Visualizzazioni totali

28 aprile 2023

"POETI D'UCRAINA"- POESIE DI AUTORI UCRAINI

Io e Matthias vi proponiamo qui sotto alcuni autori ucraini operativi, con le loro liriche e le loro attività culturali, dagli anni '60 agli anni '90. 

Noi abbiamo letto integralmente questa raccolta ma a voi proponiamo solo pochi componimenti.

Prima però fate spiegare a Matthias un gravissimo e agghiacciante crimine di guerra che sta accadendo nella "civile" Europa da un anno a questa parte.

IL TRASFERIMENTO FORZATO DEI BAMBINI UCRAINI IN RUSSIA:

Il 17 marzo 2023 è stato emesso un mandato di cattura internazionale per Vladimir Putin, accusato di avere deportato i bambini ucraini in Russia: un'azione criminale di cui ci sono evidenze fin dal marzo 2022.
I bambini in questione sono orfani di guerra oppure figli di genitori arrestati durante l'occupazione.
Altri bambini invece sono stati separati dai genitori nei "campi di filtrazione", dopo l'evacuazione in Russia dai territori occupati.
La Federazione Russa ha ammesso di aver trasferito nel suo territorio circa 1.400 bambini, dichiarandola un'operazione umanitaria! Ma questo numero è sicuramente sottostimato. Inoltre la Russia non fornisce né i nomi dei bambini né tantomeno rivela dove sono stati collocati, rendendo quasi impossibile rintracciarli.
Centinaia di questi bambini sono stati già adottati da famiglie russe.

Secondo le indagini esisterebbero più di 40 campi di rieducazione dove questi bambini sono stati collocati. Spaziano tra la Crimea occupata e numerose aree della Russia, dalla regione di Mosca alla Siberia ad altre ancora.
In questi campi i bambini ucraini vengono sottoposti a una vera rieducazione filo-russa, in cui imparano sia la storia nella "versione russa" sia a maneggiare le armi.
Il trasferimento forzato di bambini è proibito dall'Onu che lo ritiene un atto di genocidio.

1) VASYL' STUS- "CENTO SPECCHI PROIETTATI SU DI ME"

Cento specchi proiettati su di me,
sulla mia solitudine e mutezza.
Veramente – qui? Sei veramente – qui? Forse,
non è qui che sei. Non qui.
Dov’è che sei? Ma dov’è che sei? Ma dove?
Un precipizio? Un tornante? O uno zigzag?
Eccola, la pioggia tanto attesa. A catinelle.
Bagna l’anima, l’anima in lacrime.
Cento tue morti. Cento tue nascite.
È terribile per gli occhi secchi.
Chi sei? Un vivo o un morto? O, forse
sia vivo che morto? E tutto solo?


Nel caso di questa poesia, io a Matthias abbiamo elaborato e confrontato due visioni leggermente diverse. D'altronde Stus non è per nulla facile! Ve le propongo qui sotto, liberissimi di decidere quale delle due vi piace di più.

La mia interpretazione:

Gli specchi corrispondono a quei pensieri che inducono l'autore a rifugiarsi in uno stato di solitudine in modo tale da poter compiere un'autoanalisi. Egli in effetti pone a se stesso alcune domande, o meglio, una pioggia di domande che bagna la sua anima angosciata e smarrita che cerca di identificarsi.
Le cento morti e le cento nascite sono, a mio avviso, i giorni che Vasyl' Stus ha vissuto. Giorni carichi di incontri, di esperienze, di maturazione culturale, di sentimenti e di emozioni. Insomma, un vissuto carico forse anche del peso dei giudizi e delle opinioni che le persone incontrate hanno espresso su di lui.
Istintivamente infatti penso a Pirandello con il suo filosofico Uno, nessuno, centomila.

Il titolo è emblematico a proposito della principale tematica di questo grande autore della nostra letteratura. Vitangelo Moscarda, il protagonista di quest'opera, è uno, ovvero, l'immagine che ha di se stesso, centomila, cioè, le idee che gli altri si sono fatti di lui e nessuno, ciò che decide di essere alla fine del libro.

Quelle cento morti e quelle cento nascite forse stanno anche ad indicare che il tempo della vita ci sfugge, scorre continuamente, e i giorni trascorsi scivolano via, fanno parte del nostro passato. Eppure, ogni giornata è in sé una vita. Forse, si nasce un po' ogni mattina e si muore un po' ogni sera...
Eppure il sintagma "occhi secchi" è terribile, soprattutto considerando che precede le interrogative degli ultimi due versi.
O, forse/sia vivo che morto?= Vivo biologicamente ma psichicamente spento?
Ciò mi ricorda un'espressione presente in Gabbiani di Vincenzo Cardarelli: la vita la sfioro/com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
L'esistenza del poeta, così come quella dei gabbiani che vede volare a ridosso dell'acqua e così come l'esistenza di Vasyl' Stus, appare inafferrabile.

Vi segnalo infine alcune figure retoriche che influiscono sul ritmo poetico:

Verso 3, epifora=Veramente – qui? Sei veramente – qui?
Verso 5, anafora=Dov’è che sei? Ma dov’è che sei? Ma dove?
Verso 9, chiasmo=Cento (A) tue morti (B). Cento (A) tue nascite (B).
Versi 11-12, epifora=Un vivo o un morto? O, forse/sia vivo che morto?

L'interpretazione di Matthias:

Probabilmente i cento specchi indicano il fatto che Vasyl' Stus è disorientato, in conflitto con il mondo esterno: di fronte a cento specchi che lo riflettono non sa più chi è. Il suo io appare contrapposto all'ambiente politico e culturale degli anni in cui è vissuto: nato nel 1938, dopo la seconda guerra mondiale ha espresso apertamente il suo dissenso verso le ideologie dell'Unione sovietica e per questo, nel 1972, è stato condannato a cinque anni in un campo di lavoro per propaganda anti-sovietica.
La poesia di questo autore è "ermetica", non realistica e l'io di Vasyl' Stus è multiforme: ciò secondo me è evidente soprattutto quando si pone queste domande Un precipizio? Un tornante? O uno zigzag?

2. MYKOLA VOROBJOV- "LA FINESTRA SOFFRE DI BRINA"

La finestra soffre di brina.
La pulisco e vedo sempre quella strada.
Pulisco me stesso, risplendo.
Il vetro sbrinato sono io che guarisco.
Il sole sonnolento dell'autunno,
le foglie a sciami lungo i suoi lembi.
Ciascuna ha una foglia verde
per riuscire a raggiungere i bambini.
Sento il bisogno di pulire la finestra.
Ché le nevi zelanti non le plachi.


Commento di Matthias:
(a me questo componimento non diceva nulla)
La brina è qui un velo che copre la vista al poeta e non gli permette di vedere ciò che è oggetto della sua poesia. La pulizia è forse la guarigione dell'anima: Vorobjov deve pulirla prima di raggiungere la purezza, la gioia e la semplicità dei bambini e poter dunque fare poesia.
Il sole sonnolento, che può essere segno di tristezza e di insoddisfazione, emana un calore decisamente più fiacco rispetto a quello estivo, è il sole autunnale, forse un po' appannato da qualche nuvola vicina.

3. HOLOBOROD'KO VASY'L- DIETRO IL PORTONE UNA LUCE VERDE:

Dietro il portone una luce verde
si avviticchia come una vite,
esci-mi dice
e porta fuori le parole d'oro

per l'ospite più quieto
che attende al portone: con gli occhi nudi
e le labbra più pure dell'acqua.

Salve, ospite verde!
Riposati dopo il viaggio,
se non ci sei il mio brolo non cresce,
secca sul ceppo il mio brolo.

Il mio commento:

Ho provato a decodificare questi elementi che ho considerato simbolici dell'atto dello scrivere poesie. Quindi:

-Luce verde= ispirazione poetica
-Parole d'oro= parole poetiche
-Occhi nudi= limpidi, disposti a cibarsi della bellezza del mondo.
-Brolo= la ricchezza interiore di Holoborod'ko. Tuttavia penso sia anche la produzione poetica che cresce e si alimenta con immagini.

A ciò Matthias aggiunge che:

a) L'imperativo "esci" della prima strofa è un invito che la luce verde, ovvero, l'ospite con gli occhi nudi, fa al poeta: "non chiuderti in te stesso ma dona la tua poesia al mondo e alla tua comunità!".

b) La nudità suggerisce la spontaneità, dal momento che non comprende mediazioni e la naturalezza di tutto ciò che non ha copertura.

4) HALYNA KRUK- "DONNA CON IL CAPO DI ARAGOSTA"

Donna col capo di aragosta
e il corpo di medusa
perché dici in questa
lingua incomprensibile
che le rive vanno nel mare
e che così l'acqua è di più,
che i lembi del mondo sono così lontani
da arrivare a toccarsi con le schiene,
che l'uomo e la donna
non saranno mai così vicini
più delle valve di un frutto di mare
in mezzo a cui, solo ogni tanto, cresce una perla.


(E' molto bella ma non so da dove iniziare per commentarla)

Matthias:

Bellissima, in questa poesia, è l'ultima immagine, che allude allo sviluppo di una nuova vita: l'unione tra l'uomo e la donna, l'unione di due creature diverse e complementari crea l'immagine di un'ostrica dove cresce una perla.

5) HRY'CHO CUBAJ- "ALL'ALBA":

Uscimmo dalla notte senza voltarci
sulle punte delle dita
dorme ancora lo stupore e noi
con le mani quasi mute a sfiorare
tutto quello che c'è intorno

sulle punte delle dita
dorme ancora la domanda

davvero quelli come noi
non si volteranno mai

le nostre ombre arrivano da ovunque
anche loro non si volteranno mai
sentiamo che dalla notte
due stelle ci guardano le spalle
tristi e in lacrime

però noi non ci voltiamo

con la musica delle marce
quasi muti camminiamo per la strada

non ci siamo ancora chiesti
perché queste marce
sembran ninnenanne

Matthias:

Si tratta di una poesia che si riferisce alla crescita personale che interessa ognuno: sembra che si racconti, infatti, di una persona che, crescendo, pian piano esce dall'ambiente familiare perché ha raggiunto una posizione lavorativa stabile e perché ha deciso di sposarsi (c'è il "noi" nel testo). Le due stelle tristi e in lacrime potrebbero essere i genitori.
I due novelli sposi poi escono dalla notte in silenzio, senza troppi slanci vitali.

A questa interessante interpretazione io aggiungo tutto ciò che, nella lettura di questo componimento, il termine notte mi ha fatto pensare.

Per "notte" e per "ombre" si allude, almeno credo, alle fasi più recenti, più difficili e più buie, nel secolo scorso, della storia del territorio sovietico del quale, fino al 1991, l'Ucraina faceva parte: la feroce dittatura di Stalin, le gravissime perdite umane ed economiche derivate dal secondo conflitto mondiale, l'epoca Kruscev con il conseguente inasprimento della competizione tra URSS e Stati Uniti fino al rischio di una guerra totale nucleare, i periodi di Breznev e di Andropov. La politica di Breznev, concentrata sul pareggio missilistico con gli Stati Uniti, ha aggravato la svalutazione del rublo a livello internazionale e il debito pubblico russo mentre invece il modus operandi di Andropov, ex direttore del KGB, era incentrato sull'irresponsabilità: nell'ormai lontano settembre 1983 non ha ammesso che un caccia russo ha abbattuto un boeing sud-coreano nel Mar del Giappone.

6) JURIJ ANDRUCHOVYC- "LA STAZIONE":

Cerchiamo di salire sul treno giusto
seguiamo i cartelli ci affrettiamo
nei corridoi angusti tra zaini e valige
non abbiamo tempo di ammirare le volte
da cui pende polveroso e annerito
un lampadario fiorentino
spremiamo come molle monete sudate
formiamo code disordinate
sopra di noi un putto degli anni dieci
che soffia a volte nel suo cornetto d'oro
diamo un'occhiata a una bionda che s'annoia
che mangia una mela attaccata a una colonna
ed eccoci siamo arrivati
al binario e al suo odore di birra e di rose
baciamo diciamo non ti scordar di me ma chi lo sa
è questo il nostro posto
finché non ci stacchiamo dalla terra
per poi partire delicatamente
e tranquilli guardiamo dalle finestre
gli alberi ingialliti nei boschi suburbani

Per Matthias questa è una critica all'Occidente e allo stile di vita dell'epoca post-moderna. In questi versi si leggono infatti dei chiari accenni a: frenesia, contemplazione, folle, relazioni poco solide, urbanizzazione e industrializzazione che hanno cambiato il nostro modo di vedere la natura.

Io invece ho pensato, in un momento successivo, che questa poesia potrebbe essere considerata un'antitesi al Futurismo marinettiano che esaltava il progresso tecnico e d era innamoratissimo della velocità:"Noi canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi".
In perfetta sintonia con il "marinettismo", il poeta futurista Vittorio Osvaldo Tommasini scriveva questo componimento, personificando un treno e una galleria:

osservate quel treno sbuffante
salire i gradini traversini
raggiunger la bocca del tunnel
che se lo succhia come liquirizia (Grande delizia)



22 aprile 2023

"Il passero solitario", G. Leopardi:

22 APRILE 2023= GIORNATA MONDIALE DELLA TERRA

Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Il verbo coltivare mi richiama alla mente la cura che l'agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il Creato vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare: non la custodiamo, non la rispettiamo, non la consideriamo un dono gratuito di cui avere cura. Ma il coltivare e il custodire non comprende solo il rapporto tra noi e l'ambiente, tra l'uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani.

(Papa Francesco, un'udienza del 2013)

---------------------------------------------------------------------

Il passero solitario è una poesia sulla primavera, sulla dolcezza della natura e sulla solitudine che adoro. Di mia iniziativa l'avevo imparata a memoria ai tempi delle medie. 

Da adolescente mi identificavo in Leopardi e nello stato d'animo che deve aver provato nel comporla.

E' composta da tre lunghe strofe e fa parte della raccolta dei Canti, pubblicata nel 1835 a Napoli.

Il passero solitario è diverso dal passero comune: è un po' più grande, canta invece di cinguettare e non è gregario.

Riporto una strofa per volta accompagnata dalle mie spiegazioni:

PRIMA STROFA:

D’in su la vetta della torre antica,
passero solitario, alla campagna
cantando vai finché non more il giorno;
ed erra l’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
brilla nell’aria, e per li campi esulta,
sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
gli altri augelli contenti, a gara insieme
per lo libero ciel fan mille giri,
pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
non compagni, non voli,
non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
canti, e così trapassi
dell’anno e di tua vita il più bel fiore.


La torre antica del primo verso è il campanile della Chiesa di Sant'Agostino a Recanati, luogo in cui è ambientata la poesia. Su questa torre u
n passero solitario continua a cantare, finché non giunge il tramonto del sole, sulla cima della torre antica. 

Ci sono alcuni chiari riferimenti a Petrarca in questa prima strofa:

1) L'inizio del verso 2 è un richiamo al verso del sonetto 226 di Petrarca: passer mai solitario in alcun tetto.

2) Il cantando vai del verso 3 riprende un verso del sonetto 353: Vago augelletto che cantando vai.

Brilla il sole primaverile, i campi sono rigogliosi di fiori. E questo suscita tenerezza nel cuore dell'autore, molto attento e molto sensibile ai suoni di questa campagna: oltre alle greggi, gli uccelli festosi riempiono il cielo, in compagnia gli uni con gli altri, felici per l'arrivo della primavera (il lor tempo migliore). Ma il passero solitario, per sua definizione, non è tra loro e non è interessato alla compagnia delle altre specie. 

Canti, e così trapassi/dell’anno e di tua vita il più bel fiore. Questa è una constatazione che il poeta fa di se stesso e della sua gioventù appartata, pienamente immersa nei libri, senza amicizie, senza occasioni di svago. Proprio da qui inizia il parallelismo tra il poeta e il passero solitario.

La maggior parte di questo componimento si fonda su una larghissima similitudine tra il comportamento del passero e il comportamento del poeta. 

Tuttavia, il passero è solitario per sua natura, Leopardi è solitario prima di tutto perché è stato relegato per tutta l'adolescenza nella biblioteca di casa da un padre rigido e autoritario. Se, da una parte, ha potuto sviluppare il suo genio letterario e ha potuto acquisire una vastissima conoscenza delle materie umanistiche, dall'altra, una volta giunto in età matura e, come prevede nel momento in cui scrive, da vecchio, rimpiangerà di non essere stato spensierato.

SECONDA STROFA:

Oimè, quanto somiglia
al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
della novella età dolce famiglia.
E te german di giovinezza, amore,
sospiro acerbo de’ provetti giorni
non curo, io non so come; anzi da loro
quasi fuggo lontano;
quasi romito, e strano
al mio loco natio,
passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch’omai cede alla sera,
festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
odi spesso un tonar di ferree canne,
che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
la gioventù del loco
lascia le case, e per le vie si spande;
e mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Io solitario in questa
rimota parte alla campagna uscendo,
ogni diletto e gioco
indugio in altro tempo: e intanto il guardo
steso nell’aria aprica
mi fere il Sol che tra lontani monti,
dopo il giorno sereno,
cadendo si dilegua, e par che dica
che la beata gioventù vien meno.

Oimè, quanto somiglia/ al tuo costume il mio!  La seconda strofa inizia con questa esclamazione non gioiosa. 

Leopardi non cerca piaceri e divertimenti e di questo si pente una volta giunto alle soglie dell'età matura. Anzi, oltre che solo, si sente strano ed estraneo al luogo stesso in cui ha trascorso la giovinezza. La primavera ha un valore qui non soltanto stagionale ma anche come tempo della vita. 

Il termine german deriva dal latino germanus che a sua volta proviene da germen  indica i fratelli di sangue legati da un profondo affetto: in questo contesto sta ad indicare che anche l'amore è legato alla giovane età.

L'ultima parte della seconda strofa parla di una festa: la gioventù recanatese si prepara con entusiasmo ad un evento di società, forse, una festa tradizionale di paese. Loro stato d'animo di quei giovani non coincide con quello di Leopardi e intanto il sole si nasconde tra i monti. E' un sole che ferisce gli occhi del poeta e sembra annunciargli che la giovinezza è agli sgoccioli. 

Quante volte nella letteratura italiana e latina si dice che la giovinezza è fugace e non certo eterna!

TERZA STROFA:

Tu, solingo augellin, venuto a sera
del viver che daranno a te le stelle,
certo del tuo costume
non ti dorrai; che di natura è frutto
ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
la detestata soglia
evitar non impetro,
quando muti questi occhi all’altrui core,
e lor fia voto il mondo, e il dì futuro
del dì presente più noioso e tetro,
che parrà di tal voglia?
Che di quest’anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
ma sconsolato, volgerommi indietro.

Il finale di questo canto è struggente. Dalle tre domande che Leopardi pone a se stesso traspaiono desolazione e dolore.

Quest'ultima strofa istituisce una contrapposizione tra Leopardi e il passero, in particolar modo, sulla vecchiaia che vivranno: la vecchiaia in solitudine del passero sarà data dalla natura e dal destino, mentre invece quella di Leopardi sarà occasione di amarezza inconsolabile.

Il canto Il passero solitario presenta una serie di antitesi: compagnia/solitudine, giovinezza/vecchiaia, felicità/malinconia, dolore e rassegnazione/interesse per la vita, spensieratezza/pentimento.

In questa lunga canzone poetica gli endecasillabi si alternano ai settenari. Le due metafore più importanti sono costituite dal collegamento tra la primavera e la giovinezza e da quello fra il tramonto e la fine della giovinezza.

Anafore

-non compagni, non voli,/non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;

-quasi fuggo lontano;/quasi romito, e strano

-Odi per lo sereno un suon di squilla,/odi spesso un tonar di ferree canne...

-che parrà di tal voglia?/Che di quest’anni miei? Che di me stesso?

Chiasmi:

-brilla (A) nell’aria (B), e per li campi (B) esulta (A)

-greggi (A) belar (B), muggire (B) armenti (A)

!Importante!

Come A Silvia, anche questo componimento è costruito su un dialogo fittizio nel quale il poeta-interlocutore non può dare risposte: in A Silvia perché Teresa Fattorini è morta, nel Passero Solitario perché l'interlocutore è un animale.

Che cos'è per voi lettori la solitudine? Che cosa significa essere e sentirsi soli?

 -------------------------------------------------------------------------------------------

Vi lascio, a conclusione del post, le fotocopie del capitolo decimo del "Docat", traduzione per giovani della Dottrina sociale della Chiesa. Questo breve capitolo riguarda l'ambiente. Vale la pena di leggerlo, anche perché a mio avviso è la parte migliore.





13 aprile 2023

Alcune poesie sulla rinascita della natura:

Vi propongo tre poesie, una inglese, una tedesca e una italiana, sulle meraviglie di questa stagione primaverile.

W. WORDSWORTH, "DAFFODILS": 

I "daffodils" di cui si parla in questa poesia sono i narcisi. Ad ogni modo, questa poesia è stata ispirata ad un'esperienza di Wordsworth che, in un giorno della  primavera 1804, ha camminato in un campo di narcisi vicino al Lake District. 
La poesia è suddivisa in quattro strofe da sei versi ciascuna e conta in totale 24 versi.
Tutta la poesia descrive non soltanto il paesaggio che circonda il poeta ma anche le sensazioni che l'autore prova a contatto con la bellezza della natura in fiore.


  • I wandered lonely as a cloud
  • that floats on high over vales and hills,
  • when all at once I saw a crowd,
  • a host, of golden daffodils; 
  • beside the lake, beneath the trees,
  • fluttering and dancing in the breeze.

  • Continuous as the stars that shine
  • And twinkle on the Milky Way
  • They stretched in never-ending line
  • Along the margin of a bay:
  • Ten thousand saw I at a glance,
  • Tossing their heads in sprightly dance. 

  • The waves beside them danced; but they
  • Out-did the sparkling waves in glee:
  • A poet could not but be gay,
  • In such a jocund company. 
  • I gazed – and gazed – but little thought
  • What wealth the show to me had brought:

  • For oft, when on my couch I lie
  • In vacant or in pensive mood, 
  • They flash upon that inward eye
  • Which is the bliss of solitude;
  • And then my heart with pleasure fills,
  • And dances with the daffodils. 

Vagavo, solo come una nuvola
che fluttua in alto sopra valli e colline
quando improvvisamente vidi una folla,
una schiera di narcisi dorati
oltre il lago, sotto gli alberi
fluttuanti e danzanti nella brezza.

Intermittenti come le stelle che luccicano
e brillano nella via Lattea 
si estendevano in una linea infinita
lungo il margine della baia:
con un'occhiata ne vidi diecimila
che scuotevano il capo in una danza vivace.

Le onde accanto a loro danzavano; ma esse
superavano in gioia le luccicanti onde;
un poeta non poteva non essere lieto
in una così gioiosa compagnia.
Osservavo-e osservavo- ma pensavo poco
a quale benessere mi avesse portato questa visione:

perché spesso, quando mi sdraio sul mio divano,
in uno stato ozioso oppure pensieroso,
essi riappaiono di fronte a quell'occhio interiore
che è la benedizione della solitudine;
e allora il mio cuore si riempie di piacere
e danza con i narcisi.


Vale la pena riflettere sul lessico della lingua letteraria inglese impiegata nel XIX° secolo.

La poesia inizia con una similitudine: I wandered lonely as a cloud.
Wander significa proprio "vagare", sia nel senso di "passeggiare" sia nel senso di divagare quando ci si esprime su un argomento. Infatti questo verbo è sinonimo del fraseologico to go off topic (=divagare e andare fuori tema).

A host of  corrisponde al nostro italiano "un mucchio di". Più o meno come il più prosaico a large quantity of.
Breeze è la "brezza". Nell'ultimo verso della prima strofa viene attribuita una qualità umana ai narcisi: il soffio della brezza è la melodia sulla quale ballano.

La seconda strofa si apre con un'altra similitudine suggestiva: i narcisi gialli luccicano (alla luce del sole) come le stelle della nostra Via Lattea. Addirittura nella strofa successiva si dice che i narcisi sono più fluttuanti e più luccicanti delle onde del mare.

Importante, in questa poesia, è la sfera del vedere come anche la sfera della gioia e del gioire:
Glance è l'equivalente di "rapida occhiata", gazed è come stare: fissare a lungo, osservare bene. 
Gay è l'arcaico per joyous. 
Altri termini di questa lingua che si riferiscono al sentimento della gioia e della contentezza sono il famosissimo happy, il meno conosciuto glad che sta per "contento, felice" e cheerful, più inerente all'allegria delle feste.
D'altra parte i narcisi di cui si parla sono gialli, è il giallo è da sempre il colore della gioia.

Interessante è quel pensive verso la fine della poesia. Si tratta dell'antenato di thoughtful, "pensieroso".

In questo componimento tutti gli elementi naturali appaiono in armonia tra loro e il poeta, con la sua sensibilità fuori dal comune, avverte la loro vitalità.

LUDWIG UHLAND, "FRÜHLINGSGLAUBE":

Questa poesia risale al 1820. Nel rinnovamento della natura e nell'incanto delle abbondanti fioriture il poeta esprime la sua fiducia in questa stagione, esortando se stesso a cambiare il suo stato d'animo dalla malinconia alla serenità.

Effettivamente, la parola frühlingsglaube significa "fede nella primavera".

Questa poesia, soprattutto nella seconda strofa, si concentra sul "divenire": la natura cambia in ogni stagione dell'anno, tuttavia, la primavera è una stagione che prelude ai frutti estivi: i campi e gli alberi fioriti sono destinati a diventare frutti di cui l'uomo, fra qualche mese, potrà godere.

Die linden Lüfte sind erwacht,
Sie säuseln und weben Tag und Nacht,
Sie schaffen an allen Enden.
O frischer Duft, o neuer Klang!
Nun, armes Herze, sei nicht bang!
Nun muß sich alles, alles wenden.

Die Welt wird schöner mit jedem Tag,
Man weiß nicht, was noch werden mag,
Das Blühen will nicht enden.
Es blüht das fernste, tiefste Tal:
Nun, armes Herz, vergiß der Qual!
Nun muß sich alles, alles wenden.

Le soavi brezze si sono risvegliate
mormorano e sussurrano giorno e notte,
si muovono dappertutto.
Oh fresco profumo, oh nuovo suono!
Ora, povero cuore, non temere!
Ora tutto, tutto deve cambiare.

Il mondo diventa più bello ogni giorno
e non si sa che cosa diventerà.
La fioritura non accenna a finire.
Fiorisce anche la valle più profonda:
ora, povero cuore, dimentica il tuo tormento!
Ora tutto, tutto deve cambiare.


Anche in questo caso il lessico è interessante (veramente le parole lo sono sempre!): 

Lüfte è il plurale di Luft, ovvero, "brezza" ma anche "aria, respiro". E' l'equivalente del greco πνεῦμα ("brezza, respiro, soffio vitale, aria").
Säuseln è sinonimo di whisper.

La parola Duft indica molto probabilmente il profumo dei fiori che sbocciano sui rami degli alberi e in mezzo ai campi.

Welt è il world inglese. Notevole che in tedesco, il termine per indicare "mondo", sia un sostantivo femminile.
Tal è come valley.
Herz, oltre ad essere l'equivalente di heart, si riferisce anche all'anima, non soltanto al cuore in anatomia, proprio come lo ψυχή in greco antico.

Papavero lungo i sentieri al di sopra di Quinzano, VR, Pasquetta 2023

SALVATORE QUASIMODO, "SPECCHIO":

Ed ecco sul tronco
si rompono gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul botro.

E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c'era.

Salvatore Quasimodo è stato il mio poeta all'esame di maturità nella prima prova scritta. Ho analizzato la poesia "Ride la gazza, nera sugli aranci".
Oltre a ciò, la mia maestra di italiano alla primaria (fortunatamente sempre la stessa per tutti e cinque gli anni!) aveva fatto imparare a memoria questa poesia nella primavera della quarta elementare.

Ciliegio in fiore, sentieri sopra Quinzano, VR, Pasquetta 2023

Ed ecco sul tronco/si rompono gemme= "ecco" è un avverbio presentativo, cioè, utilizzato per dimostrare o annunciare un evento o indicare un fatto improvviso. E' fortemente espressivo e indica un cambiamento significativo e inaspettato agli occhi del poeta. 

Questo è indubbiamente un componimento sull'esplosione della vitalità primaverile: "si rompono" equivale a "si schiudono": le gemme verdi rompono la continuità del tronco che pareva già morto,/piegato sul botro, ovvero, ripiegato sul bordo di un fossato.
La gemma appena spuntata è di un verde brillante, ancor più brillante del verde dei prati che inizia a ravvivarsi dopo il lungo inverno.
In questa prima strofa il tronco già morto a mio avviso allude al legno della croce e quindi alla morte di Gesù: nessuno, nel giorno della Parasceve ebraica, credeva che sarebbe risuscitato dai morti. Le donne e i discepoli consideravano, dopo la morte in croce del Maestro, che tutto fosse terminato lì. Sembrava che tutto terminasse qui e invece... il terzo giorno avviene la Risurrezione. 

La seconda strofa è fondata soprattutto sull'identificazione di Quasimodo nella pioggia che irrora la terra, mentre l'acqua dei fossati riflette l'azzurro intenso del cielo. 
La chiusura della poesia è, a mio avviso, una "ringcomposition": il verde sulla corteccia (scorza) non c'era la notte prima. Ciò si ricollega al significato, in questo contesto, dell'ecco iniziale.

     ------------------------------------------------------------------------------------------------

Zoe Trevi è finita su un giornale cattolico settimanale nazionale, con un articolo in cui ha raccontato, con sincerità e trasparenza, proprio la sua "ricerca della bellezza perduta"! 
Mi è molto piaciuta la chiusura d'articolo di Don Stefano, direttore della rivista. Dimostra di aver colto appieno quel che la protagonista è e quello che tutti gli adolescenti e i giovani cercano nella loro quotidianità: amicizie vere, relazioni autentiche, oltre che ovviamente la libertà di essere se stessi.















Da un pochino di tempo il mio desiderio era quello di espandere la pubblicità di questo libro al di fuori del Veneto e forse ci sto riuscendo anche così. 
Mi è convenuto sciogliere il contratto con quella che era la mia casa editrice e quindi devo e dovrò fare tutto da sola: promozione, distribuzione in alcune edicole e librerie, presentazioni.  
"Le avventure di una liceale invisibile" era infatti conosciuto soprattutto nella provincia di Verona e un pochino anche nella bassa veneziana (zone marittime).

Se avete ricevuto questo sedicesimo numero di "Famiglia Cristiana" forse ve ne siete accorti: anche la lettera a Don Stefano scritta da una maestra elementare a proposito della Chiesa in declino è interessante e solleva una questione sulla quale penso che tutti, credenti o no, praticanti o no, debbano interrogarsi. Questa lettera è inclusa nelle pagine 6 e 7, è esattamente sopra lo spazio giallo che racchiude la testimonianza di Zoe.
La maestra ha portato la sua esperienza di quella che è stata la sua vita in parrocchia che vedeva conoscenze e incontri con parroci e sacerdoti volti a stabilire sia la linea della catechesi sia gli incarichi nei vari ambiti parrocchiali e lo esprimeva senza contestazione, senza odio.
E' giusto che sia così: le comunità cristiane devono avere delle direttive. Tuttavia, se lei ha sperimentato parroci autorevoli e decisionisti, aspetto che ricorda molto le strutture delle parrocchie di 30 o 20 anni fa, io ho invece spesso sperimentato sacerdoti fragili, che spesso lasciavano carta bianca a laici abbastanza presuntuosi, non inclusivi, formalisti nel loro vivere la messa e le preghiere, inclini a condannare pesantemente gli errori degli altri e ad emarginare chi caratterialmente è diverso da loro oppure chi, come me, ha uno spirito critico abbastanza accentuato.
Oltre a ciò, in questi ultimi tempi mi sono confrontata con persone, giovani e meno giovani, che rilevano una chiesa "indifferente, non solidale e a volte indifferente nei confronti di gravi problemi familiari come una malattia, un divorzio, un lutto particolarmente traumatico". 
Purtroppo le fragilità della Chiesa non le vedo soltanto io. Che cos'è la Chiesa, alla fine? Non soltanto un'istituzione ma anche una comunità di persone che dovrebbero instaurare rapporti arricchenti, significativi improntati sul rispetto reciproco, sull'ascolto, sul dialogo, sulla solidarietà verso chi è solo o soffre.
E credetemi, pensare agli errori che persone di chiesa commettono mi mette malinconia. Amareggiata per aver subito emarginazione e sguardi storti per aver contestato il velenoso motto del "si è sempre fatto così", mi sono allontanata dalle attività parrocchiali, eppure, nei miei anni universitari, sono stata molto attiva e piena di idee.
Se continuo a frequentare la messa è perché mi affascina la figura di Gesù Cristo, voglio continuare a credere in Lui. E' Gesù che cerco in fin dei conti. Ma occorrono anche degli esempi validi e significativi di religiosi in cammino con me, con noi laici. Nutro molta fiducia nel nostro nuovo vescovo di Verona. L'ho conosciuto e già incontrato in diverse occasioni: manifesta mitezza, sensibilità, apertura mentale, intelligenza nell'esperire il senso profondamente umano e cristiano di una pagina di Vangelo.

Torniamo qualche minuto a quel fariseo iper-moralista che il mese scorso, in un suo commento su questo blog, mi ha definita "giudicante", oltremodo scandalizzato dal fatto che un'insegnante avesse un'opinione generalmente negativa sul genere femminile basata su quelle che finora sono state moltissime delle sue esperienze relazionali.
Non si è palesato, dimostrando codardìa, poca intelligenza, puro spirito di contestazione, chiusura mentale e una vera e propria volontà di ferirmi. 
D'altronde, quando ero preadolescente, frequentava più spesso la mia famiglia non perdeva occasione per rimproverarmi per cose stupide... e i miei genitori e i miei familiari tutti a testa bassa che non dicevano nulla e mi lasciavano da sola a difendermi!! Perché questo personaggio è l'idolo dei miei parenti di parte materna.
Per questo ho segnalato alla community di Blogger il suo ultimo commento prima di cancellarlo. Si chiama Luciano, ha 57 anni, vive da solo in una zona di Verona città, una zona vicina al centro storico e a via Muro Padri, ma non si sa di che cosa campi mentre invece i suoi coetanei vanno a lavorare tutte le mattine e hanno il privilegio di portare a casa uno stipendio ogni mese. E' un oblato. 
Non vi spiegherò il significato di questa parola: una volta su centomila andrete a consultare Wikipedia! Ad ogni modo, una persona molto vicina alla chiesa.
A molti di voi lettori, che non lo conoscete, sarà sembrato un femminista, uno che ha fatto bene a correggermi e a criticarmi duramente. Ah sì?! Sapete in realtà che cosa ne pensa delle ragazze e delle donne alla quali sono state messe le mani addosso? 
Che se un ragazzo o un uomo arriva a ciò è perché è nella sua natura, è assolutamente normale che si desiderino immediatamente rapporti sessuali, soprattutto con una donna fisicamente bella. Le donne non vogliono o subiscono violenze e/o palpeggiamenti inappropriati, inaspettati? La colpa in fin dei conti è solo dalla loro parte: sono state loro a illudere i poveri uomini, sono loro che, se non desiderano andare a letto con un ragazzo che frequentano da appena dieci giorni, soffrono di blocchi psicologici e mentali!
E ora per voi chi è il sessista e il cattivo, io o lui?!! Considerando che ho diversi difetti tranne quello di calunniare il prossimo, per quanto sia antipatico.
Inutile dire che mi sono sentita umiliata e offesa. Con certi uomini religiosi si sbaglia a confidare una brutta esperienza perché una parte di loro, non tutti naturalmente, è ancora ferma ad una concezione sessista e maschio-centrica dell'umanità, è ferma dunque all'idea di una donna iper-remissiva, che non deve mai arrabbiarsi e che deve piegarsi ai voleri, anche erotici e sessuali, dell'uomo con cui sta.
Questo è un oblato. Un oblato che, stando solo tutto il giorno e quasi ogni giorno, non si confronta con nessuno e per quel che ne so io manco approfitta di tutte le opportunità sociali e culturali che offre l'ambiente cittadino. Un oblato che si permette di dire come devono o non devono comportarsi gli insegnanti... Ma io, come i miei colleghi e colleghe più giovani, non ho finito di formarmi, nessun insegnante valido finisce mai di formarsi, nemmeno dopo il ruolo. Vi dirò di più: meno male che i post di aprile e maggio sono stati pensati e programmati nei mesi scorsi e durante le vacanze di Natale, perché ora non avrei più di tanto tempo: ho appena seguito corsi sui DSA e sulla plusdotazione, ho un libro di 200 pagine erotte da studiare per un test fra un mese sui problemi di disciplina con gli ADHD e con i ragazzi oppositivo-provocatori, ho la preparazione al CLIL... Cioè ma... come si permette di giudicare il mio lavoro?! 

Torniamo alla lettera. Dal contenuto ho intuito che la maestra in questione è una persona intelligente che con buona probabilità da un po' di anni, è lontana dall'ambiente parrocchiale e magari neanche frequenta più la messa. Lungi da me dare giudizi: ammetto che anch'io negli ultimi mesi sono in difficoltà di fede e Matthias non ha nulla a che fare con questo mio periodo. Anzi, quest'inverno, a proposito dei temi di "Arancia Meccanica", aveva ragione sul libero arbitrio. 
Comunque, quel che accomuna quella maestra a me è la forte delusione nei confronti di una chiesa che continua a proporre una fede molto devozionale e troppo incentrata sulle adorazioni eucaristiche. Devono esserci anche questi aspetti, ma non dovrebbero essere né gli unici né i più preponderanti nelle proposte pastorali. 
C'è bisogno, a mio avviso, di una fede motivazionale che includa sia momenti di preghiera e meditazione, sia riflessioni a piccoli gruppi sui significati dei brani biblici, oppure serate dedicate a discutere di tematiche presenti sia nella Bibbia sia nella vita quotidiana. Ultimamente sono vicina al Centro culturale Toniolo, che, da noi a Verona, è diretto da Don Renzo, altra mente acuta e altro spirito mite della Chiesa veronese! Qui ho seguito corsi culturali, convegni e laboratori di geo-politica e di socio-politica. La Chiesa e i cristiani non devono prendere il posto dei politici. Il cristianesimo sociale è contrario al potere temporale, tuttavia afferma che il compito di laici, religiosi ed ecclasiastici è quello di consigliare e indirizzare la politica a compiere scelte e ad attuare decisioni per il bene comune. Concludo quindi con due affermazioni che piacerà poco a diversi di voi:

-E' ora di finirla di considerare la fede come un insieme di regole da osservare, è ora di smetterla di essere convinti che la Chiesa ci impedisca di essere liberi. La fede è Gesù Cristo, che, come si ripete più volte nel romanzo "Barabba" di Par Lagerkvist, svedese luterano pietista, predicava "amatevi l'un l'altro". Proprio perché ci vuole liberi.

-A molti dei partiti politici manca Gesù. Questo nome non deve pendere dalle labbra ogni secondo, ma questa persona che si è fatta Carne e ha accettato una morte tremenda dovrebbe farci prendere consapevolezza che la solidarietà regge il mondo, messaggio particolarmente presente nei romanzi giapponesi contemporanei. Se ci arrivano gli Scinthoisti, perché non dovremmo arrivarci noi cristiani?!