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15 settembre 2015

La tematica dell'alba in alcuni componimenti poetici:


Molto spesso in letteratura vengono delineati o evocati suggestivi paesaggi naturali. Il sorgere del sole affascina molti poeti.
In questo post vorrei proprio riflettere su alcuni componimenti relativi alla tematica dell'alba.


TORQUATO TASSO:
 (Madrigale n°143)

"Ecco mormorar l'onde
e tremolar le fronde
a l'aura mattutina e gli arboscelli,
e sopra i verdi rami i vaghi augelli
cantar soavemente
e rider l'oriente:
ecco già l'alba appare
e si specchia nel mare,
e rasserena il cielo,
e le campagne imperla il dolce gelo, e gli alti monti indora.
O bella e vaga aurora,
l'aura è tua messaggera, e tu de l'aura
ch'ogni arso cor restaura."


Torquato Tasso, noto soprattutto per il suo poema "La Gerusalemme Liberata", è stato anche un abile compositore di madrigali. Egli ha saputo infatti sfruttare pienamente le potenzialità espressive di questo genere poetico, dal momento che ha dimostrato di saper rappresentare in modo suggestivo non soltanto i paesaggi naturali ma anche i suoi stati d'animo.
In questo componimento, gli elementi naturali vengono colti in rapida successione.
A me sembra un quadro idilliaco: si ode il sussurro delle onde del mare, i rami degli alberi tremano al soffio della brezza mattutina, il dolce canto degli uccelli si diffonde nell'aria limpida... e ad oriente brilla la luce. Anzi, sembra proprio che, alla venuta dell'alba, il cielo sorrida lieto. Ricordo alcuni versi di un altro madrigale di Tasso intitolato "Ore, fermate il volo", dove è presente l'espressione "lucido oriente" che allude proprio ad un cielo limpido, rischiarato dalla prima luce del mattino.
Molto efficaci anche i versi: "e le campagne imperla il dolce gelo/e gli alti monti indora". Con sincero stupore lirico, Tasso ammira gli effetti che i raggi del sole generano sugli elementi naturali: le gocce di rugiada ("dolce gelo") brillano come perle e i profili dei monti si addolciscono, divengono dorati.


Negli ultimi tre versi, il poeta evoca la donna amata con il termine "l'aura" che allude al nome di Laura Peperara, arpista mantovana di nobile famiglia con la quale egli aveva avuto una breve relazione sentimentale. Su questo aspetto però egli non è per nulla originale: due secoli prima, Petrarca scriveva: "Erano i capei d'oro a l'aura sparsi", e anche qui,"l'aura" evoca il nome dell'amata. L'ultima parte del componimento fa pensare inoltre a un concetto espresso in "Ore, fermate il volo": "E voi, Aure veloci/portate i miei sospiri/là dove Laura spiri/e riportate a me sue chiare voci/sì che l'ascolti io solo". Qui Tasso chiede ai venticelli (="aure veloci") di far arrivare i suoi sospiri a Laura e di riportargli la sua bella voce cristallina.


  VITTORIA COLONNA:
 
  "Quando ’l gran lume appar ne l'oriente,
  che ’l nero manto della notte sgombra,
  e 'l freddo gel ch'alor la terra ingombra
  dissolve e scaccia col suo raggio ardente,
 
 de l'usate mie pene alquanto lente,
 per l’ inganno del sonno, me ringombra,
  ond’ ogni mio piacer risolve in ombra,
   alor che'n ciascun lato ha l’ altre spente.

  Oh viver mio noioso, oh aversa sorte!
  Cerco l’ oscurità, fuggo la luce,
  odio la vita, ognor bramo la morte.
 

Quel ch’ agli occhi altrui nuoce, a’ miei riluce,
  perché chiudendo lor s’apron le porte
a la cagion, ch’ al mio Sol mi conduce."


Vittoria Colonna era una nobile napoletana vissuta nel Cinquecento, una delle poche ad aver avuto la possibilità di accedere alla cultura letteraria. Questo sonetto è dedicato al defunto marito Ferrante d'Avalos.
L'arrivo del giorno scaccia il "nero manto della notte" e illumina la terra con il suo "raggio ardente", ma alimenta un forte sentimento di dolore nell'animo della donna. Mentre il sonno e la notte affievolivano le sue sofferenze, il sorgere del sole le provoca una sensazione di disagio che la induce a cercare l'oscurità, la morte.
I versi "cerco l'oscurità, fuggo la luce/ odio la vita, ognor bramo (=desidero continuamente) la morte" esprimono un sincero dolore esistenziale e una profonda nostalgia per il marito. Qui probabilmente Vittoria Colonna si è ispirata al sonetto di Petrarca "Pace non trovo et non ò da far guerra": anche Petrarca, per esprimere la sua angoscia, ricorre all'accostamento di termini dal significato molto diverso, come in questi versi:  
"(v. 2): "et temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio/et ò in odio me stesso, et amo altrui (v.11)."

Nell'ultima terzina, l'autrice invoca le tenebre affinché queste, inducendola a riposare, le permettano di vedere Ferrante in sogno.

Sebbene avesse sposato Ferrante per ragioni di convenienza economica e politica; dopo essere rimasta vedova, Vittoria Colonna ha dedicato tutta la sua produzione poetica alla memoria del marito. All'epoca quasi tutti i matrimoni tra i nobili erano combinati, ma poteva davvero capitare che sentimenti di affetto vivo e profondo per il coniuge nascessero durante la vita matrimoniale e non prima del matrimonio?
Ad ogni modo, a proposito di innamoramento, ultimamente sono restia a credere nei "colpi di fulmine". 
Quelli accadono soltanto nei film e nelle storie romantiche, ma nella vita reale, le attrazioni immediate e fatali sono solo illusioni.
Anzi, credo che sia proprio con il tempo che si impara ad amare davvero una persona.
Man mano che il tempo scorre, ci si accorge che la luce dei suoi occhi e la dolcezza del suo sorriso sono ciò che rendono meravigliosa la nostra vita.


TAGORE:
(Canto n°10)

"Oh, rendi nitida la mia anima 
nella cascata della luce mattutina,
detergi la polvere che mi copre e mi nasconde,
impigliata nella rete del sonno.
Tocca dolcemente con la verga d'oro 
la fronte della prima
aurora.
Il vento soffia dal cuore dell'Universo,
il pazzo vento della vita, carico di canto.
Fa' che il mio cuore risuoni al suo tocco delicato."



Non poteva mancare nemmeno Tagore, il poeta indiano al quale ho dedicato un post alcuni mesi fa!
All'inizio del componimento, Tagore sembra supplicare l'alba affinché la suggestiva luce del sole mattutino renda limpido il suo animo. Credo che in questa poesia l'alba sia garante di una sorta di purificazione interiore: la suggestiva luce del mattino invita il poeta non soltanto a rinnovare il proprio inno alla vita e ma anche a compiere buone azioni nel corso della giornata.
Nei primi quattro versi del canto è possibile notare la contrapposizione tra la luce mattutina, simbolo di gioia e il sonno, elemento strettamente legato alla pigrizia, alla malinconia e forse anche al peccato.

Infine, Tagore augura a se stesso di venire inondato dal vento della vita, un vento che proviene dal cuore dell'Universo, entità che sembra emanare energia vitale. E qui, il poeta manifesta il desiderio di sentirsi in armonia con il creato. In un certo senso, questo concetto mi ricorda i versi 29-31 della poesia "Fiumi" di Ungaretti: "mi sono riconosciuto/una docile fibra/dell’Universo"
In quasi tutta la produzione poetica di Ungaretti vi è la consapevolezza della fragilità della vita umana, sottoposta all'imprevedibilità del destino e a molte sofferenze. Ma nonostante il dolore, la guerra, la morte improvvisa e violenta dei suoi commilitoni, Ungaretti avverte un sentimento di profonda fraternità con la natura e si sente parte del Creato. Ed è proprio questa sensazione di armonia con l'immensità dell'Universo che lo stimola a vivere intensamente e a scrivere, in altre liriche, parole come: "La morte/si sconta/vivendo" ("Sono una creatura"-5 Agosto 1916).


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