6 aprile 2018

Ettore e Andromaca: l'amore vero (I):

Il dialogo d'addio fra Ettore e Andromaca si trova nel sesto libro dell'Iliade, dal verso 392 al verso 496. E' una sezione letteraria decisamente lunga, ma, dal momento che a mio avviso merita una lettura con commento, ho deciso di suddividerla in due parti: stasera mi concentro sui versi da 392 a 439, la settimana prossima parlerò dei rimanenti.
Ho ritenuto opportuno inoltre risparmiarvi il testo originale greco. 
La traduzione italiana di questa parte però è tutta mia e in certi punti non è molto letterale, anche perché si tratta di uno dei miei passi preferiti dell'Iliade, quindi ci ho messo molto cuore.

VV. 392-403:

"Quando, dopo che ebbe attraversato la grande città, giunse alle Porte Scee da cui si apprestava ad uscire verso la pianura, qui la moglie dai molti doni gli giunse dinanzi correndo, Andromaca, figlia del coraggioso Ezione che abitava al di sotto del Placo selvoso, Tebe Ipoplacia, che regnava su uomini della Cilicia; sua figlia era andata in sposa a Ettore dall'elmo di bronzo. Lei dunque gli andò incontro, e con lei andava l'ancella stringendo tra le braccia il bambino innocente, tuttora infante, figlio di Ettore amabile, simile a una fulgida stella. Ettore lo chiamava Scamandrio, invece gli altri Astianatte: infatti Ettore difendeva Ilio da solo."
 
"πολύδωρος" (polìdoros): significa "ricca di doni". Questo aggettivo lo si può intendere in vari modi, che qui elenco: economicamente, Andromaca sicuramente era benestante, figlia di un re, e dunque, disponeva di una dote ricca. Però la parola potrebbe anche riferirsi alle sue qualità esteriori e interiori: bella, sensibile, amabile e fedele. A me però piace pensare anche ad un altro senso da attribuire a πολύδωρος, ovvero, quello di "doni meravigliosi ricevuti dal marito, quali un sincero amore coniugale e il figlio".

"ἀταλάφρονα" (atalàfrona) è un composto, da ἀταλός (atalòs)= innocente + φρὴν (frèn)= mente.
Letteralmente dunque porta il significato di "mente innocente", quindi una "mente che non sa pensare al male". Adelaide Antici, madre di Leopardi, in un'epoca (inizio XIX° secolo) in cui la mortalità infantile era ancora spaventosamente alta, riteneva assurdo che i genitori piangessero la morte dei figli bambini, dal momento che "i bambini sono morti da creature innocenti, meglio dunque che siano andati in Paradiso prima di conoscere il male che corrompe l'anima umana". 
Capite bene ora il motivo per cui Giacomo era ateo... con una madre così cattolicamente ignorante e anche parecchio bigotta, tutti lo diventerebbero.

Forse vi starete chiedendo come mai Ettore avrebbe dovuto soprannominare un figlio così piccolo con un appellativo così strano come "Scamandrio". Io so che lo Scamandro era un fiume che scorreva nelle pianure vicine a Troia (Ilio per l'epica, da cui il titolo "Iliade").
Il soprannome Astianatte invece, composto che racchiude le parole italiane signore e città, dunque dall'italiano al greco omerico: ἄναξ (anax) + ἄστυ (àstu), avrebbe costituito una sorta di augurio per l'avvenire del bambino: i Troiani si auguravano che diventasse valoroso e forte come lo era il padre. 

VV. 404-420:
 
 "Invero Ettore, volgendo lo sguardo in silenzio verso il bambino, sorrise dolcemente; ma Andromaca gli si pose vicino versando lacrime, gli strinse la mano, gli parlò chiamandolo per nome: "Cattivo! Il tuo coraggio ti ucciderà, non hai compassione né del figlio ancora bambino né di me sventurata che presto sarò vedova, presto infatti tutti gli Achei ti faranno a pezzi dopo averti assalito. Per me sarebbe molto meglio, dopo essere stata privata di te, sprofondare sotto terra; infatti per me non ci sarà nessun altro che potrà mantenermi in vita con il proprio calore umano dopo che tu avrai seguito il tuo funesto destino di morte, ma soffrirò un terribile dolore: a me non sono rimasti né il padre né la nobile madre. Il divino Achille uccise mio padre, distrusse completamente la città dei Cilici che era ben abitata, la Tebe ben fortificata; uccise Ezione ma non lo spogliò delle armi; infatti temeva in cuor suo; ma lo bruciò con le sue armi ben lavorate ed innalzò una tomba: attorno ad essa le ninfe montane, figlie di Zeus Egìoco, piantarono olmi."

 "μείδησεν" (mèidesen), passato remoto di μείδάω (meidào). Eccolo qui il verbo per "sorridere dolcemente". La tenerezza di Ettore si manifesta con il volto, non con i gesti. Non è quindi plateale, ma contenuta.
Credo che sorridere dolcemente di tenerezza sia una delle cosa più straordinarie che un ragazzo o un uomo possano fare di fronte a una donna. Questo "sorriso tenero" è un qualcosa che, per una frazione di secondo, ti fa dimenticare il male e la cattiveria che ci sono nel mondo.

"δαιμόνιε!" (daimònie), l'ho già spiegato il 19 marzo, può essere tradotto con "cattivo", "infelice" o "sventurato". Vanno bene tutti e tre, dipende dal taglio che gli si vuole dare. Io ho scelto la prima, perché mi sono immedesimata nel ruolo della donna addolorata: "Sei crudele, perché pensi a fare l'eroe mentre è molto probabile che io rimanga vedova e nostro figlio orfano. E noi abbiamo bisogno di te!"
Ma d'altra parte, Ettore poteva davvero evitare di ritornare in campo? Per la mentalità socio-culturale dell'epoca era impensabile, era oltremodo vergognoso! Era meglio morire piuttosto che rifiutarsi di combattere!!
Se io dovessi re-inventare l'Iliade, certamente Ettore non morirebbe all'interno della mia narrazione. Sarebbe simile ad un eroe romantico dell'Ottocento che mette l'amore e gli affetti familiari prima di tutto il resto. Insomma, sarebbe uno che fuggirebbe via dall'inferno della guerra e della violenza caricando se stesso, la moglie e il figlio su una nave diretta in Africa Settentrionale, senza minimamente temere castighi divini. Questo, che io e voi denomineremmo come un comportamento romantico e conveniente per la propria incolumità, per i Greci antichi sarebbe stato egoismo e codardia.
Un po' di filologia greco-latina non fa male nemmeno a voi lettori, comunque.
Vi faccio notare un particolare interessante, sempre relativo a questa esclamazione: "δαìμων" (dàimon), in greco è "il demone, la divinità ostile e vendicativa". E' proprio da qui che deriva l'italiano "demonio".
Anche il nostro "diavolo" è un derivato dal greco, ma dal verbo "διαβάλλω" (diabàllo), "dividere, separare".
Il diavolo è creatore di discordie. Colui che è posseduto dal diavolo "divide" moralmente e psicologicamente le persone di un gruppo, e dunque è cattivo. Cattivo viene dal latino "captivus"
participio passato mi sembra di "capio" , "prendere". Il mio manuale di antologia italiana dice esattamente che in epoca cristiana il "captivus" era il "prigioniero del diavolo"= "Captivus diaboli".

"Mένος" lo si può intendere in diversi modi. Certo, qui ci sta bene il significato di "coraggio, ardore". Però Archiloco, nei suoi poemetti un pochino sconci, lo ha fatto diventare anche sinonimo di σπέρμα
La mia immaginazione mi ha fatto collegare questi due termini: se gli anni della giovinezza o comunque della giovane età adulta (la fascia di età 20-45) sono quelli che dovrebbero rappresentare l'apice delle energie fisiche, mentali e inoltre sono anche il periodo più opportuno della vita per generare, allora è molto chiaro che Andromaca non vede Ettore soltanto come un guerriero forte e un eroe glorioso per la città. 
E' ben consapevole di questo, certamente, ma vede in suo marito oltre che uno sposo anche un buon padre. Ettore è ancora giovane, potrebbe vivere più a lungo e darle altri figli e quindi altra gioia.

Questo secondo me è il pensiero di Andromaca: 

"IO NON HO NESSUN ALTRO. Quando morirai resterò sola, incompresa nel mio dolore, con un figlio di pochi mesi a carico. Sarò sola senza il mio scudo, la mia forza, il mio amore, il mio respiro, il mio tutto. E nessuno potrà comprendere il mio enorme dolore. Finirò schiava di qualche Acheo, e mio figlio non me lo lasceranno nemmeno tenere, lo uccideranno."

Per Andromaca Achille è un assassino spietato e crudele: nel paragrafo successivo vedremo inoltre che egli, oltre a uccidere il padre di Andromaca ha massacrato anche i suoi sette fratelli. Mentre dunque nel primo libro dell'Iliade potremmo anche scorgere una parvenza di ragionevolezza e di apprensione per il popolo acheo (Achille, in seguito allo scoppio della grave epidemia nel loro campo, desidera che Agamennone convochi una riunione tra guerrieri per capirne le cause), qui invece scopriamo tutto il suo lato negativo: combattere al fine di annientare e sterminare il nemico e al fine anche di portare dolore tra i pochi superstiti.
D'altra parte, il nome Achille contiene la parola ἄχος (àcos), dolore. Achille è portatore di dolore.

 VV. 421-439:

Andromaca prosegue il discorso.

  "I miei fratelli erano sette all'interno del palazzo; tutti in un solo giorno scesero nell'Ade, tutti li uccise il divino Achille piè veloce, presso i buoi dalle zampe contorte e presso le bianche pecore. Mia madre era regina sotto il Placo selvoso, dopo che la rapì con altre ricchezze; ma poi la liberò dopo aver accettato un enorme riscatto. Ma una volta ritornata nella dimora paterna, Artemide saettatrice la colpì. Ettore, tu sei per me padre e nobile madre e fratello, tu sei il mio fiorente sposo.
Ora dunque abbi compassione di me e di nostro figlio, rimani qui sulla torre; non rendere orfano il bambino e vedova tua moglie. Ferma l'esercito al caprifico, là soprattutto la città è accessibile e le mura sono più facili da scalare. Per tre volte dopo essere giunti in questo luogo lo hanno tentato i migliori compagni dei due Aiaci e di Idomeneo illustre, compagni degli Atridi e del forte figlio di Tidèo, sia che di ciò li abbia informati qualcuno che conosce gli oracoli, sia che il loro animo li spinga e li guidi."

In questa parte di testo, il luogo degli Inferi, ovvero, l'Ade, è indicato con il genitivo Ἄϊδος (=àidos).
Ade è sovrano dell'invisibile, ovvero, di ciò che nessun umano può conoscere prima di morire.
Nessun antico greco poteva conoscere l'aldilà, immaginato per lo più come cupo e tenebroso.
Oggi, nessuno di noi cristiani può fornire una descrizione esatta e precisa del Paradiso.
Diversi letterati italiani del Medioevo ne hanno dato delle descrizioni e delle rappresentazioni. Pensate a Dante: la Terza Cantica della Commedia (Boccaccio, che per tutta la vita lo ha profondamente ammirato, ha aggiunto l'aggettivo "divina") è intitolata il Paradiso. Per Dante il Paradiso è formato da nove cieli, rappresentati nei disegni come dei cerchi concentrici; in ognuno di questi risiedono i beati, che godono dell'eterna contemplazione di Dio, Sommo Bene.
Giacomino da Verona, circa 70 anni prima, nella sua "Gerusalemme celeste", descrive il Paradiso come luogo di fontane e mura d'argento, fiumi d'oro e perenni dolci canti angelici.
Ah, tra l'altro: in un cielo dantesco, i cosiddetti spiriti contemplativi (tipo San Paolo, Semele, Giacobbe) si muovono lungo una scala dorata.

Tutti noi abbiamo costruito, soprattutto nell'infanzia, un'immagine molto positiva e piacevole del Paradiso. Ma, finché viviamo sulla terra, non potremmo mai essere sicuri di ciò che ci aspetterà dopo la morte. Si può solo sperare e credere che ci sia qualcosa.
Ἄϊδος comunque, come afferma il critico letterario Marcello Campolongo, ha l'alfa privativo: α +ϊδ
"Iδ" (id) è la radice del verbo irregolare άω (orào), "vedere". Il perfetto (in greco il perfetto corrisponde al nostro italiano passato prossimo) di questo verbo è οἶδα (oida)= (ho visto e quindi so).

La povera Andromaca elenca tutte le sue grosse disgrazie.

Il Caprifico era all'epoca un luogo in cui vi erano dei fichi selvatici. Era un giardinetto circondato da mura deboli, si diceva, deboli perché fabbricate da mortali e non da un dio.

E credo non ci sia altro di importante da rilevare... Questo era il discorso di Andromaca, la settimana prossima farò un'analisi della risposta di Ettore e anche in questo caso, ci sarà abbastanza da divertirsi con le parole.

Prossimamente, semmai dovessi avere una mezza giornata libera, potrei anche tentare di scrivere a modo mio la storia di Ettore e Andromaca!!! Ci proverò prima o poi, ci proverò! ;-)


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