Visualizzazioni totali

24 maggio 2017

Le diverse percezioni dei luoghi geografici:


Forse, se vivete più o meno dalle mie parti, avete avuto modo di partecipare a qualche tappa della tredicesima edizione del Festival Biblico (19-21 maggio 2017).  Alcune iniziative erano davvero belle e pensate che il tema presentato e illustrato, in molte di loro, era proprio il viaggio.
Io ho partecipato a tre tappe. La prima era una lezione di un biblista sul tema del viaggio in Genesi ed Esodo.
La terza tappa era la visione del film "Lion", appena recensito su questo blog, e la seconda... ah beh, la seconda me la sono goduta con una mia cara amica! Si trattava sostanzialmente di uno spettacolo musicale sui neri d'America, di grande rilevanza storica e dai testi (recitati e cantati) molto poetici.

E' stata un po' un'avventura per noi ragazze arrivare sulla sommità della collina di San Zeno in Monte dopo aver affrontato il traffico cittadino; cioè, lo è stata soprattutto per me.

Tenete presente che ero io che guidavo e, avendo anche la responsabilità di proteggere la vita di una figlia unica come me (che anagraficamente tra l'altro potrebbe essere la mia sorella maggiore, e magari lo fosse davvero!), ero piuttosto tesa.

E come mai il titolo sembra riferirsi a qualcosa di diverso di uno spettacolo gospel?
Lo scoprirete leggendo...


AD ALI SPIEGATE... VERSO LA LIBERTA'!

Ho incollato una parte dello spettacolo. E' un video che ho trovato su YouTube, se avete voglia potete vedere il resto, vi assicuro che c'è tutto!
Il tono narrativo è come quello di una favola, come quello che Baricco ha adottato per scrivere il suo romanzo "Seta".


Sul sito del coro ho trovato un commento allo spettacolo che ho incollato qui sotto:

"Come può un corpo che lavora chino su un campo per 10 o 15 ore al giorno, lontano da casa, ridotto in schiavitù come una bestia, come può questo corpo avere ancora voglia e fiato per cantare?
Forse quel corpo straziato in effetti la voglia non l’avrebbe, se non fosse per la spinta che gli arriva dall’interno, se non fosse per l’anima, che ancora spera, che comunque prega, che nonostante tutto canta.
Coprendo con il termine di “missione evangelizzatrice” le piaghe che infligge all’uomo nero, l’uomo bianco gli parla di Gesù, della croce e, forse per far tacere improbabili sensi di colpa, gli racconta le storie della Bibbia, di Mosè, di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. 
E l’uomo nero, invece di mandarlo alla malora, lui e la sua Bibbia, ci crede, anzi vuol saperne di più e tra le righe del Vecchio e del Nuovo Testamento legge anche la sua storia di deportato, di esule, di schiavo e sente che anche per lui si apre la porta di una speranza: se Dio ha liberato il popolo ebreo dalla schiavitù d’Egitto, libererà anche il suo popolo.
E quella vicenda orrenda di schiavitù, di tratta umana, di commercio di braccia e mani, di cui l’uomo europeo cristiano si macchia, senza vergognarsene e pentirsene mai abbastanza, produce un frutto inaspettato e paradossale: il canto spiritual. E così lo schiavo nero insegna al padrone bianco cosa significhi essere davvero cristiano, sublimare la sofferenza con la fede, farsi davvero come Cristo in croce portatore di senso e di speranza, anche in mezzo allo sporco degrado delle catene."

Il lungo viaggio oltreoceano, i maltrattamenti, l'approdo sulla terra e il duro lavoro sono visti con gli occhi di Emma, una bambina figlia di genitori africani che nel corso della storia diventa donna e assiste alla guerra civile americana (1861-1865).


La deportazione dei neri africani in America da parte degli europei lungo tutta l'età moderna e anche nel corso del XIX° secolo... 

E' un argomento che ho studiato bene sia in storia al Liceo che in geografia umana all'Università. Non mi metterò a descriverlo.
Questo spettacolo è stata la scintilla che mi ha spronata a riflettere sulla nozione di "luoghi contestati", ovvero, su tutti quei luoghi di questo pianeta che due diversi gruppi etnici 
vedono in modo completamente diverso.

Pensate, in questo caso, all'America dei secoli precedenti: per i neri era un luogo dove subivano fatiche, travagli, soprusi, dove lavoravano duramente, crudelmente strappati dalla lora calda e polverosa Africa. 
Per i bianchi invece, l'America era un continente splendido dal punto di vista naturale, le cui risorse dovevano essere certamente sfruttate; ma senza minimamente considerare che chi aveva la pelle nera era anch'egli un essere umano dotato di cuore e cervello, non un verme.
Quindi vedete: due concezioni radicalmente diverse sullo stesso luogo.

Così scrive la studiosa inglese Doreen Massey a proposito dei luoghi contestati: 

"Le identità dei luoghi sono un prodotto delle azioni sociali e del modo in cui le persone se ne danno una rappresentazione. Sono le persone stesse a fare i luoghi, ma non sempre in circostanze di loro scelta. (...) Le identità del luogo vengono spesso disputate, a volte da gruppi che vivono nel medesimo luogo, a volte da "persone dentro" e "persone fuori".

Quel capitolo di geografia umana me lo ricordo benissimo! Vi faccio due esempi:


A) LA VALLE DEL WYE (Galles):


Ventitré anni fa, il progetto di realizzare una fattoria destinata ad attrarre turisti aveva scatenato le reazioni di protesta di un gruppo di artisti e scrittori residenti nella valle contro gli agricoltori di più lunga residenza.
Nella valle del Wye infatti vivevano (e vivono ancora) alcuni pittori e scrittori che consideravano la costruzione della fattoria uno sfregio del paesaggio collinare.
Il piano degli agricoltori prevedeva di edificare una fattoria che fosse anche punto di vendita di bestiame con ristorante annesso e con un negozio di artigianato.
Ma gli intellettuali si erano opposti, dal momento che vedevano quello stesso luogo come un ambiente in cui ritirarsi per ricercare la quiete dell'animo e la pace interiore, sensazioni che di solito non si possono trovare in ambienti urbani.
Insomma, le loro idee sulla valle del Wye sono permeate di dolcezza "wordsworthiana" (io adoro il poeta William Wordsworth!), un romanticismo poetico che ha instaurato nelle loro menti una concezione distorta sulla storia del luogo geografico ritenuto da sempre incontaminato dall'industria e dalle attività umane.
In effetti, se si considerano certe circostanze storiche, si comprende che la valle nel XV° secolo era stata industrializzata con metallurgia e lavorazione di carbone.

Qui, come potete comprendere, abbiamo due gruppi, ma non due diversi gruppi etnici, bensì due diverse concezioni del luogo dovute a stili di vita completamente differenti.
Non credo comunque che gli artisti l'abbiamo avuta vinta. Consentitemi di affermarlo dal momento che sono artista anch'io, ma se c'è una forma d'arte davvero capace di esaltare la bellezza della natura, quella è proprio la poesia.
Il punto è che bisogna anche lasciar vivere chi, concretamente e con fatica fisica, trae dal terreno delle risorse utili all'economia. Non si può chiedere agli agricoltori di evitare l'utilizzo di trattori e di macchine rumorose soltanto per soddisfare la propria voglia di tranquillità.

 Io vivo in campagna. Ma non mi danno fastidio i rumori delle macchine agricole. Cammino in mezzo ai campi quasi ogni giorno (spesso in compagnia del mio unico costante corteggiatore, ovvero, il mio gattone domestico!) e a volte mi siedo sull'erba e scrivo o medito all'ombra degli ulivi.
Mi sembra dunque che sviluppo agricolo e ricerca estetica possano benissimo coesistere, almeno dal mio punto di vista!

B) ELVEDEN (Inghilterra): 


Elveden è un paesino dell'Inghilterra Orientale. Poche case, prati verdissimi, un vasto cimitero.
Eppure, è luogo di pellegrinaggio per i Sikh, sin dagli anni Sessanta.  Come mai?
Perché sono convinti che il loro ultimo maharajah sikh, ovvero, Duleep Singh sia sepolto nella chiesa parrocchiale di Elveden. In effetti, la tomba del marajah e quella di sua moglie si trovano proprio tra le lapidi del cimitero.
E qui devo tracciare alcune notizie biografiche di questo personaggio:
Duleep Singh si convertì al cristianesimo a dodici anni. Dopo aver ceduto i suoi diritti al regno a favore della Gran Bretagna, entrò al servizio della Regina Vittoria e si stabilì in una tenuta nei pressi di Elveden.
I Sikh sostengono che il maharajah, negli ultimi anni di vita, abbandonò il cristianesimo per riconvertirsi al sikhismo e, proprio a causa di ciò, mentre progettava anche di ritornare nella sua regione nativa indiana, venne arrestato e ucciso dagli inglesi.

Ogni weekend, gli inglesi di Elveden vedono pullman turistici dai quali scendono decine di Sikh per onorare la tomba di Duleep. E questo dà loro un gran fastidio, perché questo strano popolo li tormenta tutte le settimane chiedendo indicazioni per raggiungere il cimitero e la chiesa.
Circa trent'anni fa, quando alcuni sikhisti erano entrati nella chiesa di Elveden, diversi abitanti di questo piccolo villaggio, oltremodo scandalizzati, si erano rivolti al parroco per far riconsacrare la chiesa.
Tenete presente che qui la ragione non è da nessuna delle due parti:

- I Sikh hanno alle spalle una lunga storia come alleati dell'Impero britannico. Quindi gli inglesi farebbero meglio a reprimere il fastidio e la diffidenza nei confronti di un pellegrinaggio che è non solo un diritto culturale ma anche un desiderio di memoria storica, però hanno ragione a lamentarsi della maleducazione di alcuni sikhisti che lasciano rifiuti per il cimitero.

- I Sikh hanno il diritto di visitare la tomba del loro ultimo maharajah, hanno il diritto di essere  accolti gentilmente da un popolo molto diverso da loro. Però,  in segno di civiltà, dovrebbero lasciare i luoghi di una terra straniera belli e puliti come li hanno trovati!

Allora, anche qui abbiamo due gruppi, diversi dal punto di vista religioso, etnico, culturale.
Da una parte ci sono gli abitanti di Elveden, attaccati al concetto di "Englishness", che mal tollerano il fatto che il loro paese sia meta di pellegrinaggio. Vogliono escludere tutti coloro che non sono nativi dell'Inghilterra. I Sikh, per loro, sono degli "immigrati fastidiosi e rumorosi".

Dall'altra ci sono i Sikh, profondamente consapevoli (molto più degli inglesi) del fatto che Duleep possedeva una doppia identità culturale: era sia un aristocratico inglese sia un indiano nelle abitudini di vita.

E' molto complesso il concetto di "luogo contestato". La valle del Wye ed Elveden non sono gli unici due.
In un certo senso, anche l'Europa lo è. Pensate agli immigrati che ogni giorno sbarcano sulle coste siciliane.
Per loro, il nostro stato è un posto in cui far crescere concretamente delle speranze di una vita migliore. Anzi, l'Europa stessa è vista come sorgente di ricchezze e di benessere.
Noi vediamo il nostro continente in preda a una crisi economica abbastanza generalizzata, che rende precario e incerto il futuro delle giovani generazioni. E' anche per questo, oltre che per motivi di differenze di stile di vita, che molti europei vedono con diffidenza l'arrivo degli extracomunitari.
Io oramai vedo l'Europa come un luogo in cui c'è anche un grave crisi di valori morali, in cui i giovani della mia età non vengono ascoltati dagli adulti e si riempiono del vuoto e, essendo perennemente connessi, molti miei coetanei non sanno più che cosa significa essere amici, non sanno più apprezzare la bellezza di un sole che tramonta in riva al mare, non sanno distinguere il reale dal virtuale... e questo a volte mi crea una tristezza e un'angoscia infinita.






















23 maggio 2017

"Lion"- la strada verso casa:


Film stupendo e commovente, e, sebbene recentissimo, è già candidato a una serie di premi. 
E' una storia vera davvero sorprendente!

India, ultimi anni Ottanta.
Saroo (pronunciato in hindi "Sheru") è una bambino di appena cinque anni che vive in un povero villaggio rurale con la madre bracciante e il fratello maggiore Guddu.

Con il fratello ha uno splendido rapporto, perché praticamente vivono in simbiosi trascorrendo le giornate in compagnia, tra gioco e lavoro.
La loro differenza d'età è piuttosto rilevante: Guddu è già adolescente; e in effetti, nel film dimostra al massimo 15 anni, Saroo invece è proprio un bambino.

Saroo, sebbene decisamente piccolo, dimostra di essere dotato di un gran cuore: aiuta la madre a trasportare le pietre e vuole sempre accompagnare Guddu al lavoro.

Permettetemi già una considerazione, che magari potrebbe risultare piuttosto antipatica: come sono diversi i bambini dei paesi poveri da quelli italiani!
In India, indipendentemente dall'età, aiutano a lavorare e aiutano nelle faccende domestiche e senza lamentarsi mai. Saroo ha sempre il suo bellissimo sorriso sulle labbra, nonostante non possa avere dei giocattoli adatti alla sua età.

In Italia invece i bambini piccoli sono degli specialisti in capricci e, quello che io trovo triste, è che sempre più negli ultimi anni i bambini italiani tengono in mano smarthphone e I-pad, strumenti che, alle soglie del 2000, cioè prima che io andassi alle elementari, non esistevano.

Una sera, Saroo accompagna Guddu al lavoro, con la sincera volontà di aiutarlo.
Ma si addormenta durante il viaggio in treno.


Una volta scesi, Guddu lascia il fratellino mezzo addormentato su una panchina della stazione, raccomandandogli di non muoversi fino al suo ritorno...
Ma non puoi pretendere che un bambino di quell'età stia fermo, da solo e per alcune ore sempre nello stesso posto!

Anch'io ero sempre in movimento, almeno alla materna
Ricordo bene infatti che non riuscivo a stare in una stanza per più di dieci secondi. Soprattutto perchè non mi piaceva la mia scuola all'epoca.Stavo nelle aule molto meno tempo rispetto agli altri bambini, ero sempre o in cortile, o in corridoio, o in braccio alla bidella. Stavo spesso in compagnia di un bambino affetto da gravi disabilità psico-fisiche.
Qualche volta lo aiutavo a mangiare e, quando lo vedevo, lo abbracciavo e lo coprivo di baci. E, nonostante non potesse parlarmi, spalancava la bocca in un immenso sorriso che rendeva bella la mia giornata.
Una certa sensibilità d'animo ce l'avevo anche allora!
Cioè, ero un po' difficile da gestire, ma ero dolcissima comunque.

Ad ogni modo, dopo un breve sonno, Saroo si risveglia chiamando il fratello. Si alza dalla panchina, e, per cercarlo meglio, entra nello scompartimento di un treno aperto, di un treno che parte a tutta velocità e che per due giorni non si ferma, portando nella grande metropoli di Calcutta il suo unico passeggero, ovvero, un bambino spaventato e disperato.

Saroo si ritrova in una città caotica, disordinata, dai grandi condomini e dal traffico intenso.
Per di più, all'inizio nessuno parla il suo idioma, cioè l'hindi. A Calcutta la variante linguistica più diffusa è il bengali.
Sono tristissimi i momenti in cui Saroo chiama il fratello nel percorrere la grande stazione della metropoli indiana più conosciuta.

Devo dire che a Calcutta il bambino a un certo punto corre il grave rischio di essere venduto da una donna a un signore che molto probabilmente lo avrebbe avviato alla prostituzione maschile.
Chi legge e si informa un poco sa che non sono soltanto le bambine oggetti di mercificazione e di violenze sessuali!
In molti paesi africani e anche in stati asiatici come India, Pakistan, Myanmar purtroppo si fanno violenze di quel genere anche ai bambini maschi.
E a me questo fa orrore solo a pensarci!



Per me il bambino, anzi, ogni bambino, è un fiore profumato e delicato che deve essere innaffiato ogni giorno e accarezzato lievemente. Ogni bambino è un fiore che, di giorno in giorno, compie il lento ma bellissimo cammino della trasformazione in frutto. 
Non si possono rovinare i bambini!
Deve esistere l'inferno, deve; almeno per i pedofili e per i dittatori sanguinari!





Ad ogni modo, credo che i bambini abituati a vivere in condizioni di povertà sviluppino assai precocemente la percezione del pericolo perché, poco prima di essere venduto, Saroo riesce con successo a fuggire dall'appartamento della donna a contatto con i pedofili.

Rinchiuso pochi mesi dopo in un orfanotrofio, Saroo viene adottato da Sue e John, un coppia di australiani che si prendono cura anche di un altro bambino indiano, Mantosh.

Il film evidenzia molto bene i diversi atteggiamenti dei due bambini nei primi tempi dell'adozione:
Saroo è descritto dai due coniugi un "bambino tenerissimo" e in effetti, quando gli mostrano la cucina, la televisione, il divano e la vista sul mare dalla finestra del salotto, Saroo appare tranquillo e anche sorridente.

Mantosh invece, nel suo primo giorno in Australia, scoppia in una violenta crisi di nervi: urla, piange e si picchia da solo. Ecco, questa è una scena piuttosto impressionante. Nemmeno gli abbracci e le parole rassicuranti di Sue e di John riescono a calmarlo del tutto.

"Scegliendo di adottare noi, hai accettato anche di adottare il nostro passato", dice molto dopo un Saroo trentenne ad una madre dal colore della pelle diverso dal suo, che però lo ha amato e cresciuto per venticinque anni.

E infatti, i due diversi comportamenti dei bambini si spiegano secondo me con il vissuto della loro prima infanzia: Saroo, prima dell'orfanotrofio, era stato amato da una famiglia, povera sia economicamente che culturalmente, ma una famiglia vera.
Il film non dice nulla del passato di Mantosh, ma io ho immaginato le cose peggiori: orfano da sempre, cresciuto in strada per un po' di tempo, catturato magari dal padrone di una fabbrica e costretto a lavorare subendo violenze quotidiane di ogni genere. Fuggito di nascosto da quello schifo, portato in un orfanotrofio e infine, adottato dai due australiani.
Avrò pure le disgrazie a portata di pensieri, ma uno che tende spesso a picchiarsi da solo senza motivi può aver avuto, a mio avviso, un passato come questo o simile a questo.

Un'altro aspetto rilevante: Saroo arriva in Australia a sei anni, Mantosh ne dimostra almeno nove.
A sei anni è possibile che un bambino dimentichi dei particolari tristi del suo brevissimo vissuto, a nove anni no e in particolar modo se non sei mai stato amato veramente da nessuno!

Il film compie un notevole balzo avanti subito dopo l'adozione di Mantosh: ci porta negli anni '10 di questo secolo che stiamo vivendo.
Saroo adulto
I trent'anni di Saroo sono molto diversi dai trent'anni di Mantosh: Saroo ha terminato gli studi, ha un lavoro sicuro e gratificante, una fidanzata, alcuni amici e una casa di proprietà a Melbourne.
Mantosh è invece un tossicodipendente disoccupato che non ha la minima idea di cosa fare nella vita.

Saroo però non è sereno: proprio alle soglie dei trent'anni inizia a ricordarsi di provenire da un villaggio rurale a nord dell'India, Ganesh Talay, e non da Calcutta, come da molti anni credeva.

Allora, su Google Earth compie delle ricerche, determinato a ritrovare la sua vera famiglia.
Nel 2012, dopo due anni di pianti, angoscie e di crisi relazionali con i genitori adottivi e con la fidanzata, riesce a trovare su una mappa digitale dell'India il lungo tragitto che il treno aveva compiuto in quel lontano 12 febbraio 1986.

Insomma, nel finale mi sono scese un paio di lacrime, perché Saroo ritrova davvero la sua madre biologica.


Ho pensato subito alla penultima pagina di "Oliver Twist", quando Oliver, piangendo e allo stesso tempo ridendo di gioia, abbraccia commosso Rose, subito dopo aver scoperto che questa cara ragazza che lo ha adottato è in realtà la sorella minore di sua madre, o meglio, la sua "zia biologica".
Peccato che il film relativo a questo stupendo romanzo di Dickens non faccia accenno a Rose, che in realtà è una figura importante.
Il finale di "Lion" è una riscoperta delle proprie origini e di una parte della propria identità, come il finale di "Oliver Twist".

Un altro aspetto rilevante che una ragazza abbastanza vicina alla laurea in Lettere non può non notare: a cinque anni Saroo parla benissimo il suo idioma nativo, l'hindi.
La linguistica insegna che a quell'età, se il bambino non presenta particolari problemi psichici, ha ampiamente suprato la fase "telegrafica" dell'acquisizione del linguaggio, con tutte quelle frasi rudimentali come "Mamma bella" e "mela buona".
Saroo parla bene l'hindi tanto quanto la madre e il fratello.
Però, ci accorgiamo che una volta divenuto adulto, l'ha quasi dimenticata, sa soltanto pochissime parole. Perché?
Allora: la linguistica dice che, un bambino italiano, prima dei sei anni ha memorizzato migliaia di termini lessicali e non solo sa pronunciare bene quasi tutte le consonanti (fa fatica in alcuni casi soltanto con la erre) ma sa anche formare frasi principali e coordinate e... ha inoltre dimestichezza con il modo indicativo della nostra lingua.
Questo però vale anche per i bambini non italiani. 
E quindi è bastato trasportare il nostro protagonista in un altro continente per fargli dimenticare quasi del tutto la sua lingua madre?
Potreste pensare: quando uno non parla più la sua lingua di origine, per quanto bene l'abbia imparata nei suoi primi anni di vita, se la dimentica nel corso degli anni quando viene a contatto con un'altra lingua e con un'altra cultura per un lunghissimo periodo di tempo.
Ed è un'affermazione che potrei anche appoggiare e condividere.
Il punto è che la mente di un bambino di sei anni è talmente elastica che può permettersi di imparare benissimo e facilmente un'altra lingua diversa dalla sua (L2 = lingua due).
Poi, se le circostanze di vita esigono una pratica quotidiana di "lingua due" (in questo caso, l'inglese australiano) e soprattutto, fanno mancare contatti e relazioni con chi parla bene "lingua uno" (l'hindi, prima lingua appresa da Saroo)... ecco che allora gran parte del lessico della prima lingua può finire nel dimenticatoio.

Così è successo a Saroo.

I sottotitoli di coda (non perdeteli assolutamente se avete l'occasione di vederlo!) enunciano dapprima una tragedia: Guddu purtroppo è stato investito da un treno la notte stessa in cui Saroo si è perso (forse non ha mai saputo di aver perduto il fratellino o forse, poco dopo essersene accorto, durante la ricerca è stato inavvertitamente investito).
Poi si concentrano sul significato del nome "Saroo" che significa: "leone".






13 maggio 2017

La critica alla società occidentale in Woody Allen e nelle serie animate di origini americane:


 
Ieri dalle mie parti infuriava un violento temporale. E quindi, seduta comodamente sul divano del salotto, mi sono vista "Match point", un film di Woody Allen.
Riconosco che è un film dai contenuti piuttosto scabrosi, eppure merita di essere visto almeno una volta. Io ho dovuto farlo perché è uno dei diversi compiti che mi sono stati assegnati per preparare l'esame di storia del cinema.

Ad ogni modo, lo scopo del post non è soltanto quello di delineare la trama del film ma anche quello di riflettere su quei prodotti culturali americani che, negli ultimi vent'anni, hanno voluto essere delle critiche alla società occidentale.

TRAMA DI "MATCH POINT":

Brevi considerazioni tecniche: i primi circa quaranta secondi del film sono caratterizzati da un'inquadratura fissa (soltanto questi però): l'unico elemento che si muove è una pallina che rimbalza dai colpi di due racchette fuori campo (cioè al di fuori dello spazio filmato). Quindi in questa prima scena non c'è montaggio, non c'è concatenazione simultanea di inquadrature.
Eppure, in questi 37 secondi, è riassunta la concezione dell'esistenza del protagonista: la vita è questione di fortuna, non di talento.

Il protagonista delle vicende narrate è il giovane Chris Wilton, di modeste origini irlandesi.
All'inizio del film, dopo essere stato assunto come istruttore di tennis in un club esclusivo di Londra, instaura in breve tempo un sincero rapporto di amicizia con Tom Hewett, un suo allievo di famiglia molto ricca.

Notate bene che la loro amicizia nasce da interessi comuni come l'opera lirica, la letteratura e l'arte pittorica. Una sera, Tom invita all'opera Chris, il quale ha così modo di conoscere Chloe Hewett, la sorella di Tom e i genitori dei due giovani.
Pochi giorni dopo però Chris incontra anche Nola Rice, la fidanzata di Tom, giovane ragazza con delle velleità frustrate di attrice. Sebbene tra Chris e Chloe si già iniziato un legame affettivo, il giovane è più attratto da Nola, donna dalle "labbra seducenti".
Dal momento che Chris si sente frustrato nel suo lavoro di istruttore di tennis, viene aiutato dal padre di Chloe a trovare un posto da dirigente in un'azienda prestigiosa.

Non vi dirò molto altro a questo punto: soltanto che, la relazione "clandestina" tra Chris e Nola inizia addirittura poco prima del matrimonio con Chloe.
Successivamente, Tom e Nola si lasciano; ma la relazione tra Nola e Chris si fa più intensa.
Finché Nola non scopre di aspettare un figlio. Inizialmente Chris cerca di convincerla ad abortire, cosa che invece lei è risoluta a non fare (aveva già abortito altre due volte).
Anzi, Nola esige che il suo amante ottenga il divorzio.

Messo sempre di più alle strette, Chris, dapprima in preda all'angoscia, inizia a generare sospetti nella moglie e al tempo stesso a ingannare l'amante, raccontando di essere in viaggio.
E infine, dopo alcune settimane prende un fucile da caccia dalla villa del suocero, lo nasconde nella borsa da tennis, si reca nel condominio dell'amante.
Inscenando una rapina finita male nell'appartamento adiacente a quello di Nola, uccide dapprima l'anziana vicina di Nola, sottraendole i gioielli per rendere più credibile la messinscena, e subito dopo, mentre Nola apre la porta del suo appartamento, spara di nuovo.

Il regista ha adottato qui un espediente interessante per rendere la drammaticità dei due omicidi: per molti minuti si sente come sottofondo della musica classica dell'opera drammatica cantata dal tenore Caruso. E' una musica extra diegetica, cioè, al di fuori del racconto filmico.
Chris non la sente, ma la sentiamo noi spettatori e la associamo non soltanto alla tragedia imminente ma anche all'abiezione del personaggio il quale, nonostante ami l'opera lirica, è incapace di sensibilità verso la vita di Nola e di un figlio che sarebbe anche il suo.

Chris sarà mai scoperto e punito? Vedere per sapere! 


 RIFLESSIONI ETICHE SUL PROTAGONISTA:

In definitiva, Chris è un uomo malvagio, privo di sentimenti e anzi, incapace di provarne.

... Non me la sento di abbracciare completamente un'affermazione del genere, almeno, per come sono fatta io che tendo ad essere molto analitica e precisa anche nel cercare di definire i caratteri dei personaggi di libri e film.
Secondo me è abbastanza riduttiva. Io più che altro lo definirei decisamente "disturbato psicologicamente".
E' il re degli ipocriti ed è doppio: gentile e romantico con la moglie, molto formale e distinto al lavoro ma animalesco, impetuoso, bugiardo e vigliacco con Nola. Le parti che comprendono l'inizio degli atti sessuali tra i due hanno un qualcosa di decisamente poco umano secondo me, un qualcosa che è parecchio distante dalla tenerezza ed è invece corrispondente ad una "passione smodata".
Inoltre, pian piano il protagonista rivela la parte peggiore di sé, ovvero, quella dell'omicida spietato, dell'uomo torbido e amorale.

Sarebbe interessante far analizzare questo personaggio a uno psichiatra ma forse nemmeno lo psichiatra sarebbe sufficiente. Secondo me ci vorrebbe addirittura un medico neurologo: come li definiscono i neurologi atteggiamenti di questo genere? Si può parlare di "doppia personalità"?

Sicuramente è amorale. Non immorale. Immorali lo siamo tutti, a tutti capita di sbagliare qualcosa nei rapporti con gli altri, a tutti capita di assumere comportamenti non proprio giusti e corretti.
In amorale la a iniziale ha la funzione dell'alfa privativo e quindi indica colui che è privo di rettitudine.

Nola ha iniziato una relazione con Chris pur sapendo benissimo che era un uomo sposato.
Ecco come la penso io a riguardo: vuoi farti trattare come uno straccio? Diventa l'amante di un uomo sposato!
Non dite che la penso così perché sono cattolica, qui non sto parlando del principio del cattolicesimo sul valore indissolubile del matrimonio! Sto parlando di dignità personale, anzi, di dignità femminile.
Non voglio dire che i non sposati siano tutti rispettosi e galanti, ma l'uomo sposato che tradisce la moglie essenzialmente è:

A) Un disonesto inaffidabile: manca alla promessa fatta alla moglie nel giorno del matrimonio e non considera i sentimenti dei  loro eventuali figli.

B) Un codardo irresponsabile: spesso non riesce né a lasciare la moglie né ad assumersi le sue responsabilità quando mette incinta l'amante.


3 maggio 2017

Rapporti tra letteratura e musica:

In questo post non riemergerà soltanto il mio entusiasmo nel creare collegamenti interdisciplinari...
E in effetti, prima di quelli, ho inserito un breve excursus storico dell'opera italiana.
Gli studenti dei Conservatori e dei Licei Musicali sicuramente hanno studiato in modo più approfondito di me i contenuti qui sotto esposti, ma spero che apprezzino questo post! ;-) ... Io ho frequentato e superato soltanto due esami di storia della musica e ora sto seguendo un laboratorio musicale che mi sta dando la possibilità di assistere a prove orchestrali e di regia presso il Filarmonico della mia città. Le mie conoscenze sono più che discrete ma non approfondite.

STORIA DELL'OPERA DRAMMATURGICA:

Prima tre aspetti fondamentali: 

1) Il testo del "Rigoletto" è stato scritto dal poeta Francesco Maria Piave ma, nonostante ciò, si dice sempre che è un'opera di "Giuseppe Verdi". Come mai? Non sarebbe più corretto affermare che "è un'opera scritta da Piave e messa in musica da Verdi"?  Se devo essere sincera, io sono una dei pochi che tende a dire così, perché, a mio avviso, l'opera lirica è generata da due straordinarie forme d'arte, ovvero, la letteratura e la musica, che operano praticamente in simbiosi al fine di rendere piacevolmente fruibile un prodotto culturale di notevole rilievo storico.
"Il Rigoletto" non è soltanto un'opera di Verdi, questo è vero. Però bisogna tener presente che è ben diversa da qualunque opera teatrale recitata. Il teatro di parola non è come il teatro musicale. Nell'opera lirica, i sentimenti dei protagonisti della storia, vengono valorizzati dalla componente musicale, la quale ha la capacità di suscitare spesso un forte impatto emotivo negli spettatori.
Per questo la musica è considerata "la colonna portante" di ogni opera lirica.

2) Sul piano vocale bisogna distinguere tra l'intonazione recitativa (o semplicemente il recitativo), ovvero, una tipologia di canto che tende a rimanere il più possibile aderente all'enunciato poetico; e l'intonazione cantabile (o pezzo chiuso o aria), ovvero, un canto in parte sganciato dalla struttura verbale che mira a evidenziare sentimenti, conflitti interiori, emozioni.

3) Nessun soggetto rappresentato nelle opere drammaturgiche è originale, nel senso che è sempre desunto da fonti letterarie. Può, è vero, essere liberamente ispirato a un racconto letterario, ma comunque mantiene sempre dei rapporti piuttosto rilevanti con questo.

A) IL SEICENTO:

Molto probabilmente (sempre se non vado errata!), la prima opera messa in musica era intitolata "Euridice", con testi del poeta Ottavio Rinuccini e musiche del nobile Jacopo Corsi. Era stata messa in scena nel 1600 in occasione delle nozze di Maria de' Medici. Ricordo anche che la storia non era fedele al mito classico di "Orfeo ed Euridice", perché nella narrazione di Rinuccini è previsto un lieto fine: Euridice ritorna sulla Terra con Orfeo e il coro intona canti di gioia e di felicità.
Otto anni dopo, Claudio Monteverdi metteva in musica un libretto scritto dal letterato mantovano Alessandro Striggio e intitolato "Orfeo". Qui il racconto si atteneva alla versione classica del mito in cui Orfeo perde per sempre l'amata.
Ad ogni modo, nelle opere musicali della prima metà del XVII° secolo, le arie erano destinate alle parti corali mentre i recitativi comprendevano i dialoghi e anche i monologhi. I recitativi avevano spesso un andamento declamatorio, ma, in quel periodo, non erano rare le cavate, ovvero, dei punti in cui da un recitativo declamatorio si passava a un andamento melodico quando vi erano dei momenti di maggior tensione emotiva.
Nella seconda metà del Seicento le arie iniziano ad "estendere" nel tempo i sentimenti dei personaggi e, per realizzare lo scopo, si utilizza la tecnica del "refrain", ovvero, un espediente attraverso il quale la prima frase del pezzo chiuso era ripetuta più volte. E qui penso ad un'aria di Tolomeo nel "Giulio Cesare in Egitto" che fa: "L'empio, sleale, indegno, l'empio, sleale, indegno vorria rapirmi il regno e disturbar così la pace mia". Questa frase iniziale è ripetuta almeno quattro volte nel corso dell'esecuzione.

B) IL SETTECENTO:

Nel XVIII° secolo scompaiono le cavate e si fa sempre più netta la distinzione tra recitativi, riservati ai dialoghi, e le arie, incaricate di esprimere gli stati d'animo e quindi funzionali a interrompere per alcuni minuti il fluire degli eventi.
Nel Secondo Settecento compaiono i rondò; particolari arie svolte verso la fine dell'opera e incentrate a manifestare uno stato di conflitto interiore del protagonista. Sempre nella seconda metà di questo secolo le arie appaiono, dal punto di vista poetico, sempre più monostrofiche e prive degli "a capo".

C) L'OTTOCENTO:

La struttura interna dell'opera è completamente rivoluzionata! Non è più così chiara e netta la distinzione tra recitativo ed aria, ma si utilizza un altro schema, secondo cui le scene sono logicamente strutturate nel seguente modo:
-Scena: Corrisponde a quello che in narrativa chiamiamo "situazione iniziale"
-Tempo d'attacco: Scontro tra due personaggi.
-Cantabile: E' lo sfogo sentimentale di un personaggio in reazione ad un colpo di scena.
-Tempo di mezzo: E' l'irrompere di una nuova situazione.
-Cabaletta: E' un ulteriore sfogo emotivo.

Questo è un esempio, è la scena quinta del secondo atto della "Traviata":
(Vi assicuro che per me un conto è analizzarla in modo lucido, dettagliato e freddo a lezione con un insegnante, un altro invece è ascoltarsela da sola a casa... nel secondo caso fa veramente piangere!)



 -Giorgio Germont, di voce baritono, entra tuonando: "Madamigella Valery?". Qui inizia la scena, che ha una funzione espositiva: il padre di Alfredo entra nella villa di campagna della giovane.

- Da "Pura sì come un angelo" inizia l'attacco: il vecchio rovina-convivenze rivela a Violetta di avere un'altra figlia da sposare. Per garantire la buona riuscita del matrimonio di quest'ultima e per preservare la reputazione della famiglia borghese Germont, a Violetta è intimato di lasciare Alfredo.

-Da "Dite alla giovine sì bella e pura" inizia il cantabile, lo sfogo emotivo e doloroso di Violetta, che cede alla richiesta di Germont padre. Il colpo di scena consisteva in queste battute:
V= "Volete che per sempre a lui rinunzi?"
G= "E' d'uopo".
V= "No, giammai!"

- Il tempo di mezzo è introdotto da un motivo di archi pizzicati.
V="Or imponete". 
G= "Non amarlo ditegli".
Dopo lo sfogo emotivo i due pensano a quale potrebbe essere il modo migliore per agire.

-La cabaletta inizia da: "Morrò! la mia memoria non fia ch'ei maledica". Violetta prega Giorgio di rivelare al figlio il suo sacrificio, cosa che Germont farà molto tardi e poco prima che Violetta muoia.

Per quel che riguarda il periodo post-risorgimentale invece, è bene affermare che in Italia si diffonde il repertorio operistico francese, che importa tutte le sue caratteristiche influenzando quindi notevolmente poeti e compositori. Le opere di questo periodo, come "Otello", "Il Falstaff" e "Tosca", sono caratterizzate da una notevole eterogeneità metrica. Vengono utilizzati versi inconsueti come il trisillabo, il quinario doppio e il novenario. Questo è tutto ciò che so. Non so esattamente quando si è smesso di scrivere libretti per opere musicali, come non so quando la gente ha iniziato a preferire il cinema all'opera.

"E LUCEVAN LE STELLE":

E' l'aria di Mario Cavaradossi, tratto dall'ultimo atto della "Tosca", opera musicata da Puccini.
Non mi metto a scrivere la trama, vi dico solo che Cavaradossi si trova prigioniero a Castel Sant'Angelo in attesa della sua esecuzione capitale. E' stato torturato e condannato perché aveva aiutato l'ex console della Repubblica Romana, Cesare Angelotti, a nascondersi dalla polizia.
Tosca è la cantante lirica, l'amante appassionata e gelosa di Mario.
"Tosca" è ambientata nel 1800, ovvero, in piena epoca napoleonica... in quel periodo per i repubblicani era veramente duro fuggire e nascondersi!
"E lucevan le stelle,
e olezzava la terra,
stridea l'uscio dell'orto
e un passo sfiorava la rena.
Entrava ella, fragrante,
mi cadea fra le braccia.

Oh! Dolci baci, o languide carezze,
mentr'io fremente
le belle forme disciogliea dai veli!
Svanì per sempre il sogno mio d'amore...
l'ora è fuggita,
e muoio disperato,
e muoio disperato!
E non ho amato mai tanto la vita!"

Notate che nei primi otto versi il tempo verbale utilizzato è l'imperfetto. Compare soltanto un verbo al passato remoto e poi, a partire dal verso dieci, ci sono dei presenti indicativi, con la sola eccezione del passato prossimo "ho amato".
Poche battute prima, il carceriere ha detto a Mario che gli rimaneva soltanto un'ora di vita, giusto il tempo per scrivere un commiato. La didascalia che i librettisti Illica e Giacosa inseriscono poco prima del testo dell'aria è questa: "Rimane alquanto pensieroso, quindi si mette a scrivere. Ma dopo tracciate alcune linee è invaso dalle rimembranze e si arresta dallo scrivere."


In questo pezzo chiuso Mario ricorda i migliori momenti vissuti con Tosca. Occhio però, non è esattamente un sogno erotico questo. Non sono sogni quelli evocati da Mario, sono momenti realmente vissuti. Notate bene la differenza tra sogno e ricordo: il primo è un prodotto mentale, un qualcosa che si desidera accada; il secondo invece rimanda ad eventi realmente accaduti.
I pensieri iniziali di Mario rimandano a una placida atmosfera notturna, in cui gli elementi sono in perfetta sintonia con il desiderio d'amore delle figure umane che compaiono poco dopo. I suoni che pervadono l'atmosfera sono delicati, leggeri: "stridea", "sfiorava"... E la terra profuma di primavera!
Penso a un sonetto di Petrarca che inizia così: "Or che 'l cielo e la terra e 'l vento tace/ et le fere e gli augelli il sonno affrena/ notte il carro stellato in giro mena/ et nel suo letto il mar senz'onda giace."
Anche qui, l'atmosfera notturna evoca tranquillità e pace interiore. 
Di tanto in tanto mi capita di cantare "e lucevan le stelle" sotto la doccia, è di grande intensità poetica e meritatamente è il punto più celebre di "Tosca"! Il mese scorso ho assistito alla rappresentazione di quest'opera: ero in platea in quinta fila. Vi assicuro che vedere da vicino le emozioni e i volti dei cantanti è un qualcosa di unico che ti mette i brividi e ti rende partecipe, ti dà la possibilità di calarti all'interno delle vicende rappresentate.
Vi sono espressioni e stati d'animo che ricorrono piuttosto spesso nelle liriche di letteratura italiana, come queste: "dolci baci", "languide carezze", "fremente", "discogliea". Sono, permettetemi pure di essere chiara, le fasi preliminari di un atto sessuale pieno di tenerezza. Ma sono ricordi, non fantasie erotiche porcellose!
Ad ogni modo, verso la fine del suo canto, Mario ritorna al presente: nella frase "svanì per sempre il sogno mio d'amore". E qui la parola "sogno" è sinonimo di futuro, com'è giusto che sia in ogni storia d'amore che sia seria e matura. Mario vorrebbe condividere ogni giorno della sua vita con Tosca, ma sta perdendo tutto: il lavoro, l'amore, la partecipazione attiva alla vita politica e... l'intero avvenire. Tenete presente che Mario è un giovane uomo poco meno che trentenne.
Però, la fine dell'aria è significativa: "E non ho amato mai tanto la vita". Cosa fa dire a Mario una frase così strana? Ricordate il finale di "Veglia" di Ungaretti: "non sono mai stato tanto attaccato alla vita"? In entrambi i casi l'amore/attaccamento alla vita è espresso di fronte a una situazione di morte avvenuta nel caso della lirica e di morte imminente nel caso dell'opera. Ungaretti ricava una lezione di vita dalla morte del suo compagno d'armi, Cavaradossi proclama il valore della vita poco prima di essere fucilato.
Il valore della vita lo si comprende nel momento in cui si sta per perderla o comunque nel momento in cui qualcuno che ti sta a cuore la perde.
Mai più. Quante volte pronunciamo questa espressione nell'arco di una settimana? Beh, vi assicuro che il suo senso reale è terribile. Una persona che non rivedrai mai più perché è morta. Un'occasione che non avrai mai più perché non l'hai colta al momento giusto. Una cosa che non potrai far mai più perché non hai più l'età per poterla fare.

Vi ho messo questa scena per "alleggerire" un pochino i contenuti del post: c'è, è vero, l'aria di Mario, e Kaufmann la canta divinamente. Però prestate attenzione a ciò che succede dopo: la cantante addetta al ruolo di Tosca, gelosa del talento del tenore, si rifiuta di comparire sulla scena.