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27 giugno 2025

"Grazie ragazzi": la cultura può essere una modalità di riscatto?

Grazie ragazzi è un film il cui attore protagonista viene interpretato da Antonio Albanese, figura a  mio avviso di grande talento nel mondo dello spettacolo italiano.

A) CONTENUTI DELLA PRIMA PARTE DEL FILM:

Antonio è un attore  che conduce una vita molto modesta, dato che la sua condizione lavorativa risulta ancora precaria, nonostante sia un adulto vicino alla sessantina

La sua più recente occupazione consisteva nel doppiare scene di film porno.

È vedovo e la sua unica figlia vive e lavora all'estero. 

Si vergogna di rivelare alla figlia, che vede raramente, la propria condizione lavorativa e, all'inizio, appare un personaggio un po' spento e comprensibilmente frustrato. 

A causa di una prolungata carenza di buone offerte lavorative nel suo settore, l'interesse per il suo mestiere sembra essersi smorzato.

Il personaggio principale di questo film vive in una casetta, il cui arredamento è essenziale, vicina ai binari di una ferrovia.

Una mattina Michele, un suo ex collega di recitazione teatrale, nonché amico di lunga data, gli propone di insegnare in un laboratorio di teatro rivolto ad alcuni carcerati di Velletri, convincendolo soprattutto così: "Monta su quel palco e dimostra a tutti che sei ancora vivo! Tu mi ringrazierai: questa è una di quelle esperienze che ti riportano alle radici profonde del nostro mestiere".

Naturalmente anche questa offerta di lavoro è a tempo determinato: si tratta infatti di sole sei ore di lezioni. Le adesioni, da parte dei detenuti, sono pochissime.

Nonostante le difficoltà dovute soprattutto alle tempistiche, i carcerati coinvolti riescono a mettere in scena con buoni risultati la favola della lepre e la tartaruga.

Successivamente Antonio, profondamente colpito da alcune storie di vita dei detenuti, riesce a convincere tutto il personale del carcere a proporre un laboratorio teatrale di maggior durata.

B) RECITARE PUÒ ESSERE UN'ESPERIENZA FORMATIVA?

Inizia quindi un'avventura educativa e formativa intensa, faticosa e incredibile: Antonio si dimostra un docente molto determinato, un motivatore che, con metodo e carisma, riesce a far emergere le potenzialità dei suoi attori, i quali devono impegnarsi per imparare bene il testo di Waiting for Godot, l'opera con la quale il loro insegnante aveva debuttato da giovane:

"Reciterete in un teatro vero, ci sarà un pubblico, i vostri amici, le vostre famiglie. Ma dovete lavorare e mai scoraggiarvi. Vi fidate di me?", dice il maestro Antonio all'inizio della prima lezione del nuovo corso di recitazione.


Tuttavia, le prime lezioni del laboratorio teatrale sono in salita, soprattutto per Antonio, che si trova a dover rimproverare con grande amarezza i suoi pochi attori a causa del loro impegno insufficiente e dei loro significativi ritardi.

La figura di Laura, direttrice del carcere, non mi è affatto dispiaciuta: inizialmente scettica riguardo l'idea di Antonio, diviene ben presto una fidata sostenitrice supportandolo in alcuni momenti e facendo notare ai detenuti che Antonio crede in loro; per questo ha spontaneamente voluto dedicare il suo tempo al corso.

A poco a poco, i carcerati imparano a rispettare il tempo di Antonio, arrivando puntuali, ben preparati e più volonterosi.

Il protagonista riconosce, con soddisfazione ma al contempo con concretezza e realismo, i progressi dei suoi allievi:"Damiano non sa scrivere, balbetta. Ma ha imparato un monologo di tre pagine, come scalare l'Everest. Qui l'Everest lo stiamo scalando tutti".

In questo film, sembra quasi che la letteratura stimoli e aiuti i detenuti a responsabilizzarsi a proposito di un impegno preso e sembra anche uno strumento utile sia per affrontare le difficoltà sia per condividere con gli altri e con l'insegnante le proprie emozioni e le proprie risorse.

C) "WAITING FOR GODOT" E LA CONDIZIONE DEI DETENUTI:

Il maestro Antonio e i suoi allievi ottengono il successo: infatti riescono ad esibirsi in più teatri italiani ma... ogni sera, quando rientrano in carcere, i carabinieri sottraggono agli attori qualsiasi omaggio ricevuto dal pubblico, anche oggetti donati da mogli, compagne e figli dei detenuti.

Abbastanza toccanti, a mio avviso, risultano i momenti in cui i detenuti salutano, ritrovano e abbracciano i loro familiari alla fine di ogni performance.

A nulla servono le repliche e le rimostranze di Antonio che chiede ai carabinieri dei turni della notte di trattare i detenuti in modo più umano, dato che per lui non esiste un valido motivo affinché i carcerieri li perquisiscano dopo il termine di ogni spettacolo.

Gli attori, con il tempo, si ritrovano ad essere sempre più insofferenti a queste prassi di controllo che sembrano non riconoscerli in quanto persone che possono ottenere anche soddisfazioni e gratificazioni nelle loro temporanee uscite al di fuori del carcere.

Prima della grande e fatidica rappresentazione presso il Teatro Argentina di Roma, il gruppo di attori decide di fuggire per le strade di Roma.

Radu, anziano di origini rumene, è l'unico che rimane: infatti non ha un luogo in cui poter andare né una famiglia che lo attenda.

Così Antonio si ritrova senza attori ma, invece di infuriarsi, decide di comparire da solo al centro del palcoscenico e, con un magistrale monologo, racconta al pubblico e alle autorità presenti il percorso svolto con i detenuti, non mancando di istituire un parallelismo con la commedia di Beckett.

Riporto qualche frase significativa pronunciata da Antonio:

"Beckett lo abbiamo recitato, ma con questi ragazzi si è riempito di significato. Godot è il primo spettacolo che abbiamo fatto insieme, è la nostra storia, siamo noi."

Infatti, se Godot è un'entità che non si palesa mai davanti a Vladimir ed Estragon, due personaggi in perenne condizione di attesa, i carcerati, privati della loro libertà a causa di errori e azioni pericolose o illegali nei confronti della società, si ritrovano dietro le sbarre delle celle ad attendere sia il giorno e l'ora dei colloqui con i parenti sia il momento in cui saranno liberi di ritornare dalle loro famiglie.

Alla fine del monologo, Antonio dice, commosso: "Grazie ragazzi!".

L'esperienza di insegnante di teatro in un contesto così complicato e così difficile è servita anche al protagonista di questo film dal momento che ha riacquisito serenità e fiducia in se stesso come professionista.

Definirei il finale dolce-amaro: al di là del discorso significativo di Antonio di fronte a centinaia di spettatori, la fuga degli attori fallisce, dato che la polizia li riporta a Velletri e la rappresentazione, salta. Peccato. Sarebbe stata l'unica vera occasione per dimostrare ad alcune personalità del panorama politico e giudiziario che un corso di teatro può far risvegliare le potenzialità di chi, considerato delinquente, è sempre stato socialmente svantaggiato. 

D) UNA FONTE DI ISPIRAZIONE:

Grazie ragazzi è ispirato al film francese Un Triomphe il cui protagonista è l'attore Jonson che, negli anni ottanta, ha organizzato e coordinato un corso di teatro per i detenuti nel carcere svedese di Komla.

Anche per Johnson, prima di accettare il ruolo di insegnante di teatro nel carcere, le difficoltà economiche erano avvilenti e, proprio come Antonio, è riuscito ad instaurare un rapporto di fiducia con gli attori apprendisti.

20 giugno 2025

"Resurrezione", Lev Tolstoj (parte seconda):

Riprendo le fila della recensione con un focus sulla figura di Dmitrij Nechljudov: a seguito del processo che condanna ingiustamente Katjusa, il giovane cambia il proprio stile di vita. 
Infatti le sue giornate, da oziose e monotone, divengono molto intense. 

Il principe Nechljudov infatti non ha più tempo per pensare a se stesso: rompe una frequentazione con una ragazza di famiglia aristocratica, si reca presso le carceri ogni giorno per incontrare i prigionieri. 

Inoltra poi le loro richieste agli amministratori, i quali puntualmente le banalizzano ed esortano anzi Dmitrij a rientrare in servizio nell'esercito dello zar e a non essere troppo compassionevole con i delinquenti.

Ad ogni modo, Nechljudov ottiene un piccolo risultato positivo per i carcerati. Infatti riesce a fare in modo che gli incontri settimanali con parenti e familiari avvengano in alcune stanze, non in un parlatorio comune diviso da una doppia grata:

"Come quello degli uomini, il parlatorio delle donne era diviso da una doppia grata, ma meno largo poiché il numero dei visitatori e delle prigioniere era minore. Il gridare e il vociare però non era meno assordante. Anche qui un sorvegliante passeggiava tra le due grate: era un guardiano con galloni sulle maniche della divisa, con risvolti e cintura blu. Anche qui tutti si pressavano contro le grate: da una parte i visitatori vestiti in modo diversi e dall'altra parte le prigioniere (...) Non c'era un posto libero accanto alle grate, anzi alcuni dovevano alzarsi in punta di piedi e gridare sopra la testa delle persone davanti a loro."

Ma come si fa?!! Questa è una grave violazione della dignità e della possibilità di sentire e di poter comunicare!!

Nella Russia zarista i prigionieri non hanno neanche il diritto di usufruire di momenti di vero scambio relazionale con i propri parenti! Praticamente vengono privati anche del conforto esterno! 

Oltretutto, la presenza del sorvegliante tra le due grate appare finalizzata a ricordare costantemente la loro condizione di detenuti, non tanto di persone.

A proposito di Nechljudov: dal momento che inizia a ritenere superflue le sue ricchezze, decide di cedere parte delle proprie terre ai contadini.

Da anziano, Tolstoj voleva attuare il medesimo proposito.

Ecco come si svolge il dialogo con i braccianti, una mattina d'estate:

"Nechljudov fece sforzi per dominare il proprio imbarazzo e cominciò a manifestare ai contadini la propria intenzione di cedere loro la terra. I contadini tacevano e dall'espressione del loro viso non si notava nessun cambiamento.

-Perché io ritengo- disse arrossendo Nechljudov- che ognuno ha uguale diritto di godere la terra.

Nechljudov continuava a dire che il reddito della terra doveva essere distribuito tra tutti loro e che perciò intendeva cedere la sua proprietà dietro pagamento di un canone, fissato da loro stessi, con il quale si sarebbe costituito un capitale sociale per i bisogni generali.

(...) Nechljudov parlava abbastanza chiaro e i contadini erano abbastanza intelligenti, ma non lo capivano, né lo avrebbero potuto capire per la stessa ragione per cui il fattore non l'aveva capito. Essi erano convinti che ogni persona cerca esclusivamente il proprio interesse."

I maltrattati e gli sfruttati dalla società la pensano così ma, d'altronde, anche ai giorni nostri, quanti opportunisti ci sono?

5) EPISODI DI ANGHERIE NELLE CARCERI ZARISTE:

5a)  VASILJEV:

L'episodio relativo a questo detenuto invita i lettori a chiedersi: Può crearsi una forma di solidarietà tra i carcerati?

"In tutte le camerate quel giorno la conversazione era insolitamente animata: si parlava di due detenuti che dovevano essere bastonati per punizione. Uno dei due prigionieri era un giovane intelligente e istruito, un commesso di nome Vasiljev che aveva ucciso l'amante in un eccesso di gelosia. i suoi compagni di camerata gli volevano bene per la sua giovialità, per la sua generosità e la sua fermezza nel tener testa ai secondini. Egli conosceva i regolamenti e ne esigeva l'osservanza. Tre settimane prima un guardiano aveva picchiato un prigioniero adibito al trasporto della minestra che gliene aveva versato un po' sulla divisa nuova. Vasiljev prese le parti del compagno dicendo che il regolamento non ammetteva le percosse ai detenuti. (...) il guardiano si mise ad insultare Vasiljev il quale rispose per le rime e, poiché il guardiano stava per picchiarlo, gli afferrò i polsi e, tenutolo stretto per qualche minuto, lo scaraventò poi fuori dalla porta. Fu fatto rapporto e di conseguenza Vasiljev venne relegato in cella di segregazione. Era questa una fila di celle buie, chiuse a chiavistello dal di fuori. Nell'oscurità umida e fredda non c'erano né giaciglio, né tavolo, né sedia, di modo che il prigioniero doveva sedersi e coricarsi sul sudicio pavimento.

Vasjliev aveva dichiarato di non andare in segregazione perché non si sentiva colpevole, ma vi fu condotto a forza."

"(...) Al governatore fu subito fatto rapporto che nel carcere era accaduto qualcosa di simile ad una sedizione; in risposta era venuto un ordine che condannava il principale colpevole a trenta colpi di bastone."

Questo è il tipico abuso di potere.

Come avrete notato, i regolamenti vengono evasi dalle guardie che esercitano prepotenza.

La cella di segregazione è un ambiente nel quale il detenuto sta senza alcun contatto con gli altri. In Italia, la cella di segregazione è riservata ai detenuti considerati rischiosi per la sicurezza del personale carcerario oppure è anche una sorta di "custodia protettiva" finalizzata a separare alcuni condannati dagli altri carcerati che potrebbero linciarli, in modo tale da evitare la loro morte. Si tratta del caso di Raimondo Caputo, lo stupratore e assassino di Fortuna Loffredo, morta soli sei anni e considerata dal grande ed eccelso Corrado Augias una "bambina vestita in modo provocante". Complimenti per l'uscita perspicace che, all'estero, sarebbe stata premiata prima di tutto con l'estromissione da tutti i canali televisivi e poi anche con l'obbligo di lavori socialmente utili! In Italia no, evidentemente non riconosciamo apporti intellettuali di tal calibro, perché si applaude all'autore di un commento del genere.

Comunque, i detenuti italiani sottoposti alla pena dell'articolo 41 bis si trovano in stato di completo isolamento per aver commesso reati mafiosi o atti terroristici.

Nelson Mandela considerava l'isolamento carcerario l'aspetto peggiore della vita di un prigioniero, dal momento che, a lungo andare, provoca effetti psicologici negativi per la salute mentale: ansia, rabbia, distorsioni percettive, deliri e paranoie.

5b) LE DEPORTAZIONI PER I LAVORI FORZATI IN SIBERIA:

Siamo a buon punto del romanzo quando Tolstoj ci narra le modalità in cui avvengono le deportazioni di massa dei prigionieri dalle carceri ai campi di lavoro in Siberia.

Siamo nel mese di luglio e, inevitabilmente, qualche carcerato muore per colpo di sole:

"Nechljudov scese dalla vettura avvicinandosi al gruppo. Steso sul selciato sconnesso del marciapiede con la testa più bassa dei piedi giaceva un detenuto non più giovane, in divisa grigia, con la barba rossiccia, la faccia congestionata, il naso camuso, le mani allargate, irrigidite e di tanto in tanto sollevava il petto in un faticoso respiro, fissando il cielo con gli occhi immobili, iniettati di sangue. 

(...)

-Prima li indeboliscono tenendoli in prigione e poi li costringono a camminare quando il sole brucia- disse il commesso rivolto a Nechljudov."

Tolstoj si dimostra abile nel descrivere minuziosamente lo stato, la condizione disperata del prigioniero, vittima dell'insensibilità umana.

Successivamente, l'autore esplicita che una parte dei prigionieri sale su un treno, molti altri invece si ritrovano costretti a percorrere centinaia di chilometri a piedi, sotto un sole cocente, ben sorvegliati, mentre Nechljudov, come avrete intuito dalla citazione precedente, li segue in carrozza. 

Tuttavia, nei momenti in cui il principe cerca di interagire con i prigionieri che riconosce sporgendosi dal finestrino della carrozza, viene severamente rimproverato da una delle guardie.

6) I TIPI DI CONDANNATI:

Nel giro di alcuni mesi, Nechljuodv entra a stretto contatto con i prigionieri e giunge alla teoria che li suddivide in cinque categorie:

"Alla prima categoria appartenevano persone assolutamente innocenti, vittime degli errori giudiziari come Mensov, la Màslova e gli altri."

Ecco, a me viene in mente Omar Assan, assolto dopo ben sedici anni di galera. Era stato condannato per aver ucciso la giornalista Ilaria Alpi, quando in realtà era innocente.

"La seconda categoria comprendeva gli individui condannati per delitti commessi in circostanze eccezionali, per ira, gelosia, ubriachezza e simili, delitti che avrebbero probabilmente commesso anche coloro che li avevano giudicati e puniti, se si fossero trovati nelle stesse circostanze."

Io però, da lettrice del XXI° secolo, considero quest'ultima frase come una giustificazione per il femminicidio.

Non si possono assolutamente giustificare uomini eccessivamente possessivi o comunque, assolutamente incapaci di governare le emozioni. C'è qualcosa di bestiale allora, in questi umani che commettono delitti d'onore o stroncano la vita di una persona per rabbia o per aver bevuto troppo.

Però il pensiero di Tolstoj è giustificabile perché figlio del suo tempo.

Intanto però, una donna perde la vita e nessuno potrà mai restituirgliela. E chi l'ha uccisa deve pagare, almeno dal punto di vista legale-giudiziario.

"La terza categoria era costituita da persone condannate per aver commesso atti che ai loro occhi erano normali (...), ma che legislatori e giudici ritenevano delitti."

Qui Tolstoj si riferisce per esempio a chi deruba le chiese e anche a chi vende prodotti senza licenza, per guadagnarsi da vivere in un modo che la legge non considera regolare. 

Questo accade solitamente o per miseria o per mancanza di cultura.

"Della quarta categoria facevano parte coloro che, per essere di una dirittura morale superiore alla media, erano stati messi in prigione."

Questa quarta categoria viene approfondita dall'autore nelle ultime cinquanta pagine del romanzo: si tratta di oppositori politici, di adepti al socialismo, di contestatori del sistema economico e legislativo della Russia zarista. 


Quindi, della quarta categoria fanno parte coloro che dimostrano e manifestano spirito critico verso l'autorità, come ad esempio i giovani iraniani che si stanno ribellando alla dittatura degli Ayatollah oppure... come Navalnij.

"Infine, nella quinta categoria erano inclusi individui colpevoli verso la società, ma verso i quali è ancor più colpevole la società che li abbandona e li opprime (...)".

Io, leggendo questo punto, ho pensato agli adolescenti di Scampia cresciuti solitamente con genitori noncuranti, oppure abusanti e delinquenti. 


Questi ragazzi, maltrattati dapprima dalla famiglia e poi dalla società, abbandonano la scuola prima della fine del percorso scolastico e incappano nella droga o nei giri di criminalità organizzata perché in certe zone d'Italia manca una rete sociale di supporto e l'assistenza sociale non è efficace.

7) FINALE DEL ROMANZO:

Anche Katjusa Màslova finisce in Siberia. 

Tuttavia, anche dentro di lei è avvenuto un cambiamento interiore: smette di considerare il sesso opposto esclusivamente come ricercatore di piacere e accetta la proposta di matrimonio di un prigioniero politico.

A lei basta nutrire una stima pacata per qualcuno e quindi accasarsi. Dopo anni di prostituzione e dopo una condanna umiliante, la giovane donna non desidera altro che un po' di serenità e di quieto vivere.

8) L'INCONTRO DI NECHLJUDOV CON UN MENDICANTE:

Questo vecchio mendicante è una figura anonima che compare soltanto alla fine del romanzo, proprio nelle ultimissime pagine. Viene arrestato e portato in una cella dalle guardie.

Proprio in un corridoio del carcere apostrofa il principe in questo modo, senza timidezza alcuna:

-"Allora, sei venuto a vedere come l'Anticristo tortura gli uomini? Guarda bene. Ne ha presi e ne ha imprigionati tanti quanti un esercito. Gli uomini dovrebbero guadagnare il pane con il sudore della fronte; l'Anticristo invece li tiene imprigionati, li nutre senza farli lavorare, come porci, perché vuol farli diventare bestie."

Le carceri rendono davvero migliori? 

Secondo Zerocalcare no, dato che dovrebbero includere una finalità educativa, di vero riscatto sociale, oltre che garantire condizioni igienico-sanitarie decenti. 

Esistono, in qualche stato del mondo, delle carceri che possano essere anche luoghi educativi? Come renderli tali?

Non lo so. 

A tal proposito mi piacerebbe richiamare all'attenzione un episodio compreso nella seconda stagione della serie britannica Black Mirror. Mi riferisco a White bear, dove Victoria, una donna ancora giovane, non ricorda nulla di se stessa: si sveglia in un villino deserto e, non appena esce in giardino, incappa o in persone che le puntano il fucile contro, oppure in altre che la filmano senza rispondere alle sue domande.

Verso la fine del racconto noi spettatori, come Victoria, scopriamo che la quotidianità della giovane signora consiste in una sorta di teatrino con tanto di pubblico al fine di punirla e umiliarla per il reato di concorso in omicidio: la protagonista avrebbe aiutato il fidanzato a rapire e uccidere una bambina in un bosco, filmando oltretutto il partner mentre bruciava i resti della piccola. 

Il carcere di Victoria è un villino piuttosto asettico e il suo pane quotidiano sono le offese, le minacce di morte, le derisioni che subisce e, oltre a questi, i filmati e le fotografie che le vengono scattate.

Tremenda è la scena in cui Victoria, all'interno di un'auto-carrozza, viene esibita ad un pubblico che deve, su ordine del carceriere, urlarle i peggiori improperi e lanciarle addosso qualsiasi cosa.

Victoria è responsabile di un crimine molto grave, quindi deve pagare a mio avviso con l'ergastolo, deve essere sicuramente punita ma non così orrendamente umiliata. Il suo disagio è pretesto di spettacolo e le persone, sadiche e piene di livore che godono al vederla soffrire non sono affatto esempi di moralità.

A Victoria, attraverso sofisticate tecnologie, è stata cancellata la memoria. Per questo dispone di pochissimi vaghi ricordi del passato.

Ma quanto è inutile un carcere-zoo di questo genere? Che gusto si prova a vivere un'esistenza da prigioniera come questa e che gusto si prova a recarsi in un largo e ampio giardino per riservare angherie a qualcuno?

Il mio episodio preferito della serie Black Mirror è in realtà Fifteen million merits. Ma anche Be right back mi è piaciuto molto, perché la tematica è la stessa del film I'm your man.

Comunque, a conclusione del post, vorrei riportare un monito che questo anziano mendicante rivolge a Dmitrij:

-"E tu interessati dei fatti tuoi e non occuparti degli altri. Dio solo sa chi punire e chi premiare: gli uomini non lo sanno. (...) Ma vai pure per la tua strada. Hai visto come gli Anticristi fanno mangiare dai pidocchi le creature umane?"

A seguito di questo incontro per Nechljudov si apre una nuova fase di vita. Tornato al sua appartamento, il principe inizia a leggere attentamente il Vangelo di Matteo e, da quel momento in poi, continua a rinunciare al lusso, ai viaggi all'estero, alle amanti, ai capricci materiali e sentimentali. 

Inizia a condurre una vita decisamente più sobria, imperniata sulla generosità, sulla sobrietà e sulla carità, gli stessi valori in cui credeva da adolescente, prima di conoscere Katka Màslova.

In questo romanzo, insomma, c'è un personaggio maschile fondamentale che compie un significativo percorso di formazione, finalizzato a farlo ridiventare fedele a se stesso.



13 giugno 2025

"Resurrezione", Lev Tolstoj (parte prima):

12) IL CARCERE E I CARCERATI

Tenevo molto a questo percorso tematico. 

Probabilmente è l'argomento più impegnativo del 2025 e cade proprio all'inizio dell'estate. Sto infatti per presentarvi un'opera appartenente ad una letteratura di altissima qualità. 

Ad ogni modo, adoro Tolstoj per il suo notevole talento letterario, per la sua enorme intelligenza e la sua straordinaria levatura morale.


1) INCIPIT DEL ROMANZO:

"Gli uomini, riuniti in una modesta località di alcune centinaia di migliaia di abitanti, avevano un bello sforzarsi nel deturpare quella terra sulla quale si stringevano, nel conficcare pietre nel terreno affinché nulla più vi crescesse, nello strappare ogni erbetta capace di aprirsi un varco, nel fare fumo col carbon fossile ed il petrolio; nel tagliare gli alberi e scacciare tutti gli animali e tutti gli uccelli: la primavera era primavera anche in città."

In queste prime frasi già si fa accenno al tema del rapporto tra uomo e natura. 

Nel secondo Ottocento la Russia è ovviamente un paese agricolo ma, grazie ad alcune iniziative statali come ad esempio il protezionismo, inizia lo sviluppo dell'industria pesante.

"Il sole riscaldava, l’erba, rivivendo, cresceva e verdeggiava dovunque, là dove non la strappavano, non solo nelle zone erbose di viali, ma anche in mezzo alle lastre di pietra; le betulle, i pioppi, i ciliegi selvatici dispiegavano le loro foglie odorose e fragranti, ed i tigli gonfiavano le loro gemme ormai pronte a sbocciare; le cornacchie, i passeri ed i colombi nella gioia primaverile già preparavano i loro nidi, e le mosche ronzavano vicino ai muri delle case, riscaldati dal sole. Piante ed uccelli, insetti e bambini erano felici. 

Ma gli uomini – i grandi, gli adulti – non smettevano d’ingannare e di tormentare se stessi e gli altri. Gli uomini pensavano che santa ed importante non fosse quella bella mattina primaverile, quella bellezza della creazione di Dio, donata per il bene di tutti gli esseri, per disporli alla pace, alla concordia, all’amore; ma solo sacro ed importante fosse ciò che essi stessi inventavano per dominare gli uni sugli altri."

A proposito dell'ultima frase: anche ai nostri giorni è così. In effetti pensate prima di tutto alle disuguaglianze economiche mondiali, dovute agli effetti di secoli di colonizzazione e poi, ad esempio, anche a molte dinamiche lavorative in Italia, basate sulla precarietà, sullo sfruttamento, sull'incertezza nell'avvenire, non certamente sul rispetto per le reali capacità dei dipendenti.

Questo è un incipit narrativo che mi ricorda il pensiero di Leopardi il quale, nello Zibaldone, riteneva la ragione umana, molto legata ai progressi della civiltà, la principale causa dell'infelicità in età adulta. 

Ho la seguente impressione per quel che concerne il nostro tempo: diverse persone in età adulta e lavorativa, anche se non lo esplicitano, sono in fin dei conti consapevoli del fatto che i beni materiali non portano alla felicità e quindi, soddisfano di tanto in tanto il bisogno di coltivare amicizie, conoscenze e piacere del contatto con la natura organizzando una camminata in montagna la domenica o anche un'apericena nei fine settimana sulla veranda del bar di un paesino sulla cima di una collina.

"Così nell’ufficio di una prigione si considerava sacro ed importante non il fatto che a tutti gli animali, a tutti gli uomini, a tutte le donne, era stata data la calma e la gioia della primavera, ma invece la circostanza di avere, il giorno prima, ricevuto una carta bollata, con tanto di numero e d’intestazione, che dava l’ordine di condurre quella mattina, 28 aprile, alle ore 9, tre accusati – due donne ed un uomo – al Tribunale. Una di quelle donne, creduta la più colpevole, doveva esservi condotta separatamente."

In questo mattino primaverile, Katjusa Màslova viene condotta in tribunale per poter essere processata.

"(...) Nella camera delle carcerate si sentiva un mormorìo confuso, prodotto da voci di donne e da piedi nudi che camminavano sul tavolato. – Su, più presto! Spicciati dunque, Maslòva, dico! gridò il soprastante anziano nella porta socchiusa. 

Un paio di minuti dopo apparve una giovane donna, di statura piuttosto bassa, con un petto molto pieno, coperta di un pastrano di panno bigio passato al di sopra di una giacca e di una gonna bianca. Con passo sicuro, si accostò al vecchio soprastante e si fermò vicino a lui. Aveva ai piedi delle calze di tela e su queste le grosse scarpe di panno date dall’amministrazione delle carceri. Sulla testa portava un fazzoletto bianco, sotto al quale si vedevano – certo cacciate fuori a bella posta – alcune ciocche di capelli neri arricciati. Il volto della donna aveva quel pallore speciale delle persone che rimangono per lungo tempo in un ambiente chiuso e che ha qualche cosa della patata coltivata nelle cantine sotterranee."

Ma cosa ha combinato la protagonista femminile di questo libro? 

È accusata di aver avvelenato a morte un mercante in un albergo. 

2) INFANZIA DELLA MASLOVA:

Katka Màslova è una prostituta. 

Ma come è arrivata a prendere questa bruttissima strada? 

Il nostro autore, molto attento anche all'interiorità e alle vicende familiari dei suoi personaggi, si dilunga in un accattivante flashback su di lei:

"La storia di Maslòva era una storia molto comune. Era la figlia naturale di una contadina nubile, sempre vissuta con la madre addetta alla cura delle mucche in una fattoria presso due sorelle, entrambe signorine, possidenti terriere. Questa contadina nubile ogni anno dava alla luce una creatura e come spesso accade nei villaggi, il bambino veniva battezzato e poi la madre smetteva di nutrirlo; quella creatura non desiderata le impediva di lavorare, per cui presto il neonato moriva di fame. Già cinque erano morti in quel modo. Il sesto, nato da un zingaro di passaggio, era una bambina (...).

La piccina aveva tre anni quando la madre si ammalò e morì. Per la nonna, sempre addetta alle mucche, la nipotina era un peso e le due vecchie signorine se la presero in casa. Così vivace e carina, con i suoi occhioni neri, faceva la gioia delle due vecchie sorelle. La più giovane delle due signorine, ed anche la più buona, si chiamava Sofja Ivànovna: era lei  la madrina di battesimo della bambina. La più anziana, Maria Ivànovna, era propensa alla severità. Sofia Ivànovna adornava la fanciulletta, le insegnava a leggere e pensava di farne una persona istruita. Maria Ivànovna, al contrario, pretendeva farne una serva, o, tutt’al più, una brava cameriera. (...) Talvolta le signorine l’ammettevano a far loro compagnia ed essa leggeva ad alta voce davanti a loro."

Katjusa ha appena diciassette anni quando, presso l'abitazione delle signore, sopraggiunge un giovane e ricco principe, loro nipote, del quale la ragazza rimane affascinata senza tuttavia rivelarlo a nessuno.

Due anni dopo il giovane ritorna per una visita alle zie, fa violenza a Katjusa nella notte di Pasqua subito dopo la solenne veglia in chiesa e, prima di ripartire, dà alla ragazza un biglietto da cento rubli, trattandola proprio come una prostituta dalla quale ha ottenuto piacere per una mezz'ora.

A quanto pare, per narrare questo frangente, Tolstoj utilizza il verbo "sedurre" ma io, in quanto lettrice del XXI° secolo che ricorda molto bene la storia, non mi faccio problemi a ricorrere ad un altro termine, perché non era un rapporto consensuale quello.

Dopo l'abbandono di Katjusa da parte di Dmitrij Nechljudov, il mondo intorno alla ragazza si annebbia.

Katjusa scopre di aspettare un figlio e, a quel punto, le due signore la licenziano. 

Si stabilisce allora presso la dimora di una vedova levatrice e lì partorisce un bambino che però muore nel giro di poche settimane a causa di un'infezione.

In seguito, per evitare di farsi mantenere dalla levatrice, la ragazza cerca un altro posto di lavoro. 

Dopo una breve esperienza presso un guardiaboschi che fin da subito si dimostra un molestatore, un'altra come cameriera presso il viziato e voglioso figlio di una ricca signora e un'altra ancora, molto faticosa, presso una stireria, la protagonista femminile di questo romanzo incontra una donna che indossa molti gioielli e la invita ad andare a casa sua. Si tratta di una persona che favorisce la prostituzione presso quelle che all'epoca venivano considerate le case chiuse.

Il metodo narrativo di Tolstoj, sempre molto chiaro, dettagliato e preciso, instilla empatia verso una persona che, ad appena vent'anni, è rimasta completamente sola al mondo e, pur di guadagnarsi da vivere, inizia a prostituirsi.

Nel corso degli anni, per far fronte alla propria infelicità, Katjusa incappa in vizi come l'alcol e il tabacco che, nei momenti di libertà, le permettono di distogliere il pensiero da un'esistenza profondamente infelice, squallida e non dignitosa.

Ad ogni modo, nel corso del racconto del processo, il lettore appura già che la protagonista è in realtà innocente.

La Màslova è condannata a quattro anni di lavori forzati in Siberia.

Si tratta, lo esplicito già da ora, di una condanna ingiusta.

3) LA "RISURREZIONE SPIRITUALE" DI NECHLJUDOV:

In tribunale fra i giurati c'è anche il principe Dmitrij Nechljudov che la riconosce subito anche se sono passati almeno otto anni dall'ultima volta che l'ha vista.

Al grido d'innocenza della Maslova dopo la condanna, Nechljudov inizia a vergognarsi di se stesso e del modo in cui ha trascorso gli ultimi anni: ad esempio, prova un enorme senso di colpa e disgusto al pensiero di aver avuto una relazione con la moglie di un suo amico.

Ecco come Tolstoj delinea l'inizio della redenzione di questo importantissimo personaggio:

"... si sentiva da ogni parte avvolto nei legami di una vita stupida, vuota, inutile, senza scopo, dalla quale non vedeva nessuna uscita e neppure, nella maggior parte dei casi, voleva uscirne."

A seguito di quel processo durante il quale giurati, avvocati e magistrati hanno umiliato la Màslova, Nechljuodv non soltanto matura il fermo proposito di cambiare vita ma anche l'intenzione di voler scagionare la Màslova per restituirle la libertà. A tal proposito pensa fin da subito di ricorrere alla grazia sovrana.

Dapprima però, si reca in carcere a visitarla:

"-Avant'ieri ero giurato- disse egli- quando vi hanno condannata. Non mi avete riconosciuto?

-No, per nulla! Non avrei potuto riconoscervi, non guardavo nessuno...

-Vi fu un bambino?- egli chiese ancora, avvertendo di arrossire.

È morto subito, grazie a Dio!- rispose la Màslova in tono secco e cattivo, allontanando lo sguardo da lui.

-E come, di che male?

-Anch'io fui malata e per poco non sono morta- ella rispose senza alzare gli occhi.

-E le mie zie vi licenziarono?

-Chi terrebbe una cameriera incinta? Quando si accorsero del mio stato, mi scacciarono. Ma perché parlare di queste cose? Io non ricordo più nulla, ho dimenticato tutto. Tutto è finito.

Ho dimenticato o voglio dimenticare?

Notate che da parte di lei ci sono atteggiamenti di comprensibile disprezzo e di freddezza, dato che ormai, da tempo, è diventata una donna che concepisce i rapporti con gli uomini come se tutti loro fossero dei clienti da soddisfare sessualmente, dato che ha purtroppo interiorizzato l'idea di non essere altro che un oggetto di piacere:

"La sua concezione si basava sull'opinione che la felicità di tutti gli uomini- tutti, senza eccezione, vecchi e giovani, colti e ignoranti, studenti o generali- consistesse nei rapporti sessuali con donne attraenti, e perciò tutti gli uomini, anche quando fingevano di essere occupati di altre cose in realtà desideravano il possesso di una donna. Ed ella, piacente com'era, poteva soddisfare a suo talento questo loro desiderio; quindi era una persona importante e necessaria. Del resto, tutta la sua esperienza personale passata e presente confermava l'esattezza di questa sua concezione."

Tra il possedere e l'amare c'è di mezzo un abisso.

La decadenza morale di Nechljudov è iniziata proprio in quella notte di Pasqua, quando ha voluto ad ogni costo possedere Katjusa.

Da precisare sin d'ora che Dmitrij, oltre a voler aiutare la Màslova, si interessa delle condizioni di altri detenuti che lo ritengono un aristocratico capace di interloquire con la povera gente.

Da quel momento in poi quindi emerge il meglio di lui: emerge un'indole sensibile, buonissima e altruista che per troppi anni il principe aveva tenuta nascosta al solo scopo di compiacere le persone che frequentava:

"...aveva smesso di credere a se stesso per credere agli altri e ciò perché vivere credendo a se stesso era troppo difficile (...) Credendo a se stesso si esponeva sempre alla disapprovazione degli uomini, mentre credendo agli altri era approvato da tutti quanti lo circondavano."

Questo è anche un romanzo sul contrasto tra individuo e società: ognuno di noi ha bisogno di relazioni, di sentirsi riconosciuto per quel che è, per le qualità che ha e per il bene che può compiere. 

Tuttavia, dev'essere soddisfatto anche il diritto di manifestare in modo autentico la propria identità.

4) COS'È IL CARCERE?

Concludo il post ponendovi alcune domande allo scopo di entrare, a partire dalla prossima settimana, proprio nel cuore dell'argomento "carcere e carcerati".

1) Quale idea vi siete fatti sul carcere? 

La parola "carcere" deriva dal latino "carcer" la quale portava in origine il significato di "sbarra da circo".

2) "Carcerato", anche nella nostra società, è sempre e automaticamente sinonimo di "delinquente"?

"-Non temono Dio, quei maledetti parassiti!" esclama indignata una carcerata compagna di Katjusa non appena viene a conoscenza del verdetto. Può essere una delinquente una donna che la pensa in tal modo? Per quali motivi le donne presentate dall'autore si trovano dietro le sbarre? Alcune hanno venduto merci senza licenza, altre, costrette dalla miseria, hanno commesso furti.

Tra loro c'è Fedosja, una giovanissima contadina che, a causa dell'enorme rabbia provata per il suo matrimonio combinato, ha tentato di avvelenare il marito che le era stato imposto. Poi però si era pentita e persino i suoceri l'avevano perdonata, quando ormai era già stata condannata ad un po' di anni di carcere. 

3) Cos'è la libertà?

4) Esiste soltanto un carcere come luogo di reclusione per aver infranto delle leggi in modo grave, per aver tolto la vita a qualcuno o per aver commesso atti pericolosi per la società? 

5) Oppure esiste anche una prigione esistenziale, paragonabile ad una "non vita"?




6 giugno 2025

Marco Maraldi: una poesia come ricerca spirituale?

Marco Maraldi, classe 1995, è laureato in Filologia e Letteratura Italiana.

Nel 2021 è uscita la sua prima raccolta intitolata Prima della luce. 

Assalti è la sua seconda opera letteraria.

Ho selezionato alcuni componimenti che ho trovato molto incisivi e significativi.

1)

Hai scelto il dio della sconfitta

e sei caduto.

Dio della sconfitta, io

ti ho voluto, ti ho

sempre voluto

perché non so parlare.

Partiamo proprio dall'espressione del primo verso: dio della sconfitta

Il Figlio di Dio è stato crocifisso. 

Dunque, secondo la logica umana, Gesù può essere visto come uno sconfitto, anche per quel che riguarda i rapporti che ha vissuto e sperimentato durante la sua predicazione: odiato dai Giudei, incompreso e contestato aspramente dai farisei.

(...) io/ti ho voluto, ti ho/sempre voluto/perché non so parlare. 

Così si chiude la poesia. Dio rappresenterebbe dunque un rifugio per l'autore: solo Lui infatti può ascoltare il dolore enorme di ogni uomo. 

In questo contesto probabilmente si a riferimento ad un sentimento doloroso persino da esprimere con le parole. Anzi, forse la parola risulta anche per Maraldi uno strumento insufficiente per delineare con chiarezza l'interiorità dell'uomo.

Questa mia ipotesi può far pensare anche al tardo Mario Luzi: per il poeta toscano la parola non svela mai completamente la verità ma è uno strumento di ricerca dell'intima presenza del sé. Un esempio è costituito dalla lirica Vola alta, parola:

"Vola alta, parola, cresci in profondità, 

tocca nadir e zenith della tua significazione,

giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami

nel buio della mente –

però non separarti da me, non arrivare,

ti prego, a quel celestiale appuntamento

da sola, senza il caldo di me

o almeno il mio ricordo, sii

luce, non disabitata trasparenza …

La cosa e la sua anima? O la mia e la sua sofferenza?"

L'autore esorta la parola poetica a volare alta e a crescere in profondità, in modo tale da tentare di acquisire un'espressività che invita ogni uomo, poeta o lettore che sia, a intraprendere un percorso di ricerca della verità. Ad ogni modo, la parola non è in grado di rispondere al senso dell'esistenza umana.

Inoltre, l'immagine del "dio della sconfitta" mi richiama alla mente il Christus patiens di Cimabue.


Quest'opera, risalente all'epoca medievale, si trova presso la Basilica di San Domenico ad Arezzo.

Gesù ha gli occhi chiusi, la testa appoggiata su una spalla e la schiena inarcata. L'atteggiamento è molto sofferente, proprio come quello di Maria e di San Giovanni a mezzo busto alle estremità della croce.

Alla base della croce vi sono sottili rivoletti di sangue che provengono dai chiodi.

Cimabue, proponendosi di suscitare la compassione degli spettatori nei confronti di Gesù, si distanzia volontariamente dai modelli dei crocifissi bizantini, raffiguranti il Cristo ad occhi aperti e trionfante.

2)

Non l'ho fatto subito. Nel chiaro che, adesso, dobbiamo respirare

c'è una vela arroventata o sangue trasceso.

Poi qualcosa è accaduto, le mani si sono allagate.

Non è possibile distare dalle menti, perfettamente gemelle.

"Solo dove non protetti sarete scavati".

Precisa come una strage

sento solo la tua voce.

La lirica sembra dapprima illustrare una giornata assolata e limpida, simbolo forse delle aspettative e dei desideri che si possono avere nell'infanzia e nell'adolescenza o, più in generale, per il proprio futuro. 

Siamo tenuti a coltivare progetti di vita in una società come la nostra, basata su consumismo, fugaci avventure sessuali e ricerca di beni materiali.

E poi ho immaginato un mare aperto e una barca. 

Può la vela arroventata (=rovente) essere un simbolo delle lotte interiori o di ferite profonde, dato che precede immediatamente il sangue trasceso?

L'acqua allaga le mani può forse essere una velata espressione del bisogno di confidare in un Assoluto?

"Solo dove non protetti sarete scavati". 

Non protetti da cosa? Dagli imprevisti spiacevoli della vita o dai drammi che la sconvolgono e che ci mettono faccia a faccia con le nostre fragilità?

3)

Unisci le stelle. Conta le vene che ti restano.

Questo aforisma lo interpreto innanzitutto come un invito a ragionare e a riflettere sulle esperienze vissute.

Suggestiva è la frase: conta le vene che ti restano, ovvero, ama, vivi davvero, consapevole della tua finitezza e della tua fragilità, dal momento che sei una "docile fibra dell'Universo". E ammira la meraviglia del cielo per abbracciare la vita!

4)

Questa, più che una poesia, è un pensiero spirituale.

Restiamo insieme ancora un po', c'è ancora molto da spartire. Parlami dell'ultimo respiro, del primo sogno... sottovoce... ancora una volta...dimmi se... mi vedi. Facciamo che tu eri me, che non ti volevi. Non ho bellezza da regalare. Nella danza delle ore chiodate c'è stato un alfabeto segreto, una grammatica del sangue che dovevamo leggere. Poi abbiamo offerto la stessa corona di chiodi e vaticini implacabili, avevi... occhi di carminio e tempo, così vicini a giustiziare la voce delle nuvole. Fermami nell'immortalità che sto per riconsegnare. Restiamo insieme ancora un po'... saremo precisissimi e immortali ,ancora un po'.

(Lido di Jesolo, dicembre 2021- Camaldoli, dicembre 2023)

Testo suggestivo, indubbiamente, che esprime un affidamento a Dio.

Sembra un soliloquio diretto a Dio in un momento di solitudine e di meditazione.

Si legge ad un certo punto: dimmi se... mi vedi. 

A mio avviso c'è in queste parole una speranza, da parte dell'autore, che il Dio degli ultimi riesca a leggere e a riconoscere il peso dell'angoscia, dell'incomprensione, della solitudine umana.

Seguono poi frasi caratterizzate da un lessico che riconduce al venerdì santo: nella danza delle ore chiodate c'è stato un alfabeto segreto, una grammatica del sangue che dovevamo leggere. Poi abbiamo offerto la stessa corona di chiodi.

La corona di chiodi è un riferimento alla corona di spine.

(...) avevi... occhi di carminio e tempo, così vicini a giustiziare la voce delle nuvole.

Mi piace l'espressione occhi di carminio. A volte gli occhi delle statue dei crocifissi sembrano vividi, come lo è la tonalità cromatica del rosso carminio, abbastanza vicino al viola.