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27 marzo 2016
Riflessioni nella notte di Pasqua:
E' la scultura appesa alla parete sopra l'altare della Chiesa del Beato Andrea da Peschiera.
Devo dire che, quando mio zio Attilio si è trasferito in quella parrocchia, nell'ottobre 2009, quest'opera non mi piaceva. Ma questo perché non ero abituata agli interni delle chiese contemporanee.
Con il tempo però, anche grazie alla conoscenza di persone molto gentili, accoglienti e calorose, Peschiera è divenuta la mia seconda casa. Ora tutto mi sembra bellissimo in quel posto, persino questa scultura nera. Ed effettivamente ha una sua suggestività che fa riflettere: quell'oggetto su cui il Cristo Risorto si erge in piedi che cos'è??! Una fiamma? Una grande foglia dai lunghi e sottili lembi mossi dal vento?
Ognuno può vederla come vuole, ma, ad ogni modo, sia la fiamma sia la foglia sono entità che rimandano alla gioia pasquale e alla rinascita della natura.
Le foglie spuntano sugli alberi e la vita si rinnova e vince sul freddo dell'inverno.
La fiamma è invece un fattore interiore, un fuoco ardente che dovrebbe accendersi dentro di noi ogni volta che ci stupiamo di fronte al mistero della rinascita.
"La brillante luna
illumina
il mio pallido viso.
Soffia la brezza,
e
il grande abbraccio di Dio
risveglia
dentro di me
vivaci scintille di gioia!"
Buona Pasqua a tutti voi!
A lungo ho contemplato la luna piena ieri notte, dopo la Veglia. Ah, la notte!! Ah, le notti luminose, terse e popolate di stelle splendenti!! Le notti stellate non smetteranno mai di suggestionarmi!
In questi giorni sto ripensando spesso al racconto che ho scritto e pubblicato la sera della Vigilia di Natale. Spero ricordiate la figura di Laura... La mia Laura, la mia mite e sensibile Laura che cammina nella quiete della campagna innevata, che affida alla Natura i suoi sentimenti, i suoi ideali, i suoi pensieri e che, nell'osservare la luna, è presa da una profonda malinconia dovuta alla recente scomparsa della cara nonna Amelia.
Laura sono io. O meglio, quella Laura ero io. Ero io che, pochi giorni prima di Natale, passeggiavo nella quiete della campagna. Ero io che, intristita anche da quei rami spogli e protesi verso il cielo, ad un tratto sono scoppiata in lacrime perché sentivo una grande nostalgia per Gabriella. Mi mancavano e mi mancano i suoi occhi verdi, il suo sorriso sincero. Lei era un tassello piuttosto importante del mio mosaico e ora che l'ho perso per sempre posso soltanto ricordare quanto era bello, colorato e vivace.
Ad ogni modo, una fredda folata di vento mi aveva fatto alzare gli occhi verso il cielo blu nel quale nasceva una luna piena splendente che sembrava sorridermi e che, con la sua luce sfavillante, sembrava addirittura intenzionata ad espandere nell'Universo il suo calore e la sua bellezza.
Ero rimasta ancora per alcuni minuti a contemplarla, quando ad un tratto ho notato che si accendeva una stella. E allora mi sono rialzata e ho continuato a camminare ancora per un po', nella fioca luce dell'imbrunire, mentre pensavo a tutto ciò che di bello mi hanno riservato i miei 20 anni.
Molti adulti che incontro mi dicono che vent'anni sono pochi, anche se in realtà a me sono sembrati un lasso di tempo piuttosto lungo. Ed è così: vent'anni vissuti bene e intensamente sono oro colato.
In questa parte di vita per me ci sono stati momenti, eventi ed episodi felici, pieni di gratificazioni e di soddisfazioni. Anche se non sono affatto mancati momenti difficili e dolorosi. Ma, sin dalla prima adolescenza, spesso mi sono dimostrata in grado di controllare il dolore, i malumori, le rabbie... se soffrivo cercavo di non farlo mai pesare a chi mi stava intorno, mi sono sempre impegnata a "valorizzare il bicchiere mezzo pieno" anche quando dentro mi sentivo morire.
Uno dei miei motti adolescenziali era: "Cerca di tenere viva la rosa rossa che sta dentro di te, sempre e comunque, anche quando il gelo dell'arroganza e dell'ipocrisia di certe persone cercheranno di rovinarla e di farla appassire." Io la mia rosa rossa la illumino di ideali, di interessi e la innaffio con sogni e speranze. Ogni giorno. Per questo è sempre più bella.
Sono Laura.
Sono Laura che interroga la luna per cercare di comprendere il mistero della morte.
Sono Laura che trova la forza di rialzarsi, stringendo i denti, e di proseguire con tenacia la strada della vita.
Sono Laura che spera in una rinascita, in un rinnovamento interiore.
Sono Laura che rivela tutta la sua dolcezza ai ragazzi come Giulio, che sanno accoglierla con entusiasmo e soprattutto, che sanno custodirla con tenerezza.
Sono Laura che sorride spontaneamente di fronte all'intelligenza e alla vitalità dei ragazzi come Giulio.
Sono Laura che sa vivere molto intensamente le esperienze che l'esistenza le mette davanti.
Laura e io sappiamo benissimo che la nostra sensibilità non è un difetto e non ci rende passive nei confronti della vita, bensì, ci rende vive e in grado non soltanto di provare sentimenti veri, forti, autentici ma anche di cogliere tutte le gradazioni di colori di cui è fatta la realtà.
Giulio rappresenta il vero spirito del Natale. Con il suo atteggiamento, Giulio è il portavoce di tutti quei valori che il Natale dovrebbe portare nelle nostre case, ovvero: la solidarietà, la generosità, il calore umano, la condivisione.
Laura invece è una figura pasquale: una giovane che, nel dolore, riesce a scorgere dei segni di speranza nel cielo. Una ragazza che in pieno inverno sogna la primavera e la fioritura degli alberi, dimostrandosi dunque piena di fiducia verso la vita.
In qualche modo poi, mentre piange, è come se dialogasse con Dio, che le dà la forza di rialzarsi e di manifestare tutta la sua bellezza a quanti la sanno scorgere.
25 marzo 2016
Gesù esposto al potere: il processo romano secondo Giovanni
Questo è uno dei passi biblici più coinvolgenti all'interno del Vangelo di Giovanni.
Lo avevamo commentato durante il corso biblico-narratologico, ma stavolta, anziché riportare la spiegazione trascritta sugli appunti, espongo ciò che avevo pensato durante il momento di riflessione personale, fase che di solito negli incontri biblici precede il commento da parte del relatore.
IL POTERE SUBITO E LA RESISTENZA DI GESÙ:
Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: "Sei tu il re dei Giudei?". Gesù rispose: "Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?". Pilato rispose: "Sono forse io Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?". Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Gli disse Pilato: "Che cos'è la verità?". E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: "Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io liberi per voi il re dei Giudei?". Allora essi gridarono di nuovo: "Non costui, ma Barabba!". Barabba era un brigante.
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. I soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: "Salve, re dei Giudei!". E gli davano schiaffi. Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: "Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa". Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: "Ecco l'uomo!". Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: "Crocifiggilo, crocifiggilo!". Disse loro Pilato: "Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa". Gli risposero i Giudei: "Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio".
All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: "Di dove sei?". Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: "Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?". Rispose Gesù: "Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha un peccato più grande".
Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: "Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare". Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litostroto, in ebraico Gabbatà. Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: "Ecco il vostro re!". 15Ma quelli gridarono: "Via, via, crocifiggilo!". Disse loro Pilato: "Metterò in croce il vostro re?". Risposero i sommi sacerdoti: "Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare". Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. »
Le letture tratte dai Vangeli e lette in occasione della commemorazione della Passione, della morte e della Risurrezione di Gesù corrispondono a una fase piuttosto lunga della liturgia. Al punto tale che al celebrante rimane poco tempo per poterle spiegare, e allora a questo punto è bene rifletterci personalmente.
Ecco ciò che ho pensato io anche in relazione alle frasi che ho evidenziato nel testo.
Allora, a mio avviso è descritta una situazione tragicomica. Ci sarebbe infatti un buon motivo per poter ridere di gusto, se non si trattasse della condanna a morte del Figlio di Dio. Perché questo processo sostanzialmente è una farsa, una commedia assurda: ancora prima di prestare ascolto all'imputato, la sentenza è già stata decisa: "Egli deve morire perché si è fatto Figlio di Dio".
Il processo dunque da questo punto di vista non avrebbe senso, o meglio, diciamo che il suo svolgimento è stata una perdita di tempo da un punto di vista pratico-decisionale, ma dal punto di vista etico-morale si è rivelato invece molto complesso e intriso di concetti impegnativi. Effettivamente, Gesù offre in modo autorevole i suoi insegnamenti anche durante il processo, che lo pone in una situazione di massima fragilità e vulnerabilità. Proprio per il fatto che Egli è Via, Verità e Vita.
E' stupenda ad esempio una delle prime risposte che Gesù dà a un Pilato che riesce a concepire il potere e l'autorità soltanto dal punto di vista mondano: "Il mio regno non è di questo mondo". Il regno di cui Gesù parla non è il regno dei marziani o di alieni che vivono in galassie molto lontane. E' piuttosto un regno caratterizzato dalla Giustizia e dalla Misericordia del Padre. In questo processo si discute a proposito di due tipi di autorità: quella di Pilato che implica dipendenza, prevaricazione e manipolazione; e quella di Gesù che invece è riferita alla Tenerezza di un Dio che ci lascia liberi di compiere le nostre scelte di vita e che non ci manipola MAI.
E poi, una domanda di Pilato: "Che cos'è la Verità?". E' il punto del testo che più mi impressiona.
Parto dall'etimologia del termine anche se so di essere noiosa.
verità= dal greco αλήθεια, scomponibile in α-λανθάνω con α privativo e quindi: "non-nascosto".
Con la predicazione di Gesù, è rivelato alle genti il messaggio di Dio.
E cito ancora Giovanni, capitolo 1 (capitolo peraltro molto caro a Gabriella- che avrebbe festeggiato il compleanno ieri): "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto."
Ma quale Verità, però? La domanda di Pilato è anche la mia, la nostra.
Io sono molto attratta da un Dio che si fa uomo e che accetta di essere condannato ingiustamente, che si fa crocifiggere e che poi risorge. Anche se non mi ritengo degna di un Dio così buono. Ma davvero questo amore sconfinato e incondizionato di Dio bisogna meritarselo? Anche qui, quale dei due atteggiamenti è più saggio: vivere con la convinzione che noi dobbiamo meritarci l'amore di Dio con le nostre buone azioni generose oppure semplicemente godere e rallegrarsi di questa infinita misericordia che ci accompagna sin dalla fase prenatale nel grembo materno?
Ad ogni modo, questo punto mi è abbastanza oscuro: si intende la Verità dell'esistenza di un Dio onnipotente e creatore del mondo che ama l'uomo con tutto se stesso? Oppure la Verità sul giusto comportamento da assumere nella vita terrena (con la speranza che ne esista un'altra dopo la morte)? O forse entrambe le cose? Non finisco mai di farmi domande sui comportamenti e sulle azioni di Gesù, proprio perché vorrei capire fino in fondo ma non ci riesco. E così a volte mi capita di sprofondare in vere e proprie masturbazioni mentali.
Per concludere, Pilato si dimostra velleitario verso Gesù: desidera per Lui la salvezza, ma il problema è che non la desidera abbastanza per poterla attuare concretamente. E in effetti, la sua non è una scelta responsabile perché come si suol dire: "Se ne lava le mani".
Concludo per davvero con la breve analisi di un dipinto:
CRISTO DERISO, BEATO ANGELICO:
Si trova in una delle celle riservate ai monaci all'interno del convento domenicano fiorentino di San Marco.
Gesù è raffigurato al centro seduto su uno scranno rosso e indossa una veste bianchissima, simbolo di purezza e di innocenza. In basso ai lati: la Vergine a sinistra e San Domenico (fondatore dell'ordine dei frati domenicani) a destra. Entrambi sono assorti in una profonda e sentita meditazione. Intorno alla figura del Salvatore, sullo sfondo di un pannello verde, l'artista si limita a raffigurare i gesti dei soldati che deridono Gesù e quindi indica lo sputo del viso a sinistra e tutte le mani che picchiano e addirittura bastonano. E questa tecnica è sia essenziale sia geniale.
E gli occhi di Cristo, bendati, sopportano con pazienza le umiliazioni che gli vengono inflitte.
18 marzo 2016
La questione degli immigrati:
Arrivano in buona parte dall'Africa Sub-sahariana i minori migranti non accompagnati. Superano i diecimila e solitamente vengono ospitati nelle strutture di accoglienza laiche e cattoliche italiane.
Ma il problema è che non ci sono né strumenti sufficienti né politiche coerenti. Proprio per questo motivo tutti coloro che lavorano nell'ambito socio-educativo e sanitario non sono in grado di svolgere al meglio le attività di accoglienza, di accompagnamento e di cura.
I minori stranieri di cui si parla qui provengono da percorsi estremamente eterogenei: alcuni hanno attraversato il deserto del Sahara a piedi, altri sono dovuti passare per la Libia dove hanno subito gravi forme di violenze, altri ancora scappano da terribili guerre civili che stanno dilaniando paesi come il Sudan, la Siria, lo Zimbabwe.
Ma tutti hanno dovuto affrontare l'enigmatico Mar Mediterraneo che con le sue impietose e violente onde ha cancellato le speranze di migliaia di uomini e donne.
Gli operatori dei servizi a cui spetta la presa in carico di minorenni stranieri avvertono per primi l'esigenza di riesaminare a fondo il tema dell'accoglienza.
Mario Schermi, sociologo e consulente del Ministero della Giustizia dichiara: "Ogni volta che il pensiero classificatorio tenta di avere ragione degli umani, cade in tipologie improbabili, insostenibili. E' quasi impossibile tracciare un profilo unitario dei ragazzi che raggiungono l'Europa, più o meno in fuga dalla fame e dalle guerre."
Lo scorso 13 novembre si è tenuto un convegno all'Università di Bergamo, promosso dalla Fondazione Migrantes e dalla Caritas bergamasca. In questa occasione si è cercato di mettere a confronto l'esperienza italiana con quella francese, con particolare riferimento ai dispositivi clinici; i quali obbediscono principalmente a due logiche: quella istituzionale e quella psico-culturale, che spesso si sovrappongono.
Il Centro di Ricerca e Formazione Interculturale (CREFI) , nel tener conto del travagliato vissuto personale di quei giovanissimi migranti, ricorre ai concetti di "natura" e di "modo di essere" per sottolineare l'importanza di avvicinarli nella loro individualità e non in termini di categoria omogenea, dal momento che ognuno di loro porta sulle spalle l'universo socio-familiare di origine e purtroppo anche l'esperienza oltremodo travagliata del viaggio.
A questo proposito Jacoub Marion, uno dei membri del CREFI, dice: "Il minore non accompagnato non è mai del tutto isolato ma, pur trattandosi spesso di un adolescente appartenente ad una categoria protetta e da aiutare, tale figura ha perso, durante il viaggio di migrazione, molte delle caratteristiche che lo avvicinavano all'infanzia, in quanto costretta a compiere scelte tipiche dell'età adulta."
Indubbiamente si tratta di giovanissimi che a causa di dolorose circostanze sono maturati molto in fretta. Ad ogni modo, questo aspetto non vi fa tornare alla mente la straordinaria figura di Joram Fridman? A me sì. Ricordate che nell'intervista che ho tradotto e pubblicato a gennaio egli a un certo punto diceva: "(...) pur dovendo prendere delle decisioni da adulto istantaneamente, sono rimasto un bambino che cercava altri bambini per giocare. Vede, io avevo un motto: "Vivere". Vivere. Ho fatto di tutto per rimanere vivo. Io volevo solo sopravvivere e questo avevo promesso a me stesso e a mio padre. Mi ricordo che non mi preoccupavo se l'acqua era fredda e profonda, semplicemente entravo."
Se non lo avete già fatto, vi consiglio caldamente di acquistare e di vedere il film, dal momento che il regista riesce proprio a creare in molte scene un'atmosfera angosciante, di "pathos." C'è un momento in cui il protagonista è inseguito da una squadra di militari nazisti che cercano di fermare la sua corsa sparandogli. Tuttavia, il perspicace Jurek (il suo falso nome) riesce a nascondersi nelle acque di uno stagno e così si salva.
Anche Yoram è stato costretto a crescere molto rapidamente... Nel 1945 era un tredicenne mutilato, denutrito, estremamente addolorato e bisognoso di affetto. E nonostante questo, non aveva perduto la sua incontenibile voglia di vivere. Però effettivamente ci sono voluti molti anni per elaborare la tragedia della guerra. Ha creduto in se stesso e, una volta divenuto uomo, ha trovato la forza di rinascere nell'amore coniugale. E poi, essendo rimasto molto colpito da coloro che volevano raccontare per non far dimenticare, ha deciso di narrare la sua infanzia, di farsi ascoltare.
Non è casuale il riferimento a Yoram; non è la mia voglia di divagare che lo coinvolge come termine di paragone con i piccoli immigrati del XXI secolo. Infatti, la psicopedagogia culturale suggerirebbe di porsi all'ascolto delle vicende traumatiche dei migranti, in modo tale che essi stessi possano imparare a rielaborare e a superare il passato. Il dialogo inoltre sarebbe un mezzo importante per trovare le giuste modalità del loro inserimento nel paese di arrivo.
E' utile riflettere sul fatto che l'esperienza della migrazione non consiste soltanto nello sradicamento ma anche nell'incontro tra diverse lingue, culture, rituali religiosi e tradizioni. L'arrivo degli immigrati è una risorsa non soltanto per il nostro Paese ma per tutta la società europea, dal momento che crea inevitabilmente delle relazioni fra culture e appartenenze multiple.
E qui, mi torna alla mente una frase molto espressiva che Armand Fremont, geografo francese, ha scritto nel suo manuale destinato agli universitari e intitolato: "Vi piace la geografia?". Domanda che suona come provocazione, anche se io devo ammettere che, da quando sono iscritta all'Università, questa disciplina ha cominciato a piacermi davvero molto e seguo con interesse le lezioni.
Ad ogni modo, Fremont dice: "Il migrante non è né di qui né di laggiù". Non credo esista frase più veritiera. Io ne ho parlato con la mia insegnante di geografia qualche settimana fa e l'ho capita perfettamente. Rifletteteci bene anche voi. Eccovi alcune espressioni-chiave: Sradicamento dalla comunità= arrivo in un paese ricco= riconoscimento delle diversità= integrazione (l'immigrato accetta il modello culturale dello Stato che lo ospita)= ritorno alle origini= con conseguenti cambiamenti sociali avvenuti nel corso del tempo.
Costruiamo ponti e non muri. Aspiriamo a creare arcobaleni di pace e di speranza che congiungono il cielo con la terra. Solo così anche noi europei potremmo crescere nell'incontro con l'alterità.
IO
STO CON LA SPOSA:
E' un film appena uscito. Sono andata a vederlo al cinema del mio paese qualche giorno fa.
Ecco un abbozzo di trama: un poeta palestinese e un giornalista italiano aiutano cinque profughi siriani e palestinesi, sbarcati prima a Lampedusa e giunti poi a Milano, a raggiungere la Svezia. Disobbedendo alle leggi. Così coinvolgono anche Tasmin, una ragazza siriana fornita di passaporto tedesco, in modo tale da inscenare un corteo nuziale. Tanto, chi oserebbe mai fermare un corteo nuziale? Il loro viaggio dura quattro giorni e attraversano in autostrada la Francia, il Lussemburgo, il Nord della Germania e la Danimarca. Da Copenhaghen poi devono affrontare il passaggio più difficile dell'avventura: imbarcarsi di nascosto in un treno per poter raggiungere Malmo, cittadina della Svezia Meridionale.
Riporto qui le frasi più profonde e più significative del film, pronunciate da Tasmin:
“C’è un sole unico per tutta l’umanità, una sola luna. Anche il mare è di tutti, così la vita. È di tutti e per tutti. Come è possibile che alcuni siano liberi di attraversare il mare, mentre per altri farlo significa rischiare di morire?"
MANAR:
Certo che sto con la sposa. Certo che sto dalla parte dei deboli, dei discriminati, dei richiedenti asilo! E quindi sto anche con Manar. Ciò che mi è rimasto impresso della vicenda narrata nel film è proprio la figura di Manar, fuggito insieme al padre da Yarmouk, ghetto palestinese di Damasco, per poter raggiungere la Svezia.
Entrambi arrivano in Italia a bordo di un barcone. Manar ha rischiato di essere compreso proprio nel numero (già enorme) di quei ragazzini che giungono qui da soli. Il padre, aggrappato in modo instabile alla barca, stava per essere risucchiato dal vortice dell’elica. Gli scafisti però gli hanno salvato la vita. Una volta giunti in Italia, la polizia ha costretto il padre di Manar a dare le impronte. Bella fregatura! Per questo motivo, i due hanno raggiunto la Svezia ma poco dopo sono stati respinti e rimandati in Italia. Ora hanno ottenuto lo status di rifugiati politici e vivono in provincia di Torino, da circa due anni. Manar sogna di fare il rapper. Il padre lo sa, ne è molto orgoglioso e ha un desiderio inconfessato: che il suo ragazzo possa esprimere liberamente il suo talento e che, magari, diventi famoso.
I testi di Manar, in arabo, parlano di campi profughi, guerra, discriminazione.
I suoi versi raccontano della sua terra martoriata dagli orrori della guerra civile.
Ciò che deve farci riflettere è che è poco più di un bambino. E, pur nel dolore, riesce a cantare e a comunicare energia e vitalità.
Questo sì che è rap! Altroché Fedez o Emis Killa, adorati da molti miei coetanei. Il rap di Fedez anestetizza l'animo, non fa riflettere, è venato da un cupissimo pessimismo che non propone vie d'uscita.
13 marzo 2016
Troppa pornografia manda in pappa il cervello:
Abbastanza recentemente ho letto un articolo relativo ai danni causati dalla diffusione, soprattutto via web, di contenuti e immagini pornografiche. Devo ammettere di averlo trovato molto interessante.
Cercherò di esporre qui le parti fondamentali accompagnate da alcune mie riflessioni.
Iniziamo dai significati delle due parole chiave di questo argomento, ovvero, erotismo e pornografia.
Il termine erotismo deriva dal greco antico ἑρος, parola riferita ad un tipo di amore esclusivamente passionale e sensuale. Si potrebbe dunque definire l'erotismo un atteggiamento che esalta le tendenze e gli impulsi sessuali.
La pornografia deriva invece da due parole: πορνεὑω (=prostituirsi) e γραφή (=scrittura).
La pornografia è dunque relativa a raffigurazioni e a scritti osceni, intrisi di allusioni erotiche.
La dipendenza dalla pornografia è caratterizzata da un abuso di visione di video e immagini erotiche che, se prolungata nel corso della vita, può comportare addirittura delle profonde modifiche alla chimica cerebrale. L'industria del porno produce profitti per 97 miliardi di dollari l'anno e ovviamente, la stampa che si trova profondamente coinvolta nella trasmissione della pornografia non è interessata a far sapere ai lettori le conseguenze che ne derivano.
La dipendenza dal porno è stata paragonata da parte di medici e scienziati statunitensi sia alla dipendenza dall'alcool sia a quella dal fumo. Infatti, come l'abuso di alcolici danneggia fegato e reni e come la dipendenza dal fumo danneggia i polmoni e il sistema cardiovascolare, così un'alta fruizione di pornografia porta a un danno bio-chimico del cervello.
Il neurologo Norman Doige descrive nel suo saggio "Il cervello che modifica se stesso" come la pornografia determini la riscrittura dei circuiti neuronali:
"Le immagini erotiche eccitanti stimolano il rilascio della dopamina nella circolazione sanguigna, sostanza responsabile del consolidamento della connessione neuronale. (...) La dopamina facilita l'orgasmo ed eccita i centri del piacere. Gli individui che guardano pornografia ricevono dose dopo dose di dopamina e, benché non se ne rendano conto, sono coinvolti in un'attività che modificherà il substrato di cui è composto il cervello. (...) Le immagini vengono ricordate anche dopo essersi allontanati dal computer. e ciò le rinforza ulteriormente".
In questo modo la pornografia crea una grave dipendenza. In effetti, proprio le molecole psicotrope stimolano i centri del piacere che generano un comportamento ossessivo-complusivo finalizzato al rivivere quelle fantasie erotiche. Il cervello è dunque sottoposto ad un costante bombardamento chimico. Ogni volta che le vittime di questo mercato sporco e meschino avvertono un'eccitazione erotica, i loro neurotrasmettitori consolidano le connessioni create precedentemente nelle "sessioni di video pornografici".
Il pornomane dunque è letteralmente intossicato e subisce gli effetti delle erotossine, sostanze in grado di alterare la mente.
Anche il dottor Gary Lynch, neuroscienziato della University of California di Irvine, mette in luce gli effetti devastanti che un'immagine "osé" ha sul cervello: "Un'immagine passa dall'occhio al cervello in 3/10 di secondo e il cervello ne crea un ricordo. In particolare, le immagini che causano una forte reazione emotiva generano danni al lobo frontale."
Da alcuni anni è stata individuata dai neuro-biologi una "sindrome del lobo frontale", disturbo psichico caratterizzato sia da quell'impulsività che presta poca attenzione alle conseguenze, sia da un comportamento emotivamente labile e soggetto a repentini cambiamenti di umore, sia da un significativo deterioramento della capacità di giudizio.
E' facile intuire quindi che il lobo frontale svolge un ruolo determinante nella manifestazione dei comportamenti individuali e nella capacità di autocontrollo.
Pensate agli incidenti d'auto. In queste circostanze, un trauma cranico potrebbe causare improvvisamente dei danni al lobo frontale, indotti dal colpo, mentre l'ossessione del porno genera, con il passare del tempo, queste stesse modificazioni.
Oltre a ciò, la porno-dipendenza porta ad un atteggiamento di insensibilità nelle relazioni sessuali separando nettamente il sesso dall'amore e dall'interesse per la propria famiglia.
Con il passare del tempo, il picco di eccitazione ottenuto attraverso stimoli porno diviene addirittura più importante della vita reale. E non c'è la minima differenza se capita a un ministro, a un giudice, a un insegnante o a un ragazzo molto giovane. Tutti possono autocondizionarsi verso la devianza.
Riguardo a ciò, lo psichiatra newyorkese Jeffrey Satinover ha rilasciato delle dichiarazioni piuttosto pesanti: "Il tossico pornomane si dimentica rapidamente di tutto e di tutti in favore di una sempre più particolare scossa sessuale che sarà probabilmente capace di trovare solo fra altri persi come lui. Metterà a rischio la propria carriera, le proprie amicizie. Indulgerà in quei comportamenti dovunque e ovunque. Nessuno ne è immune."
Infatti. E' un'affermazione molto triste, ma vera, realistica. Nessuno di noi ne è immune. Tutti ne siamo coinvolti, chi più e chi meno. Volenti o nolenti.
Vi invito a riflettere su ciò che negli ultimi anni accade in ambito cinematografico.
Il cinema è uno dei miei molti interessi e lo considero indubbiamente una forma d'arte geniale, in cui le immagini scorrono l'una dopo l'altra accompagnate dai dialoghi e dalle colonne sonore.
Però da alcuni anni il cinema presenta una grande fragilità, dal momento che la maggior parte dei film prodotti e trasmessi in questi ultimi anni presentano almeno una scena di sesso o comunque, almeno un'allusione sessuale piuttosto grossolana. E tra questi vi sono anche film storici di alta qualità.
Poche pellicole cinematografiche possono essere considerate "pulitissime", ovvero, prive sia di scene violente sia di allusioni alla sessualità. E lo stesso vale anche per le fiction trasmesse sulle Rai e su altri canali di creazione recente. Sia la diffusione della televisione in ambito domestico che il facile accesso alle nuove tecnologie hanno promosso la diffusione di contenuti osceni e provocanti, che tutti abbiamo sicuramente incontrato e visto almeno una volta nella vita.
Per rimanere completamente immuni dagli effetti generati da una società che valorizza troppo e troppe volte l'apparenza e la corporeità bisognerebbe andare a vivere o su un'isola deserta sperduta nell'Oceano oppure in alta montagna, luoghi in cui sicuramente regna la morte civile, spazi che non incentivano né le interazioni sociali tra individui né una buona e facile relazione con la natura.
Senza contare che esiste anche una cosiddetta "pornografia colta", riscontrabile non soltanto in un buon numero di immagini d'arte ma anche in alcune liriche appartenenti sia alla letteratura dell'antichità classica sia alla letteratura italiana. Questo aspetto non deve essere ignorato da chi studia approfonditamente le materie umanistiche. E' utile e importante comprendere che non tutto ciò che nel corso dei secoli è stato scritto o raffigurato è buono e puro. Bisogna certamente apprezzare lo stile, l'abilità tecnica (nel caso dell'arte) e formale (nel caso della letteratura), tuttavia senza rimanere troppo affascinati dalla nudità e dagli atti sessuali rappresentati.
Roberto Pasini, il mio docente di Storia dell'Arte Contemporanea, ha scritto nel suo saggio: "Teoria
generale dell'immagine": "L'immagine erotica scade spesso in quella pornografica. (...) In questo caso, l'immagine non dà di sé la migliore immagine. Ovvero, l'uso che se ne fa è troppo finalizzato a uno scopo per essere riscattato in genere, da valori estetici. (...) ben venga l'amplesso visivo, purché abbia un grado di attenzione e di distanza critica, il che non è sempre facile nel rapporto fortemente emotivo che genera nello spettatore."
Sarebbe l'ideale non riuscire a farsi condizionare, ma sarebbe anche l'ideale astenersi da comportamenti moralisti e ipocriti che mirano a giudicare coloro che sono più coinvolti di noi.
La festa della donna è trascorsa pochi giorni fa. E anche qui, in relazione alla pornografia, mi sento in dovere di aggiungere qualche considerazione.
A me infastidiscono discorsi maschilisti e assolutamente superficiali come: "Voi donne dovete guadagnarvi il rispetto!". Purtroppo una buona parte della popolazione maschile italiana ragiona in questi termini.
A mio avviso, le uniche due cose che nella vita bisogna guadagnarsi sono lo stipendio e i buoni voti durante la propria carriera scolastica e accademica. Un individuo che lavora, e magari anche bene e con passione, ottiene giustamente lo stipendio per il suo zelo. Ma se lo guadagna.
Io finora ho ottenuto delle valutazioni molto alte nei miei esami. Ma questi ottimi risultati me li sto guadagnando perché studio sodo! Non mi sono dovuti. Li ottengo soltanto con il mio impegno, come d'altronde tutti gli studenti motivati.
Il rispetto invece è dovuto a prescindere, dal momento che tutti siamo esseri umani fragili e non di certo infallibili e incorruttibili.
Non sto giustificando nessuno, voglio soltanto dire che tutte noi, anche le giovani "spogliarelliste"
(io che mi ritengo una persona educata e civile le chiamo così, anche se molti altri utilizzano termini decisamente volgari) meritano rispetto. Il rispetto implica il riconoscimento dell'umanità dell'altro. Nessuno se lo deve guadagnare, è dovuto e basta!!
E' inutile che certe persone (e mi riferisco soprattutto ai ragazzi), quando incrociano per strada delle giovani che risultano pienamente coinvolte nel circolo della pornografia, accelerino il passo o cambino strada sussurrando giudizi molto pesanti alle loro spalle. Che ipocrisia! Proprio come i borghesi vissuti nel pieno del XIX secolo!! Ma chi siete voi per giudicare il vostro prossimo? Non vi sentite coinvolti anche voi, seppur in misura decisamente minore? Possibile che non riusciate a riconoscere le vostre fragilità nelle azioni altrui?!
Perché comunque molti fanno così: evitano e insultano le spogliarelliste nella vita reale, ma nella vita virtuale invece continuano a cercarle e a guardarle. Che ipocrisia, che falsità!
E comunque vorrei proprio sapere con quali criteri certi uomini decidono se una donna può o no essere degna di rispetto.
Perché se ti spogli su internet hai una pessima reputazione, se invece ti comporti in modo serio fai soggezione, passi per "quella che non si sa divertire, che è pesante, che propina a tutti discorsi di alto livello culturale e morale". Potresti venire emarginata e derisa anche a causa del tuo buonsenso e della tua serietà.
Dunque, attenendosi a questi fatti, quando una donna merita veramente rispetto?
Fortunatamente non tutti i ragazzi e gli uomini ragionano così. Io lo so, quindi non mi permetto di generalizzare. La generalizzazione è figlia dell'ignoranza.
Però un'ultima frecciatina la faccio, a conclusione di questo post: quando e se si deciderà di istituire una giornata dedicata alla "festa dell'uomo", io mai e poi mai mi permetterò di insultare o di mancare di rispetto in altri modi a tutti quegli uomini che si comportano in modo volgare, disonesto e scorretto. Mai e poi mai mi permetterò di generalizzare dicendo magari: "Gli uomini sono tutti dei mostri!", perché il rispetto è dovuto a tutti. Senza maschere, senza ipocrisie e senza cattiverie.
Però potrei regalare delle camicie, dei cioccolatini o delle raffinate cravatte a tutti gli uomini che mi vogliono bene, quello sì...
Dai, un po' di ironia ci sta anche qui, tutto sommato :-D
5 marzo 2016
L'8 marzo è in arrivo: pensieri e racconti dettati dall'introspezione
LUCIA, UNA GIOVINEZZA SPEZZATA DA UN AMORE
MALATO:
Entrambi
i genitori la definivano: “una ragazzina sveglia, anche se molto
timida e molto introversa. I suoi due sogni erano sposarsi con una
persona che ricambiasse il suo amore e avere dei figli stupendi".
Dopo la
qualifica professionale, aveva iniziato a lavorare nel centro estetico
diretto da zia Enrica.
Potremmo
definire un periodo abbastanza sereno anche la sua post-adolescenza,
almeno fino a quando non aveva conosciuto Alberto in una
chat. Proprio in quel mondo virtuale, dove spesso ci si parla senza
mostrarsi veramente per ciò che si è, Lucia si era invaghita di
Alberto Barnetti.
La loro
relazione era iniziata nel settembre 2008, quando Lucia era una
deliziosa estetista di 21 anni e Alberto invece un trentenne
disoccupato con alle spalle dei precedenti penali per rapina.
La
famiglia della ragazza però non aveva mai approvato il loro
fidanzamento. A questo proposito, così si era espressa la madre: “Dal
primo istante Alberto non mi ispirava fiducia, non lo potevo vedere
punto e basta!”.
Ma
Lucia era innamorata persa, al punto tale che aveva deciso di
scappare di casa per poter convivere con Alberto, in un appartamento
che quest'ultimo aveva ereditato in seguito alla morte dei genitori.
Proprio la convivenza aveva permesso a Lucia di scoprire il
carattere violento, arrogante e irascibile del compagno, il quale non
soltanto le impediva di uscire di casa, ma addirittura si rifiutava
di cercare lavoro, facendosi dunque mantenere dai genitori di
Lucia. Oltre a ciò, Alberto aveva anche una significativa dipendenza dall'alcool.
Ma
c'era molto di più, purtroppo. Ogni volta che Lucia osava
contraddirlo oppure cercava di spronarlo a cercare lavoro, veniva
maltrattata in modo orribile: non riceveva soltanto percosse ma
subiva frequentemente anche vere e proprie violenze sessuali.
Zia Enrica definiva Alberto: "Un alcolizzato, uno che tra l'altro si sentiva un dio in terra perché mia nipote doveva fare tutto ciò che lui le diceva".
Lucia pensava che la nascita di un figlio avrebbe potuto cambiare gli atteggiamenti di Alberto e renderlo più responsabile, più maturo, più tenero.
In effetti, dalla loro dolorosa convivenza era nata una bambina, Emma. Occhioni verdi come i prati all'inizio della primavera, capelli di un bel castano ramato.
Ma nonostante ciò, il carattere di Alberto non era cambiato. Infatti, oltre a mostrarsi completamente disinteressato alla figlia, continuava a esercitare la sua prepotenza e la sua cattiveria su Lucia, sempre più intensamente.
Soltanto due mesi prima di venire uccisa, la giovane aveva deciso di troncare definitivamente i rapporti con il suo convivente, ritornando a vivere con i genitori. Proprio loro l'avevano convinta a denunciare Alberto.
Lucia aveva cercato di riconquistare la libertà, di afferrare il timone della sua nave con entrambe le mani per proteggere anche sua figlia dalle violenze e dai soprusi.
Ma la mattina del 18 ottobre 2012, quando Lucia ed Emma si trovavano da sole in casa, Alberto era entrato nella loro nuova dimora e, furioso per essere stato lasciato, aveva inferto diciotto coltellate a Lucia davanti alla loro figlia di 16 mesi. Poi era uscito lasciando la ragazza agonizzante e ignorando le grida della piccola Emma.
Una volta rientrata a casa, la madre di Lucia, profondamente sconvolta alla vista della figlia immersa in una pozza di sangue, ha preso tra le braccia la nipotina per poterla mettere al sicuro. E in quell'istante, Lucia aveva chiuso gli occhi per sempre. A soli venticinque anni. "E' come se avesse vegliato sulla sua bambina prima di andarsene", aveva detto la madre durante una forte crisi di pianto.»
Allora, non ci tengo affatto a fare del terrorismo psicologico, anche perché sapete bene che io sono contraria alla visione di programmi violenti come "Amore criminale", trasmissioni che tra l'altro non seguo MAI. A me piace soltanto "Don Matteo" e comunque secondo me è inutile che le donne e le ragazze maltrattate dai loro mariti o fidanzati seguano quel genere di programmi: non saranno certo quelle scene raccapriccianti e sconvolgenti che potranno convincerle a tagliare i ponti con uomini pericolosi e a cambiare stile di vita.
Questa storia è stata inventata da me di sana pianta. I nomi, i cognomi, gli eventi sono stati immaginati da me e trascritti qui in una forma abbastanza simile a quella della cronaca di giornale. Ho cercato di essere oggettiva e poco poetica ma non ci sono riuscita del tutto.
Vi starete chiedendo i motivi per cui ho scritto la storia di Lucia. Semplicemente per commemorare, in occasione della festa della donna, tutte quelle giovani vittime poco più adulte di me che, prima di venire assassinate, hanno subito per molto tempo violenze e angherie da parte di uomini malvagi che le hanno fatte sentire delle nullità.
Ci sono molte Lucia Castelli in Italia, anzi troppe.
Ragazze appena più grandi di me che si trovano in situazioni simili... Già solo il pensiero mi fa stare veramente male, mi fa venire le lacrime agli occhi. A costo di essere presa in giro fino all'eternità, vorrei poterle abbracciare e vorrei poter dire loro che non sono dei vermi, non sono delle nullità ma sono gemme che devono fiorire, sono arcobaleni che devono brillare con tutta la loro vivacità in un cielo plumbeo e violaceo. E poi vorrei dire loro che sono preziose agli occhi di Dio non solo e non tanto per le caratteristiche fisiche. Se solo potessi salvarle tutte...
LENE MARLIN, "UNFORGIVABLE SINNER":
Non so se la conoscete, ma è una cantautrice norvegese. Questa canzone avrà più o meno la mia età e alla fine degli anni Novanta è stata utilizzata in alcuni film americani come colonna sonora.
Se notate, il testo si riferisce proprio ad una donna uccisa in modo violento che ora si trova serenamente in Paradiso e canta come un angelo, canta una melodia che il suo assassino non potrà mai sentire, preso com'è da sentimenti di angoscia, inquietudine e rimorso. E' bellissima anche la melodia.
Leggete anche ciò che viene di seguito.
COME ANNA VEDE SE STESSA:
Qualcosa su di me ci può stare in occasione della festa della donna. E' un ritratto che faccio di me stessa e che dedico appunto alle ragazze giovani di età simile alla mia. Non perché mi considero un modello, ma perché anch'io ho qualcosa di bello e di importante da trasmettere.
Parto dai tratti fisici e ad ogni modo cercherò di essere breve e incisiva. Premetto che non mi sono mai considerata né una reginetta di bellezza, né un mostro inguardabile e deforme.
Sono sempre stata magra come una corda di violino, non riesco a liberarmi del tutto dalle cicatrici d'acne e ho una carnagione piuttosto pallida. Ciò che è particolare in me sono soprattutto gli occhi e i capelli.
Questa sono io vista praticamente di spalle. Una criniera castano-scura, indubbiamente. E questo senza alcun tipo di intervento da parte del parrucchiere. I miei capelli sono così da alcuni anni, sono diventati così da soli verso la fine della prima superiore. E' piuttosto raro trovare ragazze della mia età con dei capelli così mossi. Non è una vanteria, è solo una constatazione. Anche se devo ammettere che mi piacciono molto. Potrebbero sembrare scarmigliati ma questo perché il mio pettine non riesce a "domarli".
E poi ci sono i miei occhi grandi che vorrebbero sempre abbracciare l'orizzonte in cui tramonta il sole. Si dice spesso: "Gli occhi sono lo specchio dell'anima". Oddio, nel mio caso credo sia vero.
Sapete che cosa io credo che mi renda unica (Non dico bella, ma unica al mondo, unica nel mio genere e per questo degna di essere rispettata e amata.)?
La mia sensibilità, dote che, sin da quando ho memoria, mi ha permesso di godere della bellezza della natura e di comprendere molto bene non soltanto i sentimenti di chi mi è vicino ma anche i miei. Sono sempre stata introspettiva, incline alla riflessione.
E poi sono forte come una quercia. Sono mite ma al contempo forte, determinata nel coltivare progetti, aspirazioni e ideali. Non ho detto convinta, ma determinata, nel senso che non ho ancora dei precisi progetti di vita (a 20 anni è abbastanza difficile averli) ma soprattutto in questi ultimi mesi mi sto impegnando con tutte le mie forze per disegnarli bene e nitidamente. E i miei principi mi aiuteranno di certo.
E comunque ci tenevo a dire che il mio futuro-eventuale marito non dovrà convivere con i miei capelli castani e con il mio corpo asciutto, bensì con la mia sensibilità oltre che con un mucchio di difetti che contribuiscono a rendermi unica, irripetibile e inimitabile. Perché non esiste il clone di noi stessi.
I MALTRATTAMENTI ALLE BAMBINE:
Eh, sì. Un paragrafo anche per quelle povere bambine maltrattate da adulti senza scrupoli. E qui, la mia mitezza di solito va a farsi benedire.
E dopo questa, mettete il bollino rosso al mio blog... :-( :-(
Comunque è un'indecenza, una vergogna!!! Io vorrei tanto scorticare la pelle di quelli che fanno cose di questo genere e poi immergerli in una vasca piena di sale grosso, che soffrano il più possibile!! Coloro che si permettono di rovinare la vita di un bambino sono gli esseri più spregevoli che esistano!
Sono ancora troppe le bambine che subiscono delle forme di violenza. Pensate che soltanto in Italia sono quasi centomila i bambini vittime di maltrattamenti e abusi. Più della metà sono femmine.
Alcuni psicologi hanno inoltre dimostrato che i gravi traumi provocati da maltrattamenti fisici e violenze sessuali rappresentano per le vittime, a maggior ragione se piccole, un'enorme frustrazione a quel bisogno di controllo sulla realtà esterna che costituisce un'esigenza fondamentale per l'essere umano.
In particolare, i traumi infantili causati da violenze e percosse fisiche distruggono nella psiche del bambino almeno tre elementi fondamentali per il suo sviluppo mentale:
1) Il senso di invulnerabilità di sé, che quando non sconfina in forme esagerate, costituisce un vissuto basilare di fiducia e di sicurezza nel proprio futuro. Purtroppo, le vittime di maltrattamenti imparano molto presto che nulla nel corso della vita è prevedibile e che la certezza di arrivare sani e salvi alla fine di ogni giornata è sempre e soltanto un'illusione. Tra l'altro bisogna constatare che quasi sempre l'aggressione viene messa in atto da un membro della famiglia in cui il bambino si trova. Dunque, la vittima diviene ben presto consapevole del fatto che non tutti gli adulti sono buoni e affidabili.
2)Il maltrattamento e l'abuso sessuale non permettono lo sviluppo dell'autostima, dal momento che il bambino maltrattato tende a costruire un'immagine negativa di sé.
3) I maltrattamenti subiti nel corso dell'infanzia non permettono a coloro che li hanno purtroppo sperimentati di dare un senso positivo alla propria esistenza.
Capite? A queste conseguenze disastrose porta la perversione di certi adulti!
LA QUESTIONE DELL'UTERO IN AFFITTO:
Come vedete, non mollo. A febbraio ho scritto a proposito di questo argomento un post pieno di indignazione. Ma non mollo, ritorno su una questione che per i politici europei è diventata di importanza assoluta, al punto tale che il disastro economico greco e il problema degli immigrati appaiono quasi insignificanti se paragonati alla nascita delle famiglie arcobaleno.
Bene, a quanto pare hanno proprio tempo da perdere!! Con tutto il rispetto per gli omosessuali, ovviamente.
Il sistema dell'utero in affitto è deleterio. Sentite che espressione triste, "utero in affitto". Perché se io sono nata con un utero e due ovaie devo tenere per nove mesi un bambino che poi non avrò la possibilità di crescere? Perché il mio corpo deve essere trattato alla stregua di una macchina che fabbrica neonati? Il mio corpo, come d'altronde quello di tutte le donne, è una risorsa all'interno del quale l'atto d'amore dà i suoi frutti.
In altre parole, il nostro apparato riproduttore non è in vendita!!!!
"Utero in affitto", sentite che termini orribili... Un appartamento, un negozio, dei campi, una villetta a schiera sono gli unici beni che possono essere affittati. Ma l'utero proprio no! Questa è la vergognosa mercificazione degli organi umani! Per questo soprattutto sono contraria alla pratica sopra citata. Al di là anche di chiari motivi biologici spiegati nelle prime pagine della Genesi, nel racconto della Creazione.
Diego Fusaro, filosofo dei giorni nostri, si esprime così a questo proposito:
"L'utero in affitto è la vittoria del capitale che ci fa credere che la libertà sia la possibilità per l’individuo di fare tutto ciò che vuole, a patto che possa permetterselo economicamente. Libertà reificata, libertà falsa, libertà ricavata per astrazione del mondo della circolazione delle merci."
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