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23 maggio 2019

Le differenze tra il "Teseida" di Boccaccio e "L'Amadigi" di Bernardo Tasso:

Il cavaliere errante senza innamoramento 
è come arbore spoglio di fronde 
e privo di frutta; è come corpo senz'anima.

(Miguel De Cervantes, "Don Chisciotte")

Sarei noiosa a molti di voi se specificassi la persona a cui è dedicato anche questo post... Quel ragazzo mi capisce meglio di chiunque altro.
Comunque, questo è il sintetico confronto fra un'opera del Trecento con una del Cinquecento.
NOTA IMPORTANTE! =Vi consiglio caldamente di arrivare alla fine del post. Sia per alcune notizie sul mio libro che per una cosa divertente che vi racconto.

A) IL TESEIDA:

E' un poema epico-cavalleresco scritto da Giovanni Boccaccio nel periodo compreso tra la fine del suo soggiorno napoletano e il suo ritorno a Firenze (1337-1340).
Con l'epica latina, e cioè con l'Eneide e con la Tebaide di Stazio, quest'opera condivide: la suddivisione della sua struttura in dodici libri, l'argomento dei giochi funebri e la sfilata degli eroi.
E' un'opera in ottave e i suoi personaggi principali sono: il cavaliere Arcita, la dama Emilia e l'avversario Palemone.
Nonostante vi siano però degli echi classicheggianti, è fondamentale notare che il nucleo centrale della storia rimanda alla cultura della corte medievale.

Eccovi la trama:
Arcita e Palemone si innamorano entrambi della stessa donna, Emilia. I due cavalieri si affrontano a duello e Arcita, pur vincendo il combattimento, viene ferito mortalmente. Poco prima di andarsene però, Arcita lascia a Palemone l'amata Emilia.


TEBAIDE, LIBRO NONO:

7
Costei nel chiaro dì rassicurata
     Non mutò forma, nè cangiò sembiante,

     Ma già nel campo tosto se n’è andata,

     Là dove Arcita correva festante:

     E orribil com’era fu parata
     Al corrente destrier tosto davante,
     Il qual per ispavento in piè levossi,
     Ed indietro cader tutto lasciossi.


                                                    8
Sotto il qual cadde il già contento Arcita,
     E 'l forte arcion li premette 'l petto,

     E sì ruppe, che una fedita

     Tutto pareva il corpo: e l' giovinetto,

     Che fu in forse allora della vita
     Abbandonar da gran dolor costretto:
    per molti, che a lui corsero allora,
     Atato fu senz' alcuna dimora:


                                                  9
I quali a pena lui disvilupparo
     Da’ fieri arcioni, e con fatica assai

     Da dosso il caval lasso gli levaro:

     Il qual com si sentì libero, mai,

     Non parve faticato, tal n’andaro
     Le gambe sue fuggendo: tanti guai
     li minacciò la Furia con la vista
     Sua dispettosa, noievole e trista!


Ciò che ad Emilia parve della caduta di Arcita.
                                         
                                                 10
Emilia del loco dove stava,
     Chiaro conobbe il caso doloroso,

     Perché il core, che più ch’altro l’amava,

     Di lui dubbiando, si fè pauroso:

     Onde per tema a sé tutte chiamava
     Le forze sparte nel corpo doglioso;
     Perché nel viso tal rimase imorta,
     Quale è colui che al rogo si porta.

                                            11
"Ohimè dogliosa", in sé trista dicendo,
     "Quanto la mia felicitade è breve

     Istata!", questo caso ora vedendo;

     "E ben chè il pensier mi fosse greve,

     è pur m’andava dentro il cor dicendo
     Che non poteva con fatica leve
     D’amor passar, che passar si soglia
     Per gli altri c’han provata la sua doglia.


                                                   12
Ora conosco ciò che volea dire
     Bellona sanguinosa, che davanti

     Oggi m’è stata, senza dipartire,

     Con atti fieri e morte minaccianti,

     Quasi i’ dovessi li danni partire
     Che si fesser tra loro i due amanti".
     E questo detto, sì ’l dolor la vinse,
     Ch’errando fuor di sé tutta si tinse.

                                                 
                                                  13
El fu subitamente disarmato,
     Ed il palido viso pienamente

     Con acqua fredda lì li fu bagnato,

     Onde e' si risentì subitamente:

     E molto fu da’ suoi riconfortato;
     Ma parlar non poteva ancor niente,
     Sì gli avea 'l petto il suo arcion premuto,
     Mentre il cavallo adosso gli era suto.

Come Agamennone, caduto Arcita, ritenne il campo

                                                  14
Agamennon con contenenza fiera
     Con Menelao per lo campo gia,

     E scorrendo per quel con la bandiera,

     Ciascun de’ suoi dietro gli venia:

     E a qual fosse della vinta schiera
     Rimaso quivi, sanza villania
     Alcuna far per preso nel mandava,
     E vincitor sopra 'l campo si stava.

La cosa di cui qui ci si accorge subito è che, questo poema, non è adeguato ad un'esecuzione orale. Innanzitutto per la sintassi che presenta, terribilmente ipotattica, poi anche per il lessico, tutto appartenente al toscano colto del tardo medioevo, e infine anche per certi fenomeni metrici che alcuni verbi subiscono, tipo quel "fesser" all'ottava 12.
"Fesser" sta per "facessero". Qui avvengono, almeno così ho intuito io, sincope e apocope. Apocope perché è graficamente e fonicamente tolta la vocale finale "o", sincope perché cadono due suoni, uno vocalico e uno consonantico: "ce".
A proposito di sintassi complessa, ho provato a eseguire l'analisi dell'ottava decima, giusto per dimostrarvi quanto lo stile epico di Boccaccio possa essere tortuoso e con un periodo formato da "segmenti di frase incastrati l'uno nell'altro".
Se dessi in un compito in classe di grammatica l'analisi del periodo di strofe tratte dal "Teseida", farei il mio danno e il danno dei ragazzi, perché molto probabilmente mi ritroverei con un sacco di 4 e 5 da far recuperare.
Più proseguo i miei studi più mi rendo conto che insegnare italiano sarà un'enorme responsabilità, perché sarò tenuta a spiegare grammatica, a contestualizzare e ad analizzare la letteratura in prosa e in versi (anche al primo biennio delle superiori), e a insegnare loro un buon metodo di scrittura per la parte dei temi. Tutto in 4 ore settimanali!!

10
Emilia del loco, dove stava,
     Chiaro conobbe il caso doloroso;

     Perché il core, che più ch’altro l’amava,

     Di lui dubbiando, si fe’ pauroso:

    Onde per tema a sé tutte chiamava
     Le forze sparte nel corpo doglioso:
     Perché nel viso tal rimase ismorta,
     Qual è colui che al rogo si porta.

-Emilia del loco (=dal luogo) chiaro conobbe il caso doloroso= principale indipendente
-dove stava= (in cui stava), relativa di primo grado
-per che il cor si fè pauroso= (poiché/perché), causale di primo grado esplicita
-che più ch'altro l'amava= relativa di secondo grado
-di lui dubbiando= (dal momento che) causale implicita di secondo grado
-Onde per tema a sé tutte chiamava le forze sparte nel corpo doglioso= (visto che/dato che) , causale esplicita di terzo grado
-Perché nel viso tal rimase ismorta=Causale esplicita di quarto grado
-Qual è colui che al rogo si porta.= (come/alla maniera in cui) Comparativa esplicita di quinto grado.

Notiamo inoltre un'altra particolarità: didascalie come: "Ciò che ad Emilia parve della caduta di Arcita" sono delle frasi riassuntive ideate da Boccaccio, che non avranno nessuna fortuna nei poemi epici italiani successivi al "Teseida".
Altro particolare importante: c'è, dal punto di vista dei contenuti, una somiglianza clamorosa con l'epica greco-latina. Si tratta di divinità favorevoli/ avverse ai combattenti.
Venere sostiene Palemone. Per questo manda contro Arcita la furia Erinni ("Costei nel chiaro dì rassicurata", ottava 7) che fa cadere il cavallo di Arcita dallo spavento.
Il cavallo cade sull'eroe, ferendolo mortalmente.
L'Orlando di Ariosto avrebbe sicuramente fatto a pezzi qualsiasi Erinni!!

B) AMADIGI:

Bernardo Tasso era il padre di Torquato.
Amadigi usciva a Venezia nel 1560, ventun anni prima della Liberata.
Probabile che Tasso senior conoscesse l'Amadis de Gaula di Garcì de Montalvo (opera spagnola di autore spagnolo).
In entrambe le opere, il cui titolo è riferito al nome proprio del protagonista, l'eroe è sempre in scena.
L'altra denominazione per la quale è conosciuto è "Donzel del mare".

(Non sono riuscita a capire esattamente da quale canto siano state tratte queste sei ottave che anche il mio manuale di Praloran riporta).

15

Ardeva il sole e' ferro e 'l metallo, atto
a ricever il caldo per natura,
tal che 'l Re, che tutt'arde, e lieve e ratto
di poter, come pria, non s'assicura
seguir la pugna orrenda, e stupefatto,
che tanto l'altro in quel conflitto dura,
gli disse: "Cavalier parliamo un poco,
che 'l fin della contesa avrà il suo loco".

16

"Perché tu provi quel, ch' altrui fatt'hai
forse provar più volte, opra la spada-
gli rispose il Donzel- né poserai,
si che per forza l'un di noi non cada.
Con questo paragon conoscerai
quanto sia mal lasciar la dritta strada
della ragione, e per vie oblique torte
andar, dovunque il rio senso ti porta."

17

Non con tanto furore orsa si move,
ch'abbia col morso il can dal sonno sciolto,
come il feroce, che dagli occhi piove
nebbia e furor, che gli arde il core e 'l volto.
Mugge qual toro, che rivolto dove
si credea di posar, di nuovo è colto
da ferro acuto, ovver de dente irato,
e si piaga dal nemico il manco lato.

18

L'altro col viso sì lieto e ridente,
 come si fusse la pugna da gioco,
menò con forza tal la spada ardente,
che ne fè risonar d'intorno il loco.
Il Re, che molto esperto era e valente,
benché mancar si senta a poco a poco,
si governa da savio cavalliero
ed opra a un tempo il piè, l'occhio, e 'l pensiero.

19

Uscìa dall'elmo, e dallo scudo fuore
del Donzello del mare una tal luce,
un sì giocondo, e sì novo splendore,
che d'ogn'intorno il campo ne riluce.
Trattava sopra lui l'ali l'Onore
carco di polve, e l'inimico Duce,
battuta in terra già la sua fortuna,
copriva nebbia tenebrosa e bruna.

20

L'arme erano rotte, ed ei tutto vermiglio
del proprio sangue, e faticato e lasso,
tal che va per perduto il suo naviglio
a percuoter la prora in duro sasso.
Scorge il presente mal, vede il periglio
futuro e si ritira passo passo
per trovar loco, ove possa per forte
torsi di mano alla vicina morte.



Le poche ottave che ho riportato rappresentano il duello tra Amadigi e il re di Irlanda Abies.
Nel commentare sinteticamente i contenuti di questo poema, Marco Praloran scrive: "Colpisce (...) che il volere di questi personaggi coincida sempre con il fare, che non ci siano esitazioni etiche, che i caratteri rifuggano sempre dall'ambiguità. Gli eroi principali sono perfettamente e noiosamente idealizzati."
Notate infatti che Amadigi combatte "col viso sì lieto e ridente", con molta sicurezza e tracotanza.
Dico tracotanza perché, se nel distico finale dell'ottava 15, Abies propone, secondo consuetudini cortesi, una pausa dal duello, Amadigi gliela nega decisamente.
Qui la sintassi è decisamente meno complessa: ci sono certamente delle proposizioni come delle concessive, delle finali e delle relative, ma diversi sono i casi in cui le strutture dei periodi sono formati da: principale indipendente + coordinate alla principale.
Prendiamo alcune parti delle ultime ottave che ho riportato:

19 (vv.1-4)

Uscìa dall'elmo, e dallo scudo fuore
del Donzello del mare una tal luce,
un sì giocondo, e sì novo splendore,
che d'ogn'intorno il campo ne riluce.



-Uscìa dall'elmo, e dallo scudo fuore del Donzello del mare una tal luce, un sì giocondo, e sì novo splendore= principale indipendente.
che d'ogn'intorno il campo ne riluce. = consecutiva di primo grado.

20 (vv.4-8)

Scorge il presente mal, vede il periglio
futuro e si ritira passo passo
per trovar loco, ove possa per forte
torsi di mano alla vicina morte.

-Scorge il presente mal= principale
-vede il periglio futuro= coordinata alla principale per asindeto (cioè per virgola).
-e si ritira passo passo= coordinata per polisindeto (congiunzione "e").
- per trovar loco= finale implicita dipendente dalla coordinata.
-ove possa per forte torsi di mano alla vicina morte.= (ove= in cui) relativa di secondo grado, dipendente dalla finale.

Ad ogni modo, esclusa l'ottava 15, le altre cinque sono state costruite secondo lo schema sintattico del (4+4). Ragioniamoci brevemente.
L'ottava è fatta di otto versi endecasillabi. Mentre lo schema delle rime è ABABABCC, ovvero, a rima alternata per i primi sei versi e a rima baciata per gli ultimi due, che costituiscono il distico finale, lo schema sintattico sembra dividere l'ottava in due esatte metà.
Ad ogni modo, matematicamente parlando, lo schema rimico dell'ottava lo si può intendere così: (2+2+2)+2.

Mi sarebbe piaciuto inserire anche qualcosa sui cavalieri che appartiene alla letteratura francese medievale. Il fatto è che sto preparando anche Filologia romanza per la fine del prossimo mese. E in programma sto affrontando anche i "Lais" di Maria di Francia, ovvero, dei racconti in versi che spesso prevedono per protagonisti dei personaggi maschili, cioè cavalieri e aristocratici. Siccome alcuni di questi racconti mi piacciono molto, ho deciso di dedicare a loro alcuni post a partire da giugno.

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NOVITÀ SUL ROMANZO:

E' andato in stampa. So solo questo. Il responsabile dell'ufficio commerciale della mia casa editrice mi ha scritto, giovedì scorso: "La terrò aggiornata sui tempi di consegna."
Sin dall'inizio mi ha detto che ci vogliono circa 10 giorni perché la colla utilizzata per rilegare un libro in brossura si asciughi.
Per cui fra pochi giorni avrò a casa 300 copie. 
E dovrò autografarne 200, cioè tutte quelle prenotate e già pagate a marzo!
Grazie a chi mi ha sostenuta in questo difficile periodo appena trascorso!
Sono stanca in questi ultimi giorni, ma ora sono anche contenta!

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UN RELIGIOSISSIMO HACKER INGLESE STA PREGANDO PER ME:

Non si tratta di un sogno, ma di quello che mi è capitato ieri quando, circa a metà mattina, dopo una lezione universitaria, ho aperto per la prima volta la mia casella di posta elettronica, per vedere se ci fossero novità a proposito dei tempi di consegna delle copie del mio libro. Non c'era nulla, ma in compenso, in spam ho trovato la deliziosa e singolare mail di un hacker inglese. Logico che, subito dopo averla letta, l'ho cestinata. Non voglio che quella roba mi infetti il telefono o il computer.
Ho capito tutto e ve la riporto tradotta in italiano. Me la ricordo benissimo!
Non c'è niente di cui preoccuparsi, ho riso e ironizzato un sacco. Per questo, tra parentesi, trovate anche qualche mio pensiero ironico!!
So bene che non ha nulla a che fare con epica e cavalieri ma ve la riscrivo nella mia lingua, tanto per farvi capire che cosa può arrivare sulla casella di posta.

"Ciao mia cara.
Probabilmente non ti aspettavi di ricevere questa mail (ciao, mio caro! E' proprio una gran sorpresa e un gran piacere per me ricevere la mail di un perfetto sconosciuto! E in effetti il mio sistema operativo me l'ha messa in spam.).
Sono Jack, ho 19 anni, vivo in Regno Unito e sono molto malato. Sono sdraiato in un letto d'ospedale, tutto il giorno.
Mia mamma è morta due anni fa della mia stessa malattia, esattamente nel periodo in cui mi hanno diagnosticato la sua stessa malattia. Mio papà è andato via di casa e si è fatto un'altra famiglia. Vivo con i miei zii e sia lodato il Signore, che mi ha dato loro come grande dono! (ma che santo ragazzo! Ma che grande esempio di fede!)
So che hai l'abitudine di scrivere cose offensive sui tuoi profili social e sul tuo blog sulle persone malate di cancro (oh guarda, è il mio passatempo preferito! Non faccio altro tutto il giorno! Proprio a questo mi hanno sempre educata in famiglia!)
Io lo so, perché sto spiando tutte le tue mosse online attraverso delle webcam nascoste (Ma cos'è, fantascienza pura questa?) .
Ti inviterei ad essere più educata e più rispettosa nei nostri confronti. (Grazie per l'osservazione. Ho proprio bisogno di prendere delle lezioni di vita da un probabile hacker.).
Considera questa mail come una benedizione del Signore!
Anche se sono destinato ad andare presto in Paradiso, il Signore Dio mi ha dato un'ottima ispirazione: raccogliere dei soldi da dare in beneficienza a delle associazioni umanitarie che lavorano nei paesi poveri.
Voglio raggiungere la cifra di 10 milioni di sterline.
Sono certo che mi aiuterai con un buon contributo. Se lo farai, ti garantirò un posto in Paradiso. (eh no eh! Santo ok, ma santo e in più presuntuoso magari anche no!!!
E San Pietro sarebbe d'accordo? Ricordati che è San Pietro che tiene le chiavi del Paradiso... Dovrai quindi vedertela con lui, per quel che riguarda la mia sorte ultraterrena!).
In attesa di ricevere presto la tua risposta, ti saluto con un abbraccio.
Pregherò per la tua conversione! (Certamente! Don Pi dice che pregare non fa mai male, quindi io pregherò per la tua!)"

Seriamente parlando...

- Non esiste nessun diciannovenne orfano e malato. Esiste solo un hacker inglese che cerca di guadagnarsi soldi con una truffa. Il fantasioso e un po' assurdo espediente di fingersi un ragazzo giovane, sfortunato e così generoso per cercare di far compassione a qualcuno fa veramente schifo! Ma lascia perdere i diciannovenni e va a lavorare, c.zz.!!



16 maggio 2019

La genitorialità nella letteratura italiana otto-novecentesca:



Agli amici e agli ex-compagni di classe di un mio co-animatore in parrocchia.
La letteratura è utile soprattutto se riesce a trasmettere 
dei bei valori edificanti attraverso tematiche come questa...
Alle "scienze applicate" forse vi sono mancate 
sia le occasioni che le giuste motivazioni per poterlo capire. 
Resta comunque il fatto che di intelligenza voi ne avete da vendere!

Questo post è un mio tentativo fatto con il cuore. Un tentativo di rimediare almeno un pochino ad una penosa assemblea di istituto relativa alla tematica dell'aborto, alla quale alcuni ragazzi hanno assistito.
Intanto parto da una premessa: una donna che dice: "Se dovessi rimanere incinta abortirei sicuramente perché i figli sono solo un peso" non è una donna. E' qualcos'altro.
Le donne erano gli esseri umani nelle quali da bambina riponevo grande stima. Le ritenevo (testuali parole prese da un mio diario segreto di quinta elementare) "quella metà di umanità più buona e più sensibile e migliore dal punto di vista delle relazioni". Forse perché avevo degli ottimi esempi in famiglia.
Questo mio mito è iniziato a crollare in adolescenza, per scomparire quasi del tutto adesso, che ormai sono considerata adulta anch'io.
Purtroppo ultimamente io odio un pochino il mondo femminile, che mi ha profondamente delusa e disgustata con pettegolezzi, doppie facce, cattiverie fatte "sotto-banco" e amicizie che spesso sono durate come la neve in montagna a fine maggio. Mi hanno veramente stancata quasi tutte quelle della mia età e quelle un po' più grandi di me.
Non riusciamo proprio a fare gruppo. 
Nei momenti di maggior rabbia mi verrebbe voglia di frustarle con una verga piena di chiodi!
Mi pare che ci siano più vipere che donne, più galline che ragazze.

Fossi stata l'insegnante di lettere dell'ex 5° G prima di tutto avrei scuoiato viva sia la convinta abortista che il/i responsabile/i che l'avevano chiamata. E poi avrei cercato di riparare un pochino con un approfondimento tematico della mia materia.

In questo post parto da Manzoni per collegarmi rapidamente alle suggestive metafore di Pascoli e di  Carducci. E questo è l'Ottocento.
Per quel che riguarda il mitico e affascinante Novecento invece, inizio con un breve accenno a Slataper per passare a Saba e qui concludere.

PARTE A: L'OTTOCENTO ITALIANO

MANZONI, "PROMESSI SPOSI", CAP. XXXVIII°:

Questa è la fine del romanzo, molto interessante in ambito di letterature comparate. Vedrete più in basso il motivo per cui dico ciò.


"Prima che finisse l’anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d’adempire quella sua magnanima promessa, fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col tempo non so quant’altri, dell’uno e dell’altro sesso: e Agnese affaccendata a portarli in qua e in là, l’uno dopo l’altro, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso de’ bacioni, che ci lasciavano il bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati; e Renzo volle che imparassero tutti a leggere e scrivere, dicendo che, giacché la c’era questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro. Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire."

"Prima che finisse l’anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d’adempire quella sua magnanima promessa, fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Maria."
Io sono nata 23 anni e 8 mesi. I miei genitori si sono sposati 24 anni e 11 mesi fa. 
Ma, al di là di quello che è accaduto nel mio nucleo familiare, qui devo tornare un po' indietro, al capitolo 36 quando Renzo, entrato nel lazzeretto di Milano per cercare Lucia, la trova molto restìa a realizzare "l'antico" progetto di nozze, a causa di un voto fatto alla Madonna in un momento di grande terrore, quando cioè una notte era stata "ostaggio" dell'Innominato.
La prima reazione di Renzo al sentire questa promessa era stata più o meno questa: "Ma non fate (sì, nel XVII° secolo, epoca di ambientazione del romanzo, anche alle fidanzate si dava del voi) voti del genere alla Madonna! Promettetele che la prima figlia che avremo si chiamerà Maria come lei!".
Così poi è effettivamente avvenuto.
Il tempo del racconto di Manzoni dura un po' meno di due anni: dal 7 novembre 1628 all'estate del 1630. 
1630. Anno di matrimonio di Renzo e Lucia. 1631 circa: anno di nascita di Maria, la primogenita. E... colmo dei colmi, come osserva l'italianista Silvano Nigro, il 1632 è l'anno di nascita di Robinson Crusoe. 
Cioè, tutti i figli dei due protagonisti del romanzo manzoniano appartengono alla stessa generazione di Robinson. Renzo stesso, nella sezione del romanzo (XI°-XVIII°= Renzo a Milano) è un viaggiatore intraprendente e abile a risolvere problemi e ad aggirare ostacoli, proprio come Robinson.
Eccovi un breve esempio.
Nel "Fermo e Lucia" (ed. 1823, Renzo è l'ex-Fermo!), Fermo, la notte prima di attraversare l'Adda, si arrampica su un albero e lì si addormenta. Nei "Promessi sposi" si rifugia in una capanna (in milanese: "bicocca) piena di paglia.

PASCOLI, X AGOSTO:

San Lorenzo, io lo so perché tanto 
di stelle per l’aria tranquilla arde e cade, 
perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

"Anche un uomo tornava al suo nido:/l’uccisero: disse: Perdono;/e restò negli aperti occhi un grido:/portava due bambole in dono…"
Le bambole per le due figlie Ida e Maria, sorelle di Pascoli.
La metafora sta nella parola "nido": nucleo familiare. L'immagine che soprattutto questa poesia trasmette ai lettori è l'immagine di un padre dedito sì agli affari ma anche un genitore "che si ricordava di avere una famiglia dalla quale tornare e alla quale dare sicurezza".
Pascoli aveva 12 anni quando suo padre è stato ucciso. E, nonostante la tesi di laurea in Lettere sulla metrica greca, nonostante l'incarico di docente di greco e latino, il trauma gli è sempre rimasto.
Nell'ultima strofa, l'atomo opaco del Male è il mondo, luogo in cui il dolore, la morte e l'angoscia non soltanto ci sono ma entrano inspiegabilmente e inaspettatamente nella vita delle persone, segnandola per sempre.

Cito rapidamente la parte finale del "Gelsomino notturno", componimento che ultimamente mi commuove quasi fino alle lacrime:

"È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova."

La poesia è stata dedicata ad un amico che si era sposato.
E' l'alba dopo la prima notte di nozze. 
I petali e l'urna alludono all'utero materno e al dono che ogni sua proprietaria dovrebbe accogliere molto volentieri, come una benedizione.
D'altra parte l'etimologia esatta del termine "felicità" è "fertilis,e". La felicità è uno stato di pienezza. 
La vera pienezza di vita io la raggiungerò soltanto quando terrò dentro di me un figlio.

CARDUCCI, PIANTO ANTICO:

Prendo soltanto le ultime due strofe della poesia, perché sono quelle che mi interessano di più.

"Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l'inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor."
Metafora bellissima! Il figlio Dante era un fiore che, quando era in vita, rallegrava e colorava la vita del padre, assimilata ad una pianta "percossa e inaridita".
Questo dovrebbero rappresentare i figli per i padri e le madri: dei fiori che sbocciano in tutta la loro bellezza, dei colori che danno gioia e motivo per vivere una vita piena di senso, delle risorse per riscoprire il proprio lato genuino e la propria capacità di donarsi, di dare tutto se stessi, di tralasciare ogni tipo di egoismo.
La cupa disperazione di Carducci si avverte negli ultimi quattro versi.

PARTE B: IL NOVECENTO ITALIANO

SCIPIO SLATAPER, "IL MIO CARSO", PARTE TERZA:

Slataper ha scritto questo romanzo quando aveva la mia età. Era ancora studente, doveva ancora laurearsi e conosceva ancora poco Ginetta, ragazza che sarebbe poi diventata sua moglie.
Il romanzo è dedicato ad Anna Pulitzer, soprannominata Gioietta, ex fidanzata di Scipio morta suicida.
In tutte e tre le parti del romanzo l'autore accenna a sua madre e al buon rapporto che aveva con lei.
Però volevo focalizzarmi su una frase in particolare, che non riguarda la madre di Scipio:

"... avvolta dall'esuberanza dell'erba ancora qualche viola impallidisce negli umidi nascondigli: lievi parole infantili che tornano sulla bocca della donna che ha partorito."

Slataper è il genio triestino delle metafore e delle similitudini! 
Qui le viole appaiono timide, piccole a causa dell'erba che cresce nel prato.
E' indubbiamente un paesaggio primaverile. 
L'autore si riferisce allo stato d'animo che ogni madre dovrebbe assumere appena diventata tale, Occhio però: non si parla assolutamente di infantilismo psico-patologico tipico di femmine umane adulte (atteggiamento che mi fa schifo, schifo, schifo, schifo, schifo, schifissimo!!!!!!).
Si parla di tenerezza, di una dolcezza immensa che ti fa diventare semplice e bella dentro come lo sarebbe una bambina.

SABA, "RITRATTO DELLA MIA BAMBINA":
La mia bambina con la palla in mano,
con gli occhi grandi colore del cielo
e dell’estiva vesticciola: "Babbo
-mi disse – voglio uscire oggi con te
"
Ed io pensavo: Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti 
e il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti.

"Con gli occhi grandi colore del cielo". Il cielo si dovrebbe riuscire a scorgere nello sguardo di un bambino. Il cielo limpido, terso, bello, profondo e un po' enigmatico.

"Di tante parvenze/che s’ammirano al mondo, io ben so a quali/posso la mia bambina assomigliare." Un po' mi ricorda lo Stilnovo di Guinizzelli: 
"Io voglio del ver la mia donna laudare/ed asembrarli la rosa e lo giglio:/più che stella dïana splende e pare,/e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio."

Guinizzelli paragona le bellezze naturali con quelle della "donna angelicata". 
Saba invece confronta "la bellezza del mondo" con quella di sua figlia Lina.
Notate che dominano le tonalità chiare degli elementi naturali: la schiuma del mare che biancheggia sulle onde, la scia azzurra di fumo che esce dai comignoli dei tetti e le nuvole che si dissolvono nel cielo chiaro. 
Lina è assimilata a cose per lo più leggere, impalpabili, sfuggenti.
C'è molta musicalità nei versi. E molta...leggerezza.

C'è leggerezza e leggerezza. C'è la leggerezza dell'allegria. La leggerezza del comico e dell'ironico. La leggerezza della dolcezza delicata.
E infine, la leggerezza della stupidità, assai diffusa.