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3 ottobre 2022

"A ciascuno il suo", L. Sciascia:

A ciascuno il suo è un romanzo di denuncia sociale scritto da Leonardo Sciascia e pubblicato nel 1966, cinque anni dopo Il giorno della civetta.

1. TRAMA:

Si tratta del duplice omicidio di un farmacista e di un medico.

Siamo in un paese nell'entroterra siciliano. È estate. Il postino consegna al farmacista Manno una lettera anonima di minaccia che dice: "Questa lettera è la tua condanna a morte, per quello che hai fatto morirai."

Il farmacista non prende sul serio la lettera ma, pochi giorni dopo, viene ucciso, insieme al dottor Roscio, durante una battuta di caccia:

Il ventitré agosto del 1964 fu l'ultima giornata felice che il farmacista Manno ebbe su questa terra. Secondo il medico legale, la visse fino al tramonto; e del resto, a suffragare la constatazione della scienza, c'erano i pezzi di caccia che dal suo carniere e da quello del dottor Roscio traboccavano: undici conigli, sei pernici, tre lepri. (...) Il farmacista e il dottore la caccia amavano farla con fatica, mettendo alla prova la virtù dei cani e la propria: perciò andavano d'accordo e sempre uscivano insieme, senza cercare altri compagni. E insieme chiusero quella felice giornata di caccia, a dieci metri di distanza: colpito alle spalle il farmacista, al petto il dottor Roscio.

Il movente dei due delitti che gli inquirenti ipotizzano è il seguente: Manno aveva una relazione extra-coniugale con una giovane cliente della farmacia. 

In realtà questa pista d'indagine appare inesatta e inverosimile già nel terzo capitolo del romanzo.

Paolo Laurana, insegnante di Lettere in un liceo, si accorge che la lettera minatoria indirizzata al farmacista è stata composta con lettere ritagliate dai caratteri tipografici utilizzati per stampare l'Osservatore Romano, un quotidiano che soltanto due persone, in paese, ricevono: il parroco di Sant'Anna e l'arciprete Rosello.

Il professore si reca da entrambi con una scusa: il bisogno di reperire tutti i numeri del mese di luglio e quelli della prima metà di agosto dell'Osservatore Romano in modo tale da verificare se in uno di questi è presente un articolo di critica letteraria su Manzoni.

Il secondo lavoro di Paolo Laurana consiste infatti nel comporre articoli di argomento letterario sui più importanti autori italiani.

Attraverso i dialoghi con questi due sacerdoti Laurana si rende conto che il vero bersaglio dell'omicidio era in realtà il dottor Roscio. 

In effetti, quando incontra anche Luisa, la vedova del medico, il professore scopre che quest'ultima aveva una relazione, da diversi anni, con l'avvocato Rosello, esperto tra l'altro in riciclaggio di denaro sporco. 

Da Roma in giù c'è un sostantivo che rende l'idea di economia disonesta praticata con il consenso e la collaborazione di politici corrotti: intrallazzo.

Una volta scoperti i tradimenti della moglie Roscio aveva minacciato Rosello di denunciare i suoi traffici corrotti. Per questo Rosello lo aveva fatto uccidere.

2. MOTIVO DEL TITOLO DEL ROMANZO:

La parola latina unicuique apre ogni prima pagina dei numeri dell'Osservatore Romano. Il titolo di questo libro è dunque la traduzione dell'espressione unicuique suum, frase stampata sul retro della lettera minatoria ricevuta da Manno.

3. PAOLO LAURANA:

Ecco come appare a noi lettori questa figura a inizio romanzo:

Paolo Laurana (...) era considerato dagli studenti un tipo curioso ma bravo e dai padri degli studenti un tipo bravo ma curioso. Il termine curioso, nel giudizio dei figli e in quello dei padri, voleva indicare una stranezza che non arrivava alla bizzarria: opaca, greve, quasi mortificata. Questa sua stranezza, comunque, rendeva ai ragazzi più leggero il peso della sua bravura; mentre impediva ai padri di trovare in lui il verso giusto per piegarlo non alla clemenza ma alla giustizia.

Era gentile fino alla timidezza, fino alla balbuzie; quando gli facevano una raccomandazione pareva dovesse farne gran conto. Ma ormai si sapeva che la sua gentilezza nascondeva dura decisione, irremovibile giudizio; e che le raccomandazioni gli entravano da un orecchio per subito uscire dall'altro.

(...) Un uomo onesto, meticoloso, triste; con scompensi e risentimenti che si riconosceva e condannava; non privo di quella coscienza di sé, segreta presunzione e vanità, che gli veniva dall'ambiente della scuola in cui, per preparazione ed umanità, si sentiva ed era tanto diverso dai colleghi, e dall'isolamento in cui, come uomo, per così dire, di cultura, veniva a trovarsi.

L'introduzione di questo personaggio particolare e moralmente pulito rivela già alcune differenze rispetto al Giorno della civetta, libro poliziesco scritto e pubblicato soltanto cinque anni prima: infatti in A ciascuno il suo il protagonista è un diverso, un emarginato, un uomo destinato ad essere sconfitto e a soccombere dal momento che non si adegua alla mentalità omertosa che è parte non soltanto del suo paesino ma di tutto il territorio siciliano. Al contrario, nel Giorno della civetta, chi indaga sulla morte di Salvatore Colasberna è un carabiniere, il capitano Bellodi, originario dell'Emilia e intenzionato a scoprire il responsabile dell'omicidio. Ma il capitano Bellodi riesce nel suo intento? Non viene fatto scomparire ma, quando chiede una licenza di un mese per ritornare a Parma, tutto il suo lavoro viene sminuito da un alibi falso fornito a Diego Marchìca, il probabile esecutore dell'omicidio Colasberna, il cui probabile mandante è Don Mariano Arena.

Altra importante differenza tra i due romanzi: il farmacista Manno e il dottor Roscio vengono assassinati al tramonto, Salvatore Colasberna la mattina presto.

Ad ogni modo Paolo Laurana è l'unico personaggio del romanzo che cerca di arrivare alla verità e ai veri moventi dei due delitti. Di indole riflessiva e introversa, determinato a comprendere cosa sia successo a Roscio, suo ex compagno di liceo e suo buon conoscente, indaga per conto proprio durante gli ultimi giorni di agosto e le prime settimane di settembre, approfittando dei pochi impegni scolastici di quel periodo.

Quando arriva alle cause che hanno comportato l'eliminazione di Roscio e di Manno l'insegnante di italiano e storia continua a vivere come prima, facendo il docente pendolare e concentrandosi sulle sue letture.

Tuttavia, un pomeriggio Laurana incontra su un autobus Luisa Roscio che, con il pretesto di voler scoprire la verità sulla morte del marito, gli propone un incontro per la sera del giorno successivo al Caffé Romeris.

Ma questa è una trappola, ideata da Rosello e Luisa, per togliere di mezzo il professor Laurana.

Il finale di questo libro è terribile: un anno dopo tutti questi avvenimenti l'avvocato Rosello e la vedova Roscio si sposano. 

Nelle ultime due pagine alcuni abitanti del paese, ovvero, Don Luigi, il commendatore Zerillo e il notaio Pecorilla, conniventi con l'avvocato Rosello per puro opportunismo, mentre rievocano la scomparsa di Laurana, apostrofano il professore come "un cretino". 

Per di più, il commento del commendatore Zerillo a proposito di Paolo Laurana fa venire i brividi freddi:

"Poveri innocenti" vezzeggiò con ironia il commendatore "poveri innocenti che non sanno niente, che non capiscono niente... Tenete, mordete questo ditino, mordetelo" e accostò prima alla bocca del notaro e poi a quella di Don Luigi il mignolo che usciva dal pugno chiuso, così come in tempi meno asettici dei nostri le mamme usavano fare con i bambini cui stavano per spuntare i denti.

4. IL ROMANZO E LA QUESTIONE MERIDIONALE:

Leonardo Sciascia era nato ad Agrigento nel 1921. Maestro elementare e giornalista, così parlava della Sicilia:

Nascere a Sud di Roma e negli anni della marcia su Roma non è come nascere al Nord dieci anni dopo. Siamo un prodotto di quella che viene chiamata la questione meridionale, ma nel momento in cui il fascismo aveva deciso che non esisteva più, proibendo semplicemente che se ne parlasse.

Il fascismo di Mussolini impediva di informare gli italiani sulla questione meridionale a causa della propaganda e quindi per non compromettere l'immagine di un'Italia nazionale forte.

I cambiamenti storici successivi all'Unità d'Italia non hanno comportato progressi per la Sicilia, peggiorando anzi la situazione e reprimendo iniziative industriali.

Come d'altronde in Calabria, in Puglia e in Campania, anche in Sicilia le tecniche agricole erano sottosviluppate ed erano causa di un'esistenza misera e fatta di oppressione per i contadini.

Anche le condizioni degli operai non erano migliori di quelle dei contadini, soprattutto se si considerano le condizioni di lavoro particolarmente pericolose alle quali erano quotidianamente sottoposti.

Alla fine del XIX° secolo, un'organizzazione popolare denominata Movimento dei Fasci, di stampo socialista, protestava per chiedere una maggior giustizia nella ripartizione dei tributi e nelle amministrazioni locali. Ma il governo Crispi, nel 1893, con l'impiego dell'esercito aveva represso queste rivolte contadine.

Un altro serio problema del Sud è dato dalla mancanza di fiducia della popolazione verso lo Stato, soprattutto per quel che riguarda le classi più umili, oppresse prima dai Borboni e poi, in seguito all'Unità d'Italia, dall'imposizione di tasse gravose. In caso di ribellione, contadini e operai entravano in contatto soltanto con l'aspetto repressivo dello Stato. Da qui, a partire dagli inizi del Novecento, è nata la tendenza nel cercare protezione in uomini di prestigio, cioè, i mafiosi e dunque gli esponenti della Camorra e di Cosa Nostra.

5. LA CHIESA IN QUESTO ROMANZO:

La Chiesa, in questo libro, non fa una gran figura.

Partiamo proprio dall'Arciprete Rosello. Tanto per cominciare è zio di un mafioso. Quando l'avvocato Rosello si fidanza con la vedova di Roscio lo zio arciprete lo loda, sostenendo che sposare una vedova è un atto di carità. 

Così infatti commenta il matrimonio tra Luisa e l'avvocato:

"(...) ma a questo punto, dopo la tragedia, si tratta di un'opera di pietà... Di pietà familiare, beninteso... Si poteva lasciare questa mia nipote (la considera una parente), giovane, con una bambina, a passare sola il resto della vita? E d'altra parte, con i tempi che corrono, come trovarle un buon marito, uno che non la sposasse per mangiarle la roba e che avesse tanta bontà, tanta carità, da considerare la bambina come sua? (...) E allora mio nipote, che per la verità non aveva vocazione al matrimonio, ha deciso non dico di sacrificarsi, per carità! ma di fare questo passo pietoso..."

...Ipocrisia portami via!!!

Sarebbe decisamente da lettori ingenui pensare che l'arciprete Rosello non conoscesse già la verità sul delitto Roscio!

L'altra figura ecclesiastica è il parroco di Sant'Anna, con le sue barzellette a sfondo sessuale e molto più interessato alla scultura antiquaria che non alla fede.

Questo parroco ricorda il Don Abbondio di Manzoni:

"Perché mi tenga addosso questa veste?... Le dirò che non me la sono messa addosso di mia volontà. Ma forse lei conosce la storia: un mio zio prete, parroco di questa stessa chiesa, usuraio, ricco, mi lasciò tutto il suo: a patto che diventassi prete. Io avevo tre anni quando lui morì. A dieci, quando entrai in seminario, mi sentivo un san Luigi; a ventidue, quando ne uscii, un'incarnazione di Satana. Avrei voluto piantare tutto: ma c'era l'eredità, c'era mia madre."

Anche Don Abbondio non è diventato prete per vera vocazione ma per assicurarsi una vita economica dignitosa.

Viviamo in una società che, oltre ad essere capitalistica e consumistica, è altamente tecnologica. Il virtuale e il digitale permeano tutte le nostre vite quotidiane. 

Alla luce delle problematiche ambientali, geopolitiche e sociali, quali dovrebbero essere gli aspetti che caratterizzano la Chiesa nel nostro secolo? 

Sentite la Chiesa più come una comunità o come un'istituzione distante dai veri bisogni delle persone e non inclusiva? 

Mi considero una persona open-minded (ho compiuto 27 anni la scorsa settimana ma psicologicamente me ne sento qualcuno di più se considero la capacità di riflessione ponderata e la mia dote di empatia coltivata degli ultimi tempi).  

Per cui, seppur credente, seppur incline a ritagliarmi quasi ogni giorno qualche minuto per pregare e seppur curiosa di comprendere le storie e le tematiche della Bibbia, qualche volta credo che la seconda alternativa che vi ho posto in questa domanda disgiuntiva non sia distante dalle esperienze reali che si possono fare nelle parrocchie.

Nelle parrocchie i volontari e gli educatori predisposti a conciliare, nel loro servizio, tematiche di fede con questioni di umanità e di attualità, inclini ad argomentare le loro idee e magari anche favorevoli ad un percorso di formazione proposto da un curato oppure vicini ad un curato che attraversa un momento di grave malattia, possono essere mal giudicati e isolati. 

Questo non è essere comunità. Non c'è comunità quando c'è giudizio o esclusione.

Approfitto dunque per porvi un'altra domanda: in che cosa dovrebbe consistere il ruolo dei sacerdoti e dei religiosi? 

Circa due mesi fa mi è arrivato, sulla chat di un gruppo culturale un sondaggio digitale con hashtag #laChiesachefaremo.

L'ho compilato.

C'era anche una domanda del genere: A quali persone pensi che la Chiesa debba farsi più vicina?

Ho selezionato tre risposte, che ho arricchito con altre parole:

-Alle famiglie con figli disabili e alle famiglie di persone molto ammalate (dov'era la Chiesa quando mia nonna era molto malata? Come famiglia non ci siamo sentiti molto sostenuti o rincuorati. Meno male che lo scorso anno attorno a noi c'erano gli assistenti sociali e gli infermieri, sempre molto comprensivi!).

-Alle donne e in particolare alle prostitute, alle donne vittime di violenze e alle divorziate con figli a carico. (Invece si tende a giudicare e condannare). 

-Ai poveri e ai migranti (a mio avviso è contraddittorio dirsi "cristiani" se poi si è a favore dei blocchi navali. I migranti non sono tutti uguali e tutti delinquenti. Scappano da situazioni durissime e affrontano viaggi tremendi in cui perdono i familiari).

Ritorno un attimo al romanzo. 

Laurana fa visita anche all'anziano padre di Roscio, un oculista in pensione, molto pentito di non aver intrapreso gli studi filologico-letterari (primo medico che tiene in gran considerazione quel che abbiamo studiato noi insegnanti di Lettere). 

Ad ogni modo, l'ex oculista ad un certo punto fa degli accenni ai cambiamenti di costumi della metà degli anni Sessanta: il consumismo della società post-industriale e post bellica ha reso la sessualità più disinibita e quindi avrebbe tolto alle donne sia il fascino spirituale che quello morale. 

Così dice il vecchio Roscio, che si dichiara apertamente credente, a Laurana:

"E sa che penso? Che la Chiesa Cattolica stia registrando oggi il suo più grande trionfo: l'uomo odia finalmente la donna. Non c'era riuscita nemmeno nei secoli più grevi e più oscuri. C'è riuscita oggi. E forse un teologo direbbe che è stata un'astuzia della Provvidenza: l'uomo credeva, anche in fatto di erotismo, di correre sulla via maestra della libertà". 

Quel che vuol dire è questo: la Chiesa non è riuscita in questo intento nei secoli in cui la morale cattolica era molto, troppo rigida (Medioevo, Seicento, Ottocento e primo Novecento). Ci è riuscita con l'aumento dei consumi e con l'invenzione delle pubblicità commerciali... 

In realtà io mi trovo d'accordo con gli Scritti Corsari di Pasolini: il consumismo induce anche al conformismo. Il consumismo deriva dall'incremento significativo, a partire dagli anni Cinquanta, del benessere. La domanda che si poneva Pasolini era la seguente: Quando il benessere pervade le vite dei borghesi e si estende anche nelle campagne, che cosa se ne fa l'uomo della religione e di Dio?

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La settimana scorsa ho apportato modifiche e aggiunte significative al mio secondo libro. Ho ripreso a lavorarci in tempi recenti grazie al sostegno del ragazzo che amo. Mi riferisco proprio quella specie di romanzo ad episodi di cui vi parlavo in aprile, intitolato L'umanità è nelle nostre mani. E credo di poterla definire una delle settimane più piacevoli della mia vita.

Qui a Verona abbiamo cambiato vescovo.

Presto ci sarà un nuovo governo guidato da una leader donna, orientato al centro-destra. Pur non avendo mai condiviso alcune delle sue idee politiche che trovo piuttosto inadeguate rispetto ai tempi in cui ci troviamo (soprattutto il suo euroscetticismo), ritengo che Giorgia Meloni si stia comportando, a seguito della vittoria alle elezioni, in modo intelligente e serio. Nessun insulto agli sconfitti, nessun festeggiamento. Si sta organizzando per affidare i ministeri a persone di fiducia. Questo lo apprezzo, anche se il mio voto non andrà mai alle destre. Se mi leggete da un po' dovreste aver intuito il mio orientamento al centro-sinistra.

D'altro canto penso che il PD, come anche i Cinquestelle, debbano assolutamente farsi degli esami di coscienza: non si fa propaganda elettorale soltanto criticando gli avversari, allarmando le persone nel continuare a ripetere che ci sarà un ritorno al fascismo.

Mi auguro davvero che la nuova presidente del Consiglio sia consapevole della grande responsabilità che le viene affidata. Mi auguro che i nuovi futuri Ministri prendano decisioni serie, volte a migliorare l'economia e la società del nostro Paese, nonché a valorizzare il nostro patrimonio storico-culturale, accantonando magari idee come "faremo fare un anno all'estero a tutti i laureati magistrali". Io ho terminato l'Università a 25 anni e mezzo. Ho iniziato a fare le prime esperienze di lavoro a 26. E, proprio a quell'età, la realtà ti suggerisce che dopo anni di impegno non puoi permetterti di fare il signorino o la signorina in viaggio come i giovani aristocratici del Settecento. A 26 anni devi cercarti un lavoro e devi approcciarti alle prime esperienze lavorative, che non fanno altro che bene.



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