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14 maggio 2016

La storia di Carlo Lwanga e considerazioni personali in relazione all'attualità:



"Addio ragazzo!
Del tuo limpido sorriso
non godrà più
la brillante luna
che risvegliava i tuoi innocenti desideri"



Questa è la strofa più intensa e più terribile che io abbia mai scritto! E chi legge questo blog da qualche anno lo sa bene.
Un ragazzo che muore a causa della cattiveria e dell'odio altrui... oh, questo è inaccettabile e contro natura!!!!! 
Perché ogni ragazzo ha il sacrosanto diritto di ridere, di sognare, di amare, di vivere intensamente ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo della sua vita! 

Anche questo è un post pesante, lo ammetto. Però lo scrivo comunque, dal momento che c'è un particolare collegamento con le ultime vicende di cronaca nera.
No, non voglio spendere molte parole per parlare di Fortuna Loffredo e di Antonio Giglio. La perversione, la malvagità e l'incredibile degrado morale che regnano in certe famiglie mi lasciano sconvolta, annichilita, basita.
Dico solo questo: una madre che non protegge i suoi figli da un compagno violento e pedofilo non è una madre, è un mostro.
Una madre che non si è mai accorta del fatto che sua figlia è stata stuprata ripetutamente non è una madre. E' una pita saoria (per chi non è veronese: "una polla bella e buona"!).
Non sono cattiva e non mi è mai piaciuto giudicare male le persone. Immagino l'immenso e lacerante dolore di Domenica. Però dai... come si fa a non accorgersi di nulla? Una piccolina di sei anni che subisce violenze di quel genere non può essere una bambina felice. Quindi almeno non dire in televisione che tua figlia era serena e amava la vita. 

Attualità a parte, la tristissima storia di Carlo Lwanga è poco conosciuta anche presso i cattolici.
Un modo per poterla diffondere è proprio un post sul blog, perché in qualche modo questa storia insegna agli adulti a rispettare la vita dei più giovani.
Ricordo ancora cosa diceva il commento sulla mia poesia che la giuria aveva elaborato per il Concorso "Valeggio Futura 2014":
" il ritmo cadenzato dell'ostinata denuncia addio, ragazzo. (...)"  

Io con quel componimento denunciavo l'ingiustizia della guerra, le atrocità causate dall'odio razziale... e la tragica fine di giovani vite, o meglio, di fiori strappati alla vita e all'affetto dei loro cari troppo presto e con troppa violenza. Di arcobaleni spenti dall'irruenza dei lampi e da impietose e minacciose nuvole violacee.
E allora sembra assurdo ma ho pensato proprio a questo: denunciare ciò che è male è mio compito. Ma questo non perché mi sento la miglior paladina della giustizia, dell'onestà, della purezza e della solidarietà. Soltanto per il fatto che dentro di me mi sento in dovere di farlo.
Preambolo concluso! 

CARLO LWANGA:

I molti regni dell'Uganda nel XIX secolo. Quello evidenziato in rosso era il regno di Mwanga II.
Dunque, sappiate innanzitutto che siamo in Uganda nella seconda metà del XIX secolo.

Carlo Lwanga, nato nel 1865, era il capo dei paggi della corte del re Mwanga II, il quale salì al trono nel 1884, inizialmente sostenuto dai cristiani che, negli anni precedenti avevano detestato il dispotismo del re musulmano Kalema.  
Diverse fonti storiografiche e agiografiche sostengono che re Mwanga, negli anni della sua gioventù (=e quindi prima di salire al trono), era venuto a contatto con mercanti bianchi provenenti dal nord Europa, dai quali si fece condizionare in quanto a pessime abitudini di vita.
Si dubita addirittura del fatto che Mwanga fosse nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Egli inoltre, beveva alcolici in gran quantità, fumava hashish ed era dedito a pratiche omosessuali. Nutriva attenzioni morbose soprattutto per adolescenti e giovani uomini operativi alla sua corte. 
E così i paggi che lo servivano alla sua corte, tutti ragazzi di età compresa tra i 16 e i 26, erano costretti, con frequenza e con regolarità, a subire violenze sessuali.

Per di più, questo re intravedeva nel cristianesimo il maggior ostacolo per le sue dissolutezze. A sobillarlo contro i cristiani furono soprattutto gli stregoni e i feticisti, dal momento che vedevano compromesso sia il loro ruolo sia il loro potere. 
La tremenda persecuzione a danno dei seguaci del Cristianesimo era iniziata  nel 1885 e la prima vittima fu il vescovo anglicano Hannington, il quale aveva cercato più volte di difendere i giovani paggi dalle attenzioni morbose del re.

Carlo Lwanga era cattolico e, per qualche tempo aveva assunto una funzione di leader tra i giovani cristiani. Naturalmente anch'egli subiva numerosi abusi e tentava di difendere i ragazzi più giovani dalle voglie perverse del sovrano.
Carlo era stato condannato a morte il 25 maggio 1886; ma non soltanto perché Mwanga II era infastidito dall'atteggiamento fervoroso che il ragazzo assumeva nel coltivare la sua fede e nel difendere gli altri paggi dalle violenze. Per anni si è creduto soprattutto a questo.
In realtà, ora è risaputo che il ragazzo era stato condannato a morte soprattutto perché si era rifiutato di sottoporsi ad un'ennesima violenza.
Con altri paggi ed altri cristiani che professavano senza vergogna la loro fede in quel buio periodo storico, Carlo era stato crocifisso e arso vivo sulla sommità di una collina.
Ecco come sono fatti i sovrani che si credono degli dei in terra. Se qualcuno rifiuta la loro tirannia per poter salvare la propria dignità viene condannato a morte.

Papa Benedetto XV lo aveva proclamato beato il 6 giugno 1920. La memoria liturgica di Carlo Lwanga ricorre il 3 giugno (... chissà quanti sacerdoti la tengono presente!...)

Morire a soli 21 anni. Rendetevi conto... 21 anni... a mio avviso, l'età in cui i ragazzi si fanno voler bene facilmente, perché abbastanza spesso presentano un' interessante mescolanza di caratteristiche: l'ingenuità di un bambino, la vivacità di un adolescente e il pragmatismo di un adulto. 
Almeno, quelli che conosco io sono così.
Violentare un bambino è un'azione disumana, schifosa, terribile. Abusare della bellezza che un ragazzo detiene dentro di sé è un mostruoso abominio.

Sentiamo parlare moltissimo di violenza fisica e piscologica a danni di bambine e ragazze. Sono avvenimenti reali e gravissimi traumi psicologici per le ragazzine, ma sappiate che purtroppo esistono anche la pedofilia e la prostituzione maschile. Non so perché però facciano molto meno rumore. Non so perché per le violenze a danno di bambine e di ragazzine si riesce spesso a trovare il colpevole, mentre per gli abusi su bambini e ragazzini il responsabile non viene individuato quasi mai e le inchieste vengono presto archiviate in una fitta nebbia di omertà.
Non sono diventata improvvisamente maschilista, è tutto molto vero, basta informarsi!
Willy Branchi per esempio... Assassinato a 17 anni in provincia di Ferrara, sulle rive del Po, perché si era rifiutato di avere rapporti omosessuali con uomini sposati che costringevano con minacce pesantissime molti adolescenti maschi della sua età a prostituirsi.
Willy è morto nel 1989. I suoi assassini non hanno mai trascorso un giorno in carcere! 
Anche la vicenda del piccolo Antonio Giglio presenta molti aspetti ancora da chiarire, al punto tale che fino adesso nessuno si è impegnato a scoprire chi veramente lo abbia scaraventato dal settimo piano del palazzo e per quale perverso motivo.
E questi sono soltanto due casi.

Ultimamente potrei risultare anche noiosa e ripetitiva come un disco rotto, però ci sono dei momenti in cui mi sento piuttosto avvilita e mi chiedo: ma possibile che nel XXI secolo, all'alba del Terzo Millennio, bisogna ancora richiamare e difendere valori elementari ed essenziali come il rispetto per se stessi e per gli altri e il riconoscimento della dignità del nostro prossimo?  Il martirio di Carlo Lwanga deve farci riflettere soprattutto su questo!

Qui, nel nord del mondo, siamo tecnologicamente avanzati, scientificamente progrediti, abbastanza tranquilli economicamente. L'analfabetismo è pressoché inesistente ormai e in effetti siamo pieni di impegni e di opportunità che possono arricchirci dal punto di vista sociale e culturale.
Eppure, dobbiamo ancora imparare il rispetto reciproco. Aggrediamo chi manifesta un pensiero diverso dalla massa, discriminiamo i poveri e gli immigrati, deridiamo la fede religiosa di alcune persone, spesso ci rassegniamo di fronte alla disonestà e alla corruzione dei politici e assumiamo atteggiamenti omertosi di fronte a gravi ingiustizie. Il rispetto... il rispetto sta alla base del vivere in modo civile e umano. Il rispetto sta alla base della generosità, della mitezza, del senso civico, del calore umano. E del riconoscimento della dignità altrui!
A mio avviso non siamo molto lontani dalla società che Bradbury descrive in "Fahrenheit 451". Innanzitutto per il fatto che si legge sempre meno e si riflette sempre meno su ciò che ci circonda. Poi, anche perché le relazioni umane sono oramai ridotte ai minimi termini: siamo quasi tutti concentrati su noi stessi, sui nostri impegni e sui nostri doveri, al punto tale che tendiamo a concedere agli altri (amici, conoscenti e familiari) dei piccoli ritagli di tempo. Abbiamo sempre più paura dei sentimenti: quasi nessuno li confida più. E così ci chiudiamo in noi stessi e nel nostro guscio, infastiditi quando qualcuno cerca di interessarsi del nostro stato d'animo. Forse siamo ancora in grado di commuoverci di fronte alle manifestazioni dell'arte e di fronte alla potenza evocativa della poesia, ma dopo quell'istante in cui si versa qualche lacrima che succede? Succede che ritorna tutto come prima, anzi, peggio di prima, dal momento che la suggestività dell'arte ci ha resi consapevoli della nostra solitudine, della precarietà dell'esistenza e magari anche della nostra vuotezza di ideali.
Ho scritto tutto in prima persona plurale. "Mi ci metto dentro anch'io", ragazza dotata anche di fragilità e di contraddizioni. E io stupida, che credevo che le mie lacrime di fronte a un libro, a un film o a una mia poesia fossero dovute soltanto alla mia dote di sensibilità!
Sicuramente c'è un coinvolgimento emotivo. Ma si tratta di un'emotività finalizzata a riscoprire la condizione della solitudine e della limitatezza del pensiero.

A volte tra l'altro penso a questa società come se fosse un castello circondato da una muraglia molto spessa e molto alta, che impedisce di scorgere l'orizzonte.

Avete presente la storia del gigante egoista? Altrimenti vi consiglio di leggerla, in modo tale da poter capire meglio questa mia immagine.




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