Sono stata l'ultima a uscire dalla cappella delle confessioni. Ammetto che era tardi (io ero in ritardo di un bel po' di minuti) e ho avuto la netta sensazione che Don Martino e Don Giampaolo aspettassero me prima di iniziare la veglia. Addirittura! Che strano. Per le scelte di vita che ho voluto intraprendere, per i comportamenti e per indole sono ormai fin troppo abituata ad essere comunemente ritenuta un personaggio impopolare, non interessante, strana, anomala. Nessuno di solito aspetta me, anzi, se non ci sono e se non compaio tanto meglio!
Lo Spirito Santo ci libera dal complesso della serialità, cioè dal conformismo, dall'unanimismo. (...) Lo Spirito Santo ci dice:"Sii te stesso! Non aver paura di uscire dal gregge! Niente è più antipatico che nascere originale e morire copia!".
(P. Pellegrino, "Il gigante invisibile")
Comunque, a distanza di quasi due settimane sono stupefatta nel ricordare anche quel clima di attesa insolito all'interno della chiesa.
Certamente la veglia in stile Taizé è stato un momento toccante, alla luce fioca delle candele, in un clima di raccoglimento e di silenzio ma... mai toccante come le veglie organizzate periodicamente a Cristo Risorto!
Il recente ricordo di questa esperienza significativa è il motivo principale per cui vorrei dedicare un post a quei pensieri e a quelle sensazioni che Dino Campana aveva messo su carta quando aveva esattamente la mia età e dunque, quando, nelle ultime due settimane di un settembre di più di 100 anni fa, aveva compiuto un pellegrinaggio partendo da Marradi, suo paese natale, fino al santuario della Verna, attualmente in provincia di Arezzo. Campana chiamava Marradi un paese "della toscana romagnola".
I brevi testi in prosa, dei quali riporterò soltanto alcune parti, fanno parte della raccolta dei Canti Orfici.
Ricordo ancora che, nel giugno 2019, questa parte dei Canti Orfici dedicata al santuario della Verna è stata il mio programma di un esame orale di letteratura italiana del Novecento. Quel che era il mio docente di Letteratura e Poesia italiana del Novecento è senza dubbio un buon uomo ma quella mattina aveva i suoi buoni motivi per essere incavolato nero, mi ricordo... Ero la quarta in ordine di iscrizione e prima di me ci sono stati due ritiri (due compagne di corso non preparate che pensavano di dare l'esame senza leggere i libri in programma) e un'interrogazione finita con il brontolìo del professore: "Ma insomma! E' iscritta ad un corso magistrale in Lettere, cerchi di migliorare il modo di esprimersi". E poi sono arrivata io. Mi ha messo 30 senza complimenti, aveva un'aria piuttosto sconsolata e ha aperto bocca soltanto per farmi delle domande formulate con tre parole in tutto ma d'altra parte mi aveva già valorizzata molto, anzi anche troppo, durante il corso.
E con Dino Campana inauguro anche il periodo, appena iniziato, dell'Avvento 2021.
A) CASTAGNO, 17 SETTEMBRE:
La Falterona è ancora avvolta di nebbie. Vedo solo canali rocciosi che le venano i fianchi e si perdono nel cielo di nebbie che le onde alterne del sole non riescono a diradare. La pioggia à reso cupo il grigio delle montagne. Davanti alla fonte hanno stazionato a lungo i Castagnini attendendo il sole, aduggiati da una notte di pioggia nelle loro stamberghe allagate. Una ragazza in ciabatte passa che dice rimessamente: un giorno la piena ci porterà tutti. Il torrente gonfio nel suo rumore cupo commenta tutta questa miseria.
(...)
Alzando gli occhi alla roccia a picco altissima che si intagliava in un semicerchio dentato contro il violetto crepuscolare, arco solitario e magnifico teso in forza di catastrofe sotto gli ammucchiamenti inquieti di rocce all’agguato dell’infinito, io non ero non ero rapito di scoprire nel cielo luci ancora luci.
Il monte Falterona è avvolto dalle nebbie. L'autore non dice "circondato", non dice nemmeno "coperto" ma avvolto, voce verbale che comprende i significati dei primi due verbi citati, dal momento che i banchi di nebbia, un po' grigi, un po' bianchi e un po' azzurrini cingono il monte ai fianchi ma allo stesso tempo lo coprono offuscando i suoi lineamenti e le sue forme.
La pioggia à reso cupo il grigio delle montagne= à è grafia petrarchesca. Nel Canzoniere di Petrarca si trovano infatti (ò per ho e à per ha).
Si dice qui anche che i raggi del sole non riescano a vincere la nebbia. Questo succede nelle giornate d'autunno, d'inverno e talvolta anche a fine estate in montagna: i raggi del sole sembrano piccole scie luminose che accarezzano un fumo inodore che copre tutto, anche la limpidezza del cielo.
Una ragazza in ciabatte passa che dice rimessamente= Periodo formulato su modello della lingua orale che, in ognuno di noi, risulta più imprecisa di quella scritta, indipendentemente dal livello di istruzione, anche nel mio caso (e anche se farete fatica a crederci). Quel "che" ha una funzione relativa, perché nell'italiano scritto la formulazione corretta del periodo è: Una ragazza/ che passa in ciabatte/ dice rimessamente:... Il rimessamente sta per "sommessamente". Comunque, la proposizione relativa dovrebbe spezzare l'andamento della principale.
Attraverso lo studio di alcune opere di Natalia Ginzburg e di altri autori del Novecento posso affermare che, negli ultimi decenni, si è consolidato, nell'italiano scritto e parlato, il "che" polivalente come in queste frasi ultimamente da me pronunciate:
*Pioveva il giorno che sono andata al cinema (=in cui).
*Prendo i fusilli, che devo pesarli (=dato che).
*Lo zio è arrivato a casa che io dovevo andare via (=quando).
*Chiamami un altro giorno che oggi devo stare con la nonna. (=visto che o dal momento che).
i canali rocciosi= Il Carso di Scipio Slataper è duro, roccioso, freddo, nudo. Non è luogo di vita sociale ma luogo di contemplazione e di meditazione.
Eccovi un passo tratto da Il mio Carso: Il mio cappotto aderisce sui sassi come carne su bragia; e se premo, egli non cede: sí le mie mani s'incavano contro i suoi spigoli che vogliono congiungersi con le mie ossa. Io sono come te freddo e nudo, fratello.
rocce all’agguato dell’infinito= Bellissima espressione! Il tramonto domina l'orizzonte e le forme delle rocce, aguzze e spigolose, tagliano il cielo. E Campana è stupito da ciò che vede (=rapito).
Vedete come, a livello sintattico, predominino qui i periodi monofrasali e la paratassi con relative oppure con gerundi che assumono per lo più un valore temporale.
B) CAMPIGNA, FORESTA DELLA FALTERONA:
Dal viale dei tigli io guardavo accendersi una stella solitaria sullo sprone alpino e la selva antichissima addensare l’ombra e i profondi fruscìi del silenzio. Dalla cresta acuta nel cielo, sopra il mistero assopito della selva io scorsi andando pel viale dei tigli la vecchia amica luna che sorgeva in nuova veste rossa di fumi di rame: e risalutai l’amica senza stupore come se le profondità selvagge dello sprone l’attendessero levarsi dal paesaggio ignoto. Io per il viale dei tigli andavo intanto difeso dagli incanti mentre tu sorgevi e sparivi dolce amica luna, solitario e fumigante vapore sui barbari recessi. E non guardai più la tua strana faccia ma volli andare ancora a lungo pel viale se udissi la tua rossa aurora nel sospiro della vita notturna delle selve.
la selva antichissima addensare l’ombra= L'infinito addensare, come d'altronde anche il riflessivo accendersi, ha qui valore di proposizione relativa visto che è riferito alla selva: "che addensava"/ "una stella che si accendeva".
I fruscii all'interno della selva possono riferirsi o ai movimenti di animali oppure alla brezza.
I tigli sono tra i primi alberi che rimangono senza foglie e infatti, già ai primi di novembre, sono quasi completamente spogli. I faggi e le viti invece sono gli ultimi. Le viti diventano scheletri legnosi e contorti intorno al 10 dicembre.
Qui la luna è un elemento amico. Nella fede questo astro è simbolo di Maria. In Leopardi, nell'idillio Alla luna, la luna è "graziosa" e "amica".
volli andare ancora a lungo pel viale se udissi la tua rossa aurora= Quel se ha valore finale (=per udire).
C) 21 SETTEMBRE, NEI PRESSI DELLA VERNA:
Io vidi dalle solitudini mistiche staccarsi una tortora e volare distesa verso le valli immensamente aperte. Il paesaggio cristiano segnato di croci inclinate dal vento ne fu vivificato misteriosamente. Volava senza fine sull’ali distese, leggera come una barca sul mare. Addio colomba, addio! Le altissime colonne di roccia della Verna si levavano a picco grigie nel crepuscolo, tutt’intorno rinchiuse dalla foresta cupa.
La tortora è simbolo dell'eternità del sentimento d'amore, mentre la colomba è l'uccello emblema dell'intensità del sentimento d'amore.
Dice Leonardo Da Vinci nei suoi Scritti letterari: La castità. La tortora non fa mai fallo al suo compagno e, se l'uno more, l'altro osserva perpetua castità.
Nella Bibbia la colomba assume diverse valenze e compare diverse volte: dopo il diluvio universale ai tempi di Noè è simbolo di pace dal momento che porta a Noè un rametto d'ulivo e, nel Nuovo Testamento, come anche nei dipinti di arte sacra, è indice della presenza dello Spirito Santo sia nelle raffigurazioni dell'Annunciazione sia nelle rappresentazioni del Battesimo di Cristo.
Ho voluto inserire due esempi qui sotto. Il primo è un particolare dell'Annunciazione del Beato Angelico, il mio dipinto preferito del Quattrocento, il secondo è un dettaglio sul Battesimo di Cristo di Piero della Francesca:
La tortora volava senza fine sull’ali distese, leggera come una barca sul mare. Bellissima e originale questa similitudine che indica la libertà di cui godono le ali dell'uccello, che si stagliano spalancate nel cielo e senza far rumore.
D) 22 SETTEMBRE, LA VERNA:
Il corridoio, alitato dal gelo degli antri, si veste tutto della leggenda Francescana. Il santo appare come l’ombra di Cristo, rassegnata, nata in terra d’umanesimo, che accetta il suo destino nella solitudine. La sua rinuncia è semplice e dolce: dalla sua solitudine intona il canto alla natura con fede: Frate Sole, Suor Acqua, Frate Lupo. Un caro santo italiano.
(...)
Un frate decrepito nella tarda ora si trascina nella penombra dell’altare, silenzioso nel saio villoso, e prega le preghiere d’ottanta anni d’amore. Fuori il tramonto s’intorbida. Strie minacciose di ferro si gravano sui monti prospicienti lontane. Il sogno è al termine e l’anima improvvisamente sola cerca un appoggio una fede nella triste ora.
Il corridoio delle grotta vicina al santuario è umido ed è dedicato a San Francesco e alla sua vita. L'autore qui accenna alla rinuncia del santo alle ricchezze e alle comodità della vita, ricorda il suo stile di vita da semplice pellegrino, mette in evidenza il suo amore per Dio e per il Creato citando poche parole, o meglio, qualche apostrofe a elementi naturali e ad animali tratta dal suo Cantico delle Creature in volgare umbro. Interessante è la menzione al frate anziano poche righe dopo che prega le preghiere d’ottanta anni d’amore.
Attraverso una figura etimologica (il verbo "pregare" infatti diviene nella stessa frase un sostantivo), Dino Campana mette in evidenza la convinta e solida vocazione di un frate del primo Novecento che ha dedicato tutta la sua vita a Dio accettando sacrifici e condizioni che la sua scelta comportava.
Il sogno è al termine e l’anima improvvisamente sola cerca un appoggio una fede nella triste ora.
L'anima di Dino Campana cerca Dio! Ecco dunque che il tramonto diviene un'allusione alla vecchiaia e alla vita in declino oltre che alla fine della giornata.
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Io ho bisogno di un po' di stacco. Ho deciso così dopo aver vissuto un anno difficile sia per grossi problemi di relazioni (altroché una torta al centro sociale, avrei voluto una vera festa di laurea a casa mia per tutta la notte! Ma avrei potuto divertirmi solo se fossi stata ben inserita in un gruppo affiatato. Invece ho ricevuto soprattutto derisioni e umiliazioni) sia per grossi problemi familiari.
*Sto continuando la stesura di quel secondo romanzo del quale vi parlavo a inizio settembre, dopo una fase di stallo nel pieno dell'autunno dovuta a una serie di motivi e di difficoltà. Sono contenta. Ci metterò un pochino, ci lavorerò pian piano e nel corso del 2022, proprio come ho fatto con "Le avventure di una liceale invisibile". Ma sono contenta: ne sta venendo fuori qualcosa di dolce e al contempo di ironico e... di vitale ed essenziale.
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IN ONORE DI SANT'ANDREA:
Per il calendario liturgico, la ricorrenza di questo martire è il 30 novembre. Sant'Andrea è protettore dei marinai e dei pescatori.
L'altro ieri ho avuto l'occasione di poter riflettere sulla chiamata dei primi quattro discepoli, tramandata da Mt 4, 18-22: Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni.
Al link sotto potrete trovare una mia riflessione su questi quattro versetti e, in particolare, su quella che dev'essere stata l'indole di Andrea, santo al quale sono sempre stata affezionata, per diversi motivi: innanzitutto è patrono anche del mio paese, dove c'è una pieve romanica a lui dedicata, poi, il suo nome di derivazione greca contiene i significati di "forza", "valore" e infine, perché Andrea è stato un apostolo poco appariscente, riservato ma sempre presente nella vita di Gesù e fedele a Dio.
A mio avviso, il comportamento di Andrea ricorda quello di Maria, dal momento che dev'essere stato costituito da silenzio, disposizione verso il progetto di Dio, fiducia in Gesù, umiltà...
Secondo me quindi non è un caso che, praticamente ogni anno, il 30 novembre sia incluso nel periodo dell'Avvento.
Non è un caso che si ricordi questo santo proprio verso la fine dell'anno, pochi giorni prima dell'Annunciazione (8 dicembre) e circa tre settimane prima di Natale. Sant'Andrea, per tutta la vita, dev'essere stato buono, umile, mite e semplice come il Natale, o meglio, come il senso più profondo del Natale: un Dio che si fa bambino, un Dio che, nel giorno della sua nascita, non fa scalpori e nasce nella povertà, onorato dai pastori e dal luccichìo delle stelle.
Ma forse c'è qualcosa che non so: Sant'Andrea magari è morto crocifisso a Patrasso proprio il 30 novembre?! Si sa poco della sua vita.
Preciso, come ultima cosa, che Sant'Andrea ha voluto morire, intorno al 65 d.C., su una croce decussata: una croce a forma di X dove il condannato non era inchiodato ma legato, in modo tale da allungare la sua agonia.
La Legenda aurea riferisce che Andrea è andato incontro alla sua croce con questa invocazione: «Salve Croce, santificata dal corpo di Gesù e impreziosita dalle gemme del suo sangue! Vengo a te pieno di sicurezza e di gioia, affinché tu riceva il discepolo di Colui che su di te è morto. Croce buona, a lungo desiderata, che le membra del Signore hanno rivestito di tanta bellezza! Da sempre io ti ho amata e ho desiderato abbracciarti. Accoglimi e portami dal mio Maestro».
Ecco qui la mia riflessione in pdf:
Ma pensate a che cosa è stato in grado di fare poi Dio con un debole come Pietro! Da pavido a grandissimo... è proprio il caso di dirlo.