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23 settembre 2019

"I lauri senza fronde":


I LAURI SENZA FRONDE:

E' un romanzo pubblicato nel 1887; il suo autore è Edouard Dujardin, praticamente, un "dandy" francese della Bèlle Epoque, ritenuto il precursore della tecnica del monologo interiore, perfezionato poi da Joyce nell'Ulisse.

CONTENUTI:

Il protagonista del romanzo è il giovane universitario Daniel Prince. 

I°= Sono le sei di sera. Siamo a Parigi, è una sera chiara di aprile:

"Una sera di sole al tramonto, di aria lontana, di cieli profondi; e folle confuse; rumori, ombre, moltitudini; spazi estesi all'infinito; una vaga sera... E sotto il caos delle apparenze, tra le durate e i luoghi, nell'illusione delle cose che nascono e si generano, uno tra gli altri, uno come gli altri, distinto dagli altri, simile agli altri, uno stesso e uno in più, dall'infinito delle esistenze possibili, io sorgo; ed ecco che il tempo e il luogo si precisano; è l'oggi, è il qui; l'ora che suona e, attorno a me, la vita; l'ora, il luogo, una sera d'aprile, Parigi, una sera chiara di sole al tramonto, i monotoni rumori, le case bianche, le foglie d'ombra; la sera più dolce, e una gioia di essere qualcuno, di andare: le strade e le moltitudini, e nell'aria estesa in lontananza, il cielo; Parigi intorno canta e, nella bruma delle forme inavvertite, mollemente incornicia l'idea."

Daniel sta camminando lungo le vie di Parigi per raggiungere la dimora dell'amico Lucien Chavainne. Con Lucien, è detto poco dopo, Daniel si confiderà a proposito della sua relazione con Lèa, attrice di teatro con la quale deve incontrarsi quella sera stessa dopo cena.
Ciò che, già a questo punto del racconto, mette la pulce nell'orecchio al lettore sono i dialoghi tra i due amici e i giudizi che Lucien esprime a proposito del rapporto tra Daniel e Lèa: 

"-Conosce quella ragazza da tre mesi.
-Vado a casa sua da tre mesi; eppure sa bene che sono più di quattro mesi che la conosco.
-E sia. Da quattro mesi lei si rovina invano.
-Lei si burla di me, caro Lucien.
-Prima ancora di averle rivolto la parola le ha dato, per mezzo della cameriera, cinquecento franchi.
Cinquecento franchi? No, trecento. Ma è vero, ho detto a Chavainne cinquecento."

II°= Le strade di Lucien e di Daniel si dividono, ad un certo punto. Lucien si reca a teatro, Daniel invece al Café Oriental, dove fa una lauta cena (brodo, sogliola, pollo, formaggi, gelato al caffè). Intanto, avvista una bella donna in compagnia del procuratore, seduta al tavolo accanto al suo.
Pensa di scriverle un biglietto di invito, di fatto lo scrive ma poi lo strappa. Quando la donna e il procuratore escono dal locale, anche Daniel, frettolosamente e senza aver veramente finito la sua cena, paga il conto ed esce per seguire la signora, che si dirige all'Opera.

III°= Sono le 7 e 30 della sera. Nella prima parte del capitolo, il protagonista fantastica di ereditare improvvisamente una fortuna e di sistemarsi in un appartamento con giardinetto e anche di donare a Lèa una villa in cui abitare. Nella seconda parte invece, Daniel incontra un altro amico, o meglio, un conoscente di vecchia data: Paul Henart.
Henart appare felice, dal momento che annuncia il suo matrimonio:

"-Ho conosciuto una ragazza dal cuore profondo; una ragazza seria, di animo onesto, di poche parole, dallo sguardo fermo, una vera donna. (...)
-E questo dura da sei mesi?
-Da circa cinque, sei mesi. Una sera ci siamo ripromessi che ci saremmo sposati; lei era tutta in bianco, seduta su una poltrona; io accanto a lei, su una sediolina; eravamo in un angolo del loro salotto (...)"

A fine capitolo, dal mio punto di vista è bene notare un paio di elementi:

A) Quando Paul chiede a Daniel: "Non ha nessuno nel cuore? scommetterei il contrario...", Daniel replica: "Oh! Sciocchezze. Buonasera, Paul."
Se da questa relazione egli potesse trarre qualche gioia e qualche sicurezza, sicuramente la sua risposta sarebbe diversa.

B) Dopo che si sono congedati, con il pensiero, Daniel invidia Paul e contesta il modo dell'amico di intendere e di provare l'amore. Dice tra se e se qualcosa come: "Ma figuriamoci!! Ma come si fa a innamorarsi di una ragazza che si è visto una volta in un giardino pubblico? E' un illuso. Ma dai, non è questo il vero amore! I veri amori non capitano così e non nascono così! Il vero amore è il mio, il mio, il mio!"

IV°= Daniel torna a casa per cambiarsi e lavarsi prima di incontrare Lèa. In quest'altro capitolo non c'è null'altro di particolare, se non che la cameriera consegna a Daniel due biglietti: uno di un amico (Jules de Rivare), che lo invita a pranzo il giorno dopo, e l'altro di Lèa, che annuncia un cambio di programma: "Non venire a prendermi a teatro stasera alle 9 ma a casa mia verso le 10".

= Daniel ha ancora un po' di tempo per riposarsi e pensare a come comportarsi con Lèa quella sera. Pensa di scrivere qualcosa per mettere in ordine le idee ma, quando apre il cassetto, scorre tutte le lettere e tutti i biglietti che lui e Lèa si sono inviati in 4 mesi di relazione. Ed è qui, a metà romanzo circa, che il lettore inizia a capire che tipo è veramente lei: un'attricetta spesso fuori città, sfuggente, volubile di idee, non dotata di vera capacità di amare. Vuole soltanto dei soldi da Daniel.

VI°= E' buio fuori. Daniel esce, osserva tutto ciò che vede lungo le strade che percorre: i lampioni, le ruote di carri e carrozze sul selciato, bambini silenziosi sui cigli delle strade...



VII°= Daniel è giunto a casa di Lèa, in rue Stevens. Inizialmente, entrambi si assopiscono sul divano del salotto (e, in quel breve sonno, Daniel sogna di fare un pic-nic nel boschetto con i genitori di Lèa). Al loro risveglio, decidono di uscire di casa per un giro in carrozza verso gli Champs-Elyseès.

VIII°= Daniel e Lèa escono in città a bordo di una carrozza. 

"Nelle vie la carrozza in marcia... Uno nella folla illimitata delle esistenze, così percorro la mia strada, uno definitivamente tra gli altri; così si sono in me creati l'oggi, il qui, l'ora, la vita; un'anima che vola verso sogni di abbracci; è questo; è un sogno femminile, l'oggi; è una carne femminile che tocco, il mio qui; la mia ora, è una donna alla quale mi avvicino; ed ecco dove va la mia vita, questa ragazza in questa sera... E mormorano le strada, i boulevard, i rumori assopiti, la carrozza che avanza, le scosse, le ruote sul selciato, la sera chiara, noi seduti nella carrozza, il rumore e le scosse che rotolano, le cose che ci sfilano davanti, la notte deliziosa..."

Lèa non è per niente calorosa e comprensiva: appare, nel dialogo come nella gestualità, capricciosa, scostante e sarcastica. E, anche in questo caso, nell'invitare Daniel ad una festa all'Hotel Continental, riesce subito a fargli intuire di aver bisogno di soldi per pagarsi pizzi e grembiuli.

IX°= Rientrano a casa. Mentre Lèa è in camera a prepararsi per la notte, Daniel sogna di fermarsi tutta la notte da Lèa e, fantasticando l'amore, l'attende con trepidazione in salotto... Ma, ovviamente, non finisce così... Daniel non rimane in quella casa, ma se ne va, visto che lei gli dà appuntamento tre giorni dopo.

STILE E ANDAMENTO DELLA NARRAZIONE:

Lo stile è fatto di frasi brevi e spezzate. La punteggiatura scandisce la simultaneità del pensiero.
Dujardin, fin dalle prime righe, catapulta il direttamente il lettore nel pensiero del personaggio principale.
Si potrebbe affermare che, in linea di massima, il tempo della storia coincide con il tempo del racconto: il romanzo comprende un arco di tempo che va dalle 18 a mezzanotte e, in un arco di tempo simile, il lettore può fruire questo racconto... Il libro non è lunghissimo, ma io ho impiegato in realtà 2 giorni.
Anche se, una forma di analessi (però camuffata) sta nel V° capitolo, quando l'autore rende partecipe il lettore dei trascorsi "amorosi" della storia tra Lèa e Daniel attraverso la rilettura delle lettere.

LA CENTRALITÀ DELL'IO:

E' evidente sin dall'incipit, del quale ricopio solo una parte:

...E sotto il caos delle apparenze, tra le durate e i luoghi, nell'illusione delle cose che nascono e si generano, uno tra gli altri, uno come gli altri, distinto dagli altri, simile agli altri, uno stesso e uno in più, dall'infinito delle esistenze possibili, io sorgo...

Il sorgere dell'io avviene per demarcazione e separazione dall'altro: la presa di coscienza della propria soggettività delinea le coordinate spazio-temporali entro cui si muove il soggetto e, di riflesso, tutte le cose che si trovano intorno.
E' come se Dujardin avesse anticipato di circa 50 anni le teorie di Benveniste: quando l'individuo prende coscienza della propria irrimediabile individualità, allora può identificare e riconoscere il reale.

CONFRONTO FRA LE "COPPIE" DEL ROMANZO:

Daniel-Lèa= In realtà non li chiamerei proprio "coppia"... Ve ne siete resi conto anche voi, vero, dai miei riassunti? Non c'è reciprocità, ma puro interesse. Lèa si "serve" di Daniel per soddisfare capricci e pretese, Daniel... nemmeno Daniel è veramente innamorato. Oserei dire che sia più attratto dal sentimento dell'amore che non dalla ragazza stessa.
Uno veramente innamorato e impegnato non pensa a scrivere biglietti di inviti ad altre (poi è vero anche che non lo consegna, ma già dall'intenzione traspare il fatto che la relazione con Lèa, in fondo in fondo non soddisfa il protagonista). 

Daniel e Lèa appaiono dunque dei "lauri senza fronde", cioè "sterili" (secondo me questo titolo è metaforico): Lèa non è tenera anzi, come praticamente ho detto prima, è interessata, è concentrata a soddisfare soltanto se stessa, e la mente di Daniel invece è portata a idealizzare la ragazza, per gran parte del libro. Non la vede per com'è realmente, anzi, continua a darle tutto ciò che desidera, con la speranza di legarsi per davvero a lei e di legarla a sé.
Soltanto all'ultima pagina egli pensa: 
"no, non la rivedrò più, non devo più rivederla, perché dovrei rivederla?", in uno sconforto mascherato per non aver potuto farla sua. 

Paul-Elise= Loro sì che "funzionano"! Perché sono al di là dell'innamoramento. Il loro non è soltanto un sentimento, ma un legame che vuole diventare dono di sé con il matrimonio e con la creazione di una famiglia.





4 settembre 2019

"Quel che resta del giorno", Ishiguro:

Sono ritornata. Con la pelle "ambrata" ma con l'intestino pieno di tossine, perché nell'albergo in cui stavo non si mangiava proprio così bene, ma sono di nuovo qui.
L'estate sta veramente finendo; e io già vi preannuncio che questo per me sarà "l'autunno delle svolte", proprio come recentemente ho detto a mia cugina durante una telefonata.
Però aspetto ancora una settimana per comunicarvi notizie importanti: per ora mi sono state fatte soltanto delle proposte, che però si concretizzeranno presto in date.
Quando avrò tra le mani delle certezze, allora ve le comunicherò qui. 

QUEL CHE RESTA DEL GIORNO:

"Quel che resta del giorno" è uno dei romanzi di Kazuo Ishiguro, scrittore di origini giapponesi trasferitosi in Inghilterra quando era ancora bambino.
Premetto già che durante il mese scorso ho fatto un po' di fatica a leggerlo: lo stile è piuttosto articolato e pomposo e nemmeno i dialoghi riescono ad essere semplici e scorrevoli.
Dovrebbero anche aver fatto un film su questo romanzo...
Ad ogni modo, il succo del contenuto è questo: siamo nella seconda metà degli anni '50. Stevens, maggiordomo diligente e scrupoloso, si trova a servizio presso Mr John Farraday, aristocratico americano residente però nel Regno Unito. Un pomeriggio d'estate, Mr John propone al suo maggiordomo un breve periodo di riposo, ovvero, una vacanza di sei giorni nella campagna inglese.

"- Dico sul serio, Stevens. Credo proprio che dovresti prenderti un po' di riposo. La benzina la pago io. Sì, perché voialtri che ve ne state sempre chiusi in queste grandi case a lavorare, quando mai avete l'occasione di andarvene in giro a visitare questo vostro meraviglioso paese?"

Pur risultando un personaggio abbastanza marginale, dal momento che compare più che altro nel prologo del romanzo, Mr Farraday si rivela facilmente agli occhi dei lettori come un signore gioviale e ironico.

Ah sì, particolare importante: la struttura del racconto è suddivisa in giornate.

PRIMA GIORNATA- SALISBURY:

Stevens parte. Durante la mattinata, attraversa in automobile i tranquilli sentieri della campagna inglese. Ad un tratto si ferma, scende dal veicolo e viene avvicinato da uno sconosciuto che gli consiglia di percorrere un sentiero in salita che, una volta terminato alla sommità di una collina, regala ai camminatori un panorama stupendo.
Il maggiordomo segue il suggerimento e, in effetti, ciò che gli appare davanti agli occhi è un'immensa distesa di campi, circondati da alberi e siepi, che si dipanano perdendosi in lontananza.
Ecco le sensazioni che la sera, una volta giunto a Salisbury, Stevens riporta:

" (...) il panorama inglese, nelle sue espressioni più belle, racchiude in sé una qualità della quale i panorami di altre nazioni, per quanto a prima vista più spettacolari, immancabilmente risultano privi. Si tratta, io credo, di una qualità capace di designare il panorama inglese agli occhi di qualunque osservatore obiettivo, come il più profondamente appagante del mondo, una qualità questa che che è probabilmente meglio riassunta dal termine "grandezza". (...) Noi chiamiamo questa nostra terra Gran Bretagna, e vi saranno sicuramente coloro i quali ritengono si tratti di una abitudine in qualche modo presuntuosa. (...) Ma in che cosa consiste, precisamente, questa grandezza? (...) direi che è la mancanza stessa di drammaticità o di spettacolarità del genere più ovvio a consentire alla bellezza della nostra terra di distinguersi. Ciò che le è propria è la calma, insita in quella bellezza, la sensazione di riserbo che essa racchiude."

Fermi un momento.


Questo non è un paesaggio inglese, è un paesaggio collinare di campagna che si trova a circa un kilometro da casa mia. Sono le colline, i campi e i cipressi di Madonna di Monte. La chiesetta è di epoca medievale e, nel corso del XIII° secolo, alcuni religiosi vi avevano dimorato per praticare uno stile di vita conforme a quello proposto da San Francesco d'Assisi.
Pensate al fatto che nel 1630, durante quella terribile epidemia di peste della quale anche Manzoni tratta nel suo capolavoro, questo semplice edificio era diventato un lazzeretto per gli infetti.

Ad ogni modo, leggendo questo passo, mi è ritornato in mente sia Madonna di Monte, sia un'altra vista collinare a Sona, altro paesino molto vicino a casa mia.
Si tratta di due panorami non "sublimi", per dirlo alla maniera dei romantici, ma che mi hanno sempre trasmesso una sensazione di tranquillità. Non sono paesaggi di montagna mozzafiato del Monte Baldo o di Molveno, con le nubi che circondano le cime di monti che si affacciano su un lago.
Sono paesaggi collinari, semplici, eppure, belli. belli soprattutto quando c'è il sole.

E' proprio la bellezza del panorama visto quella mattina stessa a spingere Stevens a chiedersi: "Ma nella vita, in che cosa consiste la grandezza? Che cosa mi ha reso grande nel mio mestiere di maggiordomo?"

SECONDA GIORNATA- TRA SALISBURY E IL DORSET:

La mattinata si svolge nella stanza d'albergo a Salisbury. E' bene precisare a questo punto che "Quel che resta del giorno" è un romanzo psicologico, introspettivo fino alla nausea. Da qui in avanti, i paesaggi naturali e cittadini non vengono quasi più presi in considerazione per il loro fascino, perché il protagonista risulta fin troppo immerso nei ricordi del passato per poter godere appieno delle meraviglie della Gran Bretagna.

Ma esattamente cos'è che Stevens ricorda?
La figura di un padre, anch'egli maggiordomo, rigido, austero e anaffettivo, concentrato cioè soltanto nel suo lavoro e la figura di Lord Darlington, nobile filo-nazista presso il quale per molti anni Stevens aveva prestato servizio.
Lord Darlington, come avrete potuto già intuire, era un uomo di dubbia moralità e di pericolosi orientamenti ideologici: pensate soltanto al fatto che decine di pagine di questo capitolo vengono dedicate al convegno che egli stesso organizza nella sua villa, presso la quale sono invitati ufficiali e rappresentanti politici tedeschi, francesi e americani per ridefinire i rapporti del trattato di Versailles. Tenete presente che è tutto un flashback questo libro, per cui si oscilla tra anni '20 e anni '50, ovvero, tra passato e presente.
E la domanda risuona per tutto il giorno e per tutto il giorno dopo ancora: "Che cosa rende grande un maggiordomo?".

TERZA GIORNATA- TAUNTON, SOMERSET/ 
QUARTA GIORNATA- LITTLE COMPTON, CORNOVAGLIA:

Io i titoli dei capitoli li riporto così come sono. Anche se ripeto, dalla seconda giornata in avanti non si trova mai una descrizione sugli elementi naturali che caratterizzano questi luoghi.

Tra i ricordi di Stevens spicca in particolar modo Miss Kenton, la governante anch'essa a servizio di Lord Darlington.

Vi riassumo come sono andate le cose tra questi due: per parecchi anni, Miss Kenton aveva cercato di avvicinarsi a Stevens corteggiandolo, dandogli un sacco di attenzioni, trovando mille pretesti per potergli parlare. Per ricevere in cambio una freddezza sconcertante.
La frase che il maggiordomo le ripete spesso è: "Sono molto occupato, Miss Kenton. Mi lasci fare il mio lavoro".
Stevens è stato talmente assorto nelle sue mansioni da non accorgersi di quella che poteva essere la sua vera occasione d'amore.
Miss Kenton appare molto più umana di Stevens, basti pensare ad un episodio per poter mettere a confronto queste due personalità.
Una mattina, Lord Darlington comunica a Stevens di licenziare due cameriere ebree, perché "con i tempi che corrono, è sconveniente tenere in casa del personale ebreo".
Stevens accoglie la decisione senza batter ciglio, esegue cioè un ordine senza domandarsi se ciò che sta facendo è giusto o ingiusto. Al contrario, Miss Kenton appare molto indignata per questo fatto: protesta animatamente, piange per la perdita di due giovani e valide cameriere, protesta contro l'assurdità della decisione e rimprovera Stevens, che si limita a dirle qualcosa come: "Miss Kenton, Lord Darlington sa valutare certe circostanze molto meglio di noi. Non è il caso di fare polemiche."
Quasi un anno dopo, quando Lord Darlington si dichiara, di fronte a Stevens, dispiaciuto per quel licenziamento che lui stesso aveva ordinato, il suo maggiordomo cambia anch'egli idea sull'argomento: "Eh sì, è stato ingiusto. Farò in modo che cose simili non accadano mai più in questa casa."

Stevens è un servitore che non sa pensare con la propria testa, che non sa protestare o replicare. La sua mente si conforma a quella del signore che serve.

Il tempo passa e Miss Kenton nel frattempo si fidanza al di fuori dell'ambiente di lavoro. E intanto, le chiacchiere si diffondono: "Ha 34, quasi 35 anni, non è più così giovane. Eppure non è ancora troppo tardi per diventare madre."
(No, non è ancora troppo tardi, ma se si aspetta un altro pochino i capelli diventano grigi per l'inizio della mezza età!!)
Nel momento in cui Miss Kenton comunica a Stevens l'intenzione di licenziarsi per sposarsi e andare a vivere a Weymouth, l'unica cosa che il maggiordomo riesce a dirle è: "Felicitazioni, Miss Kenton."
"Possibile che non abbiate altro da dirmi?" (governante e maggiordomo si davano del "voi").
Indovinate un po' la risposta?!
"Sono molto occupato, Miss Kenton".
E Miss Kenton sale nella sua stanza e si mette a piangere. Sta per sposarsi, ma la verità è che ama Stevens. Sposa Mr Benn per "fargli un dispetto".
Ma come si fa a restare innamorate di un muro di cemento del genere? Di un saùgo del genere?
(No, non chiedetemi di tradurre questo aggettivo dello stretto dialetto veronese! E' difficile da rendere in italiano. Saùgo sarebbe in pratica un essere amorfo, insipido, incapace di pensare con la propria testa. Come chi, all'interno di un gruppo, sta sottomesso ai prepotenti per trascurare la grande umanità e il grande intelletto di una figura ECCEZIONALE, che merita amore, ascolto, comprensione, formazione. Comunque, non so se in romano o in napoletano ci sia un equivalente colorito più o meno come questo.)

Stevens appare senz'anima. Senza mente. Senza pensiero critico.
E' uno stupido automa imbalsamato, che ha vissuto la propria vita secondo i "sì, signore", "certo, signore", "prego, signore".

Da qui capite anche il significato metaforico del titolo "Quel che resta del giorno": praticamente, Stevens non ha vissuto, non ha amato, non ha pensato. 
Alle soglie della vecchiaia si accorge di questo e... quindi che gli rimane? Può ricominciare a vivere in modo radicalmente diverso?

Della quinta giornata non si dice nulla.

SESTA GIORNATA- WEYMOUTH, CORNOVAGLIA:

Ultimo giorno da riassumere, per grazia di Dio!
Stevens si trova sulle rive del mare, al tramonto del sole. Piange. La maggior parte della sua esistenza è andata via così, nell'obbedienza incondizionata e a-critica.
Nel frattempo, viene a sapere che il matrimonio di Miss Kenton è stato un legame di alti e bassi, e che Catherine, l'unica figlia, è in attesa di un bambino.
Oh, non crediate che sia andato a trovare Miss Kenton per "nostalgia". Ma solo per motivi professionali: essendo Mr Farraday un po' scarso di personale, a Stevens era venuta l'idea di richiamarla, con la speranza che il matrimonio fosse del tutto naufragato.

Che gli resta, dunque? Non gli resta che ritornare da Mr Farraday per continuare a servirlo fino alla fine dei suoi giorni.



Dovremmo tutti recuperare quei valori andati persi. Siamo la generazione più avanzata, con meno pregiudizi, più libera. Eppure abbiamo perso qualcosa. Dovremmo essere tutti più romantici, ecco. E non si parla soltanto d'amore, Dovremmo emozionarci di fronte alle cose della vita. Appassionarci davanti ad uno sguardo sincero, apprezzare la lealtà, essere veri.


cit. @mantico