Comunque, oltre all'ingiusta e ingiustificata critica che lei muove alle cattoliche, c'è anche un'altra sua constatazione che mi ha infastidita: considerare la letteratura italiana come un prodotto culturale addirittura nocivo per la società contemporanea.
Non sto esagerando. La scrittrice afferma che la nostra letteratura, nell'illustrare e nel descrivere le morti di numerosi personaggi femminili, esalti lo spirito degli uomini che le uccidono.
A questo proposito cita un episodio della "Gerusalemme Liberata" di Torquato Tasso, ovvero, il combattimento tra Tancredi e Clorinda.
Ne riporta poi alcuni versi:
"Spinge egli il ferro nel bel sen di puntaeriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-1937Di questa mezza strofa dà un'interpretazione decisamente assurda: "Molti di quegli artisti hanno accompagnato la nostra educazione sentimentale e culturale mostrandoci non già lo strazio della morta, ma la nobiltà di chi l'ha uccisa."
che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;
e la veste, che d'or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e leve,
l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e 'l piè le manca egro e languente."
Ma non poteva farsi spiegare quel passo da persone competenti, che hanno studiato o stanno studiando testi letterari per realizzare il loro sogno di poterli trasmettere?
Ma non sa che le donne guerriere sono sempre esistite in letteratura, e che quindi Clorinda non è l'unica? Ci sono le Amazzoni della Grecia Arcaica, c'è Camilla nell'Eneide, c'è Bradamante nel poema di Ariosto, Marfisa nell'Orlando Innamorato di Boiardo.
Più o meno ve lo ricordate questo episodio?!
Ve lo riassumo in modo semplice: Tancredi appartiene all'esercito cristiano, Clorinda invece è una donna saracena, travestita da guerriero.
Tancredi ne è segretamente innamorato.
Durante il duello non la riconosce, dal momento che anche lei indossa l'elmo. Non la riconosce, quindi non la uccide di proposito!
Questo è un episodio drammatico, elegiaco in cui amante e donna amata si scontrano inconsapevolmente.
Dopo averla trafitta, Tancredi, con suo grande dolore, la riconosce, dal momento che le toglie l'elmo.
Questo è il seguito del canto:
" Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme;
parole ch'a lei novo un spirto ditta,
spirto di fé, di carità, di speme:
virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella.
- Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a l'alma sì; deh! Per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. -
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.
Poco quindi lontan nel sen del monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe, e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!
Non morì già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise.
Mentre egli il suon dè sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace. "
D'un bel pallore ha il bianco volto asperso,
come à gigli sarian miste viole,
e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
sembra per la pietate il cielo e 'l sole;
e la man nuda e fredda alzando verso
il cavaliero in vece di parole
gli dà pegno di pace. In questa forma
passa la bella donna, e par che dorma."
Per Letteratura Italiana I avevo letto una parte consistente del poema di Tasso e l'analisi di questa parte me la ricordo ancora benone (peccato che non me l'abbia chiesta! Nessuna domanda su Tasso, purtroppo).
Non si tratta certo dell'esaltazione di un Tancredi omicida!
E, se l'autrice estremista permette, lo strazio e il dolore degli ultimi istanti di Clorinda c'è eccome!
Il valente Tancredi uccide l'amata ma, nel momento in cui se ne rende conto, non è né nobile né glorioso.
E' sconvolto.
"La vide, la conobbe, e restò senza/voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!"
Tancredi è annichilito e impietrito.
Che accade nell'animo di Tancredi nel momento in cui le toglie l'elmo??
In una frazione di secondo, si affollano stupore, dolore, rimorso, disperazione e commozione per la richiesta di farsi battezzare.
Pensate ora a dei riferimenti cronologici. La Gerusalemme Liberata è stata scritta nel secondo Cinquecento ed è ambientata negli ultimissimi anni del XI° secolo, per il fatto che narra i combattimenti della prima crociata per la liberazione del Santo Sepolcro di Cristo.
Ciò che l'autore elogia in quest'opera non è tanto la violenza verso i saraceni o la nobiltà di chi uccide una donna guerriera, quanto piuttosto un sentimento cristiano chiamato "il timor di Dio".
Per i più giovani che magari non frequentano molto la messa, preciso volentieri che temere Dio non significa iniziare a tremare di paura ogni volta che lo si nomina o lo si prega.
Qui timore è sinonimo di attenzione ai valori che da Lui provengono.
Nella mentalità medievale era ritenuta un'azione gloriosa e degna di un ottimo cristiano il partecipare ad una crociata per poter liberare il Santo Sepolcro dalle genti di diversa religione. Chiaro che per poterlo fare, bisognava combattere.
Per i medievali, "temere Dio" non significa soltanto pregarlo e venerarlo, ma anche difenderlo con le armi da popoli non cristiani.
Ma ciò che conta non è la nobiltà dell'uccidere, quanto piuttosto la conversione di Clorinda al cristianesimo. Viene battezzata mentre sta morendo.
Ed è il sacramento del Battesimo che le apre le porte del Paradiso.
"In questa forma/ passa la bella donna e par che dorma".
Ecco dunque che la fine della vita terrena è un necessario passaggio ad una vita migliore.
Clorinda dunque, con questo sacramento pochi istanti prima di rendere l'anima, si salvava dal limbo dantesco, dove stavano i non battezzati e i fedeli di altre religioni.
Prima di trarre conclusioni un po' troppo affrettate bisognerebbe leggere bene.
Questa parte del XII° canto della Gerusalemme Liberata nulla ha a che fare con l'oppressione femminile. Rappresenta bene invece la concezione della cristianità da parte dei medievali.
Vi pongo la domanda del titolo, in modo molto simile:
"Siamo proprio così sicuri del fatto che la nostra tradizione letteraria sminuisce la donna?"
Ecco qui due sonetti di due autori diversi, che dimostrano l'esatto contrario.
GUIDO GUINIZZELLI:
Lo vostro bel saluto e ’l gentil sguardo
che fate quando v’encontro, m’ancide:
Amor m’assale e già non ha reguardo
s’elli face peccato over merzede,
ché per mezzo lo cor me lanciò un dardo
ched oltre ’n parte lo taglia e divide;
parlar non posso, ché ’n pene io ardo
sì come quelli che sua morte vede.
Per li occhi passa come fa lo trono,
che fer’ per la finestra de la torre
e ciò che dentro trova spezza e fende;
remagno como statüa d’ottono,
ove vita né spirto non ricorre,
se non che la figura d’omo rende.
Appartiene allo Stilnovo, nel XIII° secolo, stile poetico che ha come oggetto dei componimenti la figura di una donna angelicata, come non ne esistono nella realtà.
La donna, nei loro componimenti, è "uno spirto celeste" che rende bello e migliore l'animo di tutti coloro che la amano. Anzi, addirittura, ha la capacità di convertire alla fede religiosa i bestemmiatori e gli atei: "e fal de nostra fè se no la crede", scrive lo stesso Guinizzelli in un altro sonetto.
Senza volermi paragonare agli Stilnovisti, anch'io in alcune mie poesie ho idealizzato una figura maschile delineata come bella, pura, meravigliosa, dotata di qualità che fanno pensare a tutto ciò che c'è di bello in natura.
Ma quello degli stilnovisti era vero amore o voglia di gloria poetica? A questo, nemmeno l'illustre critico letterario Asor Rosa sa rispondere. Cinquanta e cinquanta, credo io.
Molto probabilmente gli Stilnovisti si saranno innamorati di qualche bella donna dotata anche di eleganza e gentilezza. Però indubbiamente nutrivano anche l'ambizione di passare alla storia della letteratura con il loro stile aulico, solenne, idilliaco.
Ad ogni modo, sarà anche una poesia del Duecento, ma quanti di voi hanno provato l'esperienza della cotta da colpo di fulmine?? Siamo fatti per amare, per essere amati e per sentirci attratti da qualcuno.
"Per li occhi passa come fa lo trono,
che fer’ per la finestra de la torre
e ciò che dentro trova spezza e fende;"
"lo trono" è il fulmine. Vedi qualcuno che ti sembra bello e affascinante e subito ne resti attratta, al punto tale che per alcuni secondi non riesci a staccare lo sguardo da quella persona.
Mi è successo più di una volta. La prima volta avevo 16 anni.
E quello sguardo sembra durare un'eternità, quello sguardo in cui gli occhi comunicano ciò che a parole si fa sempre e comunque fatica ad esprimere.
PETRARCA:
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;
e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?
Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro, che pur voce humana.
Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i' vidi: e se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.
E questo è Petrarca. Petrarca che, nonostante lo scorrere del tempo e nonostante la bellezza sfiorita di Laura, continua ad essere innamorato di lei.
Tenete presente che "lume" è metafora di "occhi".
E ora, ritorno a quel passionale di Tasso, riportando e commentando brevemente qui sotto un suo madrigale.
MADRIGALE N° 288:
Amatemi, ben mio,
Perché sdegna il mio core
Ogni altro cibo e vive sol d’amore.
V’amerò, se m’amate,
Né men de la mia vita
L’amor fia lungo e fia con lui finita.
Ma s’amarmi negate
Morirò disperato
Per non amarvi non essendo amato.
Probabilmente dedicato a Laura Peperara, questo componimento è indubbiamente espressione di un sentimento molto, forse troppo forte.
Però, notate bene che non traspare mai un concetto di possesso della donna amata. Solo nel primo verso c'è un possessivo. Ma "Ben mio" è legittimo, dal momento che tutti lo parafraserebbero con "tesoro mio".
Tasso ama la donna con tutto se stesso. Prospetta per sé un dolore atroce in caso di rifiuto. Non allude però ad un suicidio, quanto piuttosto alla morte dell'anima, ad un animo che, se perdesse le speranze di quel progetto d'amore che sogna, diverrebbe spento, atrofizzato dalla cocente delusione.
Niente paura, non c'è misoginia nella poesia italiana e ci sono molte figure femminili positive presenti in poemi, novelle e romanzi. Ne cito soltanto alcune: Lucia Mondella, Beatrice in Dante, Fiammetta nel Decamerone di Boccaccio, Teresa ne "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" e, figura molto originale per la sua indipendenza e schiettezza: Mirandolina in Goldoni!