Da ciò ne consegue dunque che non è lecito confrontare il gusto di un'epoca con quello di un'altra totalmente differente.
Condividete questa teoria?! Vi anticipo già che la io appoggio in pieno.
In questo post vorrei innanzitutto proporvi un'attenta osservazione di alcuni prodotti artistici risalenti a periodi diversi.
Provate a fare un esercizio mentale di immaginazione: per dieci minuti improvvisatevi come critici d'arte, ovvero, fingete di esserlo. Io vi aiuto con alcune domande per facilitarvi nell'immersione del ruolo.
J. Louis David "Il giuramento degli Orazi", 1785 |
C. Monet, "Stagno con ninfee", 1899 |
Matisse, "La stanza rossa", 1908 |
Sono tutte opere francesi.
Che è successo alla pittura francese nel giro di un secolo circa? Nel primo dipinto lo schema prospettico è molto rigoroso, perché negli altri due invece non lo è?
L'opera di David sembra collegarsi a un episodio storico di battaglia, ambientato nella Roma antica. Come mai, nel corso del XIX° secolo, si abbandonano temi storici per concentrarsi sulla pittura di paesaggio?
In Monet, il verde degli alberi sullo sfondo si riflette sulle acque dello stagno sul quale galleggiano le ninfee. Alberi, ninfee, cespugli e stagno sono costituiti da macchie, non da linee che definiscono i loro contorni.
In Matisse la bidimensionalità è evidente: questo assomiglia ai disegni che facevo io a 10 anni.
Tutto quel rosso fa venire mal di testa, se lo si guarda troppo intensamente.
Ad ogni modo, se non ci fossero né le due sedie né la frutta sulla tavola come si farebbe a distinguere la tovaglia dalla parete, visto che entrambe presentano gli stessi colori e gli stessi motivi decorativi ad anse e vasi blu?
Piccola parentesi prima di continuare la riflessione: mi sono appena ricordata che l'analisi de "la stanza rossa" mi era stata assegnata in terza prova all'esame di maturità.
Era andata da 15/15 anche la prova in arte, comunque.
Secondo voi, è giusto dire che nel corso di poco più di un secolo l'arte francese "decade", diminuisce di qualità? Oppure cambiano semplicemente le modalità di raffigurazione?
E' giusto e razionale dire che mentre David era bravissimo a fare l'artista, Monet e Matisse erano invece dei perfetti incapaci, soprattutto dal punto di vista dell'illusione della tridimensionalità?
A mio avviso, ognuno ha il diritto di dire: "Mi piace molto David, un po' meno Monet e niente affatto Matisse". Ognuno può sentirsi più affascinato da un certo stile pittorico piuttosto che da un altro e da certe tematiche piuttosto che da altre.
Io adoro tutta la letteratura italiana e tutta la storia dell'arte.
Ho un rapporto un po' diverso con la letteratura latina: mentre mi piacciono quasi tutti gli autori di età imperiale, a fatica sopporto quelli ancora più antichi. Per esempio, mi annoia Lucrezio con il suo esagerato entusiasmo per Epicuro e per la teoria degli atomi.
In letteratura greca mi piacciono l'epica e la lirica, mentre non ho mai provato una così folle passione per la tragedia: linguaggio molto, forse troppo altisonante, soprattutto nelle tragedie di Sofocle.
Ma non direi mai che gli autori che a me non vanno a genio non meritano di far parte della storia della letteratura perché per me sono incapaci di scrivere oppure per il fatto che scrivono cose che non mi interessano!
Il gusto individuale è soggettivo e non deve mai influenzare la valutazione equilibrata di importanti prodotti culturali, che siano pittorici o letterari.
"Il giuramento degli Orazi" appartiene al neoclassicismo, corrente culturale della seconda metà del XVIII° secolo. Il Neoclassicismo puntava su: equilibrio, armonia e compostezza, ispirandosi alle opere della classicità greco-romana. I tre giovani fratelli, prima di partire per il combattimento contro i Curiazi, giurano eterna fedeltà a Roma dinanzi al vecchio padre, sollevando le braccia verso le spade.
Lo stagno gremito di ninfee di Monet è un dipinto impressionista e l'impressionismo mirava soprattutto a riportare sulla tela le impressioni visive degli artisti verso il paesaggio al quale si trovavano di fronte.
Matisse appartiene a pieno titolo alla corrente dei Fauves, gruppo espressionista francese che esaltava il vivo contrasto cromatico nelle pitture. Il colore "aggredisce" quasi lo spettatore.
Tre pittori diversi dunque, tre opere diverse corrispondenti a diverse concezioni dell'arte pittorica, concezioni mutate con il mutare delle condizioni storico-sociali.
Parlavo sopra anche di letteratura, dal momento che la teoria del gusto è perfettamente applicabile anche a questa forma di cultura.
Vi ripropongo dunque un esercizio mentale simile a quello di prima: per i prossimi dieci minuti improvvisatevi dei critici letterari.
Leggete
ciò che ho caricato qui sotto:
"SOGNO",
G. PASCOLI:
Per
un attimo fui nel mio villaggio,
nella
mia casa. Nulla era mutato.
Stanco
tornavo, come da un vïaggio;
stanco,
al mio padre, ai morti, ero tornato.
Sentivo
una gran gioia, una gran pena;
una
dolcezza ed un’angoscia, muta.
—
Mamma?
— È là che ti scalda un po’ di cena —
Povera
mamma! e lei, non l’ho veduta.
"IL PALOMBARO", C. GOVONI:
Era sul Futurismo in arte e in letteratura, argomento che nessuno porta o meglio, che a nessuno viene in mente di sviluppare. Nella tesina di maturità ho messo una parte di italiano sulle poesie di Marinetti e di Govoni e poi c'era la parte di arte su Boccioni e Severini.
La mia tesi di laurea è in Storia della musica, su alcuni madrigali della musica del tardo rinascimento, argomento che in pochissimi vogliono approfondire.
Capitemi: vengo da un classico, sto studiando letteratura all'Università e ho una certa predisposizione per le forme artistiche. Sono sempre stata considerata una persona originale, ma penso che tutti quelli che hanno seguito il mio percorso di studi dovrebbero esserlo.
La poesia di Pascoli invita il lettore a immaginare ciò che l'autore evoca nel sogno: la casa, l'infanzia, le mura domestiche, i genitori.
Pascoli evoca, Govoni scrive cose senza senso. Il primo appartiene al pieno ottocento, il secondo al movimento del Futurismo.
"Govoni non sa scrivere. La sua non è vera letteratura", potreste pensare, vedendo questo foglio pieno di scritte di varie dimensioni e corredato di disegni.
Come vi dicevo nel post su Archiloco, ogni lirica deve essere inquadrata in un preciso contesto storico e sociale.
Le tre parole chiave del Futurismo erano: energia, dinamismo e progresso. Coloro che aderivano al movimento di Marinetti erano intellettuali profondamente fiduciosi ed entusiasti nei confronti dello sviluppo tecnico e industriale dell'epoca, evidente soprattutto nelle città italiane del Nord Ovest, come Milano e Torino. Un oggetto come l'automobile era considerato "simbolo del progresso e della bellezza della velocità" (e all'inquinamento non ci pensavano, però!)
"I
Futuristi considerano gli intellettuali italiani del passato
tradizionalisti e conservatori, dal momento che, nei loro
componimenti poetici, pensavano soltanto a rievocare tristi ricordi
di infanzia e a manifestare il loro mondo interiore (...)",
avevo scritto nella mia tesina.
In
sostanza, il Futurismo (1909-1915 circa) era una reazione alla poesia
dell'Ottocento. Una reazione durata pochi anni, perché dopo il '15
il Futurismo aveva già esaurito la sua grande spinta propulsiva.
Ad
ogni modo, ritengo opportuno riportare qui sotto alcune parti dei
manifesti scritti dai futuristi:
Punto
3 del Manifesto del Futurismo, febbraio 1909: "La
letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi ed
il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia
febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il
pugno."
Punto 6 del Manifesto della letteratura Futurista, gennaio 1912: "Abolire anche la punteggiatura. Essendo soppressi gli avverbi e le congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella continuità varia di uno stile vivo che si crea da sé, senza le soste assurde delle virgole e dei punti"
Ecco, adesso riuscite a capire il motivo per cui nel componimento di Govoni non ci sono frasi di senso compiuto e manca completamente la punteggiatura.
Erano matti i Futuristi? Avete il diritto di pensarlo! Lo sono quasi quanto me!
CONFRONTO PIACEVOLE:
Ho voluto intitolarlo così quest'ultimo paragrafo del post, perché vi propongo un confronto puramente soggettivo e istintivo, senza alcuna domanda di ragionamento!
Matisse, "Donna con cappello", 1905 |
Boccioni, "La città che sale", 1910 |
Matisse è espressionista, Boccioni è futurista. Quale vi piace di più? ;-)