...A quei giovani del nostro secolo che, da nobili cavalieri nell'animo, giorno per giorno donano all'umanità la loro notevole sensibilità...
L'UNIFORME CRISTIANO E IL MULTIFORME PAGANO:
Sergio Zatti è, almeno a mio avviso, il critico letterario più intelligente della
Gerusalemme Liberata di Tasso, dal momento che ha messo bene in risalto il
motivo del molteplice, evidente in più punti dell'opera.
Questo poema storico-religioso si ispira al vero evento storico della prima crociata (1096-1099).
Come anche attesta Guglielmo Tirio nelle sue Historiae, in seguito alla battaglia del 13 luglio 1099, l'esercito crociato guidato da Goffredo di Buglione riesce a conquistare la Città Santa strappandola al dominio dei musulmani.
Il poema è però dotato anche di elementi fantastici e soprannaturali (magia, sortilegi, furie infernali, angeli che appaiono in sogno, la nave volante guidata dalla Fortuna...).
La poesia narrativa non coincide mai del tutto con la verità storica. Lo storico indaga le fonti. Il poeta affascina i lettori, mescolando l'utile al dilettevole.
Secondo gli studi di Zatti, perché i cristiani, seppur in numero nettamente minore, prevalgono sulle forze saracene?
Zatti sostiene che, mentre i cavalieri cristiani combattono tutti quanti per raggiungere gli stessi fini, ovvero, la liberazione della Città Santa e l'adorazione del Santo Sepolcro di Cristo, i musulmani invece perdono in quanto si prefiggono scopi diversi: Argante, giovane crudele, contrasta i crociati per il conseguimento della gloria e della fama personale, Aladino, re d'età matura e personaggio malinconico, cerca di lottare per la difesa del regno, Solimano invece, combatte per vendicare i musulmani uccisi dai cristiani e dunque per difendere la propria fede.
Qui dunque troviamo idee molteplici e diverse che precludono all'unità di intenti.
Ma, dall'altro lato della medaglia, l'esercito cristiano rimane del tutto immune dai contrasti?
No, affatto.
I versi 7-8 della prima strofa del primo canto dicono, in riferimento a Buglione: "e sotto i santi segni/ricondusse i suoi compagni erranti".
Erranti nel senso di "soggetti ad errori, fragilità e debolezze", dal momento che ci sono delle tendenze dispersive e centrifughe da parte loro.
L'autorevolezza del pio Buglione, dotato di un sentimento intimamente religioso, è minata da elementi ribelli, riottosi e aggressivi: uno di questi è proprio Rinaldo che, nel canto V°, preso da un impeto d'ira, uccide Gernando. Poi però, per non subire punizioni, si allontana dal padiglione crociato... Dopo il suo allontanamento cade vittima delle seduzioni di Armida, che lo porta su un'isola incantata. Parlando secondo il lessico dantesco, Rinaldo si macchia di due colpe, di due vizi: ira e lussuria.
Anche Argillano provoca seri problemi a Buglione.
Al canto VIII°, Rinaldo viene creduto morto.
In seguito a questo evento, Argillano sogna il cadavere decapitato di Rinaldo che non solo gli riferisce di essere stato vittima di un complotto ordito da Goffredo, ma lo convince anche dell'esistenza di un piano nascosto del Buglione stesso che, a suo dire, sarebbe finalizzato a privilegiare i soldati Franchi a scapito degli italiani. Svegliatosi, Argillano incita il contingente crociato italiano a ribellarsi a Goffredo. Ma è ingiusto, perché il suo sogno è un sogno diabolico.
Goffredo di Buglione è il "miles Christi" più equilibrato e più saggio all'interno dell'opera; è colui che deve farsi garante dell'unità del proprio esercito. Tuttavia, nel corso dell'impresa che è chiamato a dirigere, deve far fronte a molte difficoltà.
Contrasti e spinte dispersive possono esserci anche in un gruppo di giovani operativi in ambito del volontariato parrocchiale. Degli animatori adolescenti dovrebbero tutti quanti riunirsi e impegnarsi per due unici obiettivi:
1) Prendersi cura dei ragazzini, assetati di senso e alla ricerca di bellezza.
2) Poter crescere insieme, dal punto di vista umano e cristiano.
I diverbi e le divisioni emergono a causa della grande diversità dei caratteri.
Le discussioni accese sorgono quando delle personalità molto eterogenee sono chiamate a confrontarsi, a "cozzare" tra loro e a chiedersi: vogliamo collaborare e superare, da persone mature quali dovremmo essere, certe nostre incompatibilità, oppure costruiamo intorno a noi degli invalicabili muri di pietra che non fanno altro che farci sentire male?
Sono inevitabili gli ostacoli in questa bellissima impresa educativa.
Però, i litigi e i contrasti momentanei non devono, non dovrebbero e non dovranno mai essere causa di invidie, di doppie facce, di prese in giro.
E' l'aggressività verbale che genera malessere e... disunione.
Per di più, se degli animatori sono discordi, un ragazzino di 15/16 anni se ne accorge facilmente.
Faccio menzione di episodi in cui all'interno del poema traspare la multiformità pagana:
A) Nella prima parte del canto quarto, Satana raduna le creature infernali a lui asservite per un concilio, finalizzato ad ostacolare l'impresa dei cristiani.
Partecipano alla riunione indetta dal Demonio chimere, arpie, furie, centauri, scille, sfingi...
Mentre queste creature mostruose si radunano, la terra trema!
Canto IV°, ottave 3-5:
3
Chiama gli abitator de l'ombre eterne
il rauco suon de la tartarea tromba.
Treman le spaziose atre caverne,
e l'aer cieco a quel romor rimbomba;
né sí stridendo mai da le superne
regioni del cielo il folgor piomba,
né sí scossa giamai trema la terra
quando i vapori in sen gravida serra.
4
Tosto gli dèi d'Abisso in varie torme
concorron d'ogn'intorno a l'alte porte.
Oh come strane, oh come orribil forme!
quant'è ne gli occhi lor terrore e morte!
Stampano alcuni il suol di ferine orme,
e 'n fronte umana han chiome d'angui attorte,
e lor s'aggira dietro immensa coda
che quasi sferza si ripiega e snoda.
5
Qui mille immonde Arpie vedresti e mille
Centauri e Sfingi e pallide Gorgoni,
molte e molte latrar voraci Scille,
e fischiar Idre e sibilar Pitoni,
e vomitar Chimere atre faville,
e Polifemi orrendi e Gerioni;
e in novi mostri, e non piú intesi o visti,
diversi aspetti in un confusi e misti.
Non posso fare a meno di scrivere un paio di osservazioni su questa piccola parte di poema:
- il verso
"quant'è ne gli occhi lor terrore e morte!" contiene echi piuttosto chiari dell'inizio del primo canto dell'
Inferno dantesco, dove cioè compare l'inquietante ambiente della selva agli occhi del Dante personaggio: "ahi, quanto a dir qual'era è cosa dura/ esta selva selvaggia aspra e forte/ che nel pensier rinova la paura! Tanto è amara che poco è più morte".
-L'ottava cinque, punto esatto in cui vengono specificate le varie nature dei mostri infernali, è una delle più onomatopeiche non soltanto del canto IV° ma addirittura di tutto il poema di Torquato (latrar, fischiar, sibilar).
B) Aletto è la furia infernale che assume molti aspetti: assume le sembianze di un vecchio consigliere di Solimano per incitarlo a muoversi contro i crociati (canto decimo), assume i tratti di un messaggero che si reca a Gerusalemme per dare notizia di un attacco militare (canto decimo), assume l'aspetto orribile del cadavere di Rinaldo nel sogno di Argillano (canto ottavo).
Canto VIII°, ottave 59-62:
59
Al fin questi (Argillano) su l'alba i lumi chiuse;
né già fu sonno il suo queto e soave,
ma fu stupor ch'Aletto al cor gl'infuse,
non men che morte sia profondo e grave.
Sono le interne sue virtú deluse
e riposo dormendo anco non have,
ché la furia crudel gli s'appresenta
sotto orribili larve e lo sgomenta.
60
Gli figura un gran busto, ond'è diviso
il capo e de la destra il braccio è mozzo,
e sostien con la manca il teschio inciso,
di sangue e di pallor livido e sozzo.
Spira e parla spirando il morto viso,
e 'l parlar vien co 'l sangue e co 'l singhiozzo:
"Fuggi, Argillan; non vedi omai la luce?
Fuggi le tende infami e l'empio duce.
61
Chi dal fero Goffredo e da la frode
ch'uccise me, voi, cari amici, affida?
D'astio dentro il fellon tutto si rode,
e pensa sol come voi meco uccida.
Pur, se cotesta mano a nobil lode
aspira, e in sua virtú tanto si fida,
non fuggir, no; plachi il tiranno essangue
lo spirto mio co 'l suo maligno sangue.
62
Io sarò teco, ombra di ferro e d'ira
ministra, e t'armerò la destra e 'l seno."
Cosí gli parla, e nel parlar gli spira
spirito novo di furor ripieno.
Si rompe il sonno, e sbigottito ei gira
gli occhi gonfi di rabbia e di veneno;
ed armato ch'egli è, con importuna
fretta i guerrier d'Italia insieme aduna.
C) La selva di Saroon subisce il terribile incantesimo del mago Ismeno. Ogni cavaliere cristiano fugge da questo luogo di fantasmi, di voci languenti e addolorate, di molte e diverse visioni inquietanti.
Alcasto fugge subito dopo aver visto delle fiamme che formano una cittadina abitata da molti diavoli (cfr. la città di Dite nell'Inferno di Dante).
Tancredi fugge sentendo il lamento di Clorinda proveniente da una pianta.
La selva rispecchia tutti i dolori più profondi e le paure più profonde di ogni cavaliere crociato.
In questo punto mi sto riferendo ai contenuti generali del canto tredicesimo.
Canto XIII°, ottave 41-43
41
Pur tragge (Tancredi) al fin la spada, e con gran forza
percote l'alta pianta. Oh meraviglia!
manda fuor sangue la recisa scorza,
e fa la terra intorno a sé vermiglia.
Tutto si raccapriccia, e pur rinforza
il colpo e 'l fin vederne ei si consiglia.
Allor, quasi di tomba, uscir ne sente
un indistinto gemito dolente,
42
che poi distinto in voci: "Ahi!
troppo" disse
"m'hai tu, Tancredi, offeso; or tanto basti.
Tu dal corpo che meco e per me visse,
felice albergo già, mi discacciasti:
perché il misero tronco, a cui m'affisse
il mio duro destino, anco mi guasti?
Dopo la morte gli aversari tuoi,
crudel, ne' lor sepolcri offender vuoi?
43
Clorinda fui, né sol qui spirto umano
albergo in questa pianta rozza e dura,
ma ciascun altro ancor, franco o pagano,
che lassi i membri a piè de l'alte mura,
astretto è qui da novo incanto e strano,
non so s'io dica in corpo o in sepoltura.
Son di sensi animati i rami e i tronchi,
e micidial sei tu, se legno tronchi."
D) I popoli musulmani hanno tradizioni, credenze e lingue profondamente diverse l'una dall'altra. Questo lo si evince nella prima parte del canto quindicesimo, quando Carlo e Ubaldo, i due cavalieri incaricati di liberare Rinaldo dagli "incantamenti" di Armida, osservano a bordo della nave della Fortuna le terre islamiche, tra le quali anche le rovine di Cartagine. Le "ruine", dette alla maniera di Tasso, sono il simbolo della caducità di una parte di umanità presuntuosa che è sempre stata particolarmente eterogenea.
Canto XV°, ottava 20:
20
Giace l'alta Cartago: a pena i segni
de l'alte sue ruine il lido serba.
Muoiono le città, muoiono i regni,
copre i fasti e le pompe arena ed erba,
e l'uom d'esser mortal par che si sdegni:
oh nostra mente cupida e superba!
Giungon quinci a Biserta, e piú lontano
han l'isola de' Sardi a l'altra mano.
E) Molteplici forme della natura nel giardino di Armida, al canto sedicesimo. In quest'isola infatti, vi sono valli e colline, fiori e frutti, monti e corsi d'acqua... E' un molteplice decisamente seducente.
Canto XVI°, ottava 9:
9
Poi che lasciàr gli aviluppati calli,
in lieto aspetto il bel giardin s'aperse:
acque stagnanti, mobili cristalli,
fior vari e varie piante, erbe diverse,
apriche collinette, ombrose valli,
selve e spelonche in una vista offerse;
e quel che 'l bello e 'l caro accresce a l'opre,
l'arte, che tutto fa, nulla si scopre.
F) Al canto diciassettesimo, è ben chiara
la multiformità delle truppe di Emireno, comandante egiziano che si sta mettendo in viaggio per Gerusalemme con molteplici rinforzi militari di popoli che, se provassero a comunicare tra loro, non si capirebbero per l'estrema varietà delle loro lingue.
Canto XVII°, ottave 15-24:
15
Nel primiero squadron appar la gente
ch'abitò d'Alessandria il ricco piano,
ch'abitò il lido vòlto a l'occidente
ch'esser comincia omai lido africano.
Araspe è il duce lor, duce potente
d'ingegno piú che di vigor di mano:
ei di furtivi aguati è mastro egregio,
e d'ogn'arte moresca in guerra ha il pregio.
16
Secondan quei che posti invèr l'aurora
ne la costa asiatica albergaro,
e li guida Arontèo cui nulla onora
pregio o virtú, ma i titoli il fan chiaro.
Non sudò il molle sotto l'elmo ancora,
né matutine trombe anco il destaro,
ma da gli agi e da l'ombra a dura vita
intempestiva ambizion l'invita.
17
Quella che terza è poi, squadra non pare
ma un'oste immensa, e campi e lidi tiene;
non crederai ch'Egitto mieta ed are
per tanti, e pur da una città sua viene:
città, ch'a le provincie emula e pare,
mille cittadinanze in sé contiene.
Del Cairo i' parlo; indi il gran vulgo adduce,
vulgo a l'arme restio, Campsone il duce.
18
Vengon sotto Gazèl quei che le biade
segaron nel vicin campo fecondo,
e piú suso insin là dove ricade
il fiume al precipizio suo secondo.
La turba egizia avea sol archi e spade,
né sosterria d'elmo o corazza il pondo:
d'abito è ricca, onde altrui vien che porte
desio di preda e non timor di morte.
19
Poi la plebe di Barca, e nuda, e inerme
quasi, sotto Alarcon passar si vede,
che la vita famelica ne l'erme
piaggie gran tempo sostentò di prede.
Con istuol manco reo ma inetto a ferme
battaglie, di Zumara il re succede;
quel di Tripoli poscia: e l'uno e l'altro
nel pugnar volteggiando è dotto e scaltro.
20
Diretro ad essi apparvero i cultori
de l'Arabia Petrea, de la Felice,
che 'l soverchio del gelo e de gli ardori
non sente mai, se 'l ver la fama dice;
ove nascon gl'incensi e gli altri odori,
ove rinasce l'immortal fenice,
ch'in quella ricca fabrica ch'aduna
a l'essequie, a i natali, ha tomba e cuna.
21
L'abito di costoro è meno adorno,
ma l'armi a quei d'Egitto han simiglianti.
Ecco altri Arabi poi, che di soggiorno
certo non sono stabili abitanti:
peregrini perpetui usano intorno
trarne gli alberghi e le cittadi erranti.
Han questi voce e femminil statura,
crin lungo e negro, e negra faccia e scura.
22
E gran canne indiane arman di corte
punte di ferro, e 'n su destrier correnti
diresti ben che un turbine lor porte,
se pur han turbo sí veloce i venti.
Da Siface le prime erano scòrte,
Aldino in guardia ha le seconde genti,
le terze guida Albiazàr ch'è fiero
omicida ladron, non cavaliero.
23
La turba è appresso che lasciate avea
l'isole cinte da l'arabiche onde,
da cui pescando già raccòr solea
conche di perle gravide e feconde.
Sono i Negri con lor su l'eritrea
marina posti a le sinistre sponde.
Quegli Agricalte e questi Osmida regge,
che schernisce ogni fede ed ogni legge.
24
Gli Etiòpi di Mèroe indi seguiro:
Mèroe, che quindi il Nilo isola face
ed Astrabora quinci, il cui gran giro
è di tre regni e di due fé capace.
Li conducea Canario ed Assimiro,
re l'uno e l'altro e di Macon seguace
e tributario al Califé; ma tenne
santa credenza il terzo e qui non venne.
G) Gli eserciti pagani sono proprio un "popol misto": poco prima della battaglia finale, al canto ventesimo, mentre Goffredo, con i suoi soldati, riesce ad essere chiaro, incisivo e coinvolgente (il suo discorso ha un largo debito con i
Pharsalia di Lucano, poeta latino), Emireno non ci riesce: si avvale infatti di numerosi interpreti, corre fra tutte le parti dello schieramento e mescola lodi e rimproveri, esortazioni alla battaglia e ricompense.
Canto XX°, ottave 24-27:
24
Cosí Emiren gli schiera, e corre anch'esso
per le parti di mezzo e per gli estremi:
per interpreti or parla, or per se stesso,
mesce lodi e rampogne e pene e premi.
Talor dice ad alcun: "Perché dimesso
mostri, soldato, il volto? e di che temi?
che pote un contra cento? io mi confido
sol con l'ombra fugarli e sol co 'l grido."
25
Ad altri: "O valoroso, or via con
questa
faccia a ritòr la preda a noi rapita."
L'imagine ad alcuno in mente desta,
glie la figura quasi e glie l'addita,
de la pregante patria e de la mesta
supplice famigliuola sbigottita.
"Credi" dicea "che la tua patria spieghi
per la mia lingua in tai parole i preghi:
26
`Guarda tu le mie leggi e i sacri tèmpi
fa' ch'io del sangue mio non bagni e lavi;
assecura le vergini da gli empi,
e i sepolcri e le ceneri de gli avi.'
A te, piangendo i lor passati tempi,
mostran la bianca chioma i vecchi gravi,
a te la moglie le mammelle e 'l petto,
le cune e i figli e 'l marital suo letto."
27
A molti poi dicea: "L'Asia campioni
vi fa de l'onor suo; da voi s'aspetta
contra que' pochi barbari ladroni
acerba, ma giustissima vendetta.
Cosí con arti varie, in vari suoni
le varie genti a la battaglia alletta.
Ma già tacciono i duci, e le vicine
schiere non parte omai largo confine. (...)
Invece, nel Furioso dell'Ariosto la molteplicità non assume un valore negativo o di svantaggio, dal momento che è frutto della fantasia dell'autore.
Oltre a ciò, non c'è una contrapposizione ideologico-militare fra pagani e cristiani. Basti pensare soltanto al fatto che Ferraù e Ruggiero salgono sullo stesso cavallo per inseguire Angelica. Anche se la loro fede religiosa è diversa.
Tuttavia, ci tengo a precisare che l'opera di Tasso non mira a condannare i musulmani in quanto "individui di altra religione" ma piuttosto, in quanto genti dagli scopi diversi e discordi e in quanto popoli sostenuti dalle forze del male.
In questo poema, quello che è bello rilevare è infatti la lotta tra bene e male, tra una unità di intenti e una molteplicità che o seduce troppo, o incita alla violenza e all'aggressività, o spaventa, o rende individualisti, o crea fraintendimenti.
MOLTEPLICITA' E CONFUSIONE POSSONO COINCIDERE?
E' da qualche tempo che mi chiedo sinceramente: il confine fra molteplicità e confusione è sempre così netto?
Stranamente, mi sta stimolando in questa riflessione la fisica, una disciplina con la quale, quando frequentavo il liceo, non sono riuscita ad andare molto d'accordo!
Per esporre questo singolare collegamento, innanzitutto devo fare un richiamo alla parte finale della Liberata, proprio al canto ventesimo, nel quale, oltre ad essere effettivamente presenti particolari cruenti e macabri (cfr. gli Annales di Ennio, autore della latinità arcaica), spicca la confusione presso il campo di battaglia: i diversi eserciti sono costituiti da migliaia di combattenti che si scontrano e inevitabilmente si mescolano gli uni con gli altri confondendosi (latino: "cum +fundo") all'interno del campo.
In questo scontro decisivo fra crociati e musulmani gli ideali, i fini, le religioni, gli stati d'animo e le azioni dei singoli si mescolano, si affrontano e si confondono in un dramma fatto di sangue, morte e violenza.
Tutto ciò mi ha fatto pensare all'entropia.
"Entropia" deriva dal sostantivo greco ἐντροπή (=entropè), che come primo significato porta il senso della "confusione" Come seconda possibilità di traduzione invece, viene riportato il sintagma "trasformazione interna".
Nella meccanica quantistica, l'entropia è la misura del grado di disordine all'interno di un sistema fisico. L'aumento del disordine implica naturalmente un aumento di entropia.
Penso ad un sistema fisico vastissimo, come l'Universo.
E' risaputo che la teoria del Big Bang è ritenuta la più attendibile per spiegare la nascita dell'Universo, ambiente che, a mio avviso, potrebbe essere considerato l'emblema della molteplicità, dal momento che include diversi corpi (asteroidi, comete, miliardi di stelle di diverse età e dimensioni, pianeti con anelli e/o satelliti) e diversi elementi chimici. A dire il vero, idrogeno ed elio lo compongono per circa il 98%, ma sono presenti, seppur in percentuali molto ridotte, anche ossigeno, silicio, carbonio, ferro, neon, magnesio, azoto e zolfo.
In termodinamica (occhio, queste sono lettere greche traslitterate in italiano: θερμός (termòs= calore) + δύναμις (dìnamis=potenza)) invece, l'entropia è strettamente legata ai passaggi di calore e alle variazioni di temperatura di due corpi che vengono a contatto in uno stesso sistema fisico.
Se si portano a contatto due corpi di temperature diverse, il calore fluisce dal corpo più caldo al corpo più freddo. Credo che il contrario succeda molto raramente.
Uno dei pochi argomenti che ricordo ancora è il secondo principio della termodinamica, relativo all'irreversibilità dei processi naturali che avvengono spontaneamente. In effetti, l'enunciato di Clausius afferma che è impossibile che il calore fluisca dal corpo più freddo a quello più caldo senza che contemporaneamente avvengano cambiamenti nell'ambiente in cui i due corpi si trovano.
A proposito di entropia e di situazioni fisiche "entropiche", mi vengono in mente alcuni esempi che forse calzano:
1) Una situazione di entropia avviene quando, all'interno di uno stesso ambiente, le molecole di due gas diversi si mescolano. Se invece i due gas si trovano in uno stesso ambiente ma separati e isolati l'uno dall'altro, per esempio da una valvola, il livello di entropia è decisamente minore.
2) In inverno aumenta la quantità di neve ad alta quota. In alcuni punti dei sentieri di montagna però, succede di vedere, al posto della neve, dei torrentini d'acqua gelata che scorrono tra le zone più sassose o tra massi di rocce (non è esclusa però la possibilità che queste piccole cascate possano ghiacciarsi). Partendo dal presupposto che l'acqua, essendo un fluido, ha più entropia del ghiaccio, il suo scorrimento comporta l'acquisizione dell'energia cinetica e... da quel che mi ricordo, almeno una parte dell'energia cinetica dovrebbe trasformarsi in calore. E' il calore (di un ambiente) che fa sciogliere il ghiaccio in acqua.
3) Sono sicura che l'entropia avvenga anche in un utero materno nel quale si sta formando una nuova vita. Non è necessario pensare al feto che deve soltanto aumentare di peso e di dimensioni o ai primi due mesi, quando cioè si formano gli organi principali e quando si differenziano i tessuti. L'entropia c'è già immediatamente dopo lo zigote, nei primissimi giorni di gravidanza quando le cellule continuano a dividersi in blastomeri. L'incrocio di due corredi cromosomici, in origine aploidi, dà vita a una serie di trasformazioni per formare un nuovo organismo con dei tratti ereditari.
Io ci so fare molto di più con le lingue, le grammatiche e le parole, per cui questo è quel poco che dal punto di vista di una materia scientifica posso imparare.
...A parte il fatto che non dimenticherò mai che, per la maggior parte degli ultimi due anni di liceo (al classico l'approccio a questa materia si inizia in quarta), io nei compiti scritti di fisica prendevo 5- .
Non riuscivo ad applicare nei problemi quello che studiavo e, da interrogata, a volte mi esprimevo con un linguaggio non rigorosamente scientifico. Una mia amica aveva i miei stessi blocchi e le mie stesse difficoltà in questa materia.
Probabilmente io in fisica non avrò mai le capacità scientifico-intellettive per poter andare oltre a nozioni e ad osservazioni di teoria, anche se mi rifiuto di essere totalmente ignorante in quest'ambito, visto che la scienza non è fatta soltanto di applicazioni metodiche di formule ma anche di contatti con la realtà e, qualche rara volta, come in questo caso, anche di richiami alla letteratura.
LA TORRE DI BABELE NELLA BIBBIA:
E' un celebre episodio biblico che gli studiosi del Medioevo e del Rinascimento hanno utilizzato per spiegarsi la varietà delle lingue esistenti nel mondo. Cioè, per loro, Dio avrebbe voluto l'ebraico come lingua unica dell'umanità. Ma la Torre di Babele, simbolo di presunzioni umane, avrebbe generato le incomprensioni verbali e le notevoli diversità tra lingua e lingua.
Come scrivevo lo scorso anno in questo periodo, quando ero intenta a preparare l'esame di glottologia prima di lavorare concretamente sulla tesi, l'ipotesi del XIX° secolo a proposito del proto-indoeuropeo come origine di molte lingue antiche e moderne d'Europa è in assoluto la più accreditata.
Genesi 11, 1-9:
"Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando
dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e
vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni
e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da
cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la
cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su
tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che
gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un
solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro
opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro
impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non
comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di
là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo
la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la
terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra."
Anche in questo caso ci sono le tematiche della molteplicità e della confusione.
Secondo la tradizione, Babele era stata fondata da Nimrod, un leggendario cacciatore.
Nel corso del tempo, la Babilonia era divenuta un impero. I suoi
abitanti avevano deciso di costruire una torre che fosse alta al punto
tale da toccare il cielo. Ma Dio, chiaramente contrario al fatto che questo progetto andasse a buon fine, aveva fatto in modo di far parlare loro lingue talmente diverse da non potersi più comprendere.
E' interessante soffermarsi sull'etimologia del nome di questa città. In lingua accadica, "Babel" significa "porta di Dio". In lingua ebraica invece, "Balal" sta per "confusione". Sono due sfere semantiche completamente differenti, tuttavia avvicinabili. Dio ama le diversità di popoli, perché ama tutta l'umanità! Dicevo in alto che "confusione" proviene dal latino "cum" + "fundo"= "fondersi con".
E a questo punto mi chiedo anche: è sempre negativa la confusione?
Credo di no, se non altro per il fatto che questa parola contiene un significativo stimolo per la nostra stessa esistenza, che mette ciascuno di noi continuamente alla prova sul cercare di mantenere la nostra unicità ma al contempo saperci relazionare con gli altri con bontà e pazienza, senza "confonderci" con loro, senza farci influenzare.
Tempo fa, partecipando ad un incontro di "Lectio" nella città in cui studio, Monsignor Don Ezio Falavegna, docente universitario di Teologia e parroco alla parrocchia del Santi Apostoli (vicino a Castelvecchio) aveva detto che l'episodio di Babele avrebbe dovuto insegnare molto a tutti i dittatori della storia.
Secondo la sua ottica di interpretazione, la torre sarebbe presunzione, arroganza, delirio di onnipotenza, volontà di imporre il pensiero unico per eliminare ogni abbozzo di individualità.
La torre di Babele rispecchia dunque la prepotenza di un popolo dominatore.
L' individualità è una grande risorsa se sa distanziarsi da atteggiamenti di egocentrismo e di individualismo.
Concludo con una mezza poesia: siamo tutti dei piccoli fiori colorati di campo, fragili ma unici nel nostro genere. Il campo è il mondo. Nel corso della nostra fugace esistenza non dobbiamo far altro che fiorire per rendere il nostro pianeta degno di ospitare un'umana umanità.