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31 maggio 2018

La donna in Etruria:

Pare che la concezione della donna in Etruria traspaia in particolar modo dalle fonti pittoriche.
Tuttavia, prima di esporvi le testimonianze archeologiche di cui abbiamo notizie, preferirei scrivere un excursus storico-linguistico di carattere introduttivo.
Questo per poter stimolare un po’ del vostro interesse verso una civiltà che per certi versi affascinante ma poco conosciuta.

Gli Etruschi sono vissuti nel primo millennio a.C.  (in un periodo compreso tra VIII° e I° secolo a.C.) in una zona piuttosto vasta dell’Italia Centrale, che comprendeva tutta la Toscana, l’Umbria Occidentale e il Lazio Settentrionale.
I Romani chiamavano la regione degli Etruschi con due nomi: Etruria e Tuscia, da cui appunto è derivata l’attuale denominazione di “Toscana”.
I Greci invece li chiamavano Tirreni, dal momento che le loro terre si affacciavano sull’omonimo mare.
Vi sono due date storiche importanti da ricordare nella storia del popolo Etrusco: la prima, che è il 360 a.C., in cui la città di Veio è stata sconfitta dall’esercito romano e il 281 a.C., anno in cui è avvenuta la totale sottomissione dell’Etruria a Roma.

Villar, nella sua corposa opera Gli indoeuropei e le origini dell’Europa, espone due supposizioni che riguardano le loro origini: la prima, relativa al loro carattere autoctono (originari e da sempre residenti nella penisola italica) e la seconda, relativa a una loro possibile origine dalla Lidia, regione asiatica.
Quest’ultima ipotesi si trova anche nelle Storie di Erodoto.
Buona parte dei glottologi ritengono che l’etrusco sia una lingua non appartenente alla famiglia indoeuropea, ma ad uno strato pre-indoeuropeo. 
Però come si fa ad esserne certi, se in realtà la lingua etrusca non è mai stata decifrata?
Nel 1964 sono state trovate tre lamine d’oro di attestazione bilingue, dal momento che gli studiosi hanno riconosciuto, accanto alla lingua etrusca, la corrispondente traduzione in punico, lingua parlata degli antichi Cartaginesi.
Il punico appare un idioma pressoché intraducibile, identificato soltanto grazie a delle testimonianze scritte di Plauto, commediografo della latinità arcaica che riporta nel Poenulus alcuni versi in questa lingua. Probabilmente le lamine contengono delle formule.
Alcuni glottologi tuttavia, si azzardano a pensare che l’etrusco possa essere una forma dell’hittita, la lingua che per prima (in effetti, nel III° millennio a.C.) si è separata dall’indoeuropeo comune.
Ad ogni modo, finché non si riescono a tradurre delle frasi, non potremmo mai avere la prova scientifica che potrebbe sostenere una parentela fra etrusco e qualche lingua indoeuropea, perché bisognerebbe conoscere almeno parte del lessico e la sua struttura grammaticale.
Della struttura grammaticale non conosciamo niente, mentre invece, a proposito del lessico, Villar ci informa che si è riusciti a tradurre una sola parola, che corrisponderebbe al numero “tre” in italiano. Si tratta della sillaba “ci”.
Ecco a voi dei confronti linguistici (esempio già fatto nel post del 4/01/2018):

Indoeuropeo: *treyes
Antico indiano: trayas
Greco antico: τρεῖς
Latino: tres
Italiano: tre
Etrusco: ci 

Io, ve lo dico, propendo di più per l’ipotesi pre-indoeuropea anche per il fatto che, come vedremo tra pochissimo, l’Etruria per un certo periodo era probabilmente una società fondata sul matriarcato, proprio come i popoli preistorici prima della presunta invasione degli indoeuropei.

Presso gli Etruschi, fino a un certo periodo, le donne godevano di molti più diritti che non presso i Greci o i Romani.

Grazie a degli affreschi tombali trovati a Tarquinia risalenti al VI° secolo a.C. si è scoperto che la donna partecipava al simposio: le immagini più ricorrenti infatti raffigurano la coppia coniugale semidistesa su una klìne, spesso sullo stesso lettino.
tomba dei Leopardi

Agli eventi dei banchetti, tuttavia, non mancavano nemmeno delle musiciste e delle danzatrici, ben visibili in alcune scene.
All’inizio del VI° secolo a.C. inoltre, nelle raffigurazioni che riguardano le partenze degli eroi sui carri o dei combattenti, compaiono anche delle figure di donne, spesso nei panni delle mogli dei guerrieri.

Per quel che riguarda la pittura dunque, la presenza femminile è vista soprattutto nel ruolo coniugale di moglie del dominus.

Il tema dei coniugi compare anche nelle testimonianze scultoree a noi pervenute. 
Un esempio di ciò è sicuramente il Sarcofago degli sposi, statua in terracotta situata al di sopra del coperchio di un sarcofago che dovrebbe contenere le ceneri di un defunto.
Questi coniugi, forse partecipanti ad un banchetto reale, sono in posizione semisdraiata. 


Mentre le loro braccia e i loro volti sono stati resi in modo realistico, le parti inferiori invece sembrano piuttosto appiattite.

Tuttavia, ci accorgiamo che nel V° secolo a.C. la concezione del ruolo della donna sembra cambiare. Almeno da quello che possono comunicare e significare le pitture.
In questo periodo infatti, nelle scene di simposio compaiono solo ed esclusivamente personaggi maschili.
Alle donne è riservata soltanto un’occasione di raffigurazione: il compianto funebre, in cui, da morte, vengono piante dalle persone amate.

Credo sia interessante segnalare un’ulteriore testimonianza artistica, risalente alla metà del V° secolo a.C.: la Tomba dei demoni azzurri.
Questo affresco, rinvenuto in una delle tombe di Tarquinia, rappresenta il viaggio di una donna defunta verso l’oltretomba.
La barca di Caronte la conduce in un ambiente in cui dei grandi demoni la deridono.
Al di là delle pitture e di qualche scultura, non sappiamo dire altro a proposito per esempio della letteratura e delle leggi etrusche.
Dobbiamo limitarci ad osservare le testimonianze artistiche.




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