Padre Cristoforo, che gran personaggio!! Ah sì, che figura straordinaria!
Nel romanzo di Manzoni, intitolato "I Promessi sposi", egli svolge il ruolo di aiutante dei protagonisti Renzo e Lucia, due giovani e umili popolani.
Il programma dell'insegnamento denominato "Letteratura italiana II" prevede anche un approfondimento sull'opera più famosa di Manzoni.
Bene, bando ad ulteriori preamboli, dal momento che voglio intessere una presentazione intelligente di Fra' Cristoforo, in modo tale che anche voi possiate "innamorarvi" o perlomeno apprezzare la sua personalità. Non preoccupatevi, farò del mio meglio: ho già (ri)letto il romanzo e sto finendo di studiare anche i saggi di commento alla prosa manzoniana. Quindi mi troverete seriamente preparata!
CARTA DI IDENTITÀ DI FRA' CRISTOFORO:
Affinché possa risultare un post piacevole, ho pensato di mettere in atto un'idea abbastanza originale: creare una specie di carta d'identità del frate.
NOME: Fra' Cristoforo/ Precedentemente Lodovico.
ETA': Approssimativamente 58 (Manzoni afferma che era vicino alla sessantina).
PERIODO STORICO: XVII° secolo. (Seicento)
RESIDENZA: Convento di Pescarenico, territorio di Lecco.
CLASSE SOCIALE: Borghesia (era figlio di un mercante di seta).
PROFESSIONE: Frate cappuccino e confessore di Lucia.
TRATTI SOMATICI: Capo rasato con una piccola corona di capelli, rughe sul viso, barba lunga e bianca, occhi incavati.
RIFERIMENTI STORICI:
Forse sapete che l'Innominato, la Monaca di Monza e il cardinal Borromeo sono personaggi storicamente esistiti. Ebbene, mi sono documentata e ho scoperto che nemmeno Fra' Cristoforo era un personaggio proveniente dalla fantasia di Manzoni. Lo storico seicentesco Pio La Torre attesta infatti l'esistenza di Padre Cristoforo Picenardi, originario di Cremona e figlio di un ricco e influente mercante di seta.
Padre Picenardi avrebbe dedicato gran parte della sua esistenza al servizio dei più poveri. Nel 1630, anno in cui infuriò un terribile epidemia di peste nel nord Italia, egli stesso chiese di essere trasferito nel lazzeretto di Milano per assistere i malati e confortare i moribondi. Morì di peste in quello stesso anno, contento di aver dedicato la sua vita alla carità verso il prossimo.
Ma chi era il Padre Cristoforo?! Perché aveva deciso di entrare in convento e farsi frate?
E soprattutto, come mai in lui convivono sia lo spirito ardente e infuocato del cavaliere difensore dei deboli, sia l'animo misericordioso di un religioso incredibilmente altruista, umile e saggio?
Ma chi era il Padre Cristoforo?! Perché aveva deciso di entrare in convento e farsi frate?
E soprattutto, come mai in lui convivono sia lo spirito ardente e infuocato del cavaliere difensore dei deboli, sia l'animo misericordioso di un religioso incredibilmente altruista, umile e saggio?
LA STORIA DI PADRE CRISTOFORO:
Se non la ricordate bene vi consiglio caldamente di rivedervi il capitolo 4 del romanzo. Lì è descritta nei dettagli, qui a grandi linee e con l'ausilio di alcune citazioni tratte sia dal romanzo sia dalle riflessioni di critici letterari.
Trovo sia molto interessante confrontare l'etimologia dei due nomi che
questo personaggio ha portato: Lodovico, nome di origine medievale,
significa "guerriero valoroso", tradotto dall'antico alto tedesco.
Cristoforo invece ha origini greche: "Xριστòs" (Cristo) "φερω" (lat. "fero", portare); quindi, letteralmente: "portatore di Cristo", portatore del messaggio evangelico di pace e di amore.
Cristoforo invece ha origini greche: "Xριστòs" (Cristo) "φερω" (lat. "fero", portare); quindi, letteralmente: "portatore di Cristo", portatore del messaggio evangelico di pace e di amore.
Scrive Francesco De Sanctis a proposito di questo personaggio: "(...) La sua vita è stata una lunga espiazione, una reazione contro l'uomo antico. Quel suo umore battagliero diviene poi energia e iniziativa del bene. L'orgoglio prende forma di ardente carità, di olocausto della sua persona al bene dei prossimi. Sotto un altro nome è sempre lo stesso Lodovico, anche se ha mutato scopo e indirizzo."
Fra' Cristoforo sacrifica infatti la sua persona per la consolazione dei malati e degli afflitti.
Nel suo saggio intitolato: "La tabacchiera di Don Lisander", Salvatore Silvano Nigro riassume la vita di Fra' Cristoforo con queste parole: "Fra' Cristoforo è assurto dal sangue alla missione religiosa. Prima di indossare il sacco era stato al secolo Lodovico: il figlio unico di un ricco mercante. Già nella vita laica (snobbato dall'aristocrazia in quanto borghese) si era dimostrato onesto ma violento, protettore degli oppressi e vendicatore dei torti, e aveva impiegato le sue sostanze in opere buone. Lodovico aveva infine ucciso in duello un nobile arrogante che avrebbe voluto imporgli un feudale codice di precedenza pedonale. (...) Lodovico ha ammazzato. La folla accorsa consegna il giovane omicida ferito ai cappuccini di un vicino convento, per sottrarlo alla vendetta della potente famiglia dell'ucciso. In questo asilo, Lodovico matura la sua conversione: prende il sacco cappuccino, assume con umiltà il nome di un suo servitore morto nello scontro con il nobile prepotente e si reca nella casa del fratello dell'ucciso per chiedere pubblicamente perdono. "
Ecco qui il punto in cui il frate novello chiede umilmente perdono alla famiglia dell'ucciso:
"(...) Quando (Fra' Cristoforo) vide l'offeso, affrettò il passo, gli si pose in ginocchioni ai piedi, incrociò le mani sul petto, e, chinando la testa rasa, disse queste parole: "Io sono l'omicida di suo fratello. Sa Iddio se vorrei restituirglielo a costo del mio sangue; ma, non potendo altro che farle inefficaci e tarde scuse, la supplico d'accettarle." Tutti gli occhi erano immobili sul novizio, e sul personaggio a cui egli parlava; tutti gli orecchi eran tesi. Quando fra Cristoforo tacque, s'alzò, per tutta la sala, un mormorio di pietà e di rispetto. Il gentiluomo, che stava in atto di degnazione forzata, e d'ira compressa, fu turbato da quelle parole; e, chinandosi verso l'inginocchiato, - alzatevi, - disse, con voce alterata: - l'offesa... il fatto veramente... ma l'abito che portate... non solo questo, ma anche per voi... S'alzi, padre... Mio fratello... non lo posso negare... era un cavaliere... era un uomo... un po' impetuoso... un po' vivo. Ma tutto accade per disposizione di Dio. Non se ne parli più... Ma, padre, lei non deve stare in codesta positura -. E, presolo per le braccia, lo sollevò. Fra Cristoforo, in piedi, ma col capo chino, rispose: - io posso dunque sperare che lei m'abbia concesso il suo perdono! E se l'ottengo da lei, da chi non devo sperarlo? Oh! s' io potessi sentire dalla sua bocca questa parola, perdono! - Perdono? - disse il gentiluomo. - Lei non ne ha più bisogno. Ma pure, poiché lo desidera, certo, certo, io le perdono di cuore (...) "
-A. Manzoni, "I Promessi sposi, ultime pagine del capitolo IV".
Notate bene che per tutta la sala si leva un mormorio di pietà e di rispetto. Pochi istanti prima, la folla presente nella stanza squadrava Lodovico con curiosità, rivelando tra l'altro lo stretto servilismo nei riguardi del fratello dell'assassinato. Ora invece comprende profondamente la sincera vocazione del giovane, il quale ha appena pronunciato parole di sincero pentimento. Le parole del padrone di casa fungono da eco alle reazioni della collettività.
In effetti, poche righe dopo, Manzoni scrive: "(...) Il gentiluomo, trasportato dalla commozione generale, gli gettò le braccia al collo e gli diede e ne ricevette il bacio di pace."
Questa è la vittoria dell'umanità del religioso contro le vanità formali del XVII secolo: è utile notare che in questo punto non vengono più osservate le regole del cerimoniale cavalleresco, dal momento che il nobile abbraccia il borghese come se fosse un suo pari dal punto di vista dello status sociale.
ALTRE CITAZIONI UTILI PER COMPRENDERE BENE LA FIGURA DI PADRE CRISTOFORO:
Ho copiato e incollato qui sotto uno spezzone trovato su YouTube del film di Mario Camerini. E' una pellicola che ha ormai i suoi settant'anni, ma intrattiene con l'opera letteraria un rapporto piuttosto fedele. Mi è stato utile come ripasso dopo la lettura.
Questa parte comprende i capitoli 5-7 del romanzo, che includono anche il momento in cui Fra' Cristoforo si reca a casa di Don Rodrigo per convincerlo a desistere dai suoi capricci. Perché effettivamente, l'aristocratico si era invaghito di Lucia ma... invaghirsi è ben diverso dall'innamorarsi!
Sono 14 minuti di film. Durante il pranzo, Don Rodrigo, il cugino Attilio, il Podestà e l'Azzecca-Garbugli parlano di c*zz**e da signorotti egoisti e perdigiorno. Nonostante ciò, vi invito caldamente a notare cinque aspetti, per quando arriverete ai minuti del loro dialogo:
1) I due uomini non si siedono ma stanno entrambi al centro della sala, come dei duellanti che stanno per affrontarsi. D'altra parte, sta per esplodere un concitato conflitto verbale.
2) "Vengo a proporle un atto di giustizia, a pregarla di una carità", dice il frate, con atteggiamento antidiplomatico. E' vero, pronuncia queste frasi con tono pacato e moderato, senza alterarsi, ma pensate che già qui sembra, almeno a mio avviso, ritornare l'antico Lodovico: dapprima infatti il personaggio pronuncia la parola "giustizia", poi menziona la "carità". Ricordate bene che l'indignato Lodovico nutriva amore per la giustizia, mentre invece al magnanimo Fra' Cristoforo sta a cuore la carità.
3) Non potete vederlo bene, ma ve l'assicuro io: il frate stringe tra le dita il piccolo teschio attaccato alla corona del rosario, simbolo di un "memento mori" che già anticipa l'ammonimento "Verrà un giorno..." che risuona qualche minuto dopo.
4)Don Rodrigo si dimostra malizioso, polemico... Non affronta seriamente l'argomento perché non è abituato ad assumersi le proprie responsabilità. E' sfacciato e ingiusto.
5) Entrambi gli uomini escono sconfitti dal colloquio: Fra' Cristoforo non riesce a far cambiare idea al nobile e inoltre arriva a un punto in cui non trattiene più lo sdegno: urla e minaccia. Don Rodrigo, sebbene abbia maltrattato il religioso, alla fine del conflitto ripensa preoccupato al suo ammonimento.
Al capitolo ottavo, poco prima che Renzo, Lucia e Agnese partano dal convento di Pescarenico, Frate Cristoforo rivolge questa preghiera a Dio:
"(...) il padre, con voce sommessa, ma distinta,
articolò queste parole: - noi vi preghiamo ancora per quel poveretto che ci ha
condotti a questo passo. Noi saremmo indegni della vostra misericordia, se non
ve la chiedessimo di cuore per lui; ne ha tanto bisogno! Noi, nella nostra
tribolazione, abbiamo questo conforto, che siamo nella strada dove ci avete
messi Voi: possiamo offrirvi i nostri guai; e diventano un guadagno. Ma lui!...
è vostro nemico. Oh disgraziato! compete con Voi! Abbiate pietà di lui, o
Signore, toccategli il cuore, rendetelo vostro amico, concedetegli tutti i beni
che noi possiamo desiderare a noi stessi."
-A. Manzoni, "I Promessi sposi", cap.VIII.
In questo passo, Lucia, Agnese e Renzo sembrano assenti. Il frate prega da solo. In lui convivono diversi sentimenti: l'affetto per il due giovani popolani, la malinconia per il matrimonio non celebrato, la pietà per Don Rodrigo, causa delle tribolazioni dei protagonisti.
LA PROFONDITÀ DEL MESSAGGIO EVANGELICO DI FRA' CRISTOFORO:
(...)
"Guarda, sciagurato!" - e mentre con una mano stringeva e scoteva forte
il braccio
di Renzo, girava l'altra davanti a sé, accennando quanto più poteva
della
dolorosa scena all'intorno.- "Guarda chi è Colui che gastiga! Colui che
giudica,
e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della
terra,
tu vuoi far giustizia! Tu lo sai, tu, quale sia la giustizia!(...)
Ardiresti tu di
pretendere ch'io rubassi il tempo a questi afflitti, i quali aspettano
ch'io
parli loro del perdono di Dio, per ascoltar le tue voci di rabbia, i
tuoi
proponimenti di vendetta? T'ho ascoltato quando chiedevi consolazione e
aiuto;
ho lasciata la carità per la carità; ma ora tu hai la tua vendetta in
cuore: che
vuoi da me? vattene. Ne ho visti morire qui degli offesi che
perdonavano; degli
offensori che gemevano di non potersi umiliare davanti all'offeso: ho
pianto con
gli uni e con gli altri; ma con te che ho da fare? (...) Tu sai perché
io porto quest'abito. Ho odiato anch'io: io, che t'ho ripreso per un
pensiero, per una parola, l'uomo
ch'io odiavo cordialmente, che odiavo da gran tempo, io l'ho ucciso.
(...) credi tu che, se ci fosse una buona ragione, io
non l'avrei trovata in trent'anni? Ah! s' io potessi ora metterti in
cuore il
sentimento che dopo ho avuto sempre, e che ho ancora, per l'uomo ch'io
odiavo!
S' io potessi! io? ma Dio lo può: Egli lo faccia!... Senti, Renzo: Egli
ti vuol
più bene di quel che te ne vuoi tu: tu hai potuto macchinar la vendetta;
ma Egli
ha abbastanza forza e abbastanza misericordia per impedirtela; ti fa una
grazia
di cui qualchedun altro era troppo indegno. Tu sai, tu l'hai detto tante
volte,
ch'Egli può fermar la mano d'un prepotente; ma sappi che può anche
fermar quella
d'un vendicativo. E perché sei povero, perché sei offeso, credi tu
ch'Egli non
possa difendere contro di te un uomo che ha creato a sua immagine? Credi
tu
ch'Egli ti lascerebbe fare tutto quello che vuoi? No! ma sai tu cosa
puoi fare?
Puoi odiare, e perderti; puoi, con un tuo sentimento, allontanar da te
ogni
benedizione. Perché, in qualunque maniera t' andassero le cose, qualunque
fortuna
tu avessi, tien per certo che tutto sarà gastigo, finché tu non abbia
perdonato
in maniera da non poter mai pii dire: io gli perdono."
(...)
"Tu vedi!" - disse il frate, con voce bassa e grave.- "Può esser gastigo, può esser
misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per quest'uomo che t'ha offeso,
sì; lo stesso sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in quel
giorno. Benedicilo, e sei benedetto. Da quattro giorni è qui come tu lo vedi,
senza dar segno di sentimento. Forse il Signore è pronto a concedergli un'ora di
ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi
con quella innocente; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla
preghiera d'un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest'uomo e la
tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione...
d'amore!"
Tacque; e, giunte le mani, chinò il viso sopra di esse, e pregò: Renzo fece lo stesso."
-A. Manzoni, "I Promessi sposi", capitolo XXXV.-
Tacque; e, giunte le mani, chinò il viso sopra di esse, e pregò: Renzo fece lo stesso."
-A. Manzoni, "I Promessi sposi", capitolo XXXV.-
A
tre capitoli dalla fine del romanzo, Renzo si trova nel lazzeretto a
Milano per cercare Lucia. Proprio in questo luogo di dolore, egli
incontra Fra' Cristoforo che, come fanno altri religiosi, presta il suo
generoso aiuto ai malati. Fra' Cristoforo però porta i segni della
peste: è pallido, stanco e si regge a stento in piedi. E' un malato tra i
malati. Ma non è certo l'incombere di una grave malattia a fermare il
suo splendido animo colmo di carità fraterna.
Nel
narrargli tutte le sue spiacevoli avventure accadute dopo
l'allontanamento dal territorio di Lecco, Renzo "si lascia scappare"
anche delle frasi inappropriate, che manifestano ancora odio per Don
Rodrigo e che rivelano un desiderio di vendetta nel confronti del
nobile.
Per questo il frate pronuncia un discorso molto severo, di cui sopra ho trascritto alcune parti.
La vista di un Don Rodrigo steso su un pagliaio sudato, pallido, incosciente dal respiro affannoso suscita in Renzo quella
vera compassione che ogni cristiano, secondo l'etica manzoniana,
dovrebbe provare di fronte ad un individuo agonizzante e sofferente.
Ho voluto riportare queste frasi pronunciate da Fra' Cristoforo perché, secondo il commento di Luigi Russo, esse trasmettono un potente messaggio cristiano di perdono.
Proprio nel personaggio di fra Cristoforo si esprime il grande ma difficile valore del perdono.
Russo
sostiene che Don Rodrigo, anche se in quel punto della storia appare
incosciente, soffre tutto dentro di sé dal momento che sente la
lontananza dell'Eterno. Certamente Don Rodrigo è stato in vita un
prepotente che cercava di affermare il proprio potere e i propri
privilegi con la forza. Però, è importante considerare che, pur essendo
stato un oppressore, nella sua sofferenza vi è forse una sorta di
riscatto: infatti, il peccatore sofferente si perde nell'umanità stessa che subisce le fatiche e le calamità della storia.
Questo
passo chiama inoltre in causa anche il tema della giustizia. Per
Manzoni, la giustizia divina è la sola possibile, poiché quella umana è
spesso iniqua e venata da corruzione e da sentimenti di vendetta o
comunque di rivalsa.
... Credo di essere affetta dalla sindrome di Stendhal... Forse da sempre. Non potete immaginare nemmeno lontanamente quanto mi abbia commossa questa figura che ho cercato di presentare in maniera decente. Dai, è bello, è decisamente bello Fra' Cristoforo.
Quando leggevo anche altri passi del romanzo, come l'addio monti di Lucia, Renzo che cammina solo nel bosco in piena notte per raggiungere l'Adda, l'incontro tra l'Innominato e il Cardinal Borromeo e la morte di Cecilia... beh... ammetto che a volte sentivo accelerare i battiti, talvolta invece mi veniva la pelle d'oca per l'emozione.
Quando leggevo anche altri passi del romanzo, come l'addio monti di Lucia, Renzo che cammina solo nel bosco in piena notte per raggiungere l'Adda, l'incontro tra l'Innominato e il Cardinal Borromeo e la morte di Cecilia... beh... ammetto che a volte sentivo accelerare i battiti, talvolta invece mi veniva la pelle d'oca per l'emozione.
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