Concludo l'argomento dei generi con questo post.
1. PARTICOLARITA' E PROBLEMI DEL
“GENERE” GRAMMATICALE
1.1- Von Humboldt e la differenza
tra “genere” e “sesso”:
Von Humboldt, linguista tedesco vissuto
nel pieno del XIX° secolo, aveva intuito una sottile differenza che
intercorreva e intercorre tuttora tra due termini: "genere" e "sesso"; in
latino, rispettivamente “genus” e “sexus”.
Egli sosteneva infatti che, mentre il
“sexus” si collegherebbe a delle determinate caratteristiche
anatomiche degli esseri viventi, il “genus” invece si riferirebbe
al genere grammaticale, categoria linguistica.
Lo studioso tedesco si era
effettivamente reso conto del fatto che la categoria del genere non
sempre è coerente alla designazione del sesso, pertinente comunque
nell'assegnazione dei generi grammaticali maschile, femminile e
neutro.
E in effetti, nessuna lingua è
completamente isomorfa alla realtà, ovvero, nessuna lingua
rispecchia al 100% la vastità del reale e del quotidiano.
Il filologo latino Maurizio Bettini
supporta la preziosa teoria di Von Humboldt scrivendo innanzitutto
che: “Non ci sono tratti semantici uniformemente condivisi che
configurino il maschile e il femminile come categorie discrete”.
Bettini riporta un esempio in lingua
italiana, osservando che la parola “guardia”, nome di genere
femminile, designa molto frequentemente dei referenti maschili.
Le guardie di un castello o di un
palazzo sono tutte degli uomini; questo lo capite se, come me, avete
un minimo di “cultura di favole principesche”. Sentite che frase:
“le guardie sono tutte degli
uomini”. Dal punto di vista meramente grammaticale qui la
concordanza sembrerebbe errata. In realtà è giustissima. La
grammatica e la linguistica sono dei saperi astratti, la realtà è
concreta.
1.2-Gli antinomi:
Alcuni
di voi staranno pensando: ma nei nomi di parentela la distinzione del
genere maschile da quello femminile è chiarissima invece, e
rispecchia appieno la realtà!
Sì,
esattamente!! :-) Nei nomi di parentela infatti il genere è fissato
nella semantica della parola stessa.
Quindi,
se a “padre” corrisponde “madre”, a “fratello”
corrisponderà “sorella”. Queste coppie di antìnomi esistono
anche in lingue diverse dall'italiano.
INGLESE | LATINO |
brother= sister | frater=soror |
father=mother | pater=mater |
Per
quel che riguarda il proto-indoeuropeo si è riuscito a costruire
molto del lessico di famiglia.
Anche
nella protolingua sembra che i ruoli di genere fossero stati ben
fissati nel lessico di parentela.
Qui
vi elenco solo alcune ricostruzioni ritenute valide:
*ph2tèr
(h2 è laringale che tra due consonanti si vocalizza in “a”). Le
laringali in glottologia corrispondono a determinati fonemi vocalici
(h1= e/h2=a/h3=o). Poi però, non chiedetemi in quale modo i primitivi
erano in grado di pronunciarle!!
*mah2tèr
(h2 tra una vocale e una consonante scompare)
*sor
(“donna” ma anche “sorella”). Variante: *swesor,
letteralmente “donna propria” (per Francisco Villar), nel senso
di “parente consanguinea sotto l'autorità di un uomo capo
famiglia”.
*bhrater
(“fratello”), praticamente identico all'inglese moderno.
*nepos
(“nipote”, di zio e di nonno)
*awos
(“nonno”)
*swekuros
(“suocero”) e *swekrùs (“suocera”)
Termini
per designare i cugini e gli zii non ne sono stati trovati.
Ho
studiato per questo esame nell'autunno 2017 e per parte dell'inverno
2018: come me le ricordo ancora bene alcune!
1.3- Le presunte periodizzazioni
dell'I.E.:
E'
più o meno dalla metà del secolo scorso che i glottologi ipotizzano
tre periodi per la nostra ipotetica proto-lingua:
I.E.
Arcaico:
Dal VI° al V° millennio a.C. Non esistono ancora i generi
grammaticali come li conosciamo adesso, esisteva probabilmente
l'opposizione animato/inanimato.
Non
compaiono inoltre né il perfetto né il futuro. Ci sono solo due
tempi: presente e passato.
I.E.
Intermedio:
V° e IV° millennio a.C. Si ampliano i tempi verbali: presente,
passato e perfetto. Esistono ancora le laringali. In questa fase, un
ramo inizia a separarsi: si tratta del gruppo anatolico. L'hittita
infatti conserva una laringale; e questa, a detta di alcuni studiosi,
sarebbe una dimostrazione della loro possibile separazione precoce.
I.E.
Tardo:
IV° millennio a.C., forse anche III°. Questa forma di lingua ha tre
generi: maschile, femminile e neutro, desinenze per ognuno degli otto
casi, tre tempi verbali e aggettivi.
E'
stato importante presentare questa cronologia di mutamenti per poter
capire quello che c'è scritto sotto.
2.
ANIMATO O INANIMATO?
2.1-Stasi o movimento?
Chi ha studiato o sta studiando Scienze Motorie o Fisioterapia ha
sicuramente dovuto affrontare un esame di chinesiologia, parolona
agli occhi degli incompetenti (come me) nel vostro ambito.
Io ho delle abilità mentali di tipo linguistico-grammaticale, i
fisioterapisti di tipo spiccatamente scientifico. Però, pur non
sapendo nulla di questa branca di studi, grazie al greco posso
intuire che la “chinesiologia” deriva da “κίνησις” (chìnesis), ovvero,
“movimento”.
D'altra parte, l'energia cinetica è l'energia di un corpo in
movimento, come le pale dell'energia eolica o come un sasso che cade
dal quarto piano di un palazzo (tra l'altro, se non ricordo male,
nella caduta il suo moto è definito “uniformemente accelerato”).
Ho fatto questa piccola digressione sul concetto di “cinetico”
per chiarirvi una regola d'oro dell'I.E. Arcaico: l'opposizione tra
generi consisteva per lo più nella distinzione tra corpi statici e
corpi dotati di movimento.
Indoeuropeo è tutto il sistema ideologico fondato sull'opposizione
tra presenza e assenza di movimento.
I linguisti hanno formulato la teoria di animato/inanimato notando
che nelle lingue appartenenti alla famiglia indoeuropea esistevano
delle coppie di nomi dei quali uno era neutro e l'altro “animato”
(quindi, appartenente o al genere maschile o a quello femminile).
Ecco un esempio significativo che Bettini fa a questo proposito:
LATINO | GRECO |
Aqua, femminile | ὕδωρ (=udor), neutro |
In latino, “aqua” è femminile, quindi, considerata dagli antichi
romani come una forza naturale in movimento. In greco invece era
considerata soprattutto nella sua materialità.
3-I GENERI NELLE LINGUE MODERNE:
3.1-Un po' di numeri:
In italiano i generi sono due: maschile e femminile.
In latino, in greco, in tedesco e in inglese sono tre: maschile,
femminile e neutro. (per l'inglese: si ricordi il pronome “it”,
riferito a oggetti e animali).
3.2-Esempi di coppie di opposti:
In
lingua italiana, sole è maschile, luna è femminile. Così anche in
inglese: sun (m), moon (f).
Tuttavia,
questa opposizione non si ripete identica in tutte le lingue
indoeuropee.
In
tedesco infatti, Die Sonne (il sole) è femminile, Der Mond (la luna)
è maschile.
Schema
articoli tedeschi.
Maschile: | Femminile: | Neutro: |
Der | Die | Das |
3.3-Le classi nominali:
Quanti
generi può avere una lingua?? Anche più di tre, in casi abbastanza
rari.
Istvàn
dice che se una lingua ha più di tre generi, si deve però parlare
di “classi nominali”.
Il
Dyrbal, lingua indigena dell'Australia, avrebbe dunque 4 classi
nominali: una per il maschile, una per il femminile, una apposita per
i vegetali commestibili, un'ultima per tutto il resto.
In
Dyrbal però gli uccelli non sono della quarta classe, ma della
seconda. Sono femminili, perché creduti delle reincarnazioni di
donne morte.
4-ALTRE
PARTICOLARITA':
Concludo
in bellezza questo post “tecnico”.
4.1- Un'ulteriore ambiguità di
genere:
La
parola “morte”, che deriva dal latino “mors” è di genere
femminile.
La
radice I.E. per “morte” è questa sillaba impronunciabile *mr,
dove r non è una consonante ma una sonante, con il pallino sotto,
quindi, con suono simile a quello vocalico.
Se
“mors” e “morte”sono femminili, mrtyu (antico indiano) è
invece maschile.
Come
in tedesco nei casi di “sole” e “luna”, in antico indiano è
maschile una parola che noi italiani abbiamo sempre considerato
femminile. Per noi grammaticalmente e concettualmente esiste “la
morte”, mentre una cosa come “il morte” non è affatto contemplata.
“Il
morto” sì, riferito alla persona defunta però.
Questo
per confermare che, dal punto di vista linguistico, l'attribuzione
del genere è arbitraria e può variare da lingua a lingua.
4.2- La mia tesina etimologica:
Vi
ho fotografato lo schema della mia breve indagine linguistica. Tanto
il mio corsivo è leggibilissimo, vero??! Ditemi che è così!
1)
Volendo capirne le origini, ho aperto un nominario sul quale c'era
scritto che era una variante del composto russo “Miroslavo” ,
cioè, “colui che è gloriosissimo”.
Villar
mi ha informato del fatto che “slava” significa “gloria, fama”.
2)
Miroslavo è composto da “mir” (pace) e “slava” (fama,
gloria).
3)
La parola “mir” ha lo stesso significato sia in croato, dove è
scritta in alfabeto latino, sia in russo, dove è scritta in
cirillico. Porta anche i sensi di “riposo eterno”, “calma”.
4)
Riposo eterno? Quindi morte? Quindi può derivare anche questa da
*mr, radice da cui derivano tutte le simili “morti” in alcune
lingue? Anche i mutamenti fonetici potrebbero confermare che “mir”
è un'evoluzione del gruppo slavo da *mr.
Infatti, la sonante r in latino da esito or= mors, in
antico indiano rimane sonante e in slavo darebbe esito in ir, dunque:
mir.
5) Alla mia docente è sorto il dubbio che “Mirco”, derivato di
Miroslavo, possa significare addirittura “colui che è glorioso
nella morte”. A me piace di più staccare “Miroslavo” da
“Mirco”, e dare a quest'ultimo il senso di “calma interiore”
oppure di “pacifico”.
D'altra parte, un morto è morto, quindi non è più tormentato da conflitti interiori e dai travagli della vita, giusto?! Un morto è interiormente pacifico.
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