Mai letta una cosa così, piemontese da far piangere. (Italo Calvino)
Martedì mi laureo.
Buona parte di voi si starà chiedendo, immagino, come mi sento. Vado a momenti. A momenti ho paura della discussione e dico a me stessa: "Avrei potuto scrivere un elaborato migliore. Troveranno soprattutto i difetti mentre la esporrò, e avranno ragione." Altre volte invece dico: "L'esame di laurea non è la vita". Altre volte penso: "L'ho scritta io, è dalla fine dell'autunno che ci lavoro, quindi so bene di che cosa si tratta".
1) I PERSONAGGI DELLE VOCI DELLA SERA:
Vi elenco qui i personaggi principali, cercando di delineare le loro vicende di vita.
La voce narrante è Elsa, ventisettenne laureata in Lettere che, come molte giovani medio-borghesi del secolo scorso, non lavora e dunque non esercita il suo titolo di studio perché attende l'uomo ricco come marito. Negli anni '50 e '60, un ragazzo o una ragazza di quell'età che non erano né sposati né fidanzati, erano sospettati, dai loro compaesani più adulti, di comportamenti poco seri e immorali, anche se questo non sempre coincideva con la verità.
Ad ogni modo, Elsa racconta sia la storia della sua famiglia sia le vicende di persone e di anziani che ruotano attorno alla sua famiglia. La giovane narratrice ha una sorella più grande, sposata con un colonnello americano a Johannesburg, in Sudafrica, e un fratello più giovane che lavora in Venezuela.
A inizio libro compare il personaggio del Balotta, proprietario di una fabbrica di Castello, il paese in cui vive la protagonista. Con la moglie Cecilia ha avuto cinque figli:
Gemma è la primogenita. Per un lungo periodo aveva frequentato l'ingegner Nebbia, senza essere ricambiata nel suo sentimento. Il Nebbia viene ucciso dai nazi-fascisti, durante la guerra di liberazione, in quanto partigiano.
Poi c'è Vincenzino, ricciuto come un agnello. Ed ecco che anche qui compaiono similitudini che legano una caratteristica di un personaggio con il mondo animale. Sono gli espedienti più efficaci nella retorica della Ginzburg e, abbastanza spesso, creano effetti umoristici, come ad esempio in Caro Michele, quando l'editore Colarosa viene paragonato da Mara ad un pellicano a causa del suo grosso naso.
Vincenzino riesce a laurearsi in Economia e Commercio. Il suo errore è stato quello di sposare Cate, una ragazza mai amata (in effetti dopo tre figli e dopo la guerra divorziano). Vincenzino va in guerra sul fronte greco e viene catturato e fatto prigioniero in India.
Mario è il terzo figlio. Agli antipodi del Vincenzino come indole, è vivace e disinvolto, ama il poker e il tennis e conosce a Monaco una pittrice russa, Xenia, che sembra abituata a vivere nel lusso e negli agi. Si pensi ad esempio alla quantità di camerieri e servitori da lei assunti a Villa Rondine, dove va a vivere con Mario, alla sua attrazione per i bagni turchi e all'acquisto di una grande automobile nera. Xenia però rimane presto vedova, visto che Mario, dopo essere ritornato dalla guerra, torna gravemente ammalato.
Rimangono il Tommasino e Raffaella. Raffaella contrae delle nozze precoci con Fausto, detto il Purillo per il suo berretto a purillo, che la tradirà continuamente.
Tommasino è invece iscritto alla facoltà di Agraria. (Ma si laurea in seguito? Noi lettori non lo sappiamo ma veniamo ad apprendere, soprattutto nelle ultime 50 pagine di libro, che è un giovane ricco, squallido, perdigiorno, che non sa vivere).
2) CONFRONTO CON LESSICO FAMIGLIARE:
Nella famiglia Balotta ci sono 5 figli, come nella famiglia Levi. Il Balotta è socialista, Giuseppe Levi, padre dell'autrice di entrambi i romanzi, ha simpatie verso il socialismo.
La famiglia di origine di Natalia Ginzburg condivide un lessico, forgiato soprattutto dalla figura paterna e dalle sue origini giudaico-triestine. I termini più ricorrenti sono "sempio, sempiezzi" (sciocchezze). Poi ce ne sono altri, un po' triestini e un po' sefarditi, come "fufignezzi" (segreti), "negrigura" (questo sostantivo è sefardita e indica qualcosa di sconveniente o un comportamento impacciato), "sbrodeghezzi" (scarabocchi), "babare" (chiacchierare spettegolando).
Anche nella famiglia di Cate ci sono dei termini, di origine dialettale, nei quali i componenti si riconoscono, come ad esempio "marzuppia" (madama) e "bergianna" (noiosa).
Si dice che Xenia, moglie del terzogenito Mario, sia un impiastro. Anche Miranda, moglie di Alberto, terzogenito di Giuseppe Levi e di Lidia Tanzi, è giudicata un impiastro dal genero!
Ad ogni modo, nelle Voci della sera il capofamiglia, cioè il Balotta, muore. Giuseppe Levi no, c'è in tutte le 200 pagine di Lessico famigliare, e non manca mai con i suoi giudizi lapidari e di espressioni colorite.
Cecilia, moglie del Balotta, appare come una donna semplice, di poche parole, onesta. Ma, come Lidia Tanzi, ama le rose del suo giardino. Lidia è più vivace, più svampita, e ha una netta preferenza verso la figlia Paola. (Natalia è l'ultima figlia, tra lei i i primi quattro figli c'è una notevole differenza anagrafica. Era "la gravidanza inaspettata" e, come rivelano alcune biografie, forse per questo non è mai stata tanto voluta e valorizzata dalla figura materna).
3) ALCUNE FIGURE RETORICHE RICORRENTI:
Ve ne riporto alcune con qualche esempio:
-Abitiamo nel paese da molti anni. Mio padre è il notaio della fabbrica. L'avvocato Bottiglia è l'amministratore della fabbrica. Tutto il paese vive in funzione della fabbrica. (Epifora di "fabbrica", p.17).
-Il Barba Tommaso e la Magna Maria erano ammalati alle Pietre, con la febbre. -Febbre di paura,- disse il vecchio Balotta. (Anadiplosi di "febbre", p.24: la parola finale di una frase è anche la prima parola di una frase successiva).
-La balia non me la leva nessuno. La balia sta con me e guai a chi me la tocca. (Anafora di "balia", p.36 + dislocazione a sinistra nella prima frase).
-Avevano una nurse svizzera, col velo azzurro. Avevano anche una balia veneta. (Anafora di "avevano", p.59 + anglicismo).
-Come stai? Stai bene? (Anadiplosi, p.65).
-Che bella camicia,- diceva il Vincenzino, venendo anche lui a spogliarsi. Lei diceva: -Quando ero ragazza, mia madre mi faceva portare certe camicie di flanella a fiori, con le maniche lunghe, che io non le potevo soffrire. (Polittoto del sostantivo "camicia", p.67: muta la morfologia dal singolare al plurale a breve distanza + "che" polivalente nell'ultima parte: "dal momento che io non le potevo soffrire").
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