Credo negli esseri umani
che hanno il coraggio di essere umani
(M. Mengoni)
L'ultima tappa del viaggio di Rumiz e Monika sulla quale mi sono soffermata la scorsa settimana è stata la Lettonia. Oggi riprendo da Kaliningrad, la tappa successiva alle Repubbliche Baltiche.
7. KALININGRAD:
Come vedete dalla cartina, Kaliningrad è un'exclave tra Polonia e Lituania. Ciò significa che è un'estensione del territorio russo geograficamente separata dalle altre regioni della Russia.
È stata fondata nel XIII° secolo e, sia nel tardo medioevo che in età moderna, aveva come nome Konigsberg (qui è vissuto Kant) che, tradotto in italiano, significa "Monte del Re". Annessa nel 1945 dall'Unione Sovietica, è stata rinominata Kaliningrad in memoria di Michail Ivanovic Kalinin, un politico rivoluzionario da poco deceduto.
Ad ogni modo, qui Monika e Paolo incontrano Kristina, da loro ritenuta una "giovane figlia della globalizzazione":
(...) Kristina, una ragazza di vent'anni che ci offre da dormire a casa sua e ci preleva alla stazione con un'amica. Studia scienze internazionali (l'amica design), ha un appartamentino col bovindo nella zona bene della città, sogna il gran mondo e va a Berlino in aereo nei weekend. Ha un papà che naviga, una mamma impegnata nel business finanziario, una sorellina che convive con lei e passa il tempo con i videogiochi. Sono sbalordito. I miei schemi mentali sono in pezzi. Ho davanti una Russia totalmente occidentalizzata. La frontiera? No problem per Kristina, che anzi la vive come una risorsa, con la stessa sfrontata allegria di New Orleans negli anni del proibizionismo.
E ora, quattordici anni dopo questo viaggio di Rumiz, le frontiere costituiscono un problema per noi occidentali?
Non voglio fornirvi risposte a questa domanda abbastanza provocatoria: i miei post servono a voi anche per riflettere sull'attualità. Da una parte abbiamo sempre più universitari che aderiscono a programmi Erasmus, giovani e indubbiamente anche adulti che frequentano ristoranti di cucina indiana, giapponese, cinese e che compiono viaggi extra-continentali per lavoro o per ferie.
Dall'altra invece c'è la paura e la diffidenza soprattutto nei confronti del migrante sub-sahariano, che spesso va via dalle proprie terre per fuggire da guerre civili, integralismo islamico, fame e che arriva in Europa tramite barconi, dopo un lunghissimo e pericoloso cammino nel deserto...
Forse è umano provare diffidenza per un gruppo di persone di altra etnia, di un'altra religione e cresciute con una cultura profondamente dalla nostra. Tuttavia è necessario tenere presente i loro vissuti drammatici, il loro dolore, le loro fatiche.
A ciò, nel 2022, si aggiunge la guerra tra Russia e Ucraina, che ha incrinato i rapporti tra Europa e Federazione Russa e tra Putin e gli Stati Uniti.
Considerando tutto ciò: che cosa sono per noi le frontiere? Ostacoli o risorse? E' sempre possibile risolvere situazioni geo-politiche complicate attraverso il dialogo e la diplomazia?
Interessante il fatto che Paolo Rumiz definisca Kaliningrad un "non-luogo", ma non nel senso in cui lo intende l'antropologo Marc Augè, quando classifica come "non-luoghi" le stazioni, gli aeroporti e i centri commerciali, dal momento che si tratta di luoghi di passaggio in cui non c'è storia, in cui nessuno abita o esprime cultura.
Kaliningrad è definita dall'autore un non-luogo forse perché è una città molto aperta al multiculturalismo la cui mentalità di molti cittadini si pone al di là dei confini politici.
La globalizzazione non dev'essere soltanto economica ma anche occasione di incontri, altrimenti le disuguaglianze si rafforzano e continuano i problemi di ingiustizia e di indigenza.
La globalizzazione dev'essere scambio culturale e umano. Dev'essere arricchimento. E questo, Rumiz e la sua compagna di viaggio lo hanno capito perfettamente.
8. VARSAVIA:
Dopo Kaliningrad la tappa successiva prevede una sosta a Varsavia, città di solito piena di turisti.
A Varsavia tuttavia gli accade qualcosa di spiacevole:
(...) il confine dell'U.E. diventa improvvisamente poroso per briganti, masnadieri e furfanti d'alto bordo. E' quanto constato a Varsavia...
In città c'è il pienone di turisti e per trovare una stanza mi tocca bussare- contro i miei principi- a un albergo per ricchi in via Grzybowska. Comincia subito male. All'ingresso mi perquisiscono per via dello zaino e della barba lunga e solo la comparsa della carta di credito strappa un sorriso al muso del buttafuori che mi palpa il giaccone e poi zuccherosi benvenuti in lingua inglese agli impiegati della reception. Poi, salendo in camera in ascensore, succede che mi trovo accanto a due gorilla russi enormi e rapati a zero, in completo grigio inappuntabile, auricolare a spirale che spunta dalla giugulare piena di sangue come quella di un tacchino. Entrambi sono platealmente armati, sotto la giacca c'è il rigonfiamento per la fondina con la pistola. Non riesco a trattenermi. Scendo alla reception senza disfare i bagagli e dico che non mi va di stare in un albergo dove non si perquisiscono i gangster ma i clienti normali.
Questo episodio testimonia la presenza, purtroppo pesante negli stati del nord est europeo, di mafie e corruzione.
È bene precisare che la Polonia fa parte della NATO dal '99 ed è entrata nell'Unione Europea nel 2004 anche se il suo governo di stampo sovranista si trova spesso in contrasto con le politiche comunitarie dell'Unione e, in particolare, con le politiche migratorie.
Varsavia è stata completamente ricostruita dopo il secondo conflitto mondiale. Attualmente è il principale centro economico e politico della Polonia.
La democrazia è recente: è infatti stata instaurata nell'89 quando, il movimento di origine sindacale Solidarnosc sostenuto dalla Chiesa Cattolica e da Giovanni Paolo II° ha vinto le prime elezioni libere.
Una sera abbiamo riflettuto su un passo in cui Rumiz ha paragonato Est e Ovest dell'Europa mentre si trovava a Varsavia:
Lo zaino sulla mia vecchia schiena diventa oggetto di velata commiserazione, la comunicazione interpersonale sui mezzi pubblici diminuisce sensibilmente, l'indifferenza e la noia aumentano. Ma soprattutto il tempo. Si brucia con la velocità angosciante di una candela. Ho un mezzo appuntamento con un prete greco-cattolico fuori Varsavia, un conoscitore della frontiera con Kaliningrad, un prete che organizza feste folkloristiche e allena cani da combattimento. Ma quando gli telefono per dire che arrivo, il reverendo risponde gelido che dovevo dare conferma prima e che non se ne fa niente. "Mi spiace", dice, "ma non ho tempo". E aggiunge, velenosetto: "Da quando siamo nell'Unione Europea il tempo non c'è più".
A me ha colpito soprattutto la prima frase di queste constatazioni: Lo zaino sulla mia vecchia schiena diventa oggetto di velata commiserazione.
Per i russi di Lovozero e della Carelia, per i Lèttoni di Ludza un semplice zaino da viaggiatore, ben diverso da un bagaglio da turista, definisce una persona di buon cuore e propensa al dialogo. Per le zone del centro e dell'ovest dell'Europa quello zaino che l'autore-narratore porta sulle spalle è ben lontano da ogni comodità.
8a) Come vedono gli ortodossi della Russia e dei paesi ex sovietici noi cattolici dell'Europa occidentale?
Io e Matthias concordiamo su un punto: se qui Rumiz e Monika rimpiangono l'Est è innanzitutto per il fatto che nella Russia del Nord e nelle repubbliche baltiche hanno conosciuto e condiviso con i residenti la povertà, i drammi della storia recente e l'emarginazione di chi vive nelle periferie.
In Occidente il tempo è più rapido perché la società è più ricca e più complessa.
Da qui è nata una piccola discussione che è sorta da una domanda alla quale io per prima ho dato una risposta visto che anche in questo capitolo sulla Polonia si accenna a preti e religioni: come vedono gli ortodossi della Russia e dei paesi ex sovietici noi cattolici dell'Europa occidentale?
Credo che i Russi e gli Estoni fortemente ortodossi ci considerino vuoti, superficiali, immorali, a-spirituali addirittura. Ci vedono come se fossimo tutti immorali e non praticanti visto che molti di noi non trasmettono la fede e i valori del cattolicesimo ai figli. Sicuramente, per un ortodosso fervente e per un ortodosso integralista, non valorizziamo il senso profondo e spirituale di Pasqua e Natale, pensando soltanto a dolci e regali, facendo diventare gli alberi di Natale e i presepi non più simboli religiosi e culturali ma accessori decorativi. E questa è anche una verità.
Ecco cosa mi sono sentita rispondere dal mio ragazzo: "Questa, più che differenza tra ortodossi e cattolici è un divario tra una società dove c'è libertà di mercato e stato di diritto e un'altra che non ha mai avuto queste caratteristiche. Se si desse agli ex sovietici la possibilità di lavori con salari che possano permettere merce accessibile anche in queste zone i significati spirituali delle feste verrebbero meno. Infatti è il sistema economico che indebolisce la spiritualità, non le religioni."
(È un pensiero che rievoca gli Scritti Corsari di Pasolini. Nulla da replicare, anche perché è la verità).
Per chiudere questo paragrafo vi riporto anche la parte finale del nostro confronto. Le iniziali maiuscole ovviamente sono le iniziali dei nostri nomi:
M=Tu vedi nel Cattolicesimo qualche elemento che ci porta a vivere meno spiritualmente il Natale?
A= Forse sì! In alcuni canti liturgici giovanili, ad esempio, "Nascerà" del Gen Rosso, canzone il cui testo è stupido, non ha il minimo senso, non c'è una parola su Gesù Cristo fattosi uomo, su Maria, Giuseppe, i pastori, Betlemme. Tu detesti le generalizzazioni e ami le argomentazioni. Quindi dimmi che senso ha la frase: "Sempre nuovo è il tuo modo di inventare il gioco del tempo per me".
M= Non conosco il canto. Forse parla di Gesù che ci è vicino nei momenti di difficoltà. Però, anche per me, la frase non ha senso.
Al di là delle nostre parole in una discussione di ormai quasi due mesi fa, in queste ultime sei settimane ho frequentato un corso di Geopolitica organizzato dalla Fondazione Toniolo ed è stata affrontata anche l'involuzione autoritaria che la Russia di Putin ha intrapreso negli ultimi vent'anni, accentuatasi a partire dal 2008, quando l'esercito della Federazione Russa ha invaso la Georgia.
Ad ogni modo, è dall'inizio degli anni Duemila che Vladimir Putin dice ai russi che l'Occidente è il male e che l'obiettivo delle sue politiche è quello di ripristinare gli equilibri mondiali della guerra fredda visto che a suo parere la NATO si è espansa troppo ad est. Il patriarca di Costantinopoli lo appoggia in pieno quindi sicuramente in Russia il ruolo della Chiesa ortodossa ha un certo peso anche nel demonizzare lo stile di vita occidentale.
Oltre a ciò sia le Repubbliche Baltiche, sia la Polonia, la Moldavia e la Romania temono di ritornare sotto la Federazione Russa, nel caso in cui lo "zar" Putin riuscisse a realizzare il suo progetto geopolitico ante 1989. Questo timore si è fatto più forte da quando è scoppiata la guerra in Ucraina.
9. LA BIELORUSSIA, "CUORE VERDE D'EUROPA":
Campi sterminati, brina come neve in controluce
e poi terra, terra, grano da tuffarcisi dentro, da nuotarci attraverso.
Spazi che darebbero alla testa a qualsiasi contadino o generale
in vena di conquiste.
In Bielorussia le ingiustizie sono molte.
Ma presto i conti non tornano. (...) L'albergo Belarus dove trovo da dormire è un monumento al grigiore brezneviano, ma le stanze sono piene di cingalesi- venuti per una fiera- che tutta notte trafficheranno nei corridoi per comprarsi ragazze in affitto. Un medico guadagna centocinquanta dollari al mese, ma al ristorante i prezzi sono più alti di quelli polacchi. E poi l'inflazione: al cambio in stazione, per cento euro mi hanno messo in mano una mazzetta di banconote grossa così. Talmente tante e ugualmente grigie che ho dovuto dividerle nelle tasche. Era dal tempo della guerra jugoslava che non vedevo cartamoneta con tanti zeri.
Non è finita qui... Anche nei corpi di polizia la corruzione è moltissima:
Un ex ufficiale dell'esercito che si arrangia facendo il tassista racconta di aver denunciato ruberie e di essere stato buttato fuori dall'esercito per questo.
In Bielorussia Rumiz viene trattato decisamente male!
Entra in un Internet Café, gestito da un giovanotto con "la faccia da sberle" per poter scrivere una mail a suo figlio ma...
Ho tempo fino alle dieci, ma già alle ventuno e cinquantadue mi sparisce il collegamento. Chiedo a Faccia da Sberle se è stato lui a staccare. Lui dice sì. Replico che non sono le dieci. Lui dice di sì. Rispondo che se anche fossero le dieci si avvisa prima. Quello mi guarda come un microbo, altri giovani mi guardano come un microbo. Sono un sessantenne che ha sfidato il coprifuoco.
La Bielorussia tuttora non ha un governo democratico.
Nell'estate 2020 Lukashenko ha vinto le elezioni ma è palese che ci sono stati brogli elettorali e intimidazioni ai suoi avversari politici: due candidati di partiti opposti a Lukashenko sono stati arrestati e la terza si è rifugiata in Lituania. Da due anni la popolazione bielorussa sta manifestando pacificamente contro la dittatura e contro le violazioni dei diritti umani da parte del dittatore.
D'altronde, la vittoria di Lukashenko non è stata riconosciuta dall'U. E.
10. CONTRADA KARAVASARI, UCRAINA:
Ci sono le rondini che volano, le casette, il fiume che scorre tra alberi maestosi. E c'è una coppia anziana semi-distesa sull'erba con gli occhi rivolti al cielo. Sono Ljuba e Viktor. Ed ecco che i due viaggiatori ascoltano un'altra storia drammatica e realmente accaduta:
Ljuba: "Centocinquantamila ebrei passarono lassù sul punte, tenendosi per mano, circondati da tedeschi. Vidi anche Bjela che vendeva caramelle ai bambini. Noi gridavamo loro: ribellatevi! Siete in tanti! Potete ucciderli! Ma loro rispondevano: ci aiuterà Dio..."
Viktor: "Li uccisero in un villaggio poco lontano di nome Mikrajon... la terra era tutta rossa di sangue".
Chiedo se qualcuno rimase vivo dopo la ritirata tedesca del '44. Mi dicono di sì, ma gli ultimi se ne andarono dieci anni dopo, nel '56, dopo la morte di Stalin. Al tempo della rivolta d'Ungheria.
La scorsa settimana vi avevo avvertito del fatto che questo era un libro inerente anche alle ferite storico-sociali lasciate dal secondo conflitto mondiale.
Ad ogni modo credo che noi italiani dovremmo ringraziare Paolo Rumiz per il suo acume, per la sua intraprendenza e la sua mente aperta, per la sua sensibilità nel portarci, in particolare con questo romanzo, un affascinante mosaico di culture, di paesaggi, di Stati, di storie personali che si intrecciano con la grande storia e di mentalità.
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