Forse, se vivete più o meno dalle mie parti, avete avuto modo di partecipare a qualche tappa della tredicesima edizione del Festival Biblico (19-21 maggio 2017). Alcune iniziative erano davvero belle e pensate che il tema presentato e illustrato, in molte di loro, era proprio il viaggio.
Io ho partecipato a tre tappe. La prima era una lezione di un biblista sul tema del viaggio in Genesi ed Esodo.
La terza tappa era la visione del film "Lion", appena recensito su questo blog, e la seconda... ah beh, la seconda me la sono goduta con una mia cara amica! Si trattava sostanzialmente di uno spettacolo musicale sui neri d'America, di grande rilevanza storica e dai testi (recitati e cantati) molto poetici.
Tenete presente che ero io che guidavo e, avendo anche la responsabilità di proteggere la vita di una figlia unica come me (che anagraficamente tra l'altro potrebbe essere la mia sorella maggiore, e magari lo fosse davvero!), ero piuttosto tesa.
E come mai il titolo sembra riferirsi a qualcosa di diverso di uno spettacolo gospel?
Lo scoprirete leggendo...
AD ALI SPIEGATE... VERSO LA LIBERTA'!
Ho incollato una parte dello spettacolo. E' un video che ho trovato su YouTube, se avete voglia potete vedere il resto, vi assicuro che c'è tutto!
Il tono narrativo è come quello di una favola, come quello che Baricco ha adottato per scrivere il suo romanzo "Seta".
Sul sito del coro ho trovato un commento allo spettacolo che ho incollato qui sotto:
"Come può un corpo che lavora chino su un campo per 10 o 15 ore al giorno, lontano da casa, ridotto in schiavitù come una bestia, come può questo corpo avere ancora voglia e fiato per cantare?
Forse quel corpo straziato in effetti la voglia non l’avrebbe, se non fosse per la spinta che gli arriva dall’interno, se non fosse per l’anima, che ancora spera, che comunque prega, che nonostante tutto canta.
Coprendo con il termine di “missione evangelizzatrice” le piaghe che infligge all’uomo nero, l’uomo bianco gli parla di Gesù, della croce e, forse per far tacere improbabili sensi di colpa, gli racconta le storie della Bibbia, di Mosè, di Abramo, di Isacco, di Giacobbe.
E l’uomo nero, invece di mandarlo alla malora, lui e la sua Bibbia, ci crede, anzi vuol saperne di più e tra le righe del Vecchio e del Nuovo Testamento legge anche la sua storia di deportato, di esule, di schiavo e sente che anche per lui si apre la porta di una speranza: se Dio ha liberato il popolo ebreo dalla schiavitù d’Egitto, libererà anche il suo popolo.
E quella vicenda orrenda di schiavitù, di tratta umana, di commercio di braccia e mani, di cui l’uomo europeo cristiano si macchia, senza vergognarsene e pentirsene mai abbastanza, produce un frutto inaspettato e paradossale: il canto spiritual. E così lo schiavo nero insegna al padrone bianco cosa significhi essere davvero cristiano, sublimare la sofferenza con la fede, farsi davvero come Cristo in croce portatore di senso e di speranza, anche in mezzo allo sporco degrado delle catene."
Il lungo viaggio oltreoceano, i maltrattamenti, l'approdo sulla terra e il duro lavoro sono visti con gli occhi di Emma, una bambina figlia di genitori africani che nel corso della storia diventa donna e assiste alla guerra civile americana (1861-1865).
La deportazione dei neri africani in America da parte degli europei lungo tutta l'età moderna e anche nel corso del XIX° secolo...
E' un argomento che ho studiato bene sia in storia al Liceo che in geografia umana all'Università. Non mi metterò a descriverlo.
Questo spettacolo è stata la scintilla che mi ha spronata a riflettere sulla nozione di "luoghi contestati", ovvero, su tutti quei luoghi di questo pianeta che due diversi gruppi etnici
vedono in modo completamente diverso.
Pensate, in questo caso, all'America dei secoli precedenti: per i neri era un luogo dove subivano fatiche, travagli, soprusi, dove lavoravano duramente, crudelmente strappati dalla lora calda e polverosa Africa.
Per i bianchi invece, l'America era un continente splendido dal punto di vista naturale, le cui risorse dovevano essere certamente sfruttate; ma senza minimamente considerare che chi aveva la pelle nera era anch'egli un essere umano dotato di cuore e cervello, non un verme.
Quindi vedete: due concezioni radicalmente diverse sullo stesso luogo.
Così scrive la studiosa inglese Doreen Massey a proposito dei luoghi contestati:
"Le identità dei luoghi sono un prodotto delle azioni sociali e del modo in cui le persone se ne danno una rappresentazione. Sono le persone stesse a fare i luoghi, ma non sempre in circostanze di loro scelta. (...) Le identità del luogo vengono spesso disputate, a volte da gruppi che vivono nel medesimo luogo, a volte da "persone dentro" e "persone fuori".
Quel capitolo di geografia umana me lo ricordo benissimo! Vi faccio due esempi:
A) LA VALLE DEL WYE (Galles):
Ventitré anni fa, il progetto di realizzare una fattoria destinata ad attrarre turisti aveva scatenato le reazioni di protesta di un gruppo di artisti e scrittori residenti nella valle contro gli agricoltori di più lunga residenza.
Nella valle del Wye infatti vivevano (e vivono ancora) alcuni pittori e scrittori che consideravano la costruzione della fattoria uno sfregio del paesaggio collinare.
Il piano degli agricoltori prevedeva di edificare una fattoria che fosse anche punto di vendita di bestiame con ristorante annesso e con un negozio di artigianato.
Ma gli intellettuali si erano opposti, dal momento che vedevano quello stesso luogo come un ambiente in cui ritirarsi per ricercare la quiete dell'animo e la pace interiore, sensazioni che di solito non si possono trovare in ambienti urbani.
Insomma, le loro idee sulla valle del Wye sono permeate di dolcezza "wordsworthiana" (io adoro il poeta William Wordsworth!), un romanticismo poetico che ha instaurato nelle loro menti una concezione distorta sulla storia del luogo geografico ritenuto da sempre incontaminato dall'industria e dalle attività umane.
In effetti, se si considerano certe circostanze storiche, si comprende che la valle nel XV° secolo era stata industrializzata con metallurgia e lavorazione di carbone.
Qui, come potete comprendere, abbiamo due gruppi, ma non due diversi gruppi etnici, bensì due diverse concezioni del luogo dovute a stili di vita completamente differenti.
Non credo comunque che gli artisti l'abbiamo avuta vinta. Consentitemi di affermarlo dal momento che sono artista anch'io, ma se c'è una forma d'arte davvero capace di esaltare la bellezza della natura, quella è proprio la poesia.
Il punto è che bisogna anche lasciar vivere chi, concretamente e con fatica fisica, trae dal terreno delle risorse utili all'economia. Non si può chiedere agli agricoltori di evitare l'utilizzo di trattori e di macchine rumorose soltanto per soddisfare la propria voglia di tranquillità.
Io vivo in campagna. Ma non mi danno fastidio i rumori delle macchine agricole. Cammino in mezzo ai campi quasi ogni giorno (spesso in compagnia del mio unico costante corteggiatore, ovvero, il mio gattone domestico!) e a volte mi siedo sull'erba e scrivo o medito all'ombra degli ulivi.
Mi sembra dunque che sviluppo agricolo e ricerca estetica possano benissimo coesistere, almeno dal mio punto di vista!
B) ELVEDEN (Inghilterra):
Elveden è un paesino dell'Inghilterra Orientale. Poche case, prati verdissimi, un vasto cimitero.
Eppure, è luogo di pellegrinaggio per i Sikh, sin dagli anni Sessanta. Come mai?
Perché sono convinti che il loro ultimo maharajah sikh, ovvero, Duleep Singh sia sepolto nella chiesa parrocchiale di Elveden. In effetti, la tomba del marajah e quella di sua moglie si trovano proprio tra le lapidi del cimitero.
E qui devo tracciare alcune notizie biografiche di questo personaggio:
Duleep Singh si convertì al cristianesimo a dodici anni. Dopo aver ceduto i suoi diritti al regno a favore della Gran Bretagna, entrò al servizio della Regina Vittoria e si stabilì in una tenuta nei pressi di Elveden.
I Sikh sostengono che il maharajah, negli ultimi anni di vita, abbandonò il cristianesimo per riconvertirsi al sikhismo e, proprio a causa di ciò, mentre progettava anche di ritornare nella sua regione nativa indiana, venne arrestato e ucciso dagli inglesi.
Ogni weekend, gli inglesi di Elveden vedono pullman turistici dai quali scendono decine di Sikh per onorare la tomba di Duleep. E questo dà loro un gran fastidio, perché questo strano popolo li tormenta tutte le settimane chiedendo indicazioni per raggiungere il cimitero e la chiesa.
Circa trent'anni fa, quando alcuni sikhisti erano entrati nella chiesa di Elveden, diversi abitanti di questo piccolo villaggio, oltremodo scandalizzati, si erano rivolti al parroco per far riconsacrare la chiesa.
Tenete presente che qui la ragione non è da nessuna delle due parti:
- I Sikh hanno alle spalle una lunga storia come alleati dell'Impero britannico. Quindi gli inglesi farebbero meglio a reprimere il fastidio e la diffidenza nei confronti di un pellegrinaggio che è non solo un diritto culturale ma anche un desiderio di memoria storica, però hanno ragione a lamentarsi della maleducazione di alcuni sikhisti che lasciano rifiuti per il cimitero.
- I Sikh hanno il diritto di visitare la tomba del loro ultimo maharajah, hanno il diritto di essere accolti gentilmente da un popolo molto diverso da loro. Però, in segno di civiltà, dovrebbero lasciare i luoghi di una terra straniera belli e puliti come li hanno trovati!
Allora, anche qui abbiamo due gruppi, diversi dal punto di vista religioso, etnico, culturale.
Da una parte ci sono gli abitanti di Elveden, attaccati al concetto di "Englishness", che mal tollerano il fatto che il loro paese sia meta di pellegrinaggio. Vogliono escludere tutti coloro che non sono nativi dell'Inghilterra. I Sikh, per loro, sono degli "immigrati fastidiosi e rumorosi".
Dall'altra ci sono i Sikh, profondamente consapevoli (molto più degli inglesi) del fatto che Duleep possedeva una doppia identità culturale: era sia un aristocratico inglese sia un indiano nelle abitudini di vita.
E' molto complesso il concetto di "luogo contestato". La valle del Wye ed Elveden non sono gli unici due.
In un certo senso, anche l'Europa lo è. Pensate agli immigrati che ogni giorno sbarcano sulle coste siciliane.
Per loro, il nostro stato è un posto in cui far crescere concretamente delle speranze di una vita migliore. Anzi, l'Europa stessa è vista come sorgente di ricchezze e di benessere.
Noi vediamo il nostro continente in preda a una crisi economica abbastanza generalizzata, che rende precario e incerto il futuro delle giovani generazioni. E' anche per questo, oltre che per motivi di differenze di stile di vita, che molti europei vedono con diffidenza l'arrivo degli extracomunitari.
Io oramai vedo l'Europa come un luogo in cui c'è anche un grave crisi di valori morali, in cui i giovani della mia età non vengono ascoltati dagli adulti e si riempiono del vuoto e, essendo perennemente connessi, molti miei coetanei non sanno più che cosa significa essere amici, non sanno più apprezzare la bellezza di un sole che tramonta in riva al mare, non sanno distinguere il reale dal virtuale... e questo a volte mi crea una tristezza e un'angoscia infinita.