"L'affido" è un film oltremodo drammatico che racconta l'angosciante incubo di una madre e dei suoi due figli, costretti a vivere una quotidianità infernale a causa di un uomo violento, aggressivo e ossessivo che non accetta la separazione.
"I miei genitori sono separati da un anno. Vivo con mia madre e mia sorella e noi festeggeremo i 18 anni di mia sorella alla sala delle feste di Rial. Abitiamo tutti da nonno e nonna tranne mio padre; ma non posso mai giocare davanti a casa o in giardino perché ho paura che arrivi quello.
Il nonno comincia a urlare quando viene e non va bene per la sua salute.
Io mi preoccupo per la mamma. Lui vuole solo farle del male, non è un padre come gli altri.
Sono contento che i miei genitori divorzino. Lui non piace nemmeno a Josephine ma lei non è obbligata a vederlo perché è grande. Anch'io non voglio vederlo mai più e non voglio che il giudice mi obblighi ad andare da lui due settimane al mese o un fine settimana su due perché non voglio vederlo più. Non ho altro da aggiungere."
La punteggiatura a queste frasi l'ho messa io, visto che queste dichiarazioni, provenienti dalla mente di Julien, un bambino di 11 anni, vengono lette frettolosamente e in modo inespressivo da un giudice che incontra i suoi genitori e i loro rispettivi avvocati.
La scena dell'incontro tra il giudice, gli avvocati e i due ex-coniugi è piuttosto lunga e insiste soprattutto sull'abilità di eloquenza dell'avvocato di Antoine, il padre di Julien.
Ciò che intristisce lo spettatore è sia la freddezza del giudice che le risposte di Antoine.
In questa storia, ricopre il ruolo di giudice una donna che non è per niente empatica e che non si sforza di comprendere né il terrore di un'ex moglie continuamente perseguitata dalle telefonate e dalle visite inaspettate del marito né il dolore di due figli, di due ragazzi in questo caso.
Osservate per alcuni istanti questa fotografia.
Miriam, la madre di Julien e di Josephine, sembra aver sparso anche troppe lacrime. E' uno sguardo impaurito e stremato dalla sofferenza.
Antoine invece ha uno sguardo inquietante, ovvero, bieco e torvo.
Allora. E' pur vero che un giudice/magistrato non deve farsi coinvolgere troppo dalle vicende familiari di cui è chiamata a formulare sentenze; però, quello che dico io è che questi due adulti lei, mentre conferiva con i loro avvocati, li aveva di fronte, a stretto contatto visivo.
Sin dall'inizio, per lo spettatore è facilissimo distinguere vittima da oppressore.
La giudice invece trascura i particolari delle espressioni e non dà il giusto peso agli episodi di violenza che Miriam e Josephine hanno subito di recente; episodi ampiamente testimoniati nei verbali e nei racconti impressionanti di un'ex-moglie.
A Josephine il padre un giorno ha slogato un polso perché aveva saltato una mattinata di scuola.
La giudice è convinta di avere di fronte a sé due bugiardi: "Vorrei capire chi di voi due mente di più", dice a un certo punto. Lei sostiene che anche Miriam abbia diverse colpe, compresa quella di essere riuscita a conquistarsi in modo esclusivo l'affetto dei figli.
Purtroppo, l'avvocato di Antoine risulta piuttosto persuasiva nel riferire la condizione di un uomo "ingiustamente escluso dalla propria vita familiare".
Oltremodo irritante è il comportamento di Antoine durante l'udienza.
Alla domanda della giudice: "Emerge dalle dichiarazioni che i suoi figli sono entrambi contro di lei. Può spiegarmi il perché?", risponde: "Mi piacerebbe capirlo. Non so cosa gli hanno messo in testa."
Abbiano, tanto per cominciare. Il congiuntivo, questo sconosciuto!!!!!
L'indicativo è il modo della realtà e delle certezze passate, presenti e future.
"Frequento il primo anno del corso magistrale in Filologia Italiana all'Università di Verona."
Frequento è il presente indicativo riferito a una realtà non tanto di uno specifico istante, quanto piuttosto di uno specifico periodo della vita. Il frequentare (e lo studiare) fanno parte della mia quotidianità.
"L'anno scorso sono andata al Teatro Filarmonico per vedere la rappresentazione della Tosca"
Questo è un bel ricordo del 2017. E' certezza di un qualcosa che è avvenuto nel passato.
"In primavera andrò il più possibile a pedalare con mio zio sulle stradine lungo le rive del Mincio".
E' un futuro che indica una certezza. Nel mio caso, una certezza che si ripete da ben 8 anni, sempre nel periodo primaverile-estivo.
Il congiuntivo, oltre ad essere il modo della possibilità, è anche il modo della soggettività del pensiero e delle idee, indipendentemente dal tempo verbale al quale è legato nei vari contesti.
Il modo congiuntivo non indica mai sicurezza.
Anzi, a me piace come modo perché, nonostante sia di difficile formazione fonetica e morfologica, rivela tutta la limitatezza delle facoltà mentali umane.
Il congiuntivo evidenzia i dubbi, i tormenti, ma anche le speranze e i desideri.
Eccovi alcuni esempi:
"Penso che tu sia veramente molto maturo."
"Ultimamente la mia migliore amica si dimostra sempre piuttosto irritata e insofferente verso di me. Non so che cosa le prenda."
"Spero che l'esame di Storia del romanzo italiano mi vada bene".
"Che bello se il prossimo settembre potessi ritornare a Trieste!".
Anche l'italiano è logica e ragionamento!!!
Ho trascritto questa mini-lezione di italiano non per annoiarvi ma per arrivare ad una conclusione: un uomo malvagio dai pensieri distorti, capace soltanto di torturare le persone con le quali aveva costituito una famiglia, non riesce a distinguere, dal punto di vista della sfera psicologica, la vera realtà dalle proprie idee. Egli identifica le proprie idee con la realtà.
Antoine ha l'assoluta certezza di essere un padre vittima delle "carognate" di una moglie che gli impedisce di avere contatti con i figli.
Io, da italianista, mi irrito quando si sbagliano o si ignorano i congiuntivi.
Però in questo caso, riflettendoci sopra, non c'è da meravigliarsi più di tanto se Antoine mette un indicativo al posto di un congiuntivo, per i motivi che ho spiegato sopra e per i due punti che ho messo sotto.
1) Percezione della realtà: zero e lode.
2) Equilibrio psichico: zero e lode.
E non c'è niente da ridere! Non è ironia la mia stavolta, è sconcerto e sgomento, casomai.
E comunque, che brutto quando un padre dice, a proposito della propria ex-moglie: "Me li ha messi contro (riferendosi ai figli)".
...Magari fatti un esamino di coscienza e domandati che cosa hai sbagliato, soprattutto se hai picchiato "le donne" di casa.
Dovreste vedere il film per poter comprendere appieno a quale sofferenza sono sottoposti Miriam e i figli.
Se cercassi di descrivere gli episodi di questo film, non renderei di certo il pathos al quale anche gli spettatori vengono sottoposti.
Questo è un post un pochino particolare, diverso da quelli che scrivo di solito quando voglio riassumere i contenuti e le tematiche di un film.
Ho fatto dei riferimenti soltanto alla scena iniziale di quest'opera cinematografica e non voglio andare oltre.
Dovete trovare la forza di vedervelo, anche se si tratta di una questione spinosa, anche se l'atmosfera è pesante lungo tutto lo svolgimento delle vicende.
Concludo il post con due riflessioni: una di natura teologico-umana, che provoca in me ancora molta amarezza e che "mi brucia molto"; l'altra invece è puramente letteraria.
A) E' trascorso esattamente un anno da quando, quella sera, è stato chiamato un esorcista proveniente da Torino per chiarire ai diciottenni che frequentavano il gruppo adolescenti la questione del male nel corso dell'esistenza umana.
L'ho già rivelato in un post ad agosto dal titolo "Ragazzi, non perdete di vista l'essenziale!": le sue parole non le ho per nulla gradite. Mi ha fatto arrabbiare sia l'atteggiamento arrogante, pieno di pregiudizi negativi verso i giovani che aveva di fronte, sia i contenuti della sua lunghissima conferenza.
Ma come si fa... due ore e mezza a urlare e a pontificare e a sentenziare tra l'altro anche su dolori che non gli competono!!
Avrebbe dovuto portare il massimo rispetto, visto che i nostri diciottenni costituivano e costituiscono un'annata speciale.
I ragazzi avevano preparato per lui (ma non se lo meritava!) alcune domande. Quella che per me è stata un colpo al cuore è stata questa: "Il divorzio è opera del demonio?"
E la risposta di quell'esorcista è stata una pugnalata allo stomaco: "Se due coniugi divorziano fanno il gioco del demonio".
C'è una mia riflessione personale su questo che "all'epoca" aveva infastidito alcuni miei co-animatori. La riporto qui sotto. Perché io, a questa persona, dilaniata da una sofferenza che difficilmente si potrebbe immaginare, saprei rispondere certamente meglio di così.
Uno che fa una domanda del genere è un tormentato, quindi un po' più di rispetto!
Nelle celebrazioni matrimoniali del passato, e parlo degli anni '50 e '60, il sacerdote che assisteva allo scambio degli anelli dei due sposi diceva: "L'uomo non osi separare ciò che Dio ha unito."
L'uomo, per l'appunto, non il demonio.
Credo che il divorzio sia causato per lo più dalla fragilità umana, dall'incapacità di una coppia di coltivare nel corso del tempo un rapporto sereno e basato sul rispetto reciproco.
I traditori, i violenti e i prepotenti sono molto più fragili di quel che credono. Non lo dico per giustificarli, ma perché so che la loro indole contorta li porta ad essere quello che sono.
Dimentichiamo per qualche istante l'etimologia greca di "diavolo" : διαβάλλω (=diabàllo), ovvero,"dividere". In questo contesto non aiuta, anzi, è fuorviante.
Nemmeno i figli possono e riescono a comprendere appieno le complicate dinamiche relazionali del rapporto tra due genitori. Anzi, l'esperienza relazionale mi ha insegnato che i figli dei divorziati hanno con i genitori dei rapporti affettivi piuttosto complessi, difficili da spiegare e da definire.
Non so che cosa porti un amore a degenerare in violenza o in sadismo.
Un evento che segna moltissimo la vita di numerosi adolescenti di oggi è proprio la separazione dei genitori che non sono più in grado, per vari motivi, di vivere serenamente sotto lo stesso tetto.
Però una cosa la so, almeno, credo di saperla.
E mi rivolgo proprio ai figli dei divorziati: nonostante tutte le loro fragilità e tutti i loro errori, i vostri genitori hanno fatto qualcosa di molto bello; e cioè, vi hanno dato la vita. La vostra unicità è irripetibile e inimitabile, indipendentemente e al di là di questo vostro dramma...
B) Per quel che concerne la letteratura, cari miei, non posso e non potrò mai dimenticare una rinomata personalità intellettuale del secolo scorso: Pier Paolo Pasolini.
I genitori di Pier Paolo non hanno mai divorziato, ma ci ha pensato la guerra a separarli. Per tutta l'infanzia e per tutta l'adolescenza, Pier Paolo e Guido sono vissuti in un clima di paura a causa di un padre militare che sfogava la sua rabbia sulla loro madre.
Nel 1940, Pier Paolo aveva 18 anni e aveva conseguito la maturità classica con il massimo dei voti.
Nel 1941 era iniziato il secondo conflitto mondiale anche per l'Italia.
Il padre era partito nella spedizione d'Algeria contro l'esercito inglese.
Pier Paolo, con altri tre amici e compagni di corso, tenta di ideare un giovanile progetto culturale, ovvero, una rivista che tutti e quattro vorrebbero intitolare "Eredi".
Lui e i suoi amici si proclamano eredi di un passato letterario che vogliono spiegare e valorizzare all'interno di un giornale di matrice prettamente letteraria.
Mamma mia, come erano svegli gli studenti di Lettere dell'epoca!! Sicuramente molto più di adesso. Per "gustare" le Lettere bisognerebbe essere svegli.
Intanto però iniziano i bombardamenti a Bologna. La madre di Pier Paolo, Susanna Colussi, di origini friulane, si trasferisce nel suo paesino natale, Casarsa (Attuale provincia di Pordenone), dove l'attendono sorelle e zii anziani.
Guido Pasolini, il fratello minore di Pier Paolo, si arruola come partigiano nel '43, a soli 19 anni. Nello stesso anno, Pier Paolo, impossibilitato sia ad attuare il suo progetto di rivista sia a terminare gli studi accademici, fugge da Bologna per non essere arruolato e raggiunge la madre nelle campagne friulane.
Per la madre, Pier Paolo ha una sorta di venerazione.
E' l'unica donna che ha amato nel corso della sua esistenza.
Pier Paolo era sicuramente una persona che tendeva a vedere tutto nero e su questo sicuramente ha influito anche il clima che ha respirato in famiglia da ragazzino...
Nei suoi film e nei suoi romanzi non c'è mai nessun lieto fine: solo annegamenti, tragedie, violenze, morti per delirio e in miseria totale, disillusioni, amori tormentati oppure vissuti come puro istinto sessuale animalesco senza vera tenerezza e premura.
Poi sì, c'è anche da precisare che in età adulta non ha avuto molte gratificazioni né molti riconoscimenti... Però, nel suo romanzo Ragazzi di vita un implicito riferimento alla sua vicenda personale familiare c'è, e si trova nella figura di Genesio.
Nessuno meglio di Pasolini poteva descrivere lo stato d'animo di un ragazzino nella stessa situazione di Genesio, proprio per il fatto che Pasolini aveva vissuto più o meno le stesse vicende di Genesio, di Mariuccio e di Borgo Antico.