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30 agosto 2014
"La chiave di Sara", la tragedia di un atroce senso di colpa
"La chiave di Sara" è un film che quest'anno è stato trasmesso su La7 in occasione della giornata della Memoria. E' ambientato a Parigi nell'estate del 1942, periodo in cui la polizia francese collaborazionista aveva arrestato tredicimila ebrei e li aveva ammassati nel Velodromo d'Inverno. La protagonista della storia è Sara, una bambina che vive in un elegante appartamento francese con i genitori e con il fratellino. Nel film si intrecciano due storie: la drammatica vicenda di Sara e le ricerche storiche di Julia, una giornalista di origini americane trasferitasi in Francia alla quale è stato affidato il compito di realizzare un servizio sul rastrellamento del Velodromo d'Inverno.
Ma la storia di Sara è ciò che vale la pena esporre in questo post.
I primi tre minuti del film costituiscono l'unica scena veramente felice del film: infatti, poco prima dell'arrivo dei gendarmi, vediamo Sara e suo fratello Michel giocare felicemente nella loro camera. Improvvisamente, a rovinare la mattinata dei due bambini, arrivano i militari che annunciano l'intenzione di arrestare l'intera famiglia. Pensando di poter salvare il fratello, Sara decide di chiuderlo a chiave nell'armadio a muro della loro camera.
In seguito, la bambina e i suoi genitori vengono portati, insieme a molti altri ebrei, in una struttura chiamata "Velodromo".
Nel "Velodromo" gli ebrei vivevano in condizioni igieniche penose, soffrendo il caldo, la fame e la sporcizia. Qualche giorno dopo, i nazisti, tristemente famosi per la loro infamia, separano i bambini dagli adulti.
Anche Sara viene separata dai genitori e rinchiusa con altri ragazzini in un campo di concentramento simile ad una stalla. Con un'altra bambina, Sara riesce a fuggire dal campo e a trovare ospitalità presso una coppia di contadini. Purtroppo l'altra bambina morirà di difterite, mentre Sara viene adottata e nascosta, dai due coniugi, che acconsentiranno anche di riportarla nel suo appartamento a Parigi per ritrovare Michel. Ma, una volta entrata nell'appartamento affidato dai nazisti ad una famiglia francese non ebrea, la bambina scopre con strazio il cadavere del fratello nell'armadio.
... Il tempo passa, la guerra finisce e i contadini continuano a prendersi cura di Sara.
Finché un giorno, la ragazza decide di lasciare la famiglia adottiva e di partire per gli Stati Uniti con la speranza di poter dimenticare ciò che le è accaduto durante la guerra.
Proprio in un locale pubblico di Manhattan, un giovane si innamora a prima vista di lei: "Era la donna più incredibilmente bella che avessi mai visto. Ma dietro al suo sorriso, nascondeva qualcosa. Sentivo che lei era a disagio con il mondo circostante e sembrava la persona più triste che io avessi mai incontrato." - dice il suo futuro marito. Dalle loro nozze nasce un figlio, che Sara lascerà orfano a nove anni.
In effetti, la donna, consapevole della sua incapacità di sopportare il suo atroce senso di colpa, si suicida a soli trentadue anni, schiantandosi volontariamente con la sua auto contro un autocarro.
Il finale della storia di Sara mi ha sconvolta e amareggiata. Molti pensieri hanno attraversato la mia mente.
All'inizio, ho pensato:" Ma non poteva farsi aiutare da uno psicanalista per poter superare il suo senso di colpa e per imparare a perdonarsi? Quello era un rimorso inutile, tanto suo fratello sarebbe morto comunque nei campi di concentramento! E lei era solo una bambina poco più grande, nascondendolo pensava solo di poterlo proteggere dalle mani dei nazisti! Non lo ha fatto per cattiveria!"
Poi però, provando molta compassione per la protagonista mi sono detta: " E se io fossi stata nei panni di Sara? Sarei stata capace di perdonarmi? A volte una buona famiglia adottiva, una nuova vita negli Stati Uniti e l'amore che un giovane uomo nutre nei tuoi confronti non bastano per ricucire le lacerazioni interiori. Decidendo di partire per gli Stati Uniti, Sara pensava di poter cancellare il passato e di realizzare il sogno di una nuova vita. Ma è impossibile pensare di poter cancellare il passato, anche il passato più orribile. Il passato riaffiora continuamente nella vita di ogni essere umano. E sono proprio le vicende che noi abbiamo vissuto nell'infanzia a determinare il nostro atteggiamento verso la vita. E che atteggiamento può avere verso la vita una persona che da bambina ha subito la deportazione, è riuscita a fuggire per caso dal campo di concentramento e ha nascosto il fratellino in un armadio e, una volta tornata, lo ha trovato morto? Senza dubbio tutti questi eventi generano in chi li ha vissuti pessimismo, disperazione e angoscia. E se io fossi stata nei panni di Sara? Non so cosa avrei fatto; è molto difficile per me immaginarlo. Non so se mi sarei tolta la vita, ma sicuramente sarei impazzita di dolore..."
Dico dunque ciò che segue in qualità di spettatrice del film: a volte mi capita di pensare che Sara abbia fatto male a suicidarsi. Lei doveva continuare a vivere. Doveva vivere per suo marito, per suo figlio... oltre che per se stessa anche per la memoria di suo fratello. Ma non ce l'ha fatta. Ecco uno dei casi in cui il rimorso e la disperazione sono molto più forti della speranza nel futuro...
A proposito di speranza; la vera fine del film contiene una nota piuttosto positiva: la giornalista Julia, alla fine delle ricerche, partorirà una bambina e la chiamerà Sara, in onore della vera protagonista della storia.
Il film delinea con molta lucidità i sentimenti dei personaggi; riesce a coinvolgere e a commuovere. Ma la scena più straziante è proprio quando la bambina, una volta rientrata nell'appartamento, corre verso l'armadio della camera e lo apre trovando il cadavere del fratellino. Comunque, anche il punto in cui i soldati tedeschi separano le madri dai bambini alle porte del campo di concentramento non è da meno.
"La chiave di Sara" è anche un film sull'importanza della verità. E questo elemento è visibile soprattutto nel personaggio di Julia, che, alla fine delle ricerche, per le quali ha dedicato molto impegno, trova la forza di compiere le proprie scelte senza compromessi.
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