Grazie ragazzi è un film il cui attore protagonista viene interpretato da Antonio Albanese, figura a mio avviso di grande talento nel mondo dello spettacolo italiano.
A) CONTENUTI DELLA PRIMA PARTE DEL FILM:
La sua più recente occupazione consisteva nel doppiare scene di film porno.
È vedovo e la sua unica figlia vive e lavora all'estero.
Si vergogna di rivelare alla figlia, che vede raramente, la propria condizione lavorativa e, all'inizio, appare un personaggio un po' spento e comprensibilmente frustrato.
A causa di una prolungata carenza di buone offerte lavorative nel suo settore, l'interesse per il suo mestiere sembra essersi smorzato.
Il personaggio principale di questo film vive in una casetta, il cui arredamento è essenziale, vicina ai binari di una ferrovia.
Una mattina Michele, un suo ex collega di recitazione teatrale, nonché amico di lunga data, gli propone di insegnare in un laboratorio di teatro rivolto ad alcuni carcerati di Velletri, convincendolo soprattutto così: "Monta su quel palco e dimostra a tutti che sei ancora vivo! Tu mi ringrazierai: questa è una di quelle esperienze che ti riportano alle radici profonde del nostro mestiere".
Naturalmente anche questa offerta di lavoro è a tempo determinato: si tratta infatti di sole sei ore di lezioni. Le adesioni, da parte dei detenuti, sono pochissime.
Nonostante le difficoltà dovute soprattutto alle tempistiche, i carcerati coinvolti riescono a mettere in scena con buoni risultati la favola della lepre e la tartaruga.
Successivamente Antonio, profondamente colpito da alcune storie di vita dei detenuti, riesce a convincere tutto il personale del carcere a proporre un laboratorio teatrale di maggior durata.
B) RECITARE PUÒ ESSERE UN'ESPERIENZA FORMATIVA?
Inizia quindi un'avventura educativa e formativa intensa, faticosa e incredibile: Antonio si dimostra un docente molto determinato, un motivatore che, con metodo e carisma, riesce a far emergere le potenzialità dei suoi attori, i quali devono impegnarsi per imparare bene il testo di Waiting for Godot, l'opera con la quale il loro insegnante aveva debuttato da giovane:
"Reciterete in un teatro vero, ci sarà un pubblico, i vostri amici, le vostre famiglie. Ma dovete lavorare e mai scoraggiarvi. Vi fidate di me?", dice il maestro Antonio all'inizio della prima lezione del nuovo corso di recitazione.
La figura di Laura, direttrice del carcere, non mi è affatto dispiaciuta: inizialmente scettica riguardo l'idea di Antonio, diviene ben presto una fidata sostenitrice supportandolo in alcuni momenti e facendo notare ai detenuti che Antonio crede in loro; per questo ha spontaneamente voluto dedicare il suo tempo al corso.
A poco a poco, i carcerati imparano a rispettare il tempo di Antonio, arrivando puntuali, ben preparati e più volonterosi.
Il protagonista riconosce, con soddisfazione ma al contempo con concretezza e realismo, i progressi dei suoi allievi:"Damiano non sa scrivere, balbetta. Ma ha imparato un monologo di tre pagine, come scalare l'Everest. Qui l'Everest lo stiamo scalando tutti".
In questo film, sembra quasi che la letteratura stimoli e aiuti i detenuti a responsabilizzarsi a proposito di un impegno preso e sembra anche uno strumento utile sia per affrontare le difficoltà sia per condividere con gli altri e con l'insegnante le proprie emozioni e le proprie risorse.
C) "WAITING FOR GODOT" E LA CONDIZIONE DEI DETENUTI:
Il maestro Antonio e i suoi allievi ottengono il successo: infatti riescono ad esibirsi in più teatri italiani ma... ogni sera, quando rientrano in carcere, i carabinieri sottraggono agli attori qualsiasi omaggio ricevuto dal pubblico, anche oggetti donati da mogli, compagne e figli dei detenuti.
Abbastanza toccanti, a mio avviso, risultano i momenti in cui i detenuti salutano, ritrovano e abbracciano i loro familiari alla fine di ogni performance.
A nulla servono le repliche e le rimostranze di Antonio che chiede ai carabinieri dei turni della notte di trattare i detenuti in modo più umano, dato che per lui non esiste un valido motivo affinché i carcerieri li perquisiscano dopo il termine di ogni spettacolo.
Gli attori, con il tempo, si ritrovano ad essere sempre più insofferenti a queste prassi di controllo che sembrano non riconoscerli in quanto persone che possono ottenere anche soddisfazioni e gratificazioni nelle loro temporanee uscite al di fuori del carcere.
Prima della grande e fatidica rappresentazione presso il Teatro Argentina di Roma, il gruppo di attori decide di fuggire per le strade di Roma.
Radu, anziano di origini rumene, è l'unico che rimane: infatti non ha un luogo in cui poter andare né una famiglia che lo attenda.
Così Antonio si ritrova senza attori ma, invece di infuriarsi, decide di comparire da solo al centro del palcoscenico e, con un magistrale monologo, racconta al pubblico e alle autorità presenti il percorso svolto con i detenuti, non mancando di istituire un parallelismo con la commedia di Beckett.
Riporto qualche frase significativa pronunciata da Antonio:
"Beckett lo abbiamo recitato, ma con questi ragazzi si è riempito di significato. Godot è il primo spettacolo che abbiamo fatto insieme, è la nostra storia, siamo noi."
Infatti, se Godot è un'entità che non si palesa mai davanti a Vladimir ed Estragon, due personaggi in perenne condizione di attesa, i carcerati, privati della loro libertà a causa di errori e azioni pericolose o illegali nei confronti della società, si ritrovano dietro le sbarre delle celle ad attendere sia il giorno e l'ora dei colloqui con i parenti sia il momento in cui saranno liberi di ritornare dalle loro famiglie.
Alla fine del monologo, Antonio dice, commosso: "Grazie ragazzi!".
L'esperienza di insegnante di teatro in un contesto così complicato e così difficile è servita anche al protagonista di questo film dal momento che ha riacquisito serenità e fiducia in se stesso come professionista.
Definirei il finale dolce-amaro: al di là del discorso significativo di Antonio di fronte a centinaia di spettatori, la fuga degli attori fallisce, dato che la polizia li riporta a Velletri e la rappresentazione, salta. Peccato. Sarebbe stata l'unica vera occasione per dimostrare ad alcune personalità del panorama politico e giudiziario che un corso di teatro può far risvegliare le potenzialità di chi, considerato delinquente, è sempre stato socialmente svantaggiato.
D) UNA FONTE DI ISPIRAZIONE:
Grazie ragazzi è ispirato al film francese Un Triomphe il cui protagonista è l'attore Jonson che, negli anni ottanta, ha organizzato e coordinato un corso di teatro per i detenuti nel carcere svedese di Komla.
Anche per Johnson, prima di accettare il ruolo di insegnante di teatro nel carcere, le difficoltà economiche erano avvilenti e, proprio come Antonio, è riuscito ad instaurare un rapporto di fiducia con gli attori apprendisti.
Ritengo Grazie ragazzi l'opera cinematografica più toccante e coinvolgente di questi ultimi due anni, dal momento che affronta con grande umanità il tema delle condizioni dei carcerati e dato che propone l'idea di un carcere come struttura di riabilitazione etica, psicologica e relazionale.
Il film è stato strutturato secondo una prospettiva che non giudica né giustifica il passato dei carcerati.
Certo, colpisce ad esempio il comportamento di Diego, un giovane che, sotto una maschera di vanità e di presunzione, nasconde il dolore di non poter vedere suo figlio.
Anche la vicenda di Aziz, immigrato tunisino, è drammatica: in effetti è finito in carcere dopo aver aggredito con un coltello uno dei molti razzisti che, nel quartiere romano in cui viveva, lo insultava ripetutamente e pesantemente.
Alla fine della proiezione, gli spettatori attenti si ritrovano costretti a chiedersi: la riabilitazione e rieducazione dei carcerati potrebbe iniziare dalla cultura, dall'espressività e dalla creatività?
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