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1 marzo 2014

"A beautiful mind": storia di un eccellente matematico che non era capace di relazionarsi


Premessa importante: Non vorrei mai che interpretaste questo post come una critica ai matematici, agli scienziati e agli appassionati di materie scientifiche. Io ammiro molto i fisici e i matematici, soprattutto per il fatto che hanno una "forma mentis" molto diversa dalla mia: loro si servono della logica, io invece ho una buona predisposizione per la creatività; sono più intuitiva che logica.
Vorrei piuttosto riassumere e commentare la storia.

 La vicenda è ambientata negli Stati Uniti all'inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso. Il giovane e aspirante John Nash entra nella prestigiosa università di Princeton, per ottenere il dottorato in matematica. Considero molto accattivante la prima scena del film: in una sala arredata in modo piuttosto scarno il direttore dell'Università si rivolge ai suoi studenti con queste parole:
"I matematici hanno vinto la guerra, hanno saputo decifrare i codici segreti giapponesi e hanno contribuito alla fabbricazione della bomba atomica. I matematici come voi. (...) Chi fra voi sarà il prossimo Einstein? Chi fra voi sarà l'avanguardia della democrazia, della libertà e della ricerca? Oggi noi affidiamo il futuro dell'America nelle vostre abili mani."
 Ho voluto riportare le parti più significative di questo discorso per mettere in risalto il carattere e le ambigue potenzialità della scienza: essa è in grado sia di progettare cose terribili, che potrebbero annientare l'umanità intera, sia di conseguire ottimi risultati nell'ambito della ricerca medico-sanitaria al fine di migliorare le condizioni di vita dell'umanità.
John è un giovane dedito allo studio, senza amici e rivolge la parola ai suoi compagni di Università soltanto per criticare i loro procedimenti di calcolo e i loro saggi di fisica. Si trova dunque più a suo agio con i numeri che con le persone.
Egli soffre di una gravissima forma di schizofrenia: non è in grado di distinguere ciò che è reale da ciò che risiede soltanto nella sua mente: immagina di avere un compagno di stanza di nome Charles al quale confida la sua condizione di giovane uomo riluttante nel relazionarsi con gli altri: "La mia maestra mi diceva che secondo lei io ero nato con due porzioni di cervello e mezza di cuore...Ma la verità è che a me la gente non piace molto e alla gente non piaccio molto io."
John desidera ardentemente trovare un'idea originale alla quale applicare le sue formule, per divenire famoso e rinomato.
Durante un'uscita con alcuni compagni di Università, trova la giusta occasione per elaborare una tesi di dottorato nella quale espone ragionamenti davvero sorprendenti relativi alla "teoria dei giochi", sminuendo le teorie del liberista Adam Smith.

La sua tesi, definita da uno dei suoi insegnanti "uno schiaffo a 150 anni di teorie economiche",  gli permette di stabilirsi all'Università di Boston, dove impartisce lezioni di matematica a giovani studenti. Qui conosce Alicia, una ragazza molto sveglia, solare e dotata di un'intelligenza piuttosto brillante.
 Fin da subito la ragazza rimane letteralmente affascinata da John. Qualche tempo dopo, avviene il matrimonio tra i due giovani ma la malattia mentale di John peggiora: crede di essere al servizio di un agente che lo invita a decodificare dei complessi codici e che lo coinvolge in una missione relativa a un piccolo ordigno nucleare. Crede di essere spiato da alcuni esponenti dell'esercito sovietico.
I suoi colleghi di lavoro e i suoi studenti si accorgono che John assume comportamenti molto strani e così decidono di farlo visitare da uno psichiatra. Naturalmente anche Alicia scopre, con stupore e angoscia, la malattia del marito, che per molto tempo viene sottoposto a una massiccia dose di farmaci e all'elettroshock.
I farmaci si rivelano però un'arma a doppio taglio: da un lato annientano le allucinazioni ma dall'altro, lo rendono simile a un vegetale: John è incapace di svolgere calcoli matematici, incapace di tenere in braccio suo figlio e incapace di affetto verso la moglie. Appare sempre intontito e troppo calmo.
Decide quindi di non assumere più i farmaci per essere all'altezza delle proprie aspettative intellettuali. Ma le allucinazioni ricompaiono, addirittura un giorno arriva a tentare di uccidere la moglie. Alicia, rendendosi conto del fatto che né i farmaci né le sedute psichiatriche possono guarire le allucinazioni del marito, decide di risolvere il grave problema della sua malattia con un mezzo che, con il passare degli anni, si rivelerà molto efficace: l'amore.
Una delle scene più significative del film è proprio quando Alicia prima chiede al marito:                 "Vuoi sapere cos'è reale?" e poi, dandogli una carezza afferma: "Questa è reale" e lo abbraccia piangendo.
John impara dunque a ignorare sia la visione del compagno di stanza Charles, sia la figura immaginaria dell'agente segreto. Riprende la carriera accademica e, nel 1994, gli viene assegnato il Premio Nobel per L' Economia.

Preciso che il film è ispirato proprio alla biografia del matematico statunitense John Nash, ancora vivente. E' ormai risaputo che John ha raggiunto la totale remissione dei sintomi.

Il film fa passare la voglia di diventare dei super-geni, a chi eventualmente ce l'abbia.
Io lo ritengo un film di grande valore, dal momento che in esso è contenuto un buon messaggio, utile all'umanità: i rapporti umani sono fondamentali nella vita quotidiana e ogni uomo deve imparare a instaurare e a mantenere relazioni umane profonde con le persone che lo apprezzano e che lo amano veramente.
Inoltre, la storia mi ha permesso di elaborare un mio pensiero che riguarda il rapporto tra genialità e capacità di relazionarsi: un essere umano potrebbe tranquillamente essere un genio in un determinato ambito disciplinare o professionale, ma se si trova molto in difficoltà a dialogare con gli altri e se non sa condividere le loro gioie e i loro dolori, se non sa perdonarli, se non sa compatire i loro difetti e se non valorizza le loro doti, non è un uomo; è una nullità.
Mi sto esprimendo in modo troppo schietto? Forse "nullità" è un termine davvero molto forte...

E io? Riesco a relazionarmi con gli altri? Ultimamente mi sono fatta questa domanda parecchie volte...
Per me, svolgere un tema di italiano e un'analisi letteraria è più facile che dialogare con qualcuno. La verità è che io so bene che dialogare e ascoltare le altre persone è difficile, soprattutto quando si ha a che fare con individui caratterialmente molto diversi da noi. In un certo senso, mi sento più a mio agio con le lettere che non con le persone, perché ho sempre paura di dire loro qualcosa di sbagliato, qualcosa che ferisca i loro sentimenti, qualcosa che mi faccia sentire terribilmente in colpa... riesco a relazionarmi, in particolare con quelli che hanno "feeling" con me, di solito riesco a esprimere quello che penso quando sto con qualcuno e riesco anche a immedesimarmi nelle situazioni di dolore che coinvolgono altre persone... però devo ancora fare un passo molto importante e forse mi ci vorrà tutta la vita per realizzarlo: non so perdonarmi, di conseguenza fatico a perdonare i torti subìti... provo una sorta di disgusto verso me stessa tutte le volte che commetto un errore... e sto male.
Qualcuno tempo fa mi ha detto che, già il fatto di essermi resa conto di questa fragilità è un grande passo in avanti verso l'automiglioramento... ma ho bisogno di tempo...









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