A distanza di millenni, certe tematiche letterarie che riguardano la vita umana si ripetono.
E' vero, in Pirandello non compare il tema dell'onore in battaglia; però, nella mentalità culturale della Grecia arcaica (VIII-VI secolo a.C. ) qualcosina che ricorda le sue teorie sull'identità dell'individuo c'è.
Leggete pure!
GLI EROI OMERICI:
Alla fine della guerra di Troia, i soldati di Agamennone compiono un lungo e travagliato viaggio di ritorno. Le loro navi percorrono le vaste e misteriose vie del mare infinito e rumoreggiante, tagliano le onde ma, subito dopo il loro passaggio, l'acqua si richiude e la loro scia viene cancellata.
Ma il solco della vita di un eroe non deve sparire come quello delle navi. Un eroe sa benissimo di dover lasciare un ricordo dietro di sé, in modo tale che le generazioni future vengano a conoscenza un giorno delle sue valorose e gloriose imprese.
Ci sono due parole che in greco antico esprimono il concetto di gloria: δòξα e κλέoς.
Ho riflettuto molto sui loro significati e credo che la differenza concettuale sia questa: devo innanzitutto essere molto precisa, dal momento che δòξα ha come primo significato "opinione", come secondo "fama" e come terzo "gloria".
A mio avviso la δòξα è la fama che perdura nel tempo, una sorta di venerazione che i combattenti ottengono dopo la morte. Ci sono arrivata soprattutto riflettendo sul significato di "opinione": l'opinione è strettamente legata al "ritenere qualcosa". Dunque, la gloria che probabilmente gli antichi greci intendevano esprimendosi con questa parola, si riferiva per lo più al ricordo molto positivo che un eroe aveva lasciato di sé dopo la sua morte. Attraverso il ricordo, dunque, essi onoravano un uomo comunemente e pubblicamente ritenuto valoroso per aver compiuto certe azioni. Io penso ad Ettore, giovane uomo che ha sacrificato se stesso per difendere la città di Troia. L'Iliade si conclude con il compianto del popolo troiano sul corpo di Ettore:
"Per nove giorni portarono legna infinita:
e quando la decima aurora, luce ai mortali, comparve,
portarono fuori Ettore audace, piangendo,
e posero il corpo in cima al rogo e attaccarono il fuoco.
Ma quando figlia di luce brillò l'Aurora dita rosate,
il popolo si raccolse intorno al rogo di Ettore luminoso;
e come convennero e furono riuniti,
prima spensero il rogo con vino scintillante,
tutto, là dove aveva regnato la furia del fuoco: poi
raccolsero le ossa bianche i fratelli e i compagni,
piangendo: grosse lacrime per le guance cadevano."
(Iliade, libro 24, vv.784 - 794)
E ora ritorniamo ai soldati dell'esercito dell'autoritario e dispotico Agamennone: ciascuno di loro durante quel sanguinoso conflitto, ha raggiunto la sua parte di gloria.
κλέoς dunque è la gloria che un uomo ottiene soltanto se si impegna, durante i combattimenti, a lottare con tutte le proprie forze, come se ogni sua azione fosse l'ultima. E', almeno così credo io secondo quello che ho studiato e pensato, una sorta di onore che un guerriero ottiene dopo aver combattuto strenuamente. Il κλέoς permette all'eroe di ricevere un dono che tutto il popolo gli riconosce pubblicamente mentre egli è ancora in vita: può trattarsi di una prigioniera divenuta schiava, di cavalli, di un'armatura o di oggetti preziosi. Il dono è la primizia che si concede ad un uomo che si è molto distinto dagli altri.
Per molto tempo l'epica omerica è stata tramandata oralmente dagli aedi attivi negli ambienti di corte. Nessun filologo sa esattamente quando la civiltà greca abbia deciso di fissarla per iscritto; il fatto è che il linguaggio dell'epica è molto composito, costituito da vari dialetti; in particolare da coloriture ioniche ed eoliche. Io a scuola ho studiato l'attico, variante dialettale che caratterizza commedie, tragedie, opere filosofiche e alcune importanti opere storiografiche.
Non è un caso che al liceo classico ci facciano studiare l'attico, dal momento che esso aveva assunto la funzione che molti secoli dopo il toscano ha avuto nella storia della lingua italiana.
Come il toscano nella cultura italiana, così l'attico nella cultura greca si è diffuso nelle varie regioni e colonie, al punto tale che, già a partire dalla metà del V secolo a.C., veniva utilizzato come lingua scritta che poteva essere compresa da tutte le persone istruite. L'attico nell'antica Grecia e il toscano nell'Italia dei secoli scorsi convivevano comunque con i dialetti parlati nelle varie zone.
Ad ogni modo, le tragedie attiche si ispirano al repertorio contenutistico presente nei poemi omerici e talvolta lo modificano.
Tutto questo discorso per specificare anche che, nella civiltà greca, è essenziale tramandare perché gli eroi non sono come sentono di essere dentro di loro ma come gli altri li vedono e come la voce del popolo dice che siano. Essi non sono quindi mai soli con se stessi, su di loro incombe sempre il timore di venire criticati e disonorati. Vivono sotto lo sguardo e attraverso gli occhi degli altri.
E' proprio a partire da qui che si possono ricordare le riflessioni filosofico-letterarie di Pirandello.
E' proprio a partire da qui che si possono ricordare le riflessioni filosofico-letterarie di Pirandello.
PIRANDELLO E L'IDENTITA' UMANA INDEFINITA E MUTEVOLE:
"Noi siamo come i poveri ragni, che per vivere hanno bisogno d'intessersi in un cantuccio la loro tela sottile, noi siamo come le povere lumache che per vivere han bisogno di portare a dosso il loro guscio fragile, o come i poveri molluschi che vogliono tutti la loro conchiglia in fondo al mare. Siamo ragni, lumache e molluschi di una razza più nobile -passi pure- non vorremmo una ragnatela, un guscio, una conchiglia, passi pure, ma un piccolo mondo sì, e per vivere in esso e per vivere di esso. Un ideale, un sentimento, un'abitudine, un'occupazione-ecco il piccolo mondo, ecco il guscio di questo lumacone o uomo, come lo chiamano. Senza questo è impossibile la vita."
(L. Pirandello, "Epistolario familiare giovanile")
Queste poche righe fungono da introduzione alla concezione della vita di questo, a mio parere, geniale scrittore: noi umani siamo come i ragni che intessono una tela, dal momento che pensiamo a dei progetti di vita. Proveniamo da esperienze passate, viviamo in un tempo presente che scorre incessantemente, che sembra quasi inafferrabile. Ma questo stesso presente non avrebbe significato se non pensassimo mai a dei progetti per l'avvenire. Siamo anche lumache che portano sulle loro spalle i fardelli dell'esistenza, umiliazioni, offese, dolori, fatiche. E infine, siamo molluschi bisognosi di sicurezza e anche di desideri.
Continua così:
"Quando tu riesci a non avere più un ideale, perché osservando la vita sembra un'enorme pupazzata, senza nesso, senza spiegazione mai; quando tu non hai più un sentimento, perché sei riuscito a non stimare, a non curare più gli uomini e le cose, quando tu, in una parola, vivrai senza la vita, penserai senza un pensiero, sentirai senza cuore, allora tu non saprai che fare: sarai un viandante senza casa, un uccello senza nido."
Alla radice dell'opera pirandelliana si individua una percezione piuttosto netta del dolore e dell'insensatezza della condizione umana. Per Pirandello c'è un enorme scarto tra apparenza e realtà. Il vivere sociale è visto dunque come "un'enorme pupazzata": l'individuo recita delle parti che la società gli impone e dunque si adatta ad essere e a pensarsi come gli altri lo vedono, lo vogliono e lo pensano. Però rimane di fatto un infelice, dal momento che sente nel suo animo di non essere davvero come gli altri lo vedono. L'essere umano inoltre è mutevole non soltanto nell'aspetto fisico ma anche nelle opinioni, nei gesti e nei valori: egli assume dunque delle maschere che variano nel tempo.
Se l'individuo prova a rinnegare le proprie identità condivise e prova a togliersi le maschere egli si ritrova emarginato e diviene dunque un "forestiere della vita", proprio come Mattia Pascal.
(http://riflessionianna.blogspot.it/2012/06/il-fu-mattia-pascal-l-uomo-che-visse.html)
E' il link di una mia recensione di alcuni anni fa, fatta piuttosto bene, anche se avevo soltanto 16 anni e le mie conoscenze di letteratura italiana si fermavano ad Angelo Poliziano.
Avevo scritto che il protagonista del romanzo riesce a fingersi morto per fuggire dal proprio presente e da una quotidianità frustrante, ma, vivendo in completa solitudine e sotto falso nome, si allontana dalle relazioni. In effetti, nelle condizioni di Adriano Meis, è impensabile poter vivere felicemente. Egli reinventa addirittura il suo passato, perde i legami familiari e sociali e così dunque diviene estraneo persino a se stesso.
L'avevo scritto, Mattia/Adriano vive nell'illusione della libertà perché non gode più di diritti civili. Libertà non è "sparire" dal mondo, è compiere delle scelte assumendosi le proprie responsabilità ed essendo disposti anche a pagarne le conseguenze.
Significativo è il titolo di un'altra opera: "Uno, nessuno, centomila". Il protagonista, Vitangelo Moscarda, da un banale fatto quotidiano coglie l'occasione per riflettere sui contrastanti modi con i quali ognuno di noi percepisce la realtà. E' un romanzo sulla disintegrazione dell'io, che crede di essere uno ma in realtà è centomila individui, tanti quanti sono i momenti e le circostanze in cui si trova. In fondo in fondo, l'individuo non è nessuno, dal momento che non è dotato di un'identità chiara e ben definita.
D'altra parte, ora che ci penso: anche gli eroi omerici non sono costituiti da un'identità univoca. Assumono diversi atteggiamenti a seconda delle situazioni in cui si trovano: Achille, come dicevo all'inizio del mese, è premuroso e sensibile con Patroclo, feroce, sanguinario e aggressivo in battaglia.
Agamennone si manifesta sovrano dispotico, arrogante ed egoista con il suo esercito, ma la sua personalità si addolcisce quando si trova con il fratello Menelao.
Io però, sebbene concordi pienamente con le teorie pirandelliane, non ritengo un dramma il fatto che la personalità umana sia mutevole e molteplice. Anzi... considerare ciò può essere uno stimolo ad impegnarci nella nostra quotidianità per dare agli altri la migliore immagine di noi stessi.
Le maschere che fanno davvero male non sono tanto quelle imposte dalla società e dalle consuetudini di vita, quanto piuttosto quelle costituite da grosse menzogne che un individuo dice agli altri, tradendo anche la fiducia delle persone che lo stimano. Una persona falsa è fatta di un'infinità di maschere... inganna gli altri ma soprattutto si inganna da sola.
Sì, senza ideali e senza valori la vita è grama, ma senza l'amore la vita non è vita... è una disperazione, è un abisso buio. Chiunque può amare, se vuole.
Il dramma della vita umana a mio avviso semmai è la fugacità e la precarietà dell'esistenza.
Io credo che siamo un po' tutti come Landon Carter: in perfetta solitudine contempliamo il tramonto del sole e ricordiamo, con una lacrima e un sorriso, coloro che ci hanno lasciato... e che non abbiamo mai smesso di amare.
Avremmo pure centomila sfaccettature, ma se la vita non fosse costituita anche da quei momenti di contemplazione e di solitudine, rischieremmo di impazzire. Almeno io sicuramente impazzirei, dal momento che la mia personalità esige ogni giorno che io "mi rigeneri" interiormente trascorrendo dei momenti da sola.