presso il Seminario Vescovile di Verona. Si trattava di incontri bimensili in cui due sacerdoti leggevano e spiegavano alcuni passi presi un po' dalla Genesi, un po' dalle Lettere di San Paolo apostolo e un po' dai Vangeli di Marco e di Giovanni, al fine di riflettere sul tema della fragilità umana e sui limiti che caratterizzano la condizione del'uomo. E' stato davvero interessante e arricchente per me.
Stasera verrà celebrata la Veglia Pasquale, liturgia che prevede tra le letture anche il racconto della Creazione. In questo post vorrei riportare i testi della Genesi sui quali ci siamo soffermati durante uno di quegli incontri. Accanto ad essi, riporto anche i miei appunti, che qui ho cercato di riordinare nel miglior modo possibile.
GENESI 1, 26-31:
Michelangelo, "Creazione dell'uomo" |
Il primo aspetto che bisogna constatare è che Dio, detto Elohìm in ebraico, esprime la sua autorità attraverso la parola: manifesta con le parole la sua intenzione di creare e subito dopo agisce. E il vertice dell'attività creatrice di Dio è costituito proprio dalla creazione dell'uomo.
Siamo al sesto giorno e il tono della narrazione diviene più solenne, al punto tale che viene impiegato il verbo alla prima persona plurale "facciamo". E' un plurale che sta ad indicare la sincera e sentita partecipazione di Dio alla creazione dell'essere umano.
E' importante però chiedersi il significato dell'espressione "immagine e somiglianza di Dio".
Dunque, qui il termine "uomo" è naturalmente inteso come "umanità", come "polarità di maschio e femmina". Dio crea l'uomo per poterlo incontrare e per poter godere di un interlocutore: all'uomo è infatti dato l'uso della parola, contrariamente agli animali.
A causa della sua somiglianza con Dio, l'uomo è abilitato ad esercitare una sorta di "dominio" sulla natura. Ma non è assolutamente un dominio tirannico. Il verbo italiano "dominare" deriva dal latino "dominus", ovvero, "signore"... In questo contesto, dominare significa "governare come un signore, come un sovrano che cerca di gestire in modo saggio i beni di cui dispone". Come Dio, l'essere umano è in grado di "nominare", ovvero, di riconoscere la singolarità degli elementi naturali e di ammirare ciò che è bello e apprezzabile. E' proprio questa capacità di nominare la realtà che può renderlo signore della natura. L'uomo condivide la signoria con Dio: egli infatti è stato creato da Dio per dominare sulla natura ma non sugli altri uomini!
L'essere umano è sessualmente differenziato, fin dalle origini. E questa è un'affermazione sia della diversità, sia della pari dignità tra i due sessi.
La benedizione divina accompagna l'azione creatrice di Dio e invita le creature a vivere pienamente la loro esistenza, dal momento che esse fanno parte del suo progetto d'amore. La nostra condizione umana è scaturita dal cuore di Dio, dal suo atto d'amore.
Poi ci siamo soffermati anche sui primi versetti del secondo capitolo:
GENESI 2, 5-10:
"Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo, ma una polla d'acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi."
Sembra desolante il paesaggio che si presenta all'inizio. Niente erba, niente cespugli, niente pioggia... e nessuno che lavori il terreno. Da qui deriva il bisogno di un "dominus", di un "signore" che diventi il custode della natura.
L'uomo, ovvero Adamo, è plasmato con la polvere del terreno. Dio soffia nelle sue narici per renderlo un essere vitale. Tra l'uomo e il suolo vi è un legame indissolubile: il suolo è soggetto al lavoro umano. E anche il disegno di Dio costituisce una profonda alleanza tra l'uomo e il suolo.
GENESI 2, 15-17:
"Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire»".
Eccolo qui, il limite. Questa è la prima volta che Dio si rivolge al suo interlocutore con il pronome "tu". Il parlante sta qui esprimendo qualcosa che gli sta molto a cuore. La prima parte della frase che Dio pronuncia costituisce un'esortazione a godere dei beni del giardino.
La seconda parte però designa un limite. Dio non vuole minacciare l'uomo; vuole piuttosto ammonirlo, dirgli come evitare la morte. Dio non è invidioso delle sue creature e non è nemmeno meschino, perché desidera che l'essere umano occupi il suo posto nel custodire e nel preservare le meraviglie e le risorse del giardino.
A me però piace sempre andare avanti, approfondire. Dunque, da sola ho proseguito la lettura del secondo capitolo della Genesi e ho cercato di riflettere su questi contenuti:
GENESI 2, 18-24:
"Poi il Signore Dio disse: 'Non è bene che l'uomo sia solo. Voglio fargli un aiuto che gli corrisponda'. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati. Ognuno di questi animali avrebbe avuto il nome datogli dall'uomo. L'uomo diede dunque un nome a tutti gli animali domestici, a quelli selvatici e agli uccelli. Ma di essi, nessuno era un aiuto adatto all'uomo. Allora il Signore Dio, fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una costola e richiuse la carne al suo posto. Con quella costola Dio, il Signore, formò la donna e la condusse all'uomo. Allora egli esclamò:
'Questa volta
È osso delle mie ossa,
carne dalla mia carne.
La si chiamerà donna
perché è stata tolta dall'uomo'.
Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla moglie e i due saranno un'unica carne.
Credo che questo sia uno dei passi più affascinanti della Bibbia.
Nel Medioevo, gli uomini di chiesa si sono serviti di questo brano biblico per giustificare la presunta inferiorità della donna.
In effetti, essi erano convinti del fatto che il sostantivo "femmina" derivasse da due parole latine: "fio", verbo che significa "diventare, essere fatto" e "minus", avverbio che vuol dire "minore, meno". La donna è stata creata togliendo una costola dall'uomo, quindi per questo sarebbe un essere inferiore, da sottomettere e da sfruttare. In questo modo a quell'epoca si legittimava la frustrante condizione sociale e familiare in cui le donne versavano. Anzi, si era proprio convinti del fatto che Dio stesso aveva voluto la sottomissione del genere femminile a quello maschile.
Fortunatamente questa interpretazione è stata superata da molto tempo, per lasciare il posto a letture più profonde e più intelligenti...
L'ultima creazione di Dio è la donna. Dio pensa ad un aiuto per l'uomo, che si trova solo nel giardino dell'Eden. Certo, egli si sazia dei frutti degli alberi e vede molti animali che vivono nel giardino. Ma egli, essendo dotato di pensiero, di parola e anche di un cuore per amare profondamente, ha bisogno di stare con qualcuno che sia il suo "alter ego"; ha bisogno quindi di un altro essere umano che sia al contempo uguale e diverso da lui. E di questo Dio si accorge prontamente. La donna è stata dunque creata come "aiuto, sostegno e conforto". E il fatto che sia stata dapprima creata dalla costola dell'uomo e poi posta di fronte all'uomo non significa che essa sia un essere inferiore o di poca importanza... Al contrario, tutto questo indica la sua piena dignità come creatura di Dio.
La donna è capolavoro di Dio. San Paolo apostolo dice, nella sua lettera ai Galati: "Non c'è né maschio né femmina, perché voi tutti siete uno solo in Cristo Gesù". Secondo San Paolo non dovrebbero esserci discriminazioni di sesso ma dovrebbe piuttosto esserci rispetto tra uomini e donne, dal momento che Gesù, figlio di Dio, comprende in Sé stesso l'identità di entrambi i generi.
Interessante l'ultima frase: "Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla moglie e i due saranno un'unica carne."
Ogni volta che leggo o che penso a questa frase mi torna alla mente il "MITO DELL'ANDROGINO",
narrato dal personaggio di Aristofane nel "Simposio" di Platone. Secondo questo mito, alle origini del mondo l'essere umano non era dotato di singolarità, ma anzi, era una sorta di "uomo-palla", ovvero, un essere dalla struttura circolare. Esso era una fusione tra le caratteristiche maschili e quelle femminili. Alle origini della storia esistevano dunque esseri asessuati, caratterizzati dall'unità e dalla completezza. Però, gli androgini erano creature superbe e arroganti, poco rispettose nei confronti degli dei. Zeus allora, per punirli, aveva scagliato contro di loro i suoi fulmini, dividendoli a metà. Per questo, nell'umanità post-androginica è molto vivo il desiderio di ricercare la propria metà perduta...
Così gli antichi greci si spiegavano la distinzione sessuale e la causa del sentimento d'amore.
Mito davvero affascinante, soprattutto se si cerca di collegarlo alla tradizione biblica...
Tuttavia è necessario fare le opportune distinzioni tra Genesi e Simposio.
Per il Simposio, l'espressione "essere un'unica carne" assume una connotazione abbastanza pessimistica: il mito di Platone infatti racchiude in sé l'idea che il compimento del desiderio amoroso si realizzi nel diventare una sola carne, nel fondersi con l'amante. Noi umani dunque, secondo questa idea, coltiviamo l'ardente desiderio di assumere la completezza attraverso l'unione sessuale. Però, secondo quest'idea, l'essere umano sarà sempre e soltanto infelice: prima è infelice perché è solo, triste e ansioso di cercare la propria metà, poi però, subito dopo averla trovata si unisce a lei, e, nell'unione, emette gemiti di dolore assumendo un'espressione profondamente angosciata durante l'atto sessuale. (da non dimenticare infatti che il personaggio di Aristofane, subito dopo aver raccontato il mito, immagina di vedere due amanti nel pieno del loro atto con "una maschera tragica sul volto", dal momento che provano entrambi dolore nell'accoppiamento)...
Infine, questo mito riguarda anche le unioni omoerotiche, non contemplate dai primi capitoli della Genesi...
Per la Genesi, l'espressione "essere un'unica carne" assume un significato decisamente diverso.
L'unione con il coniuge implica innanzitutto un distacco dalla propria famiglia d'origine. Inoltre, il rapporto uomo-donna, in questo passo biblico, non è inteso come la realizzazione della passione erotica o come l'appagamento di un desiderio egoistico, dal momento che l'uomo e la donna si uniscono in matrimonio per volere di Dio.
Il concetto dell' "essere un'unica carne" rimanda piuttosto alla necessità dell'essere umano di porsi in una sincera relazione d'amore con l'altro... l'unione matrimonale è vista dunque come una "comunione tra due persone" che vivono all'insegna del rispetto reciproco, della solidarietà e del dialogo...
Le Sacre Scritture e la Chiesa non negano e non vogliono negare l'aspetto erotico, ma mirano piuttosto a valorizzare la straordinaria ricchezza morale che scaturisce da un rapporto coniugale basato su un profondo sentimento di affetto.
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