Pare che
la concezione della donna in Etruria traspaia in particolar modo dalle fonti
pittoriche.
Tuttavia,
prima di esporvi le testimonianze archeologiche di cui abbiamo notizie,
preferirei scrivere un excursus storico-linguistico di carattere introduttivo.
Questo per
poter stimolare un po’ del vostro interesse verso una civiltà che per certi
versi affascinante ma poco conosciuta.
Gli Etruschi sono vissuti nel primo millennio
a.C. (in un periodo compreso tra VIII° e I° secolo a.C.) in una zona
piuttosto vasta dell’Italia Centrale, che comprendeva tutta la Toscana,
l’Umbria Occidentale e il Lazio Settentrionale.
I Romani chiamavano la
regione degli Etruschi con due nomi: Etruria e Tuscia, da cui appunto è
derivata l’attuale denominazione di “Toscana”.
I Greci invece li
chiamavano Tirreni, dal momento che le loro terre si affacciavano sull’omonimo
mare.
Vi sono due date
storiche importanti da ricordare nella storia del popolo Etrusco: la prima, che
è il 360 a.C., in cui la città di Veio è stata sconfitta
dall’esercito romano e il 281 a.C., anno in cui è avvenuta la totale
sottomissione dell’Etruria a Roma.
Villar,
nella sua corposa opera Gli indoeuropei e le origini dell’Europa, espone
due supposizioni che riguardano le loro origini: la prima, relativa al loro
carattere autoctono (originari e da sempre residenti nella penisola italica) e
la seconda, relativa a una loro possibile origine dalla Lidia, regione
asiatica.
Quest’ultima ipotesi si
trova anche nelle Storie di Erodoto.
Buona parte dei
glottologi ritengono che l’etrusco sia una lingua non appartenente alla
famiglia indoeuropea, ma ad uno strato pre-indoeuropeo.
Però come si fa ad
esserne certi, se in realtà la lingua etrusca non è mai stata decifrata?
Nel 1964 sono state
trovate tre lamine d’oro di attestazione bilingue, dal momento che gli studiosi
hanno riconosciuto, accanto alla lingua etrusca, la corrispondente traduzione in
punico, lingua parlata degli antichi Cartaginesi.
Il punico appare un
idioma pressoché intraducibile, identificato soltanto grazie a delle
testimonianze scritte di Plauto, commediografo della latinità arcaica che
riporta nel Poenulus alcuni versi in questa lingua. Probabilmente le
lamine contengono delle formule.
Alcuni glottologi
tuttavia, si azzardano a pensare che l’etrusco possa essere una forma
dell’hittita, la lingua che per prima (in effetti, nel III° millennio a.C.) si
è separata dall’indoeuropeo comune.
Ad ogni modo, finché non
si riescono a tradurre delle frasi, non potremmo mai avere la prova scientifica
che potrebbe sostenere una parentela fra etrusco e qualche lingua indoeuropea,
perché bisognerebbe conoscere almeno parte del lessico e la sua struttura
grammaticale.
Della struttura
grammaticale non conosciamo niente, mentre invece, a proposito del lessico,
Villar ci informa che si è riusciti a tradurre una sola parola, che
corrisponderebbe al numero “tre” in italiano. Si tratta della sillaba “ci”.
Ecco a voi dei confronti linguistici (esempio già fatto nel post del 4/01/2018):
Indoeuropeo: *treyes
Antico indiano: trayas
Greco antico: τρεῖς
Latino: tres
Italiano: tre
Etrusco: ci
Io, ve lo dico, propendo
di più per l’ipotesi pre-indoeuropea anche per il fatto che, come vedremo tra
pochissimo, l’Etruria per un certo periodo era probabilmente una società
fondata sul matriarcato, proprio come i popoli preistorici prima della presunta
invasione degli indoeuropei.
Presso gli Etruschi, fino a un certo periodo, le
donne godevano di molti più diritti che non presso i Greci o i Romani.
Grazie a
degli affreschi tombali trovati a Tarquinia risalenti al VI° secolo a.C. si è
scoperto che la donna partecipava al simposio: le immagini più ricorrenti
infatti raffigurano la coppia coniugale semidistesa su una klìne, spesso sullo
stesso lettino.
tomba dei Leopardi |
Agli eventi dei
banchetti, tuttavia, non mancavano nemmeno delle musiciste e delle danzatrici,
ben visibili in alcune scene.
All’inizio
del VI° secolo a.C. inoltre, nelle raffigurazioni che riguardano le partenze
degli eroi sui carri o dei combattenti, compaiono anche delle figure di donne,
spesso nei panni delle mogli dei guerrieri.
Per quel
che riguarda la pittura dunque, la presenza femminile è vista soprattutto nel
ruolo coniugale di moglie del dominus.
Il tema dei coniugi compare anche nelle
testimonianze scultoree a noi pervenute.
Un esempio di ciò è
sicuramente il Sarcofago degli sposi, statua in terracotta situata al di
sopra del coperchio di un sarcofago che dovrebbe contenere le ceneri di un
defunto.
Questi coniugi, forse
partecipanti ad un banchetto reale, sono in posizione semisdraiata.
Mentre le loro braccia e i loro volti sono stati resi in modo realistico, le parti inferiori invece sembrano piuttosto appiattite.
Mentre le loro braccia e i loro volti sono stati resi in modo realistico, le parti inferiori invece sembrano piuttosto appiattite.
Tuttavia, ci accorgiamo
che nel V° secolo a.C. la concezione del ruolo della donna sembra cambiare.
Almeno da quello che possono comunicare e significare le pitture.
In questo periodo
infatti, nelle scene di simposio compaiono solo ed esclusivamente personaggi
maschili.
Alle donne è riservata
soltanto un’occasione di raffigurazione: il compianto funebre, in cui, da
morte, vengono piante dalle persone amate.
Credo sia interessante
segnalare un’ulteriore testimonianza artistica, risalente alla metà del V°
secolo a.C.: la Tomba dei demoni azzurri.
Questo affresco,
rinvenuto in una delle tombe di Tarquinia, rappresenta il viaggio di una donna
defunta verso l’oltretomba.
La barca di Caronte la
conduce in un ambiente in cui dei grandi demoni la deridono.
Al di là delle pitture e
di qualche scultura, non sappiamo dire altro a proposito per esempio della
letteratura e delle leggi etrusche.
Dobbiamo limitarci ad
osservare le testimonianze artistiche.