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22 giugno 2015

I bambini soldato:

Bambini soldato in Uganda
Attualmente, sono più di 300.000 i ragazzini impegnati in conflitti militari.
Spesso hanno tra i 14 e i 18 anni, l'età in cui in genere un adolescente italiano frequenta una scuola superiore, si appassiona agli sport di squadra, impara a comprendere e a vivere i cambiamenti adolescenziali in corso di svolgimento e dedica parte del suo tempo libero a riflettere sulle proprie potenzialità.

Sebbene negli anni Settanta siano state firmate numerose convenzioni internazionali al fine di limitare la partecipazione dei minori ai conflitti, sembra che il fenomeno dei bambini soldato sia in aumento negli ultimi dieci anni. Addirittura si tende ad un abbassamento dell'età: governatori e generali senza scrupoli, assetati di potere sono disposti a reclutare anche i bambini di 10 anni.

Il problema dei minori costretti a combattere in guerre sanguinose e insensate è presente in Asia (in particolare: Cambogia, Laos, Pakistan, Myanmar, Nepal, Sri Lanka, Timor Est), in Medio Oriente (Yemen, Libano, Iran e Iraq) e soprattutto negli stati dell'Africa.
Negli anni Novanta, anche alcuni stati dell'America Latina (Perù, Ecuador e Colombia), hanno reclutato diversi bambini nei loro eserciti nazionali.
Nel 2001, in Sierra Leone (Africa Occidentale) è terminata una lunga e sanguinosa guerra civile tra gruppi rivali, alla quale sono stati costretti a partecipare migliaia di bambini soldato.
Secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite, si stima che, nella guerra civile in Liberia, altro stato africano che si affaccia sull'Oceano Atlantico (1989-1999), abbiano combattuto circa 20.000 bambini.
Importante ricordare anche che, tra il 2001 e il 2006, molti ragazzini hanno combattuto in prima persona in Sudan, Ciad, Somalia, Uganda, Costa d'Avorio, Ruanda, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Angola.
Tra questi giovanissimi soldati, alcuni impugnano i fucili, dal momento che sono regolarmente reclutati nelle forze armate di uno Stato, altri invece sono sfruttati come portatori di munizioni e di vettovaglie.

In entrambi i casi, se tentano di ribellarsi agli ordini o se commettono degli errori, rischiano di subire delle mutilazioni da parte dei comandanti dell'esercito, o addirittura, di morire massacrati dai loro compagni.
Talvolta, negli eserciti vengono reclutate (e frequentemente violentate) anche le bambine.
Riporto qui sotto un brano tratto da "Memorie di un bambino soldato" di Ishmael Beah, scrittore africano originario della Sierra Leone:
" E' il 1993 quando in Sierra Leone, nel più assoluto silenzio della comunità internazionale, i ribelli si impadroniscono della parte del paese più ricca di miniere di diamanti e vi instaurano un vero e proprio regno del terrore, amputando gambe, braccia, orecchie e naso a più di trentamila persone. Ishmael Beah, dodici anni, suo fratello Junior e gli amici Talloi e Mohamed, tredici anni, sanno della guerra poco o niente(...) Quattro anni prima hanno fondato una band hip hop, affascinanti dalla "parlata veloce" di un gruppo americano visto su un enorme televisore a colori nella zona dei divertimenti per turisti bianchi di Mobimbi. Un giorno, mentre sono via, impegnati in un'esibizione, i ribelli penetrano nel loro villaggio e lo devastano. Ishmael e Junior cercano di percorrere velocemente le sedici miglia che li separano dalla casa dei genitori, ma una volta giunti al margine della foresta che circonda il villaggio, i superstiti che emergono dal fitto del fogliame li fanno presto desistere dal tentativo. Un uomo trasportava il figlio morto. Era completamente coperto dal suo sangue e avanzava dicendo: "Ti porterò in ospedale, bambino mio, e, vedrai, andrà tutto bene". Ishmael non vedrà mai più casa sua e i suoi genitori. Perderà Junior. Fuggirà nella foresta, dormirà di notte sugli alberi, sarà catturato dall'esercito governativo, imbottito di droga, educato all'orrore, all'omicidio, alla devastazione. Il suo migliore amico non sarà più il tredicenne Talloi ma l'AK47 e la sua musica non più l'hip-hop ma quella del suo fucile automatico.”


L'uso di armi automatiche e leggere ha reso più facile l'arruolamento dei minori, al punto tale che oggi un bambino di 10 anni può impugnare facilmente un AK-47, come lo farebbe un adulto. 

Jean Baptiste Onama è nato in Uganda. Allo scoppio della guerra civile, è stato costretto ad arruolarsi a soli 14 anni. Oggi Jean Baptiste ha 42 anni ed è docente ordinario alla facoltà di Scienze Politiche all'Università di Padova.
Ecco la sua testimonianza:
"Ho assistito a stupri di ragazzine da parte di alcuni soldati. Ho assistito anche ad un tragico episodio che ha riguardato una donna anziana: non era riuscita a scappare, era rimasta vicina alle capanne bruciate; un soldato ha sparato è l'ha colpita ma non a morte. Era ancora viva. E prima di morire ha detto delle parole. Il soldato che le aveva sparato non poteva comprenderle perché era un kuangu: io ero l’unico della tribù che poteva capire quella lingua, perché era la gente di mio padre. E questa donna diceva: “Figlio mio, perché mi uccidi? Che male ti ho fatto?”, e ha ripetuto più volte queste parole. Questo è stato il momento più forte e più significativo di quel conflitto: racchiude tutta la follia della guerra. Io penso che chi, come me, si è salvato per miracolo da una situazione di morte e di distruzione, ha il dovere di fare in modo che il mondo non viva più quell’orrore."

MA QUALI SONO I MOTIVI PER CUI NEGLI ULTIMI ANNI VENGONO RECLUTATI SEMPRE PIU' BAMBINI? 

Bambino soldato in Myanmar
I bambini innanzitutto non pretendono soldi per il lavoro che svolgono.
 E, siccome per loro natura sono ingenui, si fanno indottrinare facilmente e affrontano il pericolo con maggior incoscienza (per esempio attraversando campi minati o intrufolandosi nei territori nemici come spie).
Inoltre la lunghezza dei conflitti rende sempre più urgente trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite. Quando questo non è facile si ricorre a ragazzi di età inferiore a quanto stabilito dalla legge sostanzialmente per due motivi: o perché non si seguono le procedure normali di reclutamento oppure perché molti minori sono sprovvisti di documenti che dimostrino la loro vera età.

E' vero anche che alcuni ragazzini aderiscono come volontari per sopravvivere alla fame e agli stenti. Nella Repubblica Democratica del Congo, per esempio, nel '97 da 4.000 a 5.000 "ragazzi di strada" hanno aderito all'invito, fatto attraverso la radio, di arruolarsi.

Un altro motivo può essere dato dal desiderio di vendicare atrocità commesse contro i loro genitori o la loro etnia: infatti, una ricerca condotta dall'Ufficio dei Quaccheri di Ginevra dimostra come la maggioranza dei ragazzi che si arruolano volontari nelle truppe di opposizione lo fanno per "riscattarsi" da un' esperienza di violenza subita in passato o vista infliggere ai propri familiari da parte delle truppe governative. 

LE CONSEGUENZE DELL'ARRUOLAMENTO: 


Per i ragazzini che riescono a sopravvivere alla guerra, le conseguenze dal punto di vista fisico sono gravi: molti di loro sono denutriti, mutilati, affetti da gravi malattie della pelle, da patologie respiratorie e magari anche dall'AIDS.
Non sono da sottovalutare nemmeno le ripercussioni psicologiche; tra queste, il forte senso di colpa non soltanto per aver ucciso centinaia di innocenti ma anche per aver contribuito a seminare terrore nei villaggi e nei campi profughi.
Senza contare inoltre un'enorme infelicità per aver subito violenze e abusi, un terribile senso di panico (gli incubi notturni li perseguitano per anni) e la difficoltà nell'inserirsi nuovamente in famiglia e nella comunità in cui vivono. 
Questa difficoltà sociale vale soprattutto per le ragazze le quali, dopo essere state nell'esercito, spesso finiscono col diventare prostitute.


Anche se molti stati faticano ad ammetterlo, l'arruolamento dei bambini può essere indubbiamente considerato una forma di lavoro illegittimo e pericoloso. L'I.L.O.(Organizzazione Internazionale del Lavoro) riconosce che: "il concetto di età minima per l'ammissione all'impiego o lavoro che per sua natura o per le circostanze in cui si svolge porti un rischio per la salute, la sicurezza fisica o morale dei giovani, può essere applicata anche al coinvolgimento nei conflitti armati". L'età minima, secondo la Convenzione n° 138, corrisponde ai 18 anni.

LE MIE IMPRESSIONI... PER COINVOLGERVI ANCHE EMOTIVAMENTE:



Osservate bene questa immagine...
Credo che il bambino in questione abbia 8 o 9 anni... Non sono molto brava ad intuire l'età delle persone ma in ogni caso non gliene darei più di dieci. E' un bambino soldato originario della Repubblica Centrafricana.
Vi prego, osservatelo bene... Sembra che stia per piangere. I suoi occhioni tristi sembrano dire: "Ma perché mi fate portare questo enorme fucile? Perché non mi date in mano delle matite, delle penne, dei pennarelli? Perché non posso godere del diritto allo studio e del diritto al gioco? Perché, invece di farmi sparare delle pallottole mortali non mi fate dipingere i colori dell'arcobaleno?"
La prima volta che ho visto questa immagine mi sono venute le lacrime agli occhi e, per un attimo, ho avvertito un brivido freddo alla schiena.
Perchè il viso di questo bambino è molto eloquente: gli occhi pieni di dolore e le labbra leggermente incurvate (tipiche di chi trattiene il pianto) danno proprio l'idea dell'insensatezza dell'odio razziale, della crudeltà della guerra e dell'enorme dolore che provano i bambini rimasti orfani e costretti a combattere conflitti militari voluti soprattutto da governanti malvagi e corrotti. Questi bambini dovrebbero vivere un'infanzia felice e spensierata. Dovrebbero sperimentare l'affetto dei loro genitori, le premure dei maestri di scuola... dovrebbero godere delle amicizie con i loro coetanei... Questi bambini meritano un futuro!! E dobbiamo garantirglielo!! Gli europei e gli statunitensi, invece di portare in Africa valori quali la pace, l'armonia, il dialogo interculturale, approfittano dei contrasti tra le popolazioni, prendono posizione, favoriscono un gruppo etnico piuttosto che un altro, collaborano con i governi autoritari!!!

Io... credo che dovremmo partire proprio dall'attenta osservazione di questa fotografia...Forse, se tutti noi cercassimo un po' di immedesimarci nello stato d'animo dei piccoli soldati riusciremmo a comprendere meglio i diritti dei bambini, che per ora sono soltanto scritti su una carta e molto spesso ignorati...




1 giugno 2015

"La morte di Ivan Il'Ic", Lev Tolstoj


La morte di Ivan Il'Ic è un romanzo di Tolstoj pubblicato per la prima volta nel 1886.

L'inizio è ambientato in un ufficio del Tribunale di San Pietroburgo, dove alcuni illustri magistrati stanno discutendo su un importante caso giudiziario. Soltanto uno di loro, Petr Ivanovic si dimostra disinteressato al dibattito e sfoglia le pagine del giornale cittadino. Ad un tratto, vi trova il necrologio relativo a Ivan Il'Ic, un collega che da tempo era gravemente ammalato ed esclama: "Signori! E' morto Ivan Il'Ic!".
Sono rimasta molto sorpresa dalla reazione dei magistrati, i quali, anziché manifestare sentimenti di profonda tristezza per la morte di un collega, accarezzano soltanto il desiderio di sostituirlo e formulano ipotesi su chi di loro potrebbe occupare la sua prestigiosa posizione.
D'altro canto, Prascovia Fedorovna, moglie del defunto, non soltanto finge di piangere la morte del marito, ma rende addirittura palese la sua unica vera preoccupazione; ovvero, quella di ottenere soldi dall'erario dopo la morte di Ivan.
Soltanto il figlio adolescente sembra davvero addolorato per la morte del padre.

Dopo la lettura delle prime pagine del libro, inevitabilmente ci si chiede: "Come mai tutta questa avidità di successo e di denaro da parte delle persone che erano vicine a Ivan Il'Ic?" ...  Pian piano, nel corso della narrazione, l'autore svela la risposta a questa domanda.

A partire dal secondo capitolo infatti, l'autore inizia a raccontare la vita di Ivan Il'Ic. Egli era il secondogenito di un funzionario del governo, aveva studiato Giurisprudenza e, dopo il conseguimento del diploma, era divenuto giudice di una provincia. "Fin dall'età giovanile era stato attratto, come una mosca dalla luce, verso le persone del gran mondo, ne aveva fatto proprie le maniere, le opinioni; e aveva stabilito con loro rapporti di amicizia. (...) Si era abbandonato alla sensualità, alla vanità e da ultimo, alle idee liberali."
Dopo alcune avventure amorose, si era sposato con una ragazza ricca e di origini nobiliari; ma non per amore, quanto piuttosto per garantirsi un certo prestigio sociale.
Poco dopo il matrimonio, si era trasferito a San Pietroburgo dove aveva ottenuto sia una promozione sia un aumento significativo di stipendio. Da quel momento in poi, Ivan Il'Ic " trasferì sul lavoro il centro della propria esistenza. Ivan Il'Ic capì molto presto che la vita matrimoniale, pur presentando alcune comodità era in sostanza qualcosa di pesante e di difficile; se si voleva quindi compiere il proprio dovere e cioè condurre un'esistenza decorosa e accettata dalla società, occorreva stabilire con essa, come con il lavoro, una linea di condotta ben precisa. (...) Egli richiese alla vita di famiglia soltanto quei vantaggi che essa poteva fornirgli: i pranzi, il letto, la conduzione della casa e soprattutto quel decoro esteriore che era apprezzato dall'opinione pubblica." 
Dunque Ivan Il'Ic, disinteressato sia alla nascita dei figli, sia alle richieste di attenzione da parte della moglie e quasi del tutto indifferente verso la morte prematura di due dei suoi cinque bambini, aveva trascurato gli affetti e aveva concentrato tutte le sue aspettative sulla carriera e sulla ricchezza economica.
Egli infatti continuava a riscuotere successo sul piano professionale, al punto che, alla "Corte di San Pietroburgo", aveva ottenuto una nomina che lo poneva di due gradi al di sopra dei suoi colleghi e che gli garantiva cinquemila rubli di stipendio mensile.
Dunque, con la moglie e i figli ancora bambini, si era trasferito in una dimora più grande e spaziosa. Qui, proprio mentre stava fissando una tenda in prossimità di una finestra, era caduto dalla scala sulla quale era salito. All'inizio, questo incidente aveva provocato soltanto un livido sul fianco sinistro, ma poi, Ivan Il'Ic aveva iniziato di tanto in tanto ad avvertire un leggero fastidio, convertitosi pian piano in un dolore costante e molto forte. Aveva consultato numerosi medici, ma nessuno era stato in grado di identificare con precisione la sua malattia.  Intanto, i litigi con la moglie divenivano sempre più frequenti e sempre più aspri: Ivan la criticava in tutto: spesso, da ogni parola che le rivolgeva, traspariva un vero e proprio astio.
Una notte di capodanno, dopo aver trascorso l'intera giornata con il cognato e con altri parenti della moglie, Ivan Il'Ic si era accorto non soltanto del suo profondo cambiamento fisico (osserva se stesso allo specchio e con terrore si accorge di essere pallido ed emaciato), ma anche di essere arrivato ormai alla fine della sua vita. A questo proposito, Tolstoj inserisce una nota ironica: "(...) L'esempio di sillogismo: Caio è un uomo, gli uomini sono mortali e quindi anche Caio è mortale gli era sempre parso giusto, ma solo in relazione a Caio, non a se stesso. Un conto era Caio, l'uomo in generale (...), un conto era lui, che non era Caio ma un essere particolarissimo, completamente diverso da tutti gli altri".
Da quel momento dunque, la sua malattia era divenuta un'ossessione che gli aveva creato un'angoscia tremenda: "Scoprì che l'unico interesse che la sua persona rappresentava per gli altri si riduceva alla scadenza, vicina o lontana, nella quale avrebbe sgomberato il posto, liberato i vivi dall'impaccio della sua presenza e liberato se stesso dalla propria sofferenza." Inoltre, nell'animo del protagonista si accresceva un sentimento di odio verso la propria famiglia, dal momento che lo consideravano soltanto ammalato e non moribondo: "Questa menzogna lo tormentava, lo tormentava l'ostinazione con cui gli altri non volevano ammettere ciò che sapevano, ciò che egli sapeva". Ivan Il'Ic trovava un po' di conforto soltanto nella compagnia di Gerasim, un giovane servo figlio di contadini. "Gerasim si limitava a compatire il padrone che andava spegnendosi." 

L'angoscia di Ivan si era trasformata, nelle ultime settimane di vita, in disperazione: "Aspettò che Gerasim uscisse dalla stanza e si lasciò andare al pianto, come un bambino. Piangeva per la sua impotenza, per la sua terribile solitudine, per la crudeltà degli uomini e di Dio, per l'assenza di Dio."
Proprio da questo momento in avanti egli inizia a ripensare alla sua vita passata, fino al punto in cui rinasce nel suo animo un sentimento di profonda nostalgia per l'infanzia, unico tempo della sua vita incontaminato dalla brama di ricchezza e di potere. Ivan Il'Ic allora inizia a intuire di non aver vissuto rettamente. Ed è proprio la generosità di Gerasim, il suo viso bonario, la sua immensa dolcezza che glielo fa comprendere. Gerasim è un ragazzo di umili origini, che compie volentieri il suo servizio di assistenza presso un magistrato moribondo. 
Mentre Ivan Il'Ic aveva vissuto soltanto in funzione del successo professionale, diventando dunque un uomo egoista, insensibile, privo di premure verso la moglie e i figli, Gerasim spendeva la sua vita mettendo in pratica i precetti del Vangelo, ovvero, la carità e la pazienza.
Alla fine della lettura di questo romanzo, ho pensato ad una frase molto significativa che lo scrittore Alessandro D'Avenia ha pronunciato la sera del 25/01/2014 nel Palazzo della Gran Guardia a Verona, poco prima di commentare alcuni capitoli della "Vita Nuova di Dante": "Quando morirete, non verrete ricordati per ciò che avete posseduto o per quale posizione sociale avete occupato quando eravate in vita. Verrete ricordati per quanto avete amato." 

Il messaggio che Tolstoj vuole trasmettere al lettore è un po' duro, perché sembra dire: "Hai voluto soltanto il successo e i soldi durante la tua breve e fugace esistenza? Allora l'angoscia, il tormento e la menzogna sono ciò che ti meriti durante l'agonia".

Vi lascio anche il commento di Clara Janovic, una critica letteraria: " Nella fase terminale della sua malattia, Ivan Il'ic vive di ricordi, anzi, la vista retrospettiva della sua vita è la sua prima e vera vita, ed è anche l'ultima perché solo la morte, la vicina imminenza della morte gli permette di capire che la sua vita, quella vissuta quotidianamente, non era vita. In questo romanzo il rapporto dei tempi si è capovolto: è il presente, di fronte alla prova estrema della morte, che diventa momento di autenticità, mentre il passato, nutrito di fittizi valori, si svuota di ogni consistenza".