E'
da molto tempo che nelle mie riflessioni letterarie non coinvolgo più
delle poesie in lingua inglese. Dovrei farlo più spesso! Il
tema della nascita però mi consente di farlo: partendo da un
componimento del poeta londinese William Blake, vissuto a cavallo tra
XVIII° e XIX° secolo, cerco qui di collegare anche l'opera di
Leopardi, per poi chiudere con un'altra poesia di Blake dal tono
decisamente più gioioso.
INFANT
SORROW:
"My
mother groaned! my father wept.
Into the dangerous world I leapt,
Helpless, naked, piping loud;
Like a fiend hid in a cloud.
Into the dangerous world I leapt,
Helpless, naked, piping loud;
Like a fiend hid in a cloud.
Struggling
in my father's hands,
Striving against my swaddling bands;
Bound and weary I thought best
To sulk upon my mother's breast."
Striving against my swaddling bands;
Bound and weary I thought best
To sulk upon my mother's breast."
"Mai
madre gemette! Mio padre pianse,
io
balzai in questo mondo pericoloso
indifeso,
nudo, gridando forte
come
un diavolo nascosto tra le nuvole.
Dimenandomi
tra le mani di mio padre,
combattendo
contro le mie fasce,
legato
ed esausto, pensai che fosse meglio
essere
scontroso sul petto di mia madre."
L'ho tradotta io, non ho voluto servirmi di altre traduzioni per poterla comprendere bene.
Parto
da una riflessione lessicale.
Esistono
diversi modi per indicare il "dolore" in inglese. Qui sotto
li elenco cercando di spiegarne le significative differenze:
1)
"ache": solitamente
utilizzato per indicare un dolore costante in una parte del corpo.
Esempi sono i composti: "headache"
(mal di testa), "stomachache"
(mal di stomaco) e le espressioni "arm
ache" (mal di braccio) e "leg
ache" (mal di gamba).
2)
"pain": questo vale sia
per il dolore fisico che per quello psicologico. Un aggettivo
piuttosto frequente che deriva dal presente sostantivo è "painful"
("doloroso"): "I'm having a
terrible pain in my eye" ("Ho un dolore
terribile all'occhio")/ "Eurydice's
definitive loss was painful for Orpheus". ("La
definitiva perdita di Euridice fu dolorosa per Orfeo").
3)
"grief":
Decisamente meno utilizzato rispetto agli altri due, indica nello
specifico soltanto il dolore che si prova quando qualcuno se ne va
per sempre. "My grandfather passed away
six years ago. He was very ill, too ill. My grief was so strong that
for almost one year I couldn't help thinking about him without
crying".
4)
"sorrow": Questo
termine, oltre che nella letteratura, si trova anche in alcune
canzoni anglo-americane. E' sinonimo di "sadness",
"tristezza". E' il dolore causato da un problema, da una
situazione che rende tristi.
Una
frase idonea a portare un esempio del suo impiego può essere quella
della canzone "Miracle of love": "How
many sorrows do
you try to hide?" ("Quanti dispiaceri/eventi che
ti hanno fatto diventare tristi, più che dolore al plurale, provi a
nascondere?")
Il
titolo di questa poesia è "Infant sorrow", ovvero
"Dolore infantile". Il tormento del bambino appena
nato è causato appunto dall'atto di nascere. In questo contesto
non è soltanto il bambino appena venuto al mondo a soffrire, ma sono
anche i genitori: la madre, a causa delle doglie di un parto
naturale, e il padre, che piange. Però quel "wept",
passato di "weep", è a mio avviso piuttosto
ambiguo. Piange in che senso, quando lo vede nascere? Non si piange
soltanto perché si è tristi, ma a volte anche per sollievo o per
gioia. Quindi, o questo neo-padre sta piangendo per un senso di
sollievo (il bambino è totalmente uscito dal grembo materno, il
travaglio del parto per la moglie è concluso), o per la gioia di una
nuova vita (non è assurdo, ma all'interno di questo contesto lo
trovo improbabile) oppure, cosa abbastanza possibile anche se
propendo più per la mia prima ipotesi, perché assiste ad un evento
che inevitabilmente fa soffrire la donna che ama compromettendone la
vita (due secoli fa almeno era così: molte nascite erano motivo di
pianti e di disperazioni per la morte della donna). In questo
componimento la nascita, ovvero la "childbirth", è
un momento di sofferenza umana, per tutti e tre i personaggi
coinvolti.
Notate
bene, almeno nella traduzione, che il neonato appare sia come
creatura debole ("naked", "helpless"), ma
anche come essere dotato di alcune caratteristiche di "forza":
"piping loud", cioè il "gridare forte".
Mi
dicono dalla regia che quando sono uscita dall'utero ho subito voluto
far capire a medici e ostetrica che i miei polmoni e le mie corde
vocali funzionavano perfettamente, perché ho urlato un sacco,
proprio come William Blake. Però, non potevo stare con mia mamma:
pur non essendo prematura, ero decisamente più piccola e più magra
di quello che ci si aspettava, e quindi per qualche giorno sono stata
nella stanza delle culle termiche.
E
a proposito di temperatura, mi hanno sempre detto che il 26 settembre
del '95 era stata una giornata calda, con sole e punte di 30° gradi,
roba ancora da lungomare insomma. Due notti dopo la mia nascita,
c'era stato un forte temporale. Scherzetti di settembre, di fine
estate: le temperature calde ci sono ancora, ma non durature come
quelle di luglio-agosto.
E'
molto forte la similitudine : "come un diavolo nascosto in
una nuvola". Penso che indichi lo spaesamento del bambino
appena venuto alla luce, in un mondo enorme, pieno di pericoli e di
insidie, in un mondo che sarà sempre e comunque troppo grande per
lui, impossibile da conoscere interamente. E il petto della madre
sembra il luogo più sicuro in cui stare.
Io
è da anni che mi faccio una domanda piuttosto delicata: se sei madre
è automatico e spontaneo amare i tuoi figli? Più cresco più mi
rendo conto che non sempre è un sentimento viscerale e "secondo
le leggi della natura". Pensate alla situazione di Antoine
Doinel nel film di Truffault, ad esempio. Ci sono certe st**z*e che
non hanno e non avranno mai idea di cosa significa essere madri e
crescere dei figli, crescerli non soltanto nel senso di dar loro cibo
e un tetto dove abitare. Crescerli nel senso di ascoltarli, dar loro
delle regole, renderli consapevoli dei propri limiti, amarli,
impegnarsi e far del proprio meglio perché diventino delle buone
persone. Non tutte le madri vogliono bene ai loro figli. Non è così
scontato, purtroppo. Se
lo fosse, credo che in questo mondo non esisterebbero freddezza,
insicurezze, immaturità e odio. Cioè, se la cosa fosse
ovvia, si vivrebbe in un mondo certamente migliore. Invece
purtroppo ci sono anche delle madri che se ne fregano altamente della
loro prole.
Come
affermava Pasolini, un grande intellettuale di vera sinistra,
nei suoi "Scritti Corsari" (io lo cito indirettamente,
secondo quello che ho assimilato per l'esame di Letteratura Italiana
3): "Il coito, che può comportare il
concepimento, deve implicare un senso di responsabilità, perché abortire
significa uccidere".
Il
contenuto di questo breve poemetto mi ha richiamato alla mente la
terza strofa del "Canto notturno di un pastore errante
dell'Asia" di Leopardi. Praticamente, in questo componimento
il narratore è, in prima persona, il pastore che, dopo una giornata
di duro lavoro, la notte, davanti alle stelle e ad una luna che gli
appare indifferente di fronte alle sofferenze umane, esprime il suo
lamento.
TERZA
STROFA, "CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL'ASIA"
(vv
39-60):
"Nasce
l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
E' lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale."
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
E' lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale."
Anche
Leopardi ammette che la nascita di ogni individuo avviene mediante un
travaglio. E' un trauma, la nascita: da un piccolo mondo interno in
cui si era protetti si passa a un mondo esterno. La natura ha
un'enorme pretesa verso i bambini, della serie: "Bene,
per nove mesi sei stato al sicuro e in stretta simbiosi con un
genitore e ora esci, staccati e respira da solo".
Qui
però, Leopardi, al contrario del poeta inglese, mette l'accento
sull'importanza del ruolo genitoriale: coccolare, sostenere,
consolare per alleggerire l'iniziale ed enorme peso dell'esistenza.
La vita non è soltanto dolore, ci
tengo a precisarlo ora: il nostro poeta vuol dire anche che madre e
padre hanno il compito di valorizzare tutto ciò che di bello e di
positivo esiste nella vita del loro figlio e di farglielo notare, di
far diventare visibile "un essenziale che ci fa vivere".
Negli
ultimi versi della strofa però, Leopardi cambia tono: perché si
ritrova influenzato dalla sua esperienza di vita personale: madre
anaffettiva, padre rigidissimo, spendaccione e probabilmente anche
fedifrago. Varie esperienze al di fuori di Recanati, ma nessuna
realmente gratificante, nessuno che abbia saputo valorizzarlo per il
gran genio che era.
La
luna è un elemento della natura che appare cieca e sorda di fronte
alla miseria del mondo. Leopardi la definisce addirittura "intatta",
vergine, quindi assolutamente ignara.
Non
è più la "graziosa luna" dell'idillio "Alla luna",
capace di accogliere la sua tristezza e di ascoltarlo.
Concludo
con un altro componimento di Blake, sempre relativo alla nascita, ma
di tutt'altro tono:
"
'I have no name:
I am but two days old.’
What shall I call thee?
‘I happy am,
Joy is my name.’
Sweet joy befall !
Pretty joy!
Sweet joy, but two days old.
Sweet joy I call thee:
Thou smile,
I sing the while,
Sweet joy befall thee!"
I am but two days old.’
What shall I call thee?
‘I happy am,
Joy is my name.’
Sweet joy befall !
Pretty joy!
Sweet joy, but two days old.
Sweet joy I call thee:
Thou smile,
I sing the while,
Sweet joy befall thee!"
“Non ho alcun nome:
ho solo due giorni.”
Come vuoi che ti chiami?
“Io sono felice,
Gioia è il mio nome.”
Dolce gioia ti tocchi!
Cara gioia!
Dolce gioia, ma di soli due giorni,
dolce gioia ti chiamo:
tu sorridi,
io canto ancora
dolce gioia ti tocchi."
Notate bene che, mentre la precedente poesia di Blake era piena di verbi al passato, questa potrebbe tranquillamente essere messa in musica, perché dotata di diverse ripetizioni di suoni e di parole: notate ad esempio l'anafora di "sweet joy" ai versi 8 e 9, "befall" alla fine sia della prima che della seconda strofa.
Questo testo contiene delle forme arcaiche: "thee" per "te", "thou" per "tu" e "dost" per "do", famigerato ausiliare frequentissimo, oggetto di parecchie verifiche di grammatica a scuola. Ma d'altra parte, non essere in grado di formare domande in inglese con "do" equivale più o meno a non saper utilizzare il presente indicativo italiano.
Si è evoluta di un bel po' anche la lingua inglese e, secondo me in meglio, perché si è semplificata. L'inglese del Trecento (brutto, ridondante e infatti è per questo che ho odiato Jeoffrey Chaucher ) è ben diverso da quello del Cinquecento e l'inglese del Settecento, per certi aspetti, è un po' lontano dall'inglese contemporaneo. Me ne sono resa conto quando preparavo il mio primo esame di linguistica.
Allora, differenza sostanziale rispetto all'altra poesia: qui non è narrato o ricordato il momento della nascita, qui il bambino ha già due giorni ed è gioioso, affamato di vita.
E' un componimento dal carattere arioso, è un dialogo tra il bambino piccolo e il poeta che condivide la sua gioia di esistere.
Puntualizzando sul fatto che è impossibile che un bambino così piccolo parli, è utile spiegare che non si tratta di una creatura precocemente sviluppata che il poeta ha incontrato nella vita reale. Blake vive proprio nel periodo in cui nasce il movimento culturale del Romanticismo, diffusosi dapprima in Europa settentrionale, ovvero, in Inghilterra e in Germania. I poeti e gli artisti romantici odiavano le convenzioni sociali e amavano, oltre che la libertà dell'arte creativa, l'anticonformismo nei comportamenti, la trasgressione delle norme sociali , avvertite come pesanti e opprimenti.
E' probabile quindi che questo bambino, chiamato "gioia", sia felice perché libero e ancora incosciente delle convenzioni e delle strutture sociali.
"Dolce gioia ti tocchi" è un augurio stupendo. D'altra parte, soltanto coloro che veramente ci amano possono augurarci una vita serena, costellata di gioie e di soddisfazioni.