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20 dicembre 2024

Il rapporto uomo-ambiente nell'Ode di Parini "La salubrità dell'aria"

L'ode intitolata La salubrità dell'aria è stata composta da Parini intorno al 1760. Si tratta di un componimento celebre sia per l'impegno civile che manifesta sia per la presenza di un lessico molto variegato, in cui il classicismo si mescola con termini tecnici.

Ho pensato fosse un componimento opportuno da inserire per quel che concerne il rapporto uomo-natura dal momento che il messaggio ecologico è, a mio avviso, particolarmente evidente.

Prendo in esame soltanto le parti dell'ode che ritengo più significative:

vv.7-12:

  1. Già nel polmon capace
  2. urta sé stesso e scende
  3. quest’etere vivace,
  4. che gli egri spirti accende,
  5. e le forze rintegra,
  6. e l’animo rallegra.

In questi versi, l'aria pulita e vivificante riempie i polmoni che si dilatano, rinvigorisce gli animi debilitati dalla vita cittadina.

A quale luogo naturale si riferisce Parini?  

L'ode inizia con i seguenti versi: "Oh beato terreno/del vago Eupili mio". Eupili è per l'appunto il nome latino del lago di Pusiano, in Brianza, vicino al quale si trova il paese di Bosisio, luogo natale dell'autore.

vv.13-24:

Attenzione, però! Quest'ode non è una decantazione del paesaggio agreste.

  1. Però ch’austro scortese
  2. quì suoi vapor non mena:
  3. e guarda il bel paese
  4. alta di monti schiena,
  5. cui sormontar non vale
  6. borea con rigid’ale.
  7. Né quì giaccion paludi,
  8. che dall’impuro letto
  9. mandino a i capi ignudi
  10. nuvol di morbi infetto:
  11. e il meriggio a’ bei colli
  12. asciuga i dorsi molli.

L'austro è lo scirocco, definito "scortese" dal momento che è fastidioso e umido. Tuttavia, questo vento non raggiunge il lago di Pusiano, protetto da alte montagne che nemmeno la fredda bora riesce ad oltrepassare. 

Nei dintorni di Bosisio non ci sono paludi stagnanti che dalle loro acque ("impuro letto") emanano un vapore infetto (il poeta fa un'allusione alla malaria). 

vv.25-36:

  1. Pèra colui che primo
  2. a le triste ozïose
  3. acque e al fetido limo 
  4. la mia cittade espose;
  5. e per lucro ebbe a vile
  6. la salute civile.
  7. Certo colui del fiume
  8. di Stige ora s’impaccia
  9. tra l’orribil bitume,
  10. onde alzando la faccia
  11. bestemmia il fango e l’acque,
  12. che radunar gli piacque.

"Pèra" è un'espressione generica di maledizione, non così rara nei componimenti di Parini. Significa: "Sia dannato...".

Il poeta inizia qui a introdurre, in contrasto con l'aria pulita e sana dei paesini in riva al lago, le pessime e malsane condizioni igieniche dei quartieri della Milano del suo tempo. 

Non si fa riguardi a disapprovare e a condannare aspramente la politica di chi ha esposto la città di Milano al pericolo delle acque maleodoranti ("triste oziose acque") delle risaie marcite e, per fame di denaro, non ha considerato la vitale importanza del benessere dei cittadini.

Tuttavia, anche i politici colpevoli di non aver preso provvedimenti di tutela della salute pubblica, si trovano a dover respirare l'odore di questo fango bituminoso, paragonato alla palude infernale dello Stige.

Tenete presente, come accennavo prima, l'intelligente intreccio tra un lessico aulico caratterizzato in qualche caso da latinismi ("etere vivace", "egri spirti", "rigid'ale") con un lessico molto realistico ("nuvol di morbi infetto", "orribil bitume"). 

Ho evidenziato solo in questi versi alcune espressioni, anche se la convivenza di differenti registri lessicali permane per tutta la poesia.

La salubrità dell'aria mi ha richiamato alla mente alcune brevi liriche dello Zanzotto maturo, contenute nella sua raccolta intitolata "Sovrimpressioni" e tutte quante incluse nella sezione denominata "Verso i Palù minacciati di estinzione"

I Palù erano zone acquitrinose che, già in epoca medievale, erano state trasformate in scacchiere di prati circondati da alberi e da acqua corrente. 

Ma, alla fine del secolo scorso, l'espansione delle industrie e dell'edilizia, insieme alla decisione di ampliare la rete stradale, ha minacciato l'esistenza dei Palù. 

Ecco dunque che ritengo utile riportare un componimento dal finale molto significativo:

Specchi del Lete
qui riposanti in se stessi
tra mille fratelli e sorelle,
specchi del verde
ad accoglierli attenti
fino a disfarsi in scintille
a crescere in cerchi d’arborescenze
per tocchi
di venti,
di trepidi occhi.

– Pan, dove sei?
– Sì.

Il fiume Lete è il fiume dell'oblio. (Nemmeno qui mancano termini riconducibili al mondo classico greco-romano).

Ma notate gli ultimi due versi: quel "sì" del dio Pan, divinità greca da sempre legata al mondo agreste, equivale ad un "sopravvivo".

vv.67-78:

  1. Ben larga ancor natura
  2. fu a la città superba
  3. di cielo e d’aria pura:
  4. ma chi i bei doni or serba
  5. fra il lusso e l’avarizia 
  6. e la stolta pigrizia?
  7. Ahi non bastò che intorno
  8. putridi stagni avesse;
  9. anzi a turbarne il giorno
  10. sotto a le mura stesse
  11. trasse gli scelerati
  12. rivi a marcir su i prati

Vorrei soffermarmi sulla critica del poeta ai milanesi, ai suoi occhi ignavi e indolenti di fronte all'enorme problema della città in cui vivono:

  1. ma chi i bei doni or serba
  2. fra il lusso e l’avarizia 
  3. e la stolta pigrizia?

La domanda rivela ai lettori la forte indignazione morale di un Parini molto attento all'impegno socio-politico nei confronti di una città definita superba dal momento che è ricca di storia e di monumenti.

"putridi stagni" sono proprio le risaie.

vv.97-108:

Quivi i lari plebei

Da le spregiate crete

D’umor fracidi e rei
Versan fonti indiscrete;

Onde il vapor s’aggira;
E col fiato s’inspira.

Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti

Empion l’estivo die:
Spettacolo deforme
Del cittadin su l’orme!

Per "lari plebei" Parini intende le case dei poveri a Milano. 
Nella Roma arcaica, i Lari erano divinità protettrici delle case romane:

et nos Lases iuvate (x3)

neve lue rue Marmar sins incurrere in pleoris (x3) 

satur fu, fere Mars, limen sali, sta berber (x3) 

semunis alterni advocapit conctos (x3) 

enos Marmor iuvato (x3)

triumpe! triumpe! triumpe! 

Questo appena riportato è il Carmen Arvale (V° sec. a.C?) , canto liturgico dei Fratres  Arvales che onoravano Cerere affinché assicurasse fertilità ai campi. 

Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti
empion l’estivo die.

I cadaveri degli animali, lungo le strade affollate, riempiono l'aria della città di odori tremendi e pestilenziali.

vv.109-120:

Nè a pena cadde il sole
Che vaganti latrine
Con spalancate gole
Lustran ogni confine
De la città, che desta
Beve l’aura molesta.

Gridan le leggi è vero;

E Temi bieco guata:
Ma sol di sè pensiero
Ha l’inerzia privata.
Stolto! E mirar non vuoi
Ne’ comun danni i tuoi?



"Nè a pena"= equivale all' ubi latino ("non appena"). 
Per "vaganti latrine" si intendono le cosiddette navazze stercorarie, che, con i coperchi sempre alzati, contrariamente a quanto stabilito dalle leggi, erano attive tutte le notti nelle città. 
Le leggi gridano... ma, in questo contesto, saranno sicuramente leggi molto simili alle "gride manzoniane", inefficaci, roboanti nella loro forma scritta e ignorate dai prepotenti.
Le disposizioni igienico-sanitarie esistevano e prevedevano sanzioni per i trasgressori. Tuttavia l'egoismo e l'indifferenza dei politici e dei cittadini ("inerzia privata")  prevalgono sul senso civico. 


Non è forse così anche ai nostri giorni?

13 dicembre 2024

IL RAPPORTO TRA UOMO E AMBIENTE IN ALCUNI FILM DI MIYAZAKI:

Il rapporto tra uomo e ambiente è la tematica prevista per queste due settimane.

In questo post presentiamo i contenuti e i significati fondamentali dei film più conosciuti di Hayao Miyazaki, regista conosciuto da tutto il pianeta oltre che figura molto incisiva per la storia dello studio Ghibli.

IL CASTELLO NEL CIELO:

Il castello nel cielo è il terzo film di Miyazaki, uscito in Giappone nel 1986. 

Il film inizia in cielo dove Lusheeta (Sheeta), la ragazzina protagonista femminile, mentre cerca di fuggire dai Pirati dell'Aria, cade dall'aereo in cui vive e si salva levitando delicatamente nell'aria. Cade accidentalmente tra le braccia di Pazu, un coetaneo che vive in un villaggio di minatori.

I principali luoghi in cui si svolge la vicenda di questo film sono tre:

-Il villaggio di Pazu, circondato da campagne, i cui abitanti vivono in semplicità e in povertà. Probabilmente Miyazaki ha voluto ambientare questa sua opera nel Regno Unito di fine XIX° secolo.

-Il cielo, luogo in cui avvengono i combattimenti tra Pazu e Lusheeta da un lato e i miliziani al servizio del malvagio Muska dall'altro.

Muska, uomo viscido e malvagio discendente della stirpe reale di Laputa, desidera impadronirsi di una magica pietra azzurra che la ragazzina porta al collo. 

*Buona parte del film si svolge nel cielo e i personaggi sono a bordo di aeronavi ed elicotteri, a rimando del grande interesse di Miyazaki per l'aviazione.

-Laputa, isola sospesa nel cielo, proprio come nell'opera di Swift intitolata I viaggi di Gulliver. Come nel libro, anche in questo film Laputa è una roccia volante. 

Tuttavia, mentre in Swift quest'isola può essere manovrata attraverso un magnete dai suoi abitanti, dal momento che questi stessi hanno un solido bagaglio di competenze scientifiche; in Miyazaki Laputa è semplicemente un mondo bellissimo, un "locus amoenus" pieno di alberi, prati verdi e fioriti. È una natura che a mio avviso rispecchia l'affetto genuino e sincero tra Pazu e Sheeta. 

Laputa mi ha un po' ricordato la Bersabea delle Città Invisibili di Calvino: infatti anche Bersabea è "sospesa nel cielo" e, oltre a ciò, esiste: "un'altra Bersabea, dove si librano le virtù e i sentimenti più elevati della città, e che se la Bersabea terrena prenderà a modello quella celeste diventerà una cosa sola con essa"

La Laputa di Miyazaki sembra una rappresentazione dell'Eden, ovvero, un mondo estraneo a fatica, dolore, guerre, sete di potere.

Sheeta e Pazu, circondati da adulti meschini, opportunisti e avidi, sono gli unici personaggi del film che instaurano un rapporto di armonia, di meraviglia e di rispetto con la natura.

Credo che la scena più significativa del film sia rappresentata dal gesto di un robot gigante che, proprio a Laputa, porge un fiore a Sheeta, alludendo al bisogno di una relazione di equilibrio tra uomo, tecnologia e natura.

A me Il castello nel cielo è piaciuto molto, lo trovo un film molto chiaro e facilmente comprensibile nei suoi contenuti, scevro da complicati simbolismi, proprio come Il mio vicino Totoro, uscito due anni dopo. 

Sono sincera: a gennaio ho visto con Matthias anche Il ragazzo e l'airone... non l'ho capito. E ultimamente, abbastanza spesso, impallidisco di fronte alle riflessioni cinematografiche (oltre che geopolitiche) di Matthias: nel 2025 dovrà esserci spazio anche per riportare le sue considerazioni a proposito di quest'ultimo film di Hayao.

*Una curiosità: Lusheeta non è un nome giapponese, bensì un nome lapuziano che significa "vera sovrana".

DIFFERENZA FONDAMENTALE CON "IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL":

Il castello nel cielo non mi ha entusiasmato. L'aspetto più riuscito per me consiste nella realizzazione dei disegni e dei paesaggi, probabilmente dipinti ad acquerello.

Non sono riuscito a simpatizzare con i personaggi, nemmeno con i due protagonisti: non appena Pazu e Sheeta si incontrano sembra si conoscano da sempre, non viene rappresentata una relazione in evoluzione perché il loro rapporto sembra una favola romantica.

Un altro lato che mi lascia perplesso è la netta contrapposizione tra bene e male. 

In questo film bene e male sono sempre in antitesi: Pazu è sempre buono, Muska è sempre malvagio e per lui non ci sarà mai una possibilità di riscatto.

Nel Castello errante di Howl invecebene e male coesistono nello stesso personaggio che può anche vivere una maturazione psicologica. 

Howl è ambiguo: è molto bello e giovane quando è accanto a Sophie, diventa mostruoso quando si trova costretto a combattere.

Howl ha però un percorso di maturazione: all'inizio è inconsistente e immaturo, perché non si impegna con le ragazze che corteggia, è viziato visto che si dispera per una tinta di capelli che non gli piace, è infantile perché chiede a Sophie di andare al posto suo a incontrare la regina Suliman. Verso la fine diventa un ragazzo di buon senso e più equilibrato, che ama veramente Sophie.


Sophie all'inizio del film è giovane ma vecchia dentro, senza vita sociale, senza interessi e molto malinconica. Poi, quando la Strega delle Lande, invidiando la sua giovinezza, la trasforma in una novantenne gobba, Sophie diventa più energica e dimostra molto più spirito di iniziativa.

Calcifer in questo film è il demone del fuoco un po' brontolone. Tuttavia è motore del castello semovente ed è utile per cucinare e per scaldarsi.

La Strega delle Lande è vendicativa e molto antipatica all'inizio, poi, con un incantesimo, diventa una vecchietta docile e innocua.

Persino la regina Suliman, sebbene sia molto autoritaria, ha del buono dentro di sé: si preoccupa per il futuro del suo popolo e dimostra un forte senso di giustizia.

Tuttavia Il castello errante di Howl non ha come tema principale il rispetto della natura. Casomai con questo film Miyazaki ha voluto mettere in risalto la contrapposizione tra apparenza e sostanza. 

Però mi chiedo se Il castello errante di Howl possa essere considerato un film antimilitarista, dato che il mondo di Sophie e di Howl è violento e caratterizzato da conflitti. Miyazaki ha forse voluto condannare la guerra? Anche altri suoi film come La città incantata, Si alza il vento e Il porco rosso costituiscono una ferma condanna dei conflitti. Per quali motivi il regista sembra insistere su questo intento? Forse perché da bambino ha subito un trauma (aveva pochi anni durante il secondo conflitto mondiale)? O forse perché, anni fa, era particolarmente contrariato per l'inizio della guerra in Iraq?

Non condivido nessuna delle due ipotesi. Miyazaki è nato nel '41, aveva quattro anni quando la guerra è finita, dubito ricordi qualcosa dei bombardamenti, anche perché, essendo di famiglia altoborghese, ha avuto la possibilità di abitare in campagna. Comunque è probabile che sia stato suggestionato dalle conseguenze drammatiche e disastrose che il dopoguerra ha comportato per il Giappone.

Miyazaki ha condannato l'iniziativa americana in Iraq ma questo, oltre che La città incantata, Si alza il vento Il porco rosso, non sono gli unici film anti-militaristi. Anche L'Airone e Nausicaa nella valle del vento lo sono.

SOMIGLIANZE E DIFFERENZE CON "NAUSICAA NELLA VALLE DEL VENTO":

Anche in Nausicaa nella valle del vento l'inizio del film è in alta quota, in cielo. 

Nausicaa nella valle del vento, film contro le armi nucleari, è ambientato in un futuro distopico in cui una guerra termo-nucleare ha devastato e danneggiato la natura e, nella superficie del Mare della Putrefazione, vivono insetti pericolosi mentre, nelle sue profondità, l'acqua è ancora pura.

Non si tratta certamente di un mondo un po' magico e un po' reale che può rimandare al tardo Ottocento: in Nausicaa nella valle del vento la foresta è diventata mutante, gli abitanti del regno di Nausicaa indossano maschere per proteggersi dall'aria inquinata.

In questo mondo del futuro, solo gli scarafaggi giganti con mille occhi sono a loro agio, mentre gli uomini vivono in piccole comunità diffidenti le une verso le altre. 

Nel Castello nel cielo c'è un protagonista maschile e una femminile, mentre in Nausicaa nella valle del vento c'è un'unica protagonista femminile che rappresenta l'importanza di cercare armonia con la natura. 

Nausicaa è riuscita, in una stanza all'interno della reggia, a coltivare piante non velenose alimentandole con acqua pulita. La ragazza è dotata di poteri extra-sensoriali che le consentono di comunicare con gli animali. È lei l'unica, all'interno del drammatico contesto in cui vive, che può riportare la pace.


*Nausicaa nella valle del vento è ispirato alla tragedia della baia di Minamata del 1956: una fabbrica di fertilizzanti aveva versato abusivamente nelle acque marine grandi quantità di metilmercurio, uccidendo i pesci che a loro volta venivano mangiati dai pescatori, i quali di conseguenza si ammalavano di gravi forme tumorali.

I contenuti del film Nausicaa nella valle del vento può far riflettere anche sui risvolti positivi dell'energia nucleare. 
Noto molta disinformazione in Italia riguardo al nucleare. 
Se entro il 2050 vogliamo azzerare le emissioni nette di anidride carbonica,  dovremmo utilizzare una maggior quantità di energia elettrica, che potrebbe servire a riscaldare case e appartamenti oltre che alimentare le automobili, prodotta con emissioni molto basse o nulle.

Fare affidamento soltanto sulle fonti rinnovabili come ad esempio il fotovoltaico e l'eolico non è una decisione realistica perché si tratta di fonti stagionali e ne servirebbero quantità enormi, insieme con grandi impianti di accumulo per far fronte a molti giorni dell’anno con poco sole e poco vento e alla mancata produzione notturna. Inoltre, come ricorda la Commissione Europea, occorre considerare aspetti di geopolitica, dato che molte materie prime e anche diverse tecnologie per le rinnovabili sono di monopolio extra-Europeo.

Sarebbe meglio considerare la realizzazione delle centrali nucleari visto che hanno emissioni sei volte inferiori al fotovoltaico, generano elettricità in modo continuo e quindi non necessitano di sistemi di accumulo. 

Esiste una prova concreta che smonta i pregiudizi legati alla sicurezza delle centrali: il nucleare è impiegato in modo efficace in tutti i paesi più sviluppati del nostro pianeta con l'eccezione della Germania. Tra l'altro la Tassonomia Verde Europea considera il nucleare, al pari delle altre tecnologie a fonte rinnovabile, “privo di rischi significativi” in tutte le fasi della filiera e oltretutto anche idoneo alla decarbonizzazione.

SOMIGLIANZE CON "IL PORCO ROSSO":

Film contro le guerre e, soprattutto, contro il nazi-fascismo, anche nel Porco rosso è molto evidente la passione di Miyazaki per l'aviazione: Marco, il protagonista, esperto di aviazione, durante la prima guerra mondiale sperimenta la condizione di pre-morte e si risveglia con il volto sfigurato, identico al muso di un maiale.

Nel periodo tra le due guerre, Marco si ritira sulla costa dalmata dove con un idrovolante combatte contro i pirati dell'aria, figure presenti anche qui.

CONFRONTO CON "LA PRINCIPESSA MONONOKE":

Lo ritengo il miglior film di Hayao Miyazaki. L'animazione è fatta soltanto di fotogrammi disegnati a mano.

Il periodo storico a cui si riferisce è l'era Muromachi, nel Giappone del Cinquecento.

Anche qui i protagonisti sono un ragazzo e una ragazza. La protagonista femminile è Mononoke, ragazza allevata dai lupi che nutre astio e avversione per gli umani.

La figura maschile principale è Ashitaka, guerriero del popolo degli Emishi, che, durante una battaglia per difendere il suo villaggio, viene infettato da un cinghiale furioso e indemoniato. 

Si dirige allora verso Ovest in cerca di una cura. Come nell'Odissea Ulisse aveva l'obiettivo di ritornare ad Itaca, anche il viaggio di Ashitaka ha come fine il riscatto dell'umanità dalla colpa di sfruttare eccessivamente la natura e di uccidere gli animali.

Durante il suo viaggio, il guerriero si imbatte in conflitti: uno tra gli animali e gli dei della foresta, l'altro tra gli abitanti della Città del Ferro e le divinità della foresta: Eboshi, regina della città, vuole uccidere il dio Cervo per costruire miniere e demolire gli alberi. 

Tuttavia, la sovrana non è del tutto negativa, dal momento che desidera l'emancipazione femminile: le donne della Città del Ferro lavorano e cooperano tra di loro nelle fabbriche, non dipendono dai padri o dai mariti. Inoltre, i lebbrosi trovano accoglienza nella Città del Ferro proprio grazie alla regina.

Il regista si serve di Eboshi per trasmettere un monito agli spettatori: da secoli la scienza e la tecnologia sono impiegate dagli umani per ottenere maggior potere, per soddisfare l'avidità di denaro e per attuare la sopraffazione sulle specie animali e sugli alberi.

Diventa importantissimo trovare una conciliazione tra tecnologia ed ecologia, proprio come nel Castello nel cielo.

In questo film i personaggi sono molto espressivi mentre la natura è meravigliosa ma al contempo inaccessibile alla ragione umana, terrificante e vendicativa, oltre che molto più forte delle altre creature del film.

5 dicembre 2024

Andrea Mantegna e il suo operato artistico presso i Gonzaga:

Post relativo al talento di Mantegna a servizio dei Gonzaga di Mantova.

ANDREA MANTEGNA-BIOGRAFIA:

Questo pittore italiano è nato nel 1431 a Isola di Carturo in provincia di Padova. Sin da giovanissimo Mantegna tende, nei suoi disegni, agli effetti scultorei e, oltre a ciò, coltiva il suo grande interesse per la cultura antiquaria.

E' stato allievo di Francesco Squarcione e il suo esordio è avvenuto con la realizzazione degli affreschi nella chiesa degli Eremitani a Padova. 

Nel 1460 diventa pittore di corte a servizio dei Gonzaga a Mantova su invito del marchese Ludovico II°. 

Mantegna si è allontanato dalla cittadina soltanto per un viaggio a Firenze nel 1466 e un soggiorno a Roma tra il 1488 e il 1490.

CARATTERI DELLA PITTURA DI MANTEGNA:

Pannonio, artista e storico dell'arte ungherese contemporaneo a Mantegna, ha composto un'elegia in suo onore lodandolo per la verosimiglianza raggiunta nei ritratti e paragonando il talento di Mantegna all'abilità di Apelle, pittore antico.

I caratteri fondamentali della pittura di Andrea Mantegna consistono infatti nell'ispirazione all'arte classica, nel realismo, ottenuto soprattutto realizzando ritratti dal vivo e nell'impiego della prospettiva per realizzare effetti di profondità nella pittura.

29 novembre 2024

IL PRINCIPE, N. MACHIAVELLI (PT.2):

Proseguiamo con la riflessione su altri capitoli.

CAP. XVIII°:

("In che modo i Principi debbano mantenere la fede")

Dovete adunque sapere come sono dua generazione di combattere: l'uno con le leggi, l'altro con la forza; il primo è proprio dell'uomo, quel secondo delle bestie: ma, perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo.

In questo passaggio Machiavelli sostiene che i governatori debbano essere in grado di ricorrere sia alla ragione sia alla brutalità.

L'accezione che l'autore in questo punto dà al termine forza mi fa pensare immediatamente alla βία greca, sostantivo che accomuna la forza con la violenza. 

Ben diversi, in greco antico, sono altri due famosi sostantivi associati al concetto di forza:

-δύναμις, che sottintende una forza associata ad un movimento.

-κράτος, equivalente a "potere". Tra l'altro, nella mitologia greca, Kratos si era alleato con Zeus per sconfiggere i Titani.

Il ragionamento di Machiavelli prosegue: un buon Principe deve essere forte come un leone e astuto come una volpe.

Apro una brevissima parentesi culturale: sin dall'Antichità e dalle favole di Esopo e di Fedro la volpe è l'emblema dell'astuzia... in senso non molto positivo. 

L'autore poi prosegue:

Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro, e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E, se li uomini fussero tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono: ma, perché sono tristi e non la osservarebbano a te, tu etiam non l'hai ad osservare a loro. Né mai a uno principe mancorono cagioni legittime di colorare la inosservanzia.

Ma è necessario (...) essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini, e tanto obbediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare.

(...) Debbe adunque avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte qualità e paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto relligione. E non è cosa più necessaria a parere di avere che questa ultima qualità.

I Principi non si possono convocare a giudizio. Possono rompere i patti solo se a loro stessi non conviene mantenerli. Da qui credo derivi il motto, attribuito a Machiavelli: "Il fine giustifica i mezzi". Ma è davvero così?

Infine, il Principe deve far finta di avere molte qualità visto che il popolo tende a giudicare solo le apparenze. L'autore cita come esempio Ferdinando il Cattolico: "...non predica mai altro che pace e fede, e dell'una e dell'altra è inimicissimo..."

Per me in questo trattato acquisisce un ruolo importante anche il tema del rapporto tra apparenza e realtà: il principe deve saper simulare e dissimulare, ovvero, deve costruire un'immagine di sé che sia efficace agli occhi dei cittadini-sudditi e che corrisponda alle loro aspettative.

CAP. XIX°:

("In che modo si debba fuggire l'essere disprezzato e odiato")

Il Principe deve evitare azioni che possano renderlo inviso al popolo:

...uno principe debbe tenere delle congiure poco conto, quando el populo li sia benevolo; ma, quando li sia inimico et abbilo in odio, debbe temere d'ogni cosa e d'ognuno.

(...) Di nuovo concludo che uno principe debbe stimare e' grandi, ma non si deve far odiare dal populo.

Segue immediatamente dopo la menzione al Parlamento Francese, istituito durante il regno di Luigi IX° e divenuto in seguito fisso con sede a Parigi per decisione di Filippo il Bello che, oltretutto, ne modifica il carattere feudale aggiungendo il "terzo stato". Per Machiavelli, il parlamento limita l'eventuale prepotenza i potenti.

Inizia poi quello che per i lettori può essere considerato un valido ripasso della storia di buona parte della Roma imperiale. Machiavelli elenca una carrellata di imperatori romani ostacolati o dall'avidità e dalla crudeltà dell'esercito, o dal popolo insolente oppure dalle ambizioni dei potenti attorno a loro.

Ma, anche qui, non mancano esempi positivi di governo. Ne riporto soltanto alcuni.

-Marco Aurelio è definito dal trattatista "onoratissimo": ha fronteggiato con energia e autorevolezza le irruzioni dei Marcomanni nella Pannonia.

-Commodo (180-192), successore del saggio Marco Aurelio e profondamente diverso, di indole crudele e corrotta, è morto vittima di una cospirazione nel 192.

-Settimio Severo (193-211) invece era "volpe e leone al contempo": ha riorganizzato le coorti pretoriane e ha dato maggior rilievo alle reclute barbare nell'esercito. Oltre a ciò, ha rinforzato le entrate statali a spese dei latifondisti. 

-Caracalla (211-217), figlio di Settimio Severo, dopo aver ucciso il fratello Geta,  ha aumentato lo stipendio dei soldati, includendo anche reclute di origine germanica. Ma con le sue politiche a favore soltanto dell'apparato militare si è reso odioso agli occhi dei senatori. E così, durante una spedizione militare contro i Parti, è stato assassinato da Macrino, prefetto del pretorio.

-Alessandro Severo (222-235) è stato trucidato dai soldati. Di indole mite e tollerante, dal momento che consentiva il sincretismo religioso, ha rispettato le prerogative del Senato senza imporre pressioni fiscali alla plebe. Durante una battaglia lungo il fiume Reno è stato ucciso dall'esercito ribelle.

CAP. XX°

("Se le fortezze e molte altre cose, che ogni giorno si fanno da Principi, sono utili o no")

All'inizio del presente capitolo Machiavelli si chiede se sia più opportuno armare o disarmare il popolo.

Non fu mai, adunque, che uno principe nuovo disarmassi e' sua sudditi: anzi, quando li ha trovati disarmati, li ha sempre armati; perché armandosi, quelle arme diventono tua, diventono fedeli quelli che ti sono sospetti, e quelli che erano fedeli si mantengono, w di sudditi si fanno tua partigiani.

Nella necessità quindi, il popolo combatterà per il Principe che non deve temerlo al punto da disarmarlo.

Inoltre, è abitudine dei Principi costruire fortezze per difendersi dai nemici o, comunque, da chi vuole invadere o conquistare il loro territorio.

L'autore porta come esempio Guido Ubaldo, figlio di Federico da Montefeltro, era stato cacciato da Urbino nel 1502 da Cesare Borgia. Una volta ritornato, ha fatto demolire tutte le fortezze presenti nei dintorni della sua città e, al posto di queste, Ubaldo ha preferito potenziare lo sfarzo e lo splendore della sua corte.

L'autore conclude in questo modo il capitolo: 

Però la migliore fortezza che sia, è non essere odiato dal populo...

(...) Considerato, adunque, tutte queste cose, io lauderò chi farà le fortezze e chi non le farà, e biasimerò qualunque, fidandosi delle fortezze, stimerà poco essere odiato da' popoli.

CAP XXV°:

("Quanto possa la Fortuna nelle cose umane, e in che modo se li abbia a resistere")

Non mi è incognito come molti hanno avuto et hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate dalla fortuna e da Dio, che li uomini con la prudentia loro non possino correggerle, anzi, non vi abbiamo remedio alcuno.

L'autore presenta l'idea, ancora diffusa, che la Fortuna sia imperscrutabile e imprevedibile come la volontà divina.

...iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra metà o presso, a noi.

Secondo l'idea dell'autore hanno successo politico soltanto i Principi che riescono a mettere in sintonia le loro azioni con le circostanze esterne.

La Fortuna è subito dopo paragonata ad un fiume impetuoso, per questo motivo è importante che i Principi, nei periodi di quiete e di pace, si preparino pensando all'avvento di tempi più difficili. 

Verso la fine della trattazione si delinea dunque quel che per Machiavelli significa la parola "virtù", intesa come la capacità di incidere sul proprio destino modificando gli eventi.

Porta come esempio Giulio II°, personalità impetuosa ma funzionale alle circostanze dell'epoca.

Il finale del presente capitolo è di stampo sessista: 

...perché la fortuna è donna; et è necessario, volendola tenere sotto, batterla et urtarla.

CAP. XXVI°:

("Esortazione a pigliare l'Italia e liberarla dalle mani dei Barbari")

Quest'ultimo capitolo Machiavelli si dimostra un po' ingenuo e un po' lecchino. 

L'autore auspica che un condottiero prenda in mano la bandiera italiana. Nel XVI° secolo, l'Italia è divisa, priva di un capo e saccheggiata da eserciti stranieri. Gli attuali capi di regni e ducati nella penisola italiana non sono autorevoli e, per di più, i loro ordinamenti militari appaiono superati. La monarchia è quindi la forma di governo più adeguata per poter unificare l'Italia.

Machiavelli, perfettamente cosciente del fatto che l'Italia del suo tempo è teatro di scontro tra Francia e Spagna, si augura che siano i Medici ad avviare un processo di unificazione dell'Italia, dal momento che godrebbero dell'appoggio della Chiesa. 

L'ultimo capitolo del Principe invita i lettori a porsi una domanda: ai giorni nostri, sulla base di quali caratteristiche una persona può essere definita "italiana"? Chi è italiano? Soltanto chi ha la pelle bianca, chi è nato in Italia e chi parla la lingua italiana? Questa è l'unica definizione ammissibile di "cittadino italiano" oppure è un luogo comune proveniente da idee nazionaliste?

Nel capitolo XXVI° la possibilità di riscatto è contenuta nell'esortazione a reagire. 

Il trattato si conclude con la citazione di alcuni versi della canzone "All'Italia" di Petrarca:

Virtù contro a furore/ prenderà l'arme, e fia el combattere corto:/che l'antico valore/nelli italici cor non è ancor morto.

Questo componimento è contro l'individualismo politico: come se si volessero persuadere i potenti ad agire con valori etici.