"La donzelletta vien dalla campagna,                    1
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano                 3
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.                 7

Siede con le vicine                                                  8
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,                 12
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.                     15

Già tutta l'aria imbruna,                                         16
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù da' colli e da' tetti,
Al biancheggiar della recente luna.                       19

Or la squilla dà segno                                             20
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.                                           23

I fanciulli gridando                                                 24
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:                                           27

E intanto riede alla sua parca mensa,                    28
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.                          30

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega                         33    
Del legnaiuol, che veglia    
Nella chiusa bottega alla lucerna,                          35
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.                  37


Questo di sette è il più gradito giorno,                  38
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.                    42

Garzoncello scherzoso,                                          43
Cotesta età fiorita
E' come un giorno d'allegrezza pieno,                  45
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa                        50
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave. "               51


RECITAZIONE DEL CANTO DI ARNOLDO FOA:



Prima di "addentrarmi" nei paragoni filologici e prima ancora di riferire le varie interpretazioni di questo articolato componimento, devo citare ciò che scrisse lo stesso Leopardi a pagina 532 dello "Zibaldone": 
"Il piacere umano (...) consiste solamente nel futuro. L'atto proprio del piacere non si dà. Io spero un piacere e questa speranza in moltissimi casi si chiama piacere: ciascun individuale istante dell'atto del piacere è relativo agli istanti successivi. (...) Tutti i desideri umani non sono mai assolutamente chiari, distinti e precisi; ma contengono sempre un'idea confusa e si riferiscono ad un oggetto che si concepisce confusamente. Per questo e non per altro la speranza è meglio del piacere, contenendo quell'indefinito che la realtà non può contenere."

Sembrano teorie contorte e prive di fondamento. Per poterle comprendere profondamente bisogna riflettere bene sui contenuti proposti ne: "Il sabato del villaggio".

Io ho diviso questa poesia in sette sequenze che elenco qui sotto:

1) vv.1-7: La donzelletta che ritorna dalla campagna dopo un'intensa giornata di lavoro rappresenta l'adolescente che attende con gioia ed entusiasmo il futuro, coltivando i suoi sogni. Questa giovane è dunque l'esempio del piacere proiettato nel futuro.
Vi sono due dettagli piuttosto importanti in questi versi: il primo è il fascio d'erba, simbolo del lavoro concluso; il secondo invece è il mazzo di rose e viole.
E' vero che le viole e le rose non fioriscono nella stessa stagione ma, al di là di questo preciso dato scientifico, i fiori colorati sono per Giacomo Leopardi l'emblema della festa che si prospetta.

2)vv.8-15: La vecchia seduta su un gradino della scala ricorda il suo passato con nostalgia, mentre le compagne la ascoltano. In un certo senso, io ho immaginato la vecchia come una dama abbandonata sia dalla grazia che dalla giovinezza la quale, seduta mestamente sul divano di una grande sala da ballo in un palazzo, contempla, sola e senza amante, le gioie altrui, rievocando una fresca giovinezza ormai sbiadita.
Ad ogni modo, questo è un esempio di piacere proiettato nel passato, esempio che non si trova nel passo dello "Zibaldone" citato sopra. E' utile ricordare che quella pagina filosofica è stata scritta nel 1821, da un malinconico Leopardi ventitreenne che aveva idealizzato il mondo esterno e che nutriva ancora grandi aspettative verso il suo avvenire. "Il sabato del villaggio" invece è stato scritto nel 1829, ovvero, in una fase diversa del pensiero leopardiano. Molti storici della letteratura la chiamano "la fase del pessimismo cosmico", ovvero, quando Leopardi comprende che la vita umana è caratterizzata dall'angoscia, da una vana e disperata ricerca sia della felicità che dell'appagamento dei desideri. Io invece la chiamerei "la fase della fame di vita". Leopardi non era un depresso. Era piuttosto un poeta e un filosofo che, pur avendo preso coscienza sia del dolore che del male del mondo, non si rassegnava a soccombere ad essi ma ricercava continuamente degli attimi e delle occasioni che gli dessero la possibilità di sfiorare una scintilla di gioia in mezzo a un mare di inestinguibili speranze.

3) vv.16-23: Il poeta dipinge con tratti delicati pervasi da stupore lirico un paesaggio notturno in cui le ombre, scomparse dopo il tramonto, ritornano a formarsi sotto la luce lunare. "Imbruna" è una voce poetica piuttosto frequente nei madrigali di Tasso. D'altra parte, Leopardi era un grande ammiratore dell'autore della "Gerusalemme Liberata". 
Non è però un notturno in cui è evocata l'interiorità del poeta in dialogo con gli elementi naturali. E' piuttosto un notturno "allegro e gioioso", in cui si sente il suono della campana che ravviva negli animi il desiderio di festa. (Leopardi scrive sempre "squilla" per campana).


4) vv. 24-27: Si passa dalla descrizione di un villaggio che attende il giorno di festa agli schiamazzi dei bambini in piazza. Si passa dall'attesa dell'alba di un giorno di festa alla vera e propria alba della vita, direi io. Per il poeta, la mente del bambino non è in grado di concepire il futuro come tempo dell'esistenza, anche se l'infanzia in sé è un periodo della vita che si proietta verso un avvenire indefinito.


5) vv.28-37: Vengono evidenziate l'operosità e il solerte lavoro del contadino e del falegname. "E' spenta ogni altra face" è un'espressione che, nella tradizione letteraria italiana indica una passione amorosa languente. Qui invece Leopardi le dà un significato nettamente differente, perché la inserisce in un contesto di quiete e di silenzio, contesto in cui opera il falegname. L'anafora al verso 33 del verbo "odi" è presente anche in un passaggio de: "Il passero solitario". Eccolo qui: "Odi per lo sereno un suon di squilla, odi spesso un tonar di ferree canne che rimbomba lontan di villa in villa."

Qui ho pensato anche a due passi del "Mattino" di Parini che fanno:
" Allora il buon villan sorge dal caro/ letto cui la fedel moglie e i minori/suoi figlioletti intiepidir la notte:/poi sul dorso portando i sacri arnesi (che prima ritrovò Cerere o pale/ move seguendo i lenti bovi (...)"

"Allora sorge il fabbro, e la sonante/ officina riapre, e all'opre torna/l'altro dì non perfette (...)"

Anche Parini, poeta neoclassico del XVIII° secolo, presenta gli umili come zelanti nel loro lavoro e contenti delle loro modeste condizioni di vita.

6) vv. 38-42: La domenica è un giorno di riposo; è il giorno in cui solitamente si accantona la propria vita lavorativa (fosse così anche per commesse e cassiere dei supermercati, si vivrebbe già in un mondo migliore!) per recuperare il valore delle relazioni umane. Però, la domenica non dura in eterno: dopo di lei c'è sempre il noiosissimo e deprimente lunedì che obbliga tutti a tornare "al travaglio usato". La prova schiacciante del fatto che la gioia e il piacere non sono affatto duraturi!

7) vv. 43- 51: Apostrofe "garzoncello scherzoso". Ammonimento al ragazzino che si traduce sostanzialmente in un caldo invito a godere appieno delle illusioni fanciullesche e dei propri giovanili sogni di vita. Da notare l'espressione: "età fiorita", che allude alla letizia di una ingenua e inconscia stagione della vita che non conosce, o meglio, non dovrebbe conoscere né i travagli né il dolore. 

Quanto Leopardi è vicino ai giorni nostri con questo componimento? Tutti, se pensiamo alla nostra realtà quotidiana, non possiamo dargli torto sul carattere effimero delle gioie. 

L'avevo già trascritto un paio d'anni fa in un post in cui nutrivo delle perplessità sulla filosofia di Schopenhauer, ma riporto queste frasi che ben si attengono 
all'argomento presentato:

" Ogni volere scaturisce da un bisogno, da una mancanza, ossia da sofferenza (... ); tuttavia, per un desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno altri dieci insoddisfatti; inoltre la brama dura a lungo, le esigenze vanno all'infinito; l'appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto(=subito) luogo ad un desiderio nuovo."





17 novembre 2016

"Difret, il coraggio di cambiare":


 "Le parolacce abbondano sulla bocca dei maleducati".  Su questo siamo tutti d'accordo, spero.
A questa affermazione io ne aggiungo un'altra:"Le parolacce riempiono la mente dell'indignato e gli avvelenano l'anima." Bene, sappiate che è il mio caso.

L'altro ieri è stata una giornata molto impegnativa all'Università. Il martedì torno a casa sempre tardi.
Ad ogni modo, l'altra sera avevo deciso di partecipare al festival del cinema africano per un ulteriore arricchimento culturale.
Al cinema del mio paese davano infatti un film ambientato in Africa intitolato "Difret" ed elegantemente accompagnato dall'espressione: "il coraggio di cambiare".
Non mi aspettavo certo un film divertente, rilassante e comico; in effetti ero ben consapevole di
andare a vedere una storia decisamente drammatica. Non mi sono impressionata, però non potete minimamente immaginare quante parolacce ho pensato durante la visione, che è durata meno di due ore. Saranno state almeno il triplo di quelle che penso e pronuncio nell'arco di una settimana, ve l'assicuro. Li ho odiati, li ho odiati a morte certi personaggi.
Anche se prevedevo che quella storia mi avrebbe riempito l'animo di rabbia, ugualmente sono voluta uscire di casa.
Il cinema africano è informazione, dal momento che permette agli spettatori di allargare i propri orizzonti e anche di osservare, attraverso uno schermo piatto, le tragedie delle popolazioni che vivono in quelle terre calde e soleggiate.

Una piccola ma importante precisazione linguistica: la parola "difret" in amarico ha due significati, molto diversi l'uno dall'altro: il primo è "coraggio", il secondo "violenza sessuale".


L'ETIOPIA:


"Difret" è ambientato in Etiopia.
Mi sembrava dunque opportuno descrivere alcune caratteristiche fisiche, economiche, storiche e politiche di questo stato.
L'Etiopia, situata nel territorio denominato "il Corno d'Africa", confina ad est con il Gibuti e la Somalia, a ovest con il Sudan, a nord con l'Eritrea e a sud con il Kenya. 
Il territorio etiope appare esteso in gran parte sull'altopiano, ove spiccano vette che raggiungono addirittura i 4000 metri di altitudine. 
L'altopiano è solcato a nord-ovest dalla Rift Valley che ospita diversi laghi, mentre verso l'Oceano Indiano l'altopiano digrada nei pressi le coste somale. Dall'Acrocoro etiopico hanno origine diversi fiumi. 
Il clima risulta essere piuttosto mite e temperato.
Probabilmente la regione etiopica è stata, tre milioni di anni fa, la culla dell'umanità. Secondo diversi storici e scienziati, proprio qui sarebbero comparsi i primi ominidi. 
Gli Etiopi hanno alle spalle un passato caratterizzato dal susseguirsi di regni sia cristiani che islamici, fino all'invasione dell'Italia che riuscì a conquistarla nel 1936, durante gli anni del fascismo.
L'Etiopia è indipendente dal 1952. Nel corso del secondo Novecento si sono susseguiti dei regimi dittatoriali. Bisogna inoltre ricordare la sanguinosa guerra di indipendenza dell'Eritrea, durata dal 1993 al 1998. 
La popolazione etiope è etnicamente complessa, come quella di molti altri stati africani: vi sono sia cristiani sia musulmani. Il tasso di natalità, molto elevato, ha portato ad un raddoppiamento della popolazione negli ultimi vent'anni. Questo significa che il 45% degli Etiopi ha meno di 16 anni.
L'economia è basata soprattutto su un'agricoltura di pura sussistenza e sull'allevamento di bovini. 
La speranza di vita è di soli 54 anni, mentre il tasso di mortalità infantile è dell'80 per mille, uno dei più alti del continente. 

Paesaggi etiopi

Lago Tana

TRAMA:

La protagonista del film è Hiruth, una ragazzina di quattordici anni, secondogenita di una famiglia di poveri ma saggi contadini.
Un giorno, mentre attraversa un vasto campo saltellando, contenta di aver ottenuto dei buoni voti per l'ammissione alla classe successiva, viene rapita da un gruppo di uomini a cavallo che la conducono in una capanna. Nella scena del rapimento, il montaggio indugia per alcuni secondi su quel foglio di carta abbandonato tra l'erba. E' il compito svolto da Hiruth, quel compito in classe che aveva decretato la sua idoneità alla promozione. Quel foglio di carta è un simbolo: rappresenta il sacrosanto diritto all'istruzione, spesso violato nei paesi asiatici e africani.
Quella ragazzina aspirava a diplomarsi per poi accedere all'Università di Addis Abeba e invece, un uomo sulla trentina voleva sposarla con la forza. Mi riferisco a Taddele Kebedè, uno dei sequestratori a cavallo. Per assecondare un suo capriccio egoistico, ovvero, l'essersi stupidamente invaghito di una giovanissima studentessa, ha rapito Hiruth facendosi aiutare da altri uomini.
Durante la notte ha abusato della ragazzina, togliendole la verginità, ovvero, il bene più prezioso che ogni essere umano deve saper custodire.
Molte ragazze occidentali della mia generazione la buttano proprio via, magari per accontentare i desideri e i ricatti di un imbecille oppure per "provare il sesso". Ma dai... ma si può provare il sesso? Si può andare a letto con un ragazzo conosciuto da pochissimo? Si può andare a letto con una persona che ti piace soltanto? Se amare è diverso dall'invaghirsi anche il piacersi è diverso dall'innamorarsi. Se un ragazzo ti piacesse per davvero non dovresti nemmeno riuscire a guardarlo in faccia. Lo so per esperienza personale. Come mai ora dilaga questa concezione di immediato possesso dell'altra persona?
Prima di dire definitivamente addio alla verginità, bisogna conoscere il più profondamente possibile l'anima della persona a cui si tiene. Prima ci si spoglia dei segreti dell'anima, poi si donano i corpi.

Ad ogni modo, per impedire la ribellione della ragazzina, Taddele la schiaffeggiava durante il rapporto sessuale. Oh, ma quanto amore!  Non mi venite a dire che era innamorato... L'innamoramento è una scintilla che porta al rispetto, all'ascolto, alla sete di conoscenza dell'altro.
L'innamoramento prepara all'amore, ad un progetto, al dono di sè.

La mattina dopo, Hiruth era ridotta così, osservate bene la foto e ingranditela a schermo intero se necessario:



 LE TRADIZIONI CHE VIOLANO I DIRITTI DELLE DONNE:

Questa era la tradizione etiope nel 1996, esattamente vent'anni fa: "carissimo uomo, vuoi possedere una ragazza ma i suoi genitori non acconsentono al tuo matrimonio con lei? La soluzione è semplice: la rapisci quando si trova da sola in mezzo ai campi, la stupri nottetempo e la tieni imprigionata per delle settimane. Quando ti accorgi che è incinta, allora la sposi."

Ecco come funzionava quella marcia e schifosa tradizione rurale etiope, ora severamente punita dalle leggi.  La donna, o meglio, la ragazza, è vista come un oggetto di piacere per il prepotente e arrogante uomo, che può fare di lei quello che vuole. E' una macchina che genera un figlio dopo l'altro, attraverso atti sessuali frequenti, obbligati e dolorosi.
L'umanità a misura di maschio. Che novità! E' così da cinquemila anni, praticamente dal neolitico.
Il maschio umano è stato spesso la causa di violenze inaudite a danno dei suoi simili e a danno della donna, che avrebbe invece dovuto e che tuttora dovrebbe invece amare e rispettare.
Sia ben chiaro, non sto generalizzando, anche perché, se generalizzassi, mancherei certamente di rispetto a una componente maschile sensibile e decisamente intelligente. Però questa è stata la storia.
La storia della donna è una storia di sottomissioni, di soprusi, di mancati diritti e di lotte per poterli ottenere. Per favore, ragazze, questo teniamolo bene in mente! Teniamoci stretti i nostri diritti, e non dimentichiamo mai che dobbiamo esigere il rispetto come persone. Non siamo le bamboline da vetrina di un negozio di giocattoli. Siamo fatte di carne, non di plastica. E il nostro corpo è fatto per interiorizzare l'amore sincero di un uomo amabile e rispettoso in modo tale da poterlo tramutare in una nuova vita.

La mattina dopo la violenza, mentre al di fuori della capanna quei porci uomini fanno tra loro discorsi oltremodo volgari su di lei, la ragazzina prende un fucile ed esce di nascosto dalla capanna. Mentre corre attraverso i vasti campi etiopi, i sei uomini la inseguono. Arrivati in un bosco, per impedire ai suoi inseguitori di farle di nuovo del male, Hiruth impugna un fucile e spara al suo futuro marito, provocandogli una morte istantanea.
Secondo alcune leggi etiopi in vigore negli anni Novanta, Hiruth avrebbe dovuto essere condannata a morte per questo atto di legittima difesa. Invece, è ancora viva ed ha più di trent'anni.
Ci ha pensato una giovane, energica e agguerrita avvocatessa a salvarle la vita; la signora Meaza Ashenafi, la quale le ha offerto un'assistenza legale gratuita. E' riuscita prima a ottenere il permesso di portare in ospedale la sua assistita, in modo tale da poterla curare da graffi, lividi e fratture e poi ha ottenuto anche la sua scarcerazione.

Infine, dopo molti mesi, l'udienza in tribunale aveva definitivamente confermato l'innocenza di Hiruth.
Per restituire la vita ad una ragazzina, Meaza ha rischiato di perdere il lavoro, il sostegno dei suoi colleghi e addirittura anche la tutela di Hiruth, la quale, nel periodo successivo alla scarcerazione, abitava con lei in una casa ad Addis Abeba. La giovane ragazza non poteva tornare a vivere nel villaggio dei suoi genitori subito dopo essere stata liberata perché altrimenti i compagni dell'assassinato le avrebbero tagliato la gola.

Il film, seppur oltremodo drammatico, è a lieto fine. Hiruth ha vinto la causa, ma dovrà convivere con il trauma della violenza sessuale fino alla fine dei suoi giorni.
Colpa dell'egoismo e della cattiveria di un uomo, che tra l'altro ha sottratto una figlia adolescente a due genitori, senza nemmeno lontanamente pensare al dolore e all'angoscia che ha suscitato in loro con questo suo atto. Ecco che cosa mi fa imbestialire di questa storia. Credo sia impossibile guarire da certi traumi psicologici.

"E' stata liberata, è tornata a casa con la sua famiglia, cosa volevi di più?", mi ha chiesto mia madre alla fine della proiezione.

Nulla. Volevo soltanto che una ragazzina non soffrisse così tanto per vedersi riconoscere la sua dignità e i suoi diritti. Avrei voluto che non l'avessero mai rapita.
Ma senza rapimento non ci sarebbe stato alcun film su di lei, la prima donnina africana ad essere scampata ad un'ingiusta pena di morte!



8 novembre 2016

"Into the wild": i grandi valori



Ho già scritto di questo film?! Bene, a maggior ragione allora vi propongo ulteriori riflessioni, a distanza di tempo. D'altronde, chi ha mai detto che le recensioni di un film devono essere scritte una volta sola?!!




Sapete che più cresco e più mi rendo conto di assomigliare molto a quel ragazzo che dal 1990 al 1992 ha percorso da solo le terre più vaste e più pericolose degli Stati Uniti?
Vi dirò di più: solo adesso, a poco più di vent'anni, dopo aver letto il libro e dopo aver rivisto il film, sono riuscita a capire davvero il senso della storia di Alex; o almeno, ho colto più significati ora rispetto a quando ero nel pieno dell'adolescenza.
Il giovane protagonista di "Into the Wild" è praticamente la mia versione maschile: determinato, sveglio, simpatico, intraprendente e amante della cultura. Ma soprattutto, io e Alex condividiamo l'amore per la verità e la semplicità. Detestiamo doppie facce e menzogne, soprattutto se prolungate nel corso del tempo.

La storia di Chris McCandless è destinata ai ventenni, perché lancia un messaggio ben preciso, anzi, fa di più: suggerisce un progetto di vita autentico, imperlato di grandi ideali e di relazioni profonde.
Il film non vuole esortare tutti i neo-laureati a compiere un viaggio nei luoghi più solitari e desolati allo scopo di fuggire dai legami familiari e dalle responsabilità. Piuttosto, direi che consiglia alle giovani generazioni di aspirare alla sobrietà, alla sincerità nei rapporti con gli altri, all'ascolto e al dialogo. E' un film che invita continuamente all'empatia: Alex, durante i suoi estenuanti ma avventurosi viaggi incontra diverse persone. Tutte loro hanno un passato alle spalle, dei ricordi dolorosi e dei ricordi piacevoli. Il giovane in un certo senso si nutre di tutte le loro storie e cammina, cammina continuamente alla ricerca di nuovi orizzonti, alla ricerca di luoghi suggestivi, alla ricerca di altre vite. D'altra parte, sa benissimo che:"la libertà e la bellezza sono troppo importanti per lasciarsele sfuggire".  
Sia chiaro questo: libertà non di fare esattamente tutto ciò che voglio senza pensare alle conseguenze delle mie azioni, ma libertà di godere di ogni respiro di questa vita.

"Se ammettiamo che l'essere umano possa essere governato dalla ragione, ci precludiamo la possibilità di vivere." ; così pensava il mitico Alex Supertramp quando, con un piccolo kayak sfrecciava sulle rapide del fiume Colorado.
Questa affermazione mi ricorda una frase pronunciata in un altro film relativo al tema del viaggio, ancora più recente però. Mi sto riferendo a "Il cammino di Santiago". Nella scena iniziale infatti, il figlio del protagonista della vicenda dice: "La vita non si sceglie, papà. La vita si vive".
E secondo voi??! Io sono per il fifty-fifty, ovvero, cinquanta e cinquanta. Credo che nessuno, in certi momenti cruciali dell'esistenza, possa permettersi di sfuggire di fronte alle scelte; e ad ogni modo, ognuno di noi è chiamato a scegliere nella vita: da un semplice gusto di gelato a una facoltà universitaria, da una pizza a un tipo di professione. A volte mi verrebbe da dire che la nostra vita è un mosaico le cui tessere sono le nostre decisioni.
Il giovane Chris McCandelss (questo il suo vero nome), quando ha deciso di partire da Annadale (Virginia) per condurre uno stile di vita lontano dagli agi, dalla ricchezza e dall'ipocrisia familiare, ha compiuto una scelta. Una scelta fondamentale per riscoprire non soltanto il valore della sua persona nella solitudine e nella meditazione ma anche l'inestimabile ricchezza dei rapporti umani.


D'altro canto però, la vita si vive. Sembra banale, ma credo che non ci sia nulla di più vero!
Le scelte sono spesso dettate dalla razionalità e dal buonsenso, ma i sentimenti... i sentimenti invece si vivono. O meglio, si dovrebbero vivere. Come dice un racconto di Davide Bernasconi intitolato: "Le parole sognate dai pesci", "I sentimenti non si possono stirare". E' vero. Se sono sinceri ti accompagnano nella tua quotidianità e tu non puoi pretendere di reprimerli. Se cerchi di reprimerli, se ti mostri piuttosto rigida con le persone a cui vuoi un mondo di bene sono cavoli amari, perché in questo modo condanni te stessa alla sofferenza e a volte anche a crisi di pianto inarrestabili.
Questo accade perché pensi di essere troppo strana e troppo originale per poter meritare la gentilezza del prossimo oppure anche per il fatto che non sei abituata ad essere ascoltata e compresa dai tuoi coetanei. Riconosco di essere sempre stata poco espansiva. Sono brava a scrivere i sentimenti, ma molto meno a esprimerli vocalmente.
A questo proposito, trascrivo un'altra frase piuttosto profonda del giovane viaggiatore:
"Ci sono persone convinte di non meritare l'amore. Loro si allontanano in silenzio dentro spazi vuoti cercando di chiudere le brecce al passato."
E' una frase che fa venire i brividi: lo spettatore particolarmente attento che, dalle poltroncine del cinema o dal divano del salotto, ascolta attentamente queste frasi pensa o comunque ricorda, con una preghiera silenziosa, le persone che non vorrebbero essere mai nate, ovvero, tutte quelle persone che probabilmente hanno avuto un'infanzia difficile e hanno perso la speranza di poter ammirare l'arcobaleno con le stelle. Tutte quelle persone che hanno perso la fiducia nella vita e negli altri. Tutte quelle persone che hanno bisogno di essere sorrette, accompagnate a braccetto o, in casi seri di depressione nera, di essere portate in braccio.
"Non conta essere forti, ma sentirsi forti", dice qualche minuto dopo il ragazzo. Con l'autostima e la motivazione si riescono a scalare le montagne, dice mio padre. Almeno su questo non ha affatto torto. "Se vuoi una cosa nella vita, allunga la mano e prendila!" Certamente. Niente di più semplice. Perché complicarsi la vita con complessi inutili??!

La colonna sonora è a dir poco stupenda! Sono quasi tutte canzoni di Eddie Vedder eseguite alla chitarra. Tutte bellissime, soprattutto "No ceiling", "Long nights", "Society", "Hard sun", "Guaranteeed". Le ho scaricate tutte e ultimamente sono diventate anche la colonna sonora dei miei piccoli viaggi in automobile. Tenete presente che sono una patita proprio di questo genere musicale che si colloca a metà strada tra il pop e il country.

Il film inizia con "Guaranteed", brano perfetto per introdurre l'indole e i comportamenti del protagonista:


"Sono indignato ma sono puro in tutti i miei pensieri... Sono vivo." Proprio come me.
Indignata lo sono sì, e confesso di avere accumulato parecchia rabbia negli ultimi anni, per vari motivi e per esperienze oltremodo deludenti. Ad ogni modo, mi ritengo una persona viva perché non rinuncio mai a cercare piacere e serenità, anche nella contemplazione di un tramonto.
Leggetevi l'omonimo libro di John Krakauer! Ve lo consiglio caldamente.
Cito qui alcuni passi del romanzo che mi hanno seriamente fatto pensare di assomigliare a Chris McCandless.
"La personalità di McCandless era talmente complessa da risultare sconcertante. Era molto introverso, ma sapeva diventare socievole e comunicativo fino all'eccesso. Possedeva un' acuta coscienza sociale, ma non era certo il benefattore taciturno e scontroso che disapprova il divertimento."

"Se cercavi di dissuaderlo da qualcosa, non si metteva a discutere. Educatamente ti rispondeva con un cenno e poi faceva esattamente quello che voleva."

"Ancor più degli adolescenti in genere, Chris vedeva solo il bianco e il nero e giudicava se stesso e gli altri secondo un codice morale di insostenibile rigore. Curiosamente però, non con tutti usava gli stessi rigidi parametri. (...) Chris era consapevole dei molti difetti di alcuni suoi conoscenti e amici, ma a loro riuscì a perdonare. (...) Chris sembrava giudicare le persone in base alle loro opere e non alla loro vita. "
Però non è riuscito a perdonare gli errori di un padre adultero e ipocrita.

Nel suo romanzo "Cose che nessuno sa", Alessandro D'Avenia cita la canzone "No ceiling".
E' Giulio, il ragazzo innamorato di Margherita, che cita il film come uno stupendo capolavoro e che, durante il loro viaggio alla ricerca del padre di lei, carica sul lettore CD dell'auto la colonna sonora di "Into the Wild".




Forse non ci avete fatto caso, ma in "Into the wild" c'è anche un messaggio evangelico. Soprattutto nel dialogo con Ron, il vecchio scorbutico, emergono le tematiche dell'amore e del perdono, tanto care al cristianesimo.
Eccolo qui, e con questo concludo davvero: