24 novembre 2016

"Il sabato del villaggio", Leopardi:


Dedico quest'analisi letteraria ad una ragazza che dovrebbe aver compiuto 22 anni proprio il mese scorso.
Lo so: conduciamo stili di vita diversi e lei ha intrapreso delle scelte di vita molto diverse dalle mie. 
Nonostante ciò, proprio lei è stata quasi l'unica figura positiva che ho conosciuto nel periodo del liceo. Era l'unica che sapeva ascoltarmi con un sincero sorriso sulle labbra, l'unica che con i suoi occhioni scuri a volte mi suggeriva di calmarmi e di fare un respiro profondo quando parlavo in modo concitato e senza pause. Era l'unica che non credeva nei cattivi, stupidi e maliziosi pettegolezzi che facevano su di me perché in fin dei conti questa ragazza aveva capito molto ma molto meglio degli altri la mia interiorità. Parlava con gli occhi e non con la bocca, almeno con me.
Starle seduta accanto anche soltanto per dieci minuti era come sentirmi a casa, al riparo dalle cattiverie e dalle falsità di tutti gli altri. 



 IL SABATO DEL VILLAGGIO:

"La donzelletta vien dalla campagna,                    1
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano                 3
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.                 7

Siede con le vicine                                                  8
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,                 12
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.                     15

Già tutta l'aria imbruna,                                         16
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù da' colli e da' tetti,
Al biancheggiar della recente luna.                       19

Or la squilla dà segno                                             20
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.                                           23

I fanciulli gridando                                                 24
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:                                           27

E intanto riede alla sua parca mensa,                    28
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.                          30

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega                         33    
Del legnaiuol, che veglia    
Nella chiusa bottega alla lucerna,                          35
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.                  37


Questo di sette è il più gradito giorno,                  38
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.                    42

Garzoncello scherzoso,                                          43
Cotesta età fiorita
E' come un giorno d'allegrezza pieno,                  45
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa                        50
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave. "               51


RECITAZIONE DEL CANTO DI ARNOLDO FOA:



Prima di "addentrarmi" nei paragoni filologici e prima ancora di riferire le varie interpretazioni di questo articolato componimento, devo citare ciò che scrisse lo stesso Leopardi a pagina 532 dello "Zibaldone": 
"Il piacere umano (...) consiste solamente nel futuro. L'atto proprio del piacere non si dà. Io spero un piacere e questa speranza in moltissimi casi si chiama piacere: ciascun individuale istante dell'atto del piacere è relativo agli istanti successivi. (...) Tutti i desideri umani non sono mai assolutamente chiari, distinti e precisi; ma contengono sempre un'idea confusa e si riferiscono ad un oggetto che si concepisce confusamente. Per questo e non per altro la speranza è meglio del piacere, contenendo quell'indefinito che la realtà non può contenere."

Sembrano teorie contorte e prive di fondamento. Per poterle comprendere profondamente bisogna riflettere bene sui contenuti proposti ne: "Il sabato del villaggio".

Io ho diviso questa poesia in sette sequenze che elenco qui sotto:

1) vv.1-7: La donzelletta che ritorna dalla campagna dopo un'intensa giornata di lavoro rappresenta l'adolescente che attende con gioia ed entusiasmo il futuro, coltivando i suoi sogni. Questa giovane è dunque l'esempio del piacere proiettato nel futuro.
Vi sono due dettagli piuttosto importanti in questi versi: il primo è il fascio d'erba, simbolo del lavoro concluso; il secondo invece è il mazzo di rose e viole.
E' vero che le viole e le rose non fioriscono nella stessa stagione ma, al di là di questo preciso dato scientifico, i fiori colorati sono per Giacomo Leopardi l'emblema della festa che si prospetta.

2)vv.8-15: La vecchia seduta su un gradino della scala ricorda il suo passato con nostalgia, mentre le compagne la ascoltano. In un certo senso, io ho immaginato la vecchia come una dama abbandonata sia dalla grazia che dalla giovinezza la quale, seduta mestamente sul divano di una grande sala da ballo in un palazzo, contempla, sola e senza amante, le gioie altrui, rievocando una fresca giovinezza ormai sbiadita.
Ad ogni modo, questo è un esempio di piacere proiettato nel passato, esempio che non si trova nel passo dello "Zibaldone" citato sopra. E' utile ricordare che quella pagina filosofica è stata scritta nel 1821, da un malinconico Leopardi ventitreenne che aveva idealizzato il mondo esterno e che nutriva ancora grandi aspettative verso il suo avvenire. "Il sabato del villaggio" invece è stato scritto nel 1829, ovvero, in una fase diversa del pensiero leopardiano. Molti storici della letteratura la chiamano "la fase del pessimismo cosmico", ovvero, quando Leopardi comprende che la vita umana è caratterizzata dall'angoscia, da una vana e disperata ricerca sia della felicità che dell'appagamento dei desideri. Io invece la chiamerei "la fase della fame di vita". Leopardi non era un depresso. Era piuttosto un poeta e un filosofo che, pur avendo preso coscienza sia del dolore che del male del mondo, non si rassegnava a soccombere ad essi ma ricercava continuamente degli attimi e delle occasioni che gli dessero la possibilità di sfiorare una scintilla di gioia in mezzo a un mare di inestinguibili speranze.

3) vv.16-23: Il poeta dipinge con tratti delicati pervasi da stupore lirico un paesaggio notturno in cui le ombre, scomparse dopo il tramonto, ritornano a formarsi sotto la luce lunare. "Imbruna" è una voce poetica piuttosto frequente nei madrigali di Tasso. D'altra parte, Leopardi era un grande ammiratore dell'autore della "Gerusalemme Liberata". 
Non è però un notturno in cui è evocata l'interiorità del poeta in dialogo con gli elementi naturali. E' piuttosto un notturno "allegro e gioioso", in cui si sente il suono della campana che ravviva negli animi il desiderio di festa. (Leopardi scrive sempre "squilla" per campana).


4) vv. 24-27: Si passa dalla descrizione di un villaggio che attende il giorno di festa agli schiamazzi dei bambini in piazza. Si passa dall'attesa dell'alba di un giorno di festa alla vera e propria alba della vita, direi io. Per il poeta, la mente del bambino non è in grado di concepire il futuro come tempo dell'esistenza, anche se l'infanzia in sé è un periodo della vita che si proietta verso un avvenire indefinito.


5) vv.28-37: Vengono evidenziate l'operosità e il solerte lavoro del contadino e del falegname. "E' spenta ogni altra face" è un'espressione che, nella tradizione letteraria italiana indica una passione amorosa languente. Qui invece Leopardi le dà un significato nettamente differente, perché la inserisce in un contesto di quiete e di silenzio, contesto in cui opera il falegname. L'anafora al verso 33 del verbo "odi" è presente anche in un passaggio de: "Il passero solitario". Eccolo qui: "Odi per lo sereno un suon di squilla, odi spesso un tonar di ferree canne che rimbomba lontan di villa in villa."

Qui ho pensato anche a due passi del "Mattino" di Parini che fanno:
" Allora il buon villan sorge dal caro/ letto cui la fedel moglie e i minori/suoi figlioletti intiepidir la notte:/poi sul dorso portando i sacri arnesi (che prima ritrovò Cerere o pale/ move seguendo i lenti bovi (...)"

"Allora sorge il fabbro, e la sonante/ officina riapre, e all'opre torna/l'altro dì non perfette (...)"

Anche Parini, poeta neoclassico del XVIII° secolo, presenta gli umili come zelanti nel loro lavoro e contenti delle loro modeste condizioni di vita.

6) vv. 38-42: La domenica è un giorno di riposo; è il giorno in cui solitamente si accantona la propria vita lavorativa (fosse così anche per commesse e cassiere dei supermercati, si vivrebbe già in un mondo migliore!) per recuperare il valore delle relazioni umane. Però, la domenica non dura in eterno: dopo di lei c'è sempre il noiosissimo e deprimente lunedì che obbliga tutti a tornare "al travaglio usato". La prova schiacciante del fatto che la gioia e il piacere non sono affatto duraturi!

7) vv. 43- 51: Apostrofe "garzoncello scherzoso". Ammonimento al ragazzino che si traduce sostanzialmente in un caldo invito a godere appieno delle illusioni fanciullesche e dei propri giovanili sogni di vita. Da notare l'espressione: "età fiorita", che allude alla letizia di una ingenua e inconscia stagione della vita che non conosce, o meglio, non dovrebbe conoscere né i travagli né il dolore. 

Quanto Leopardi è vicino ai giorni nostri con questo componimento? Tutti, se pensiamo alla nostra realtà quotidiana, non possiamo dargli torto sul carattere effimero delle gioie. 

L'avevo già trascritto un paio d'anni fa in un post in cui nutrivo delle perplessità sulla filosofia di Schopenhauer, ma riporto queste frasi che ben si attengono 
all'argomento presentato:

" Ogni volere scaturisce da un bisogno, da una mancanza, ossia da sofferenza (... ); tuttavia, per un desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno altri dieci insoddisfatti; inoltre la brama dura a lungo, le esigenze vanno all'infinito; l'appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto(=subito) luogo ad un desiderio nuovo."





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