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8 maggio 2016

Ibico e Petrarca a confronto:

Visto che siamo nel pieno della primavera e visto che in queste settimane sto ristudiando alla grande il programma di letteratura greca, vi propongo quest'interessante analogia tra due poeti molto lontani nel tempo.
Ah, una mia considerazione ci sta prima di presentarvi i testi: la poesia italiana rivela tutto il suo splendore ispirandosi a tematiche e sentimenti espressi già nell'antichità classica.

IBICO:

"Germogliano a primavera i Meli di Cidonia,
bagnati dalle acque dei fiumi,
là dove si apre il giardino inviolato
delle Vergini, e i fiori di vite
crescono sotto tralci ombrosi.
Ma per me Eros non dorme
in nessuna stagione:
come il vento di Tracia infiammato di lampi
infuria accanto a Cipride
e mi riarde di folli passioni,
cupo, invincibile,
con forza custodisce l'anima mia."







Ibico era nativo di Reggio Calabria, città che nel VI secolo a.C. faceva parte della Magna Grecia. Era figlio di un legislatore e nel corso della sua vita aveva viaggiato molto.
Si era trasferito a Samo alla corte di Policrate il vecchio, tiranno dell'isola che aspirava comunque a incentivare anche una politica culturale.
Non si sa molto altro della vita di Ibico, ma sulla sua morte è stata creata una curiosa leggenda (Nel lontano febbraio 2011 avevo preso 9 in un compito scritto di greco. Ricordo benissimo che la mitica prof. Ticinelli ci aveva assegnato una versione che narrava questa leggenda).
Ibico sarebbe stato ucciso da alcuni predoni e, abbandonato agonizzante sulla strada, aveva chiamato a testimonianza della sua morte delle gru che in quel momento volavano nel cielo. Un po' di tempo dopo, uno dei suoi assassini aveva dichiarato a teatro che "gli uccelli del cielo volavano come le gru di Ibico", e in questo modo si sarebbe smascherato da solo.

Secondo alcuni studiosi, la comunque lunga permanenza di Ibico a Samo avrebbe determinato un cambiamento piuttosto significativo nei contenuti della sua poetica. Nel senso che, da una lirica prevalentemente caratterizzata da tematiche mitiche sarebbe passato ad un genere per lo più erotico-romantico. D'altra parte la tematica amorosa era molto richiesta negli ambienti di corte presso gli esponenti dell'aristocrazia, unici che accedevano al simposio.
La letteratura creata nell'antica Grecia e in epoca arcaica (VIII-VI secolo a.C.) era riservata a poche elites, ma a mio parere era senza dubbio meravigliosa, perché rappresenta molto bene gli sforzi che un'antica civiltà ha compiuto per cercare di comprendere le origini del mondo e per descrivere,  spesso in modo decisamente suggestivo, sentimenti, ideali, passioni e prese di posizioni politiche.
Epica e lirica sono i generi che più adoro della letteratura greca.

Ad ogni modo, nella lirica è evidente il binomio amore-natura. Chiarisco il significato di alcune parole: Cidonia era una città che si trovava nell'isola di Creta. A dire il vero questa città esiste ancora oggi ma ha un nome diverso: La Canea.
"Vergini" è un termine che indica le Ninfe e la Tracia, regione che si trovava a nord del mondo ellenico antico, era allora considerata una regione semibarbara caratterizzata da un clima poco gradevole. La Tracia era una regione che occupava l'estremità sudorientale dei Balcani e ora corrisponde ad una piccola parte del nord-est della Grecia e alla Bulgaria meridionale.



Nella prima parte del componimento è presentato un piacevole paesaggio tipico della primavera inoltrata: crescono i frutti sui rami degli alberi, le acque dei fiumi scorrono placidamente e nascono anche i fiori di vite (io che vivo da sempre in campagna me ne accorgo: i fiori sulle viti spuntano di solito nella seconda metà di maggio).

Come in Saffo però (ricordate il frammento che diceva: "Scuote Eros il mio cuore, come vento sul monte che si abbatte sulle querce"?), anche in Ibico l'amore è un sentimento soverchiante e travolgente, un tormento che non permette tregua. E' infatti paragonato alla tempesta, elemento che contrasta tutte le immagini positive precedenti.


PETRARCA:

Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena,
e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,
et garrir Progne et pianger Philomena,
et primavera candida et vermiglia.

5 
Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;
Giove s’allegra di mirar sua figlia;
l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;
ogni animal d’amar si riconsiglia.


Ma per me, lasso, tornano i più gravi
10 

sospiri, che del cor profondo tragge
quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;


et cantar augelletti, et fiorir piagge,
e ’n belle donne honeste atti soavi
sono un deserto, et fere aspre et selvagge.


Non potevo fare a meno di pensare a questo sonetto, scritto nel pieno del XIII secolo d.C!
E' incredibile come, a distanza di un millennio, certe tematiche letterarie si ripetano! Reinterpretate in contesti differenti e in epoche differenti, ma comunque si ripetono. Come se si svelassero in una luce diversa!

Il componimento è stato scritto dopo la morte di Laura (oltre al 1348). Anche qui, le immagini piacevoli e positive della prima parte (le due quartine) si contrappongono alla profonda malinconia che emerge nelle terzine. E' evidente la marcata contrapposizione tra la natura, elemento esterno che accoglie tutta la vitalità della rinascita primaverile, e l'interiorità del poeta, pervasa dal dolore della perdita.

Importante notare che le prime due strofe sono intrise di riferimenti mitologici tipici della classicità greco-latina: Zefiro, vento occidentale che annuncia la primavera, annuncia l'arrivo della bella stagione. Petrarca infatti si ispira a un mito greco narrato anche nel VI libro delle "Metamorfosi" di Ovidio: Progne (Procne in greco) e Filomena erano due sorelle, la prima era moglie di Tereo, re di Tracia, il quale però abusava della cognata Filomena dal momento che ne era innamorato. Inoltre, per impedirle di riferire a Progne le violenze subite, le aveva tagliato la lingua. Ma Filomena era riuscita a comunicare con la sorella ricamando un messaggio su una tela. Progne, mossa dal desiderio di vendetta, aveva ucciso il figlio avuto da Tereo e glielo aveva dato in pasto di nascosto.

Per evitare di venire assassinate da Tereo, Progne e Filomena erano state trasformate dagli dei rispettivamente in usignolo e rondine.
Mi piace moltissimo l'espressione "Ridono i prati", come se la luce del sole fosse un sorriso radioso che si riflette sull'erba verde.


Nel verso 6 compare anche un riferimento astronomico: i pianeti Giove e Venere appaiono vicini in cielo.

Ma i suoni e i colori della natura che rifiorisce non  alleviano le sofferenze del poeta. Qualsiasi meraviglia naturale si tramuta ai suoi occhi in deserto.
Infatti Laura, morendo, ha portato in cielo le chiavi del suo cuore, rendendo dunque eterno il sentimento che Petrarca prova per lei. Un concetto che in qualche modo ricorda i suggestivi finali dei miei romanzi e film preferiti "I passi dell'amore", "Colpa delle stelle", "Bianca come il latte, rossa come il sangue".


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